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Autore: hussykawa    10/07/2012    6 recensioni
Per Nadia, per Kevin e per tutti quelli rinchiusi o perché deboli o perché diversi.
Sola, diversa. Destinata ad essere così per l’eternità. Ma perché? Perché mi hanno rinchiusa in una prigione dorata. Un mondo perfetto, dove tutto funziona come voglio. Adesso ho scoperto la verità, ma c’è voluto l’aiuto di una persona speciale, che mi era sempre stata acanto e che adesso è ancora là. Ecco com’è andata...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo sempre creduto di essere l’unica persona magica esistente al mondo, a parte la mia migliore amica. So che non ha molto senso, ma mi erano sempre accadute delle cose molto strane e non sapevo perché. Così, ho creato i miei Miti personali, capaci di dare una spiegazione al fatto che muovevo il vento con le mani, prevedevo sia il tempo sia i risultati sportivi, o che facessi strani sogni che poi si avveravano. Tutto per me e Nadia rientrava nella realtà, anche se spesso ci trovavamo a fare i conti con tipi scettici che ci dissuadevano da questi pensieri. «Aileen» mi dicevano, «Smetti di fantasticare. Vivi nel mondo reale e non ne puoi uscire!». Io incassavo, credendo fermamente che tutto ciò che facevo, sognavo e vedevo fosse assolutamente reale. Un giorno in cui ero particolarmente annoiata (ero a scuola) mi divertivo a far cadere le matite dal banco del mio migliore amico, Kevin, con il solo soffio. Kevin non capiva cosa facesse cadere in continuazione le sue matite, siccome ero dall’altra parte dell’aula, e si affrettava a rimetterle ordinatamente sul banco, aggiustandosi il ciuffo nero in continuazione. Io e Nadia, compagne di banco, ridacchiavamo e ci battevamo il 5 ogni volta che le matite cadevano. Lo so, era un gioco un po’ cattivello, ma Kevin era così ossessionato dall’ordine che valeva la pena scombinare leggermente quel suo piccolo mondo perfetto. La nostra prof, una vecchiaccia aspra e rugosa che insegnava inglese alle medie da almeno cent’anni, iniziò a far scorrere il dito sul registro, scegliendo con cura la sua prossima vittima. Io sudavo freddo, perché (come al solito) non avevo fatto un bel niente e mi sarei beccata un bel 7. Starete pensando ‘Un bel voto!’. NO. PER NIENTE. Anche se ero in terza media, un 7 era per me peggio della fine del mondo. Prevedevo con assoluta certezza che sarebbe accaduto da lì qualche minuto. «Uhm, vediamo un po’... Liniar» esordì la prof, guardandomi con sguardo assassino. Io deglutii pesantemente e mi alzai, chiedendo disperatamente aiuto a Nadia, che aveva il potere di pilotare le interrogazioni. Nadia, però, non c’era. Ovvio, era andata in bagno. Ero morta, defunta e sepolta con tanto di bara con su scritto R.I.P. Mi avviai verso la cattedra tipo condannata al patibolo e mi apprestai a inventare tutto, oppure a trovare delle scuse convincenti per giustificare il fatto che non avessi studiato. Ad un certo punto vidi Kevin, seduto al primo banco, schioccare le dita. Una luce azzurrina fuoriuscì dai suoi polpastrelli tutti rovinati dalle troppe lezioni di arpa celtica, e andò a posarsi sul naso della prof. Lei si alzò in piedi e salì sulla cattedra, mentre Kevin tirava fuori l’arpa e iniziava a strimpellare un allegro motivetto, chiamato ‘Il ritornello del Sorriso, che ogni bravo arpista deve essere in grado di eseguire. La prof iniziò a saltellare e a muoversi a tempo con la musica, mentre i miei compagni la imitavano e saltavano da un banco all’altro. Incredula, fissai prima la prof poi Kevin, e poi ancora la prof. Raggiunsi Kevin e gli chiesi: «Cosa hai fatto?». Prima che potesse rispondermi la porta si spalancò ed entrarono in classe due omaccioni con giubbotti antiproiettile e maschera antigas, che afferrarono ognuno uno smagrito braccio di Kevin. Sui loro giubbotti c’era scritto: ‘Protection from Paranormal Activities’. «What?» mi venne da dire. I due tipacci portarono via Kevin. Mi sporsi dalla finestra e vidi lo costretto a salire su una camionetta recante la scritta ‘P.F.P.A.’ La camionetta era quasi piena e dentro vi erano altre persone spaventate: bambini, adulti, anziani. La camionetta uscì, lasciando un vuoto nell’aula e la mia testa piena di domande. Nadia arrivò casualmente in quell’istante, e le raccontai quanto appena successo. Lei disse: «Che strano. Kevin non aveva mai dimostrato di avere poteri magici». «Appunto. Come ha fatto a tenercelo nascosto?». Ero così scioccata che Nadia mi si avvicinò e mi propose, in tono confidenziale: «Oggi pomeriggio vieni a casa mia, è sicuro. Lì ti spiegherò tutto con calma, c’è un posto dove Loro non hanno occhi né orecchie e potremo parlare con calma». «Loro chi?» chiesi, spazientita da quel tono misterioso. Nadia mi fece segno di stare zitta e si sedette. Siccome la prof aveva ripreso conoscenza (l’incantesimo di Kevin era potente) continuammo la lezione. Fortunatamente la prof non ricordava niente della mia