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Autore: Seel22    09/07/2012    1 recensioni
Fanfiction dedicata ad una coppia inusuale, ma che a me piace molto, cioè Peeta/Annie. Inizialmente doveva essere un solo missing moments sul periodo trascorso imprigionati a Capitol City, poi lo ho trasformato in una "long" di due capitoli, dove ho aggiunto un altro missing moments riguardante una scena piuttosto interessante. Buona lettura :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NOTE DELL'AUTRICE: Come ho già scritto nell'introduzione, questa storia è dedicata ad una coppia inusuale, la Peeta/Annie. Devo dire che mi ronza in testa dalla conversazione fra Finnick e Peeta nel Distretto 13 ( "Sii carino con lei, Finnick. O sarò tentato di portartela via"). Inizialmente doveva essere un missing moment sulla permanenza di Peeta in prigione, poi l'ho ampliato in due capitoli per rendere la lettura più agevole e per creare una storia un po' meno frettolosa. Questo capitolo è narrato dal punto di vista di Peeta. Spero vi piaccia ;) Baci ^^


Prigioni di ferro




Sono disteso sul pavimento gelido della mia cella. E’ tutto così umido, così freddo qua. Nel silenzio si possono facilmente sentire gli squittii dei topi e di chissà che altre bestie. Le mie braccia sembrano andare a fuoco, tanto fanno male. Il taglio che ho sul sopracciglio sanguina ancora e, gocciolando sull’occhio, vela tutto di una luce rossastra.
Da quanto tempo sono qua? Ho perso l’orientamento, il senso del tempo e ormai sono quasi sicuro che tutto ciò che ho vissuto fino ad adesso sia un’illusione. Sono nato qui e morirò qui, in questa cella buia e gelida.

Lavinia è morta. Nonostante pensar questo mi faccia sentire un essere spregevole, sono contento che sia successo. Non potevo più sopportare le sue urla e i suoi pianti. Ancora un po’ e il mio cuore sarebbe caduto a pezzi.

Nel silenzio, sento dei passi, delle voci. Un urlo acutissimo. Un urlo di donna. “Katniss” penso, e sono felice, perché non sono più solo. Mi sento spregevole per questo.

Mi sbaglio. Non è Katniss.

-Entra dentro questa cella, sgualdrinella. Vedrai come ti passerà in fretta la voglia di fare l’isterica, qua dentro.-
Risate. Voci secche e biascicanti, voci di soldati troppo ubriachi per controllarsi.
-Ma che bel bocconcino. Che ne dite, non starebbe benissimo senza vestiti questa ragazza?-
-Lasciala in pace, Carl- borbotta una voce che sembra leggermente più sobria delle altre – Abbiamo ricevuto istruzioni precise per lei: non toccarla neppure con un dito e attendere istruzioni dal Presidente.  Andiamo, ora.-
Una porta che si chiude. Risate. Passi strascicati. Silenzio.

Striscio lentamente verso la bassa fenditura sul pavimento che mette in collegamento le due stanzette. Mi stendo a pancia in giù sul pavimento,in modo da poter osservare l’ospite dell’altra cella.
La luce è poca, ma nella penombra riesco ad intravedere una figura rannicchiata, i vestiti strappati e i capelli scuri. In qualche modo, ricordo di averla già vista, ma non ricordo in che occasione.
Non parlo, aspetto solo. Ormai ho imparato che qui sotto si possono fare le cose con calma, tanto nessuno verrà a interromperti.

Passano minuti, ore, giorni, non lo so più. Il tempo è scandito dalle urla di frustrazione  rabbiose e isteriche della ragazza. Forse proviene dal Distretto 4, o dal 6: sembra  insofferente al buio e alla ristrettezza dell’ambiente. Dev’essere molto duro stare qui per chi è abituato agli spazi aperti, il mare e le foreste.
Ad un certo punto smette. Non urla più, sta solo rannicchiata vicino alla fenditura. A volte canta.
Dopo un bel po’ che la osservo, capisco chi è.

-Sei  Annie, vero? – sussurro cercando di non spaventarla.
Lei mi guarda. E’ indubbiamente molto bella, ma sembra estremamente tormentata e addolorata.
E’ questa la ragazza che Finnick ama più di se stesso? Sono confuso.
Finnick, che avrebbe potuto avere chiunque, ha scelto lei, una ragazzina pazza del suo distretto. Mi chiedo perché.

Lei piange. Piange moltissimo durante le ore successive. Non ha risposto alla mia domanda.
Poi, tutto in un istante, comincia a parlare. Non si ferma più.
La prima cosa che dice è “Non lo so” e io capisco che sta rispondendo a ciò che le avevo chiesto.
-Non so più chi sono. Chi sono io? Lo sai tu? Cosa ci facciamo qui? Da dove vengo?-
Non so cosa dirle, così invento. Le racconto quello che so, unendolo a quello che immagino sia la verità.
Le racconto di lei. Le dico che si chiama Annie, ha i capelli scuri e gli occhi verdi, viene dal Distretto 4, ha un ragazzo che la ama, lei ama questo ragazzo.
Annie vuole sapere il suo nome.
Quando glielo dico, non reagisce. Non da segno di averlo riconosciuto.

E io ho paura.

 
I giorni passano.
Lei non mangia quasi nulla del suo cibo, ma passa a me quello che può. E’ magra, pallida, distrutta. Stiamo stesi per ore vicini quanto ci viene permesso dalle sbarre, con la speranza di scaldarsi a vicenda.
A volte parlo. Parlo del mare, cosa che ho visto solo pochissime volte in vita mia, e lei ne è contenta. Le racconto di Finnick, dei suoi occhi strabilianti, dei suoi capelli e della sua voce. A volte lei sembra ricordare, altre volte vaga sperduta nei suoi sogni.


Poi arrivano. Avevo pregato non tornassero più, invece sono lì: i Pacificatori sono pronti a torturarmi ancora.

Il primo calcio mi colpisce sulle costole, mozzandomi il fiato e facendomi tossire. Dopo questo, ne seguono molti altri. All’inizio cerco di proteggermi, ma poi rinuncio, limitandomi a resistere al dolore. Vorrei conoscere le risposte alle loro domande per non soffrire più. Mi sento tremendamente egoista a desiderare di tradire Katniss in questo modo.
Quando i Pacificatori se ne vanno,resto rannicchiato contro la parete in preda alla febbre.
Qualcuno mi stringe la mano. Sollevo appena lo sguardo, e vedo Annie che mi guarda con i suoi grandi occhi da cerbiatto, la mano incastrata tra le sbarre che stringe la mia. Non parla, ma la sua stretta mi dice tutto ciò che voglio sapere: dice “io sono con te”, “conosco la tua sofferenza, perché è anche la mia”. E’ una stretta che parla di amicizia, fiducia, rispetto e malinconia. Mi sento improvvisamente al caldo e, quando mi addormento, per la prima volta dalla fine degli Hunger Games, non ho incubi di alcun tipo.
Quando mi risveglio, lei mi stringe ancora e mi guarda con gli occhi spalancati. Sorride. Non l’avevo mai vista sorridere.

E’ probabilmente una delle cose più belle che abbia mai visto.
  
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