Underwater
È strano ritrovarsi in macchina con Annabeth.
Cioè, non è la prima volta che facciamo un
tragitto insieme su un’automobile, anzi. Però è la prima volta che a guidare
sono io.
E, a pensarci bene, è pure la prima volta che
siamo da soli in un viaggio che non dovrebbe comportare mostri ad ogni angolo e
pericoli in ogni strada.
O almeno, entrambi speriamo che così non sia.
La vita da semidei non è per niente semplice,
abbiamo rischiato la morte così tante volte nella nostra esistenza che non è possibile
contarle.
Però siamo ancora qui. Lei è vicino a me, con
i riccioli biondi che si muovono leggermente a causa del vento e gli occhi
grigi persi nel panorama della strada.
Annabeth non sa neanche quanto è bella, non
capirà mai quanto lo è ai miei occhi, per quanto tenti di dirglielo.
Ormai stiamo insieme da quasi un anno, eppure
ancora non mi sono abituato ad averla sempre vicina. Non mi rendo ancora conto
che posso baciarla quando mi va, che lei è accanto a me e che continuerà a
restarci.
E sinceramente spero di non abituarmi mai,
con Annabeth ogni cosa della mia vita prende una piega inaspettata.
Si volta a guardarmi, forse si è accorta che
osservavo un po’ troppo lei lasciando perdere la strada.
«I tuoi occhi non guardano nella direzione
giusta.» mi rimbrotta infatti, sorridendo mestamente come se fosse scontenta di
dovermi sempre rimproverare.
«Scusa, erano attirati da qualcosa di
meglio.» replico sornione, facendola leggermente arrossire.
Non si aspetta mai dei complimenti, perché
sono sempre stato molto imbranato con le parole, però ogni tanto la sorprendo e
vederla arrossire è qualcosa di assolutamente adorabile.
«Non inventarti storie, guarda la strada.»
ribatte tentando un tono fermo.
Annuisco divertito e premo il piede
sull’acceleratore, ormai non dovrebbe mancare molto alla nostra destinazione.
Siamo all’inizio dell’estate e, prima di
partire insieme per il Campo Mezzosangue, volevo portare Annabeth a vedere la
casa al mare di mia madre e di mio padre, a Montauk.
Ho sempre pensato che le sarebbe piaciuta
vederla e quindi le avevo chiesto di venirci con me.
«Che ne dici, Annabeth? Ti va?»
Lei aveva sorriso gentilmente: «Certo che
verrò con te, Testa d’Alghe.» per poi darmi un colpo sulla spalla, facendomi
capire che ero stato uno sciocco a dubitare sul suo consenso.
E quindi ora ci stiamo andando insieme.
Non so bene perché voglio portarla lì, forse
perché voglio che veda il luogo dove l’amore dove tra i miei genitori è nato e
fiorito, forse perché voglio condividere ogni cosa con lei, non soltanto mostri
e apocalissi.
Quest’ultimo anno insieme è stato davvero… fantastico.
Inutile dire che tutti si aspettavano che io
e Annabeth saremmo finiti insieme, tranne me e lei ovviamente.
Lo sapevano persino tutti gli Dei, ancora ho
paura delle occhiate ammonitrici che mi lancia la mamma di Annabeth, la divina
Atena.
«Manca molto?» mi chiede, prendendo una
cartina dalla borsa.
«No, siamo quasi arrivati. Ma perché hai
portato una mappa? Conosco la strada.» replico leggermente seccato.
«Forza dell’abitudine, devo essere sempre
attrezzata.»
«Non stiamo andando in guerra.»
«La prudenza non è mai troppa, Testa d’Alghe.»
risponde stizzita, ributtandola nella borsa e volgendo lo sguardo al
finestrino.
«E poi l’ho presa dopo aver saputo che
saremmo andati in macchina, guidati da te.»
aggiunge non contenta.
«Che vorresti dire? Non ti fidavi forse della
mia guida?»
