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Autore: Rugerfred    24/01/2007    2 recensioni
In un prossimo futuro, tutto il pianeta sarà una sola città: Tengrad. La popolazione ripete le stesse azioni ogni giorno, si veste uniformemente e ascolta la stessa musica, vive in maniera del tutto uguale ad ogni altro essere vivente. Ma Gregory, capisce quanto questo sia sbagliato, e decide di fuggire da Tengrad, nell'unico modo possibile.....
Genere: Triste, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Roadwork

Come ogni mattina, Gregory Efter si era svegliato presto, e si stava vestendo controvoglia, con la solita tuta da lavoro azzurra...
Una colazione veloce, a base di “Biscotti Power-Up” e di “Latte Idrogenico” e usci di fretta per andare al lavoro.
Aveva un lavoro come impiegato statale, precisamente “Controllo Stradale”.
Non era un lavoro faticoso, dopotutto doveva solamente starsene seduto davanti a un monitor per controllare che i flussi energetici che permettevano il movimento della Strada funzionassero perfettamente.
Così, appena uscito di casa, si mise in coda per Strada, nella corsia muovendosi con destrezza dalla corsia lenta a quella veloce, visto che il tempo è denaro, e non si poteva arrivare in ritardo.
L’ultimo che era arrivato in ritardo, l’avevano “Finito”...
Dopo 5 minuti di Strada, si trovò finalmente davanti al palazzo della Strada, una torre grigia, talmente alta, che l’altezza della torre si sperdeva tra le nubi...
Entro passando sotto l’enorme arco in poliacciaio, che passava sopra l’entrata dell’edificio e dove vi era inciso:“Palazzo della Strada”, a lettere cubitali, che rilucevano di una luce verde fosforescente.
Percorse i corridoi del Palazzo della Strada, insieme a una moltitudine di uomini e donne, vestiti anch’essi con le solite tute da lavoro azzurre.
Questo flusso di persone, si diramava per i corridoi, per le scale, per gli ascensori, per gli uffici, paragonabile ad una massa di formiche in costante lavoro dentro un formicaio.
Gregory aprì la porta dell’ufficio 101.
Dentro, erano già arrivati Jeremy e Sasha.
“Buona mattinata Jeremy! Altrettanto a te, Sasha!”-disse sorridendo Gregory.
“Ben arrivato, Gregory!”-pronunciarono quasi in coro i due.
Si sedette davanti al suo monitor, digitò dei tasti sulla tastiera e il monitor si accese, mostrando la solita serie di caratteri.
E migliaia, milioni, miliardi di caratteri scorrevano sullo schermo.
Le erano sempre piaciuti quei caratteri...
Così diversi l’uno dall’altro, così associali...
Ma non lo rivelava a nessuno, ovviamente.
La diversità era reato, come la solitudine, la libertà di parola e la libertà di pensiero.
Ma quello era il suo lavoro, il suo mondo.
Non si poteva lamentare, i Grandi decidevano tutto.
I Grandi, coloro che nessuno aveva mai visto...
Non si sapeva nemmeno il loro numero preciso, potevano essere poche persone, dozzine, o centinaia...
Ma loro erano la legge: ogni loro parola, un ordine, ogni loro pensiero, un cambiamento.
Nessun abitante della città-meccanica di Tengrad, poteva ignorare le loro leggi, ne pensare di uscire dalla città, poichè la fine di essa, coincideva con l’inizio, e l’intero pianeta era la città.
Il tempo passò, come i flussi davanti al monitor, e venne l’ora del Rilascio.
Gregory, Jeremy e Sasha uscirono dall’ufficio, e si misero in fila con gli altri, uscendo insieme alla massa dal Palazzo della Strada.
Appena fuori, salirono sulla Strada e ognuno si diressero verso il Palazzo del Riposo, ma prima decisero di passare nella Piazza della Danza.
La Piazza della Danza la si poteva vedere da chilometri di distanza, a causa degli enormi fari di luci psichedeliche che solcavano il cielo perennemente notturno della città di Tengrad...
Passarono attraverso i contatori di Folla della piazza, e si misero a ballare insieme ad almeno un milione di lavoratori in tuta azzurra.
La canzone era ripetitiva, e priva di parole, come tutte le altre canzoni che erano permesse nella città: solo le canzoni approvate dai Grandi potevano essere ascoltate.
Gregory danzava, quasi sotto ipnosi, ma poi si fermò un secondo, a pensare.
Perchè, faceva questo?
Perchè si sottometteva a queste leggi insensate dettate da persone bramose di potere?
All’improvviso, il ricordo delle parole di suo nonno...
“Una volta”-era solito dire-“Il mondo non era Tengrad... C’’erano numerose città, tutte diverse tra loro, e la gente era libera di pensare a ciò che voleva, di difendere le proprie idee, di vivere come voleva... Ma con il tempo, le differenze tra la gente si assottigliarono, le idee personali vennero represse a favore di idee altrui, ritenute più interessanti, e il carattere delle persone si assomigliò sempre di più, fino a dare luogo all’umanità che vedi oggi... Un umanità uguale, ripetitiva, senza differenze, senza sorprese, senza sentimenti...”
Uscì dalla Piazza della Danza, e decise di andarsene via da quella città infernale, che limitava la propria personalità.
Ma come poteva la sciare la città, se la fine era anche l’inizio?
Un modo c’era, tuttavia...
Salì in strada, e si diresse al Palazzo Abitativo, con lo sguardo osservava la gente per strada, tutti uguali, tutti con gli stessi abiti: incolonnati per strada come statue.
Finalmente arrivò davanti al Palazzo Abitativo, appena entrato, svoltò a destra, e salì nel tunnel di gravità, che lo portò d piano in piano, sino ad arrivare all’ultimo piano: il tetto del Palazzo.
E, dall’alto del Palazzo Abitativo, la struttura più alta di Tengrad, osservò la città sotto di lui...
E vide i flussi di lavoratori, dalle tute azzurre, e le luci di Piazza della Danza, e il Palazzo della Strada, e le mille altre strutture di Tengrad.
E allora ,prese la sua decisione, decise di essere libero, di fuggire da Tengrad, con l’unico modo possibile.
Allargò le braccia, quasi come ad imitare una statua solenne, e poi, si spinse avanti di poco, tanto quanto bastasse per farlo sporgere dal cornicione.
E, con un “addio” fra le labbra, si buttò dall’alto del Palazzo Abitativo, precipitando per oltre 10 chilometri nel vuoto.
Ora, era libero: si era reso libero con l’unico modo ammesso in quella società malsana.
Nessuno, ora, gli avrebbe imposto il proprio volere, obbligato a fare azioni che non gli piacevano, pensare a idee che non erano sue.
Era libero.


Dedicato a Mana

  
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