Storie originali > Avventura
Segui la storia  |      
Autore: Com Amely Mason    11/07/2012    1 recensioni
avete mai pensato di scappare di casa perché desideravate andare da qualcuno o da qualche altra parte? bene, noi abbiamo deciso che era il caso di farlo, almeno sognando, in onore di una persona cui dedicheremo silenziosamente "l'opera". vogliamo far notare che quasi tutti i luoghi/oggetti/mezzi di trasporto descritti sono immaginati. non si hanno reali esperienze dei viaggi, ne si è conoscenza del fatto che esita o meno una fermata del treno qui piuttosto che lì. ci scusiamo dunque con eventuali originali lettori abitanti dei luoghi per le imprecisioni, saremo felici di trascorrere da voi le prossime vacanze per approfondire le nostre conoscenze in riguardo XD Scherziamo, buona lettura e prendetela come spunto per un eventuale fuga, così sappiamo dove trovarvi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lavinia afferrò la valigia Roncato lucida e ancora profumata di negozio con due mani, fece un mezzo giro su se stessa e la scaraventò con malagrazia insieme alle altre nel cofano posteriore del Suv nero, che dondolò mollemente sulle sospensioni ad aria.
Con rabbia, fece sbattere il portellone. Mondo ingiusto. Intercettò a destra uno sguardo sinistro di suo padre, e fece spallucce, gridando di non riuscire diversamente a far scattare la serratura.
- come  se quella fighettina perfettina potesse avere una serratura che non funziona – borbottò contro la macchina entrando in casa.
Quando arrivò al piano superiore ebbe l'impressione di trovarsi in uno studio appena finito di dipingere. Le poltrone imballate, il tavolo coperto da un telo, il tappeto arrotolato in un angolo. Rimase inebetita per un attimo a domandarsi da dove potesse venire la demenza che tutti gli anni spingeva sua madre a fare del salotto quello scempio. Come se la polvere non si sarebbe comunque infiltrata in ogni angolo della casa, dove poi sarebbe stata raggiunta e massacrata dall'impresa di pulizie che ogni anno, quattro giorni prima del loro ritorno dalle vacanze estive, lucidava la villetta da cima a fondo, disinfestando e ritinteggiando le stanze.
Lavinia non capiva proprio. Eppure i gemelli, di un anno più grandi di lei, che in quel momento le stavano sfrecciando accanto gridando ingiurie al porcellino d'india, sembravano perfettamente a loro agio nella vita signorile che i genitori facevano condurre.
A lei era quasi indifferente, ma talora lo snobismo a cui giungevano gli altri membri della famiglia la irritava. Probabilmente, pensava spesso, essere cresciuta coi nonni paterni, dalle abitudini semplici e tranquille della classe medio-bassa, l'aveva fatta trovare a suo agio in un ambiente in cui, e tornò a ringhiare a denti stretti fra se e se, non si andava tutti gli anni in vacanza alle Maldive.
Già, perché andare in quelle assolatissime e pubblicizzatissime isole poteva sembrare un sogno, ma non andarci per quattro anni di fila!
E non sapendo che in Italia, il SUO paese esistevano posti di gran lunga più belli. E che per quella vacanza ne veniva sacrificata una per lei ben più importante...
 
il padre di Lavinia, un avvocato sulla quarantina fece scattare la serratura e salì le scale con le cinque scatole di pizza pericolosamente impignate una sopra all'altra. I gemelli lo assalirono con grida festose e in men che non fosse detto le cinque scatole erano già sparite. Lavina guardò con lieve disprezzo i genitori che si prendevano a braccetto nel corridoio e si dirigevano verso la cucina. I suoi occhi grigi divennero due lame d'acciaio.
 
La sveglia a proiettore tratteggiava sul soffitto un ombra verde che segnava le undici di sera. Lavinia era sdraiata sul letto singolo e guardava fuori. Finalmente, dopo un pomeriggio di tentativi, la settimana prima, era riuscita a trovare un angolo in cui incastrarlo e poter guardare il cielo all'esterno. Ma, come in tutte le cose, un vecchio e impertinente abete, anche piuttosto frondoso, osservò la ragazza, le impediva la vista sulla luna, che quella sera mostrava il suo primo quarto.
L'indomani sarebbero partiti. Suo padre doveva essere al colmo della felicità, pensò con amarezza. Era riuscito a incastrare tutti e tre i figli ed a spezzare i loro desideri per sottometterli ai propri. Con un gesto di stizza, la castana si girò a pancia in giù. Voleva solo andare in Sicilia! Solo andare da Daria! Perché?
 