«No, di quella mi fidavo. Della tua capacità
di orientarti, un po’ meno. Non siamo mica sul mare.»
«Ma sentila, è inutile che fai sempre la
sapientona!» dico iniziando ad innervosirmi, perché debba prendermi in giro non
lo capirò mai!
Ad interrompere la nostra “dolce”
chiacchierata e una risposta di Annabeth è il nostro arrivo a Mountauk.
Dopo aver parcheggiato la macchina nel
vialetto, scendo senza voltarmi a guardarla e mi dirigo verso la porta.
Annabeth apre la portiera, mettendosi sulle
spalle lo zainetto.
Lanciandole uno sguardo la vedo che ammira il
paesaggio marino, inspirando l’aria salmastra.
La vicinanza con il mare mi ridà la calma e
la raggiungo, mentre fissa l’orizzonte.
«Visto che non ci siamo persi?»
«Per stavolta no.» dice lei mentre mi dà un
bacio sulla guancia, lasciandomi sicuramente con una faccia da pesce lesso e
bloccando la mia possibile arrabbiatura.
«Entriamo?» dice, indicando la porta.
Annuisco e le faccio strada.
L’ultima volta che ero stato lì era stato
quando avevo scoperto di essere un semidio. Poi eravamo dovuti scappare,
inseguiti dal Minotauro.
Praticamente ogni mia gita si concludeva con
qualche mostro che voleva farmi a pezzettini e buttarmi nel Tartaro.
Sperai davvero che quella volta non sarebbe
successo niente di male, in fondo il nostro ultimo anno era stato relativamente
tranquillo.
Avevamo subito pochi attacchi, dato che i
mostri dopo la sconfitta di Crono sembravano essersi concessi una pausa. Però,
come diceva Annabeth, la prudenza non è mai troppa.
Le faccio fare il giro della casa e poi
andiamo in riva alla spiaggia.
Mi tolgo le scarpe e vado immediatamente
nell’acqua, sentendomi rinvigorito come ogni volta che mi avvicino ad essa.
Annabeth fa lo stesso, lamentandosi però di
come la senta ancora fredda.
A me della temperatura dell’acqua non importa
mai, mi ci trovo divinamente bene in ogni periodo dell’anno.
Beh, essere figli di Poseidone deve pure
avere qualche vantaggio, no?
Mi concentro e faccio in modo che le correnti
calde a largo arrivino verso Annabeth che, infatti, dopo qualche minuto mi si
avvicina sorridente.
«È troppo comodo il tuo metodo.»
«Ringraziami che non dovrai fare un bagno
nell’acqua fredda.» replico prendendola per i fianchi.
«Quale bagno?» chiede lei qualche secondo
prima di comprendere la situazione «No, Percy,
mettimi giù! Non voglio fare il bagno!» grida un istante prima che le mie
braccia la sollevino e la buttino nel mare.
Rido vedendola riemergere bagnata dalla testa
ai piedi. Lei mi fissa in cagnesco, consapevole che non può nulla contro di me
mentre siamo dentro l’acqua.
Nonostante ciò comincia a schizzarmi e io
lascio che l’acqua mi bagni, poi rispondo divertito bagnandola a mia volta.
Dopo qualche minuto di lotta,
inspiegabilmente scivolo sentendo un’alga sotto i miei piedi e mi ritrovo
seduto dopo aver fatto un tonfo nell’acqua.
Annabeth inizia a ridere a più non posso e io
mi incanto a guardarla. È bellissima, con la luce del primo tramonto che la
illumina, i capelli e il viso bagnati dall’acqua mentre le sue labbra sono
piegate in un sorriso spensierato.
È questa visione di Annabeth il motivo per
cui non sarei potuto mai diventare una divinità, avrei dovuto rinunciare a
guardarla, a baciarla, a sentirla ridere, a litigarci.
