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Autore: Cee4    08/07/2012    2 recensioni
Nulla è mai come sembra: la storia di un legame profondo che si rinnova nel tempo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Strings Capelli scuri, piatti, un po' unti.
Un taglio da educanda, decisamente un caschetto da scolaretta.
Occhi agitati.
Mani nervose.
Un giubbotto con le spalle larghe e i polsi stretti.
Gli angoli delle labbra piegati in lunghi pensieri.

E' così che me lo ricordo.
Al piano terra di un edificio, non troppo lontano dal Pier, lo vidi così quando c'incontrammo la prima volta.

L'umidità si appiccicava sulla pelle e sui vetri delle macchine parcheggiate su entrambi i lati della strada.
Quel giorno non si decideva a piovere.

Teign All Music, un buco pieno di roba con cui fare buona musica e qualche pezzo di buona musica da ascoltare.
Le porte erano verde trifoglio e il muro grigio alluminio.
I prezzi erano nella norma rispetto alla concorrenza di Exeter e Torquay.

Ero all'interno e lui all'esterno.

Non so dire chi dei due avesse notato prima l'altro.
Mi piace pensare che fosse stato lui, se non altro per un vecchio retaggio di galanteria e amor cortese.

I suoi zigomi affilati facevano capolino al di là della vetrina.
Parte del suo viso ogni tanto spuntava dietro gli adesivi colorati su cui campeggiavano le offerte della settimana, del mese, dell'anno.

Quella volta non entrò.
Stette lì fuori.
Mani affondate in tasca e iridi appoggiate prima su qualche cd, poi su una batteria e un clarinetto esposti e, infine, su di me.

Tornò un paio di giorni dopo, sei giorni dopo, dieci giorni dopo.
Sempre al di là del vetro.
Mi deluse.

O era un maniaco o era alquanto indeciso, pensai.

Ci vollero venti giorni perché entrasse nel negozio.

Sospirai in un "Finalmente" quando tirò la maniglia dell'ingresso verso il basso.

Il proprietario, Mr. Horler, era preoccupato dal suo gironzolare persistente e puntuale.
Credeva che 'quel ragazzetto imberbe' avesse intenzione di fare qualche bravata.
Fu sollevato quando si rivelò essere solo un cliente.

Appresso al teppistello mancato c'era un altro ragazzo.
Capelli biondi  sistemati in una spessa cresta da una buona dose di gel, stessa età probabilmente.

Una coppia di avventori abbastanza bizzarra.

L'amico si avvicinò per primo.
Aveva  la cerniera della giacca in pelle nera tirata fino alla base del collo
Si chiamava Dominic.

L'aveva mandato lui, Matthew, a prendere le misure della situazione.

Sbuffai.

Stettero nel negozio un paio di ore.

Alla fine ognuno trovò ciò per cui era venuto.


Ci vollero un paio di mesi perché iniziassimo a capirci.

Lui era bizzarro, insensato, un ebete.
Io dura, scostante, acida.

Prese a chiamarmi Lemon per questo e per il disegno colorato che portavo impresso.

Riuscimmo a trovare un incastro semplice e perfetto.


Una volta messe in chiaro le nostre assurde prerogative iniziò l'amore.

Ci nutrivamo di paura e sogni.

Matt parlava di come non volesse ritrovarsi a fare l'imbianchino, malgrado ci sapesse fare, e di come Dom e Chris fossero insostituibili nella costruzione di una band.
Parlava delle stelle e dei bollitori per il tè che scoppiavano frequentemente nella sua cucina.

Lui parlava e io ascoltavo.
Rimanevo in silenzio.

Le sue terminazioni nervose lavoravano incessantemente producendo un risultato a cui io potevo solo rispondere di riflesso.

Quando smetteva di parlare erano le sue mani, era il suo corpo a fare il resto.


Bellamy, quel  dissociato, impacciato, paranoico, cagasotto, inventava quotidianamente un nuovo universo.
In quell'universo, poi, ti ci buttava senza chiederti il permesso.

A volte se ne accorgeva, a volte no.

Amava comportarsi come un ragazzino.
Decisamente non lo era malgrado l'aspetto.
Era l'aspetto che ti fregava nell'esprimere un primo giudizio sulla sua persona.

I segni della stanchezza sotto gli occhi, le scapole ben visibili, la bocca che accoglieva una risata improvvisa disarmavano non poco.


Voleva attirare attenzione fino a farsi male, fino a farti del male.


Le crisi, l'appartenenza, le fughe, le bende e i gessi, il riposo: questo siamo stati noi per alcuni anni.


Mi prese con sé all'inizio del primo tour.

" Mi servi ", disse.
Scusa banale, in verità troppo schietta per essere uscita mozzicata dai suoi denti..

Lo seguii.

Non gli servivo, evidentemente.


Furono mesi imbattibili.

Eravamo sconsiderati e contraddittori.

Ci allontanavamo.
Ci arrendevamo tanto a noi stessi quanto ad altri.

Matt aveva fame di realtà.

Nonostante le sbronze, i dubbi, la carenza di ferro ed  il sesso tornavamo a noi.


Avermi, però, a volte era un peso.

Ci furono problemi al check-in in Canada.

Mi avrebbe potuta lasciare lì.
Era anche di pessimo umore quel giorno, specie con me.

Non lo fece.


Alla fine, in maniera tirata e a stento comprensibile,  me lo disse.

" Ti voglio ".

In lui le motivazioni egoistiche e l'affetto più disinteressato non si potevano separare.

Era fatto così ed io ero il suo paraurti contro la cattiva sorte.


Nel maggio del 2005 finì.

Entrambi  capimmo che non si poteva andare avanti.
Io avevo passato troppe cose e  non c'era modo di riparare.

La fortuna e l'attaccamento non bastavano.
Lui aveva conosciuto qualcosa di nuovo, io avevo visto abbastanza il mondo.

Andare avanti, certo.

Eravamo a casa di Marilyn.
Le note di una canzone mai pubblicata e una corda spezzata sono state la cornice inequivocabile del nostro addio.




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Sei di nuovo qui.

Riconosco i tuoi occhi e il tuo sorriso.
 
Le tue mani sono più lisce.
Matt che fai? Ora ti metti a usare la crema levigante?

Non ti sei dimenticato di me allora.
In fondo sei sempre stato un tipo nostalgico, un raccattaricordi.

Mi porti al piano di sotto.

Sento la voce di tua madre, quella santa che mi ha protetto dalle tarme, la muffa e l'imperizia del figlio di tuo fratello.

C'è anche un'altra donna.
Non la conosco.

Ti avvicini a una carrozzina tenendomi in mano.
Neanche il bambino lì dentro conosco.

Ti infili nel soggiorno piazzandoti sul divano damascato.
Dunque c'è ancora.

Mi sistemi quella corda con dolcezza.

Il tuo tocco è gentile e cauto.
Stai tremando.

La tua voce e le mie vibrazioni si mischiano.

Sembri felice.

Le tue dita, scorrendo, piano a piano raccontano tutto ciò che non mi hai detto in questo tempo.

Siamo di nuovo insieme.
Bentornato.





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I Muse e il loro 'entourage' non hanno nulla a che fare con i fatti esposti in questa storia, etc. etc.
Potrebbe essere il caldo o la pressione ai minimi termini ad avermi fatto scrivere le righe di cui sopra, ma non ne sono certa.
Quasi sicuramente tutto ciò ha un senso solo nella mia testa.
Fatemi sapere che ne pensate se volete.
Ciao.




 
   
 
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