interrogazione e la passai liscia. Così passarono le ore, che trascorsi rincorrendo e prendendo al lazo i pensieri che galoppavano nella mia mente. Quando finalmente, come una liberazione, suonò l’ultima campanella della giornata, io e Nadia ci precipitammo fuori. Afferrammo le biciclette e pedalammo via, talmente veloci che le ruote non toccavano neanche terra. Arrivate a casa di Nadia, frenai sgommando la mia BMX, ribattezzata Liliana Sapientino per un motivo che neanche allora ricordavo e la lasciai nel sicuro giardino della mia amica. Entrammo in casa aprendo la porta con la magia (niente tempo per le chiavi) e salimmo le scale per andare in soffitta, proprio sotto il tetto della villa di Nadia. Cercai di accendere una fiammella con le dita, per illuminare il buio solaio, ma non ci riuscii. Schioccai le dita ripetutamente, insistendo con caparbietà, ma niente. Guardai Nadia, confusa. Lei mi sfiorò la mano e mi chiese di riprovare. Questa volta la fiammella si accese obbediente e la feci fluttuare per la stanza, in modo che illuminasse tutto. I capelli biondi di Nadia diventarono rossicci alla luce della fiamma, mentre i miei, neri, assunsero delle tonalità violacee. «Adesso ti spiego tutto. Sappi dunque che questo mondo è finto, costruito, premeditato. Qua dentro sono rinchiuse tutte le persone magiche, considerate dal resto della comunità un pericolo. Così, costruirono questa enorme ‘bolla’, e vi rinchiusero tutte le persone cosiddette ‘paranormali’». «Come me e come te» ne dedussi. «No. Solo come me. Tu sei un’eccezione, l’unica persona ‘normale’ presente qui dentro. Nessuno qua è come te. I tizi che hai visto prima, quelli che hanno preso Kevin, sono delle guardie ‘normali’ specializzate nel controllo e nella soppressione delle attività magiche. Tutto qui è mirato affinché i ‘paranormali’ perdano le loro capacità magiche». «E io perché sono qui?» chiesi, affaticata da tutte quelle novità. «I tuoi genitori sono in grado di usare la magia, e sono quindi ‘paranormali’. Tu, però, sei nata ‘normale’. Quando la P.F.P.A. ti ha individuato, ha deciso di cogliere la palla al balzo per fare un po’ di soldi. Ha perciò finanziato un’operazione per fare della Bolla (così la chiamiamo) un Reality Show. Hanno poi convocato tutti noi ‘paranormali’ e ci hanno spiegato cosa dovevamo fare. Io, siccome ero già la tua migliore amica, sono stata l’unica a cui fu permesso usare la magia, e l’ho attaccata anche a te. Ecco perché non sempre riesci a fare incantesimi: non sei ‘paranormale’ e la magia è sì attaccata al tuo corpo e alla tua mente, ma non fa parte della tua anima». «Cavoli...» commentai scioccata «E i ‘normali’ come me, come li avete chiamati voi, hanno sentito tutto quello che abbiamo detto?». «Ovvio che no. Ho isolato questo solaio con un incantesimo. Per la P.F.P.A. questo posto non esiste». Aveva appena finito di pronunciare questa frase che un rumore tremendo ruppe il silenzio appena creatasi e una mano, uscita dalla botola che conduceva al solaio, mi afferrò. Cercai di liberarmi, dimenandomi a più non posso, ma non ci riuscii. Fui trasportata in una camionetta della P.F.P.A. e mi fecero sedere dietro. Ero, stranamente, sola. Nadia fu portata nella seconda camionetta, che prese la direzione opposta alla nostra. «Stai bene?» mi fece l’omaccione che mi aveva afferrata. «Avreste potuto bussare» commentai ironica, incrociando le braccia. «Sta tranquilla, ti porteremo fuori da questo posto. Andrai nel Mondo Al di Fuori». «Al di fuori della Bolla?». «Esatto. Avrai un posto che ti spetta fra i ‘normali’». Aah... Finalmente. Non ne potevo più di tutte queste bugie. Però i miei amici? I miei genitori?». «Ti porteremo a salutarli. Poi non li rivedrai mai più». Così fu. Mi portarono in una specie di carcere provvisorio, dove i ‘paranormali’ che avevano osato usare la magia venivano ‘rieducati’. Incontrai tutti i miei conoscenti. Ero triste, certo. Ma loro mi avevano mentito per tutta la vita. Ma erano stati costretti. Insomma, pensieri contrastanti mi frullavano in testa. Ma alla fine presi una decisione. Quando vidi Nadia le promisi che l’avrei liberata a tutti i costi, e che sarei diventata magica come lei. Potevo. Bastava che loro mi donassero, a turno, un po’ dei loro poteri e alla fine la mia anima li avrebbe assorbiti, senza più bisogno di prestiti. Finito il momento degli ‘addii’, come l’avevano definito (in realtà sarebbe solo stato un ‘arrivederci’) i tizi mi condussero ad una porta enorme, ermetica. Dopo una serie di codici digitati su di una tastiera segreta, la porta si aprì, rivelandomi il Mondo Al di Fuori. Era uguale, solo più reale. La troppa realtà di tutto ciò mi investì, non ci ero abituata. Diedi un ultimo sguardo alla Bolla, dove avevo vissuto per 13 anni e che somigliava davvero ad una gigantesca bolla d’acciaio. Sospirai, pensando: “Tornerò presto, e potrete riprendervi la vostra libertà”.

   
 
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