Mi riscuoto quando lei smette di ridere e la
bacio delicatamente. Le sue labbra sanno di sale e, tenendola vicino a me, mi
immergo continuando a baciarla sott’acqua, esattamente come quando ci siamo
dati il nostro primo vero bacio.
Creando delle bolle d’aria, la porto a
visitare il fondale mentre una calma insolita ci avvolge.
Quando riemergiamo il sole ormai sta per
tramontare. Annabeth entra in casa, prendendo il suo zainetto e andando verso
il bagno.
«Ti do dei vestiti asciutti.» le dico.
«Non serve, ho un cambio.» replica alzando lo
zaino «Secondo te non ero certa che avresti finito per farmi fare un bagno? Ho
imparato a conoscere il figlio del dio dei mari.» dice facendomi l’occhiolino e
sparendo nel bagno.
Io mi riprendo dal rossore e vado verso la
mia stanza, devo togliermi anche io i vestiti bagnati.
Quando torno verso il salone, sento il phone dal bagno, segno che Annabeth si stava asciugando i
capelli. Vado verso la cucina, per vedere cosa possiamo mangiare per cena e
trovo il frigorifero miseramente vuoto.
Del resto mia mamma non viene qui da anni,
penso cercando di trovare una soluzione.
Dopo una decina di minuti, Annabeth esce dal
bagno e vedendomi gironzolare nella cucina, capisce subito il mio problema.
«Ho pensato io alla cena.» dice infatti, andando verso l’automobile e tornando con una
borsa più grande. La apre e tira fuori due buste da cui fa uscire alcuni
hamburger e pacchetti di patatine fritte.
«Ma come facevi a sapere che non…» chiedo impappinandomi nelle parole e non riuscendo a
concludere la frase.
«Beh, mi avevi detto che tua madre non veniva
qui da molto tempo e immaginavo che non avresti pensato a questo dettaglio.»
risponde semplicemente, sedendosi e iniziando a mangiare.
Stupito la imito, addentando il mio
hamburger, e riflettendo che senza Annabeth io sarei completamente fregato.
Dopo aver mangiato la cena, Annabeth fa
vagare il suo sguardo verso la spiaggia e mi dice che vuole vedere le stelle.
Prendo i nostri teli e li metto in riva al
mare, mentre un leggero vento inizia a spirare nella costa.
Ci stendiamo e Annabeth inizia ad elencarmi
tutti i nomi delle costellazioni.
Mi piace sentirla parlare, quando inizia a
dire dati e informazioni su monumenti e sull’architettura devo ammettere che
spesso mi confondo e perdo l’attenzione, ma è sempre un piacere ascoltare il
suono della sua voce.
Mi ricorda il mare e mi fa sentire a casa.
«Ecco, quella invece è la costellazione della
Cacciatrice.» mormora poi, fermandosi al ricordo di Zoe e della nostra
avventura con Artemide e le Cacciatrici.
«Annabeth…»
«Dimmi.» replica volgendo il suo sguardo
verso di me.
Ho già detto che i suoi occhi grigi sono assolutamente
meravigliosi? Sono più profondi ed intensi di qualsiasi oceano e, credetemi, li
conosco tutti abbastanza bene.
«Talia, quell’anno,
mi aveva detto che anche tu volevi unirti alle Cacciatrici, è vero?» chiedo,
liberandomi di un dubbio che avevo da anni.
Lei rimane sorpresa dalla domanda, ma dopo
qualche secondo, prende la mia mano nella sua tornando a guardare le stelle.
«Sì, ci avevo pensato. Mi affascinava l’idea,
l’immortalità, il senso di famiglia… Ma poi ho deciso
che era meglio non diventare una Cacciatrice.»
«Perché?» sussurro stringendole la mano.
«Penso per lo stesso motivo per cui tu non
sei diventato una divinità, Percy.» replica lei
volgendo lo sguardo a me.
Sento le mie guance farsi rosse e vedo
arrossire anche lei, benché ci sia poca luce.
La bacio, capendo che non potrò mai separami
da Annabeth, preferirei non toccare più l’acqua che lasciare lei.
Annabeth ricambia i miei baci, mentre la
differenza tra respiri e sospiri si fa veramente sottile.
Poi mi rendo conto che mi sono sporto verso
di lei e le sono di sopra. I capelli biondi sono sparpagliati sul telo blu, le
sue guance rosse e il respiro corto mi fanno perdere davvero il fiato.
Non ricordo di averla mia voluta tanto
intensamente come ora. Insomma, tra un po’ compirò 17 anni ed è normale essere
affascinati da Annabeth. Ci sarà un motivo se continuo a dirvi che è
bellissima, no?
Però… noi non ci siamo mai spinti più in là dei baci, ho
sempre pensato che lei non fosse pronta, che non lo volesse.
Infatti mi fermo subito e ritorno nel mio
telo, mentre lei mi fissa stranita.
«Perché ti sei spostato di colpo?» riesce a
chiedermi, incespicando tra il rossore e l’imbarazzo.
«Beh… Io… Ecco… Tu…
Non volevo che pensassi che voglio affrettare… le
cose.»
Lei sorride e, contro ogni mia previsione, si
alza e si mette a cavalcioni sul mio busto.
«Oh, ma smettila. Vieni qui, Testa d’Alghe.»
dice avvicinando il suo viso al mio, diventando rossa a dismisura.
Inizio nuovamente a baciarla mentre
inevitabilmente le nostri mani iniziano un po’ a vagare dove vogliono loro.
Le mie finiscono sotto la sua maglietta e,
benché non sia mia intenzione togliergliela, si solleva mentre le accarezzo i
fianchi.
«Sei proprio ardito, figlio di Poseidone.»
dice Annabeth soffiandomi sulle labbra.
Io mi blocco, non capendo se mi stia
rimproverando o se stia scherzando, mentre lei mi sorride beffarda.
In risposta ai miei dubbi, mi alza la
maglietta e me la toglie mentre continua a baciarmi.
«Non avevo detto che dovevi fermarti.» dice
mentre il profumo dei suoi capelli mi avvolge. Sanno di pesca ma anche di sale,
a causa del bagno che abbiamo fatto prima.
Rinfrancato, inverto le posizioni e la
ritrovo sotto di me che sorride mentre le tolgo la maglietta, lasciandola in
intimo.
Vi ricordate quando ho detto che Annabeth è
bellissima? Beh, ora lo era milioni di volte più del normale.
È strano sentirla così vicina a me, mentre le
nostri pelli si strofinano e i nostri baci si incontrano. Le mie mani finiscono
irrimediabilmente per armeggiare con i gancetti del suo reggiseno, iniziando
una lotta senza esclusione di colpi.
Ma come si slaccia?
Annabeth nota la mia difficoltà e, alzandosi
a sedere, poggia le mani sulle mie e mi aiuta a toglierle anche
quell’indumento, lasciandolo scivolare sulla sabbia.
Uhm. Ora era miliardi di volte più bella del
normale.
La stringo in un abbraccio, prima di iniziare
a baciarla come non credevo di riuscire a fare senza che la mia testa
esplodesse dal rossore.
Lei sospira piano, soffiandomi dentro
l’orecchio e provocandomi un brivido caldo.
Arrivo alla giuntura dei suoi pantaloni e mi
fermo, improvvisamente dubbioso di nuovo.
«Percy… Io non ho
portato nessuna… protezione.» dice Annabeth
guardandomi mentre si mordicchia un labbro leggermente gonfio.
Notando che è la prima volta che sono più, ehm,
previdente di lei le dico che ce l’ho io, nella tasca dei pantaloni.
E non iniziate a pensare male. Me li avevano
infilati nelle tasche i fratelli Stoll, prendendomi
in giro e dicendomi di lasciarmi andare con Annabeth, in quel senso.
«Stasera non finisci di stupirmi, Testa
d’Alghe.» dice lei riavvicinando le sue labbra alle mie. Io tento di protestare
qualche scusa, ma Annabeth reprime tutta la mia voglia di parlare.
Lei mi capisce sempre, anche senza che mi
spieghi.
Mentre i nostri pantaloni vanno a fare
compagnia agli altri vestiti, Annabeth, per la prima volta, mi guarda un po’
smarrita.
«Sei sicura che non vuoi che mi fermi?» le
chiedo nuovamente.
Lei si stringe nelle spalle e mi poggia una
mano sul viso, lasciando scendere le dita sulla mia bocca.
«Non volevo diventare Cacciatrice perché non
volevo perderti.» dice inaspettatamente fugando definitivamente tutti i miei
dubbi.
Le sorrido e la bacio, mentre le mia mani
arrivano ai suoi slip. Quando glieli tolgo prego davvero che non mi chieda di
fermarmi, perché non so se ci riuscirei.
Il suo profumo mi stordisce, la sua voce mi
rimbomba nelle orecchie e se potessi bloccherei il tempo in questo esatto
secondo.
Quando mi ritrovo sopra di lei, pronto a
farla mia, prendo le sue mani tra le mie e la bacio sulle labbra.
«E tu sei il motivo per cui non volevo essere
una divinità.» le rispondo mentre un’espressione di stupore e felicità si
allarga sul suo viso.
Il resto non so come raccontarvelo perché
credo di aver scollegato completamente la mente mentre l’ho fatta mia e mentre
io sono diventato suo.
So che quella era la perfezione dei sensi e
so che Annabeth è la mia metà, in tutto per tutto.
Il mare alle nostre spalle gorgoglia e le
onde arrivano a lambirci i piedi, colpa mia che mi sento troppo esaltato e trasmetto
questa sensazione al mare, che è così vicino a me.
Quando la calma torna in quella piccola spiaggietta mi ritrovo a considerare che quel luogo che ha
unito mio padre e mia madre, ora ha unito anche me e Annabeth.
E poi dicono che l’Oceano non è magico.
Okay, forse il fatto che sono il figlio di
Poseidone non rende il mio commento obiettivo.
Annabeth ha ancora gli occhi che brillano ed
è ancora rossa e accaldata.
Le accarezzo i riccioli biondi, mentre lei in
silenzio accarezza piccoli cerchi sul mio petto.
Penso che la stringerei così per tutta
l’eternità, se ci fosse concesso.
«Ti amo.» mi scivola dalle labbra, di colpo,
senza quasi che me ne rendo conto. Ma, in fondo, è quello che sento e che mai
smetterò di provare.
Lei interrompe il suo disegno e si alza
seduta, sciogliendo il nostro abbraccio e restando in silenzio.
La guardo stranito, non comprendendo la sua
reazione e temendo il peggio.
Ma poi lei si gira ridendo e mi bacia.
«Anche io ti amo, Testa d’Alghe.» mi risponde
sciogliendo tutti i miei dubbi. Sento una fitta enorme allo stomaco e, di
colpo, un’onda ci sommerge d’acqua dalla testa ai piedi.
Io continuo a baciarla, ora che i nostri baci
hanno il sapore del sale.
«Ma che fai?» esclama lei ritrovandosi nuovamente
bagnata fradicia.
«Se mi fai emozionare, non è colpa mia. Tu
rendi tutto sempre così… intenso.» borbotto
giustificandomi.
«Come ti ho già detto, io non ti renderò mai
le cose facili.» replica lei riappoggiandosi vicino a me.
No, non lo farà mai.
Ma, in fondo, è anche per questo che la amo
così tanto.
Fine.
Salve ^^ Ho letto da poco l’intera saga di Percy Jackson e ho voluto tentare di creare un seguito nel rapporto
stupendo di Percy e Annabeth <3
A voi dirmi se ci sono riuscita **
Il titolo in realtà viene da una canzone, ma
si adattava perfettamente alla situazione xD
Saluti.
EclipseOfHeart