Avrebbe sofferto tutta l'estate. Tutta l'estate per una proibizione egoistica.
Voleva andare a trascorrere l'estate a Messina, da Daria. Lei stessa le aveva proposto, una volta, di ospitarla alcune settimane. Una volta sola, ma nella mente di Lavinia, come tutte le sue parole , si era impressa a fuoco. E quello, il primo anno libero dopo lunghi e lunghi periodi di studio, era perfetto. Anche perché Daria era andata via subito dopo l'inizio dell'estate, e da allora rintracciarla era diventato un ardua impresa. Passano gli anni, sbuffò la castana girandosi ancora, ma certi fancazzismi italiani non passano mai.
Il punto del discorso era che però un estate intera senza Daria non la poteva passare. E tenere il conto di ogni variazione di distanza era solamente autolesionistico. Inevitabile, ma terribile.
D'un tratto, nell'angolo opposto della stanza, la luce riflessa d un abbagliante illuminò la Samsonite viola. Quella che aveva preso uguale a lei.
Le mani di Lavinia cercarono la sponda del letto come un corridore che deve riprendere il triathlon dopo il pezzo a nuoto: se ne sarebbe andata. Sarebbe andata da lei. E che la mandassero anche a cercare. Una risata quasi malvagia, ma davvero per la prima volta dopo lungo tempo felice, la salì in gola: sua madre, appassionata ascoltatrice di Chi L'ha Visto l'avrebbe mandata a cercare. L'avrebbe trovata? No, aveva amici abbastanza sparsi e abbastanza tosti da scrivere un vaffanculo su ogni parete d'Italia in cui potessero rintracciarla.
Lanciò uno sguardo alla macchia del proiettore sul soffitto: le sue farneticazioni erano durate venti minuti. Si alzò e spalancò l'armadio. Tre felpe, cinque magliette, un cappello, la giacca di pelle, due jeans, il costume e gli Short. Addosso jeans e maglietta doppia per giocare meglio il fresco del mattino e il caldo del giorno.
Mise tutto compresso nelle bustine del sottovuoto che sua madre aveva acquistato per una fortuna anni prima e che adesso si pagavano mezzo centesimo, lo infilò nella cartella viola con il Twinxy e una torcia e osservò il suo lavoro. Tutto l'indispensabile sarebbe stato in tasca la mattina dopo. Mancava un quarto a mezzanotte. Aveva quattro ore per dormire.
 
La sveglia con Whistle di Flo Rida suonò quando ormai lei era alla stazione del centro città a prendere il primo treno pendolari del mattino. Sorrise pensando che suo padre aveva scelto un giorno lavorativo per partire contando sul fatto che probabilmente ci sarebbe stato meno traffico. Non aveva capito che così aveva solo favorito il destino. Così come aveva favorito il destino lasciandole in mano alcuni mesi prima, la carta di credito a fondo limitato. Era bastata una telefonata all'ora giusta. Ora aveva in tasca solo contanti, e la sua bella carta gialla dormiva accanto ad un ragazzo dall'altra parte della città.
 
Il treno arrivò puntuale dal confine ad alcuni chilometri dalla città. Lavinia salì insieme agli altri con gli auricolari nelle orecchie. Tutti camminavano come zombie. Lavinia li guardò per un attimo. Lei era colorata, la vita le splendeva, stava andando da lei.
Per un attimo pensò che Peter Pan non era proprio una cattiva idea. Poi scosse la testa e si accomodò con lo zaino vicino alle gambe in una larga poltrona della seconda classe.
Nelle orecchie, Parole di Ghiaccio.
 
Il TiLo sfrecciava tra le fabbriche mentre il sole cominciava a pennellare di rosa l'orizzonte. Lavinia aprì gli occhi di scatto. L'uomo in completo di fronte a lei sonnecchiava, russando di tanto in tanto. L' outskirt di Milano cominciava a stringere il treno in passaggi stretti e grigi, dove a colorare i muri c'erano anni e anni di graffiti a bombolette, coperti tuttavia dalla patina grigiastra e appiccicosa dello smog.
Prese Twinxy e lo accese. Il musetto di quel dolce cucciolo che non aveva mai potuto portar via dal canile le sorrise dallo schermo contornato di verde. Grande abbastanza da poter stare agevolmente in qualsiasi tasca, robusto per sopravviverci, Twinxy era per lei cellulare, mp4, computer. Potrebbe sorprendere con quanto affetto potesse venir descritto, ma le persone sole talora trovano rifugio in cose piccole. Così era stato per Lavinia. Twinxy era diventato depositario di foto, attimi felici, ascoltatore instancabile e consolatore. Da quando Eli era morta, chiaro.
 
Il treno fermò a Milano Cadorna con uno stridio d'altri tempi che indicava solo una cattiva manutenzione. Non era mai stata in una stazione di quelle proporzioni, ma fortunatamente aveva un buon senso dell'orientamento. Le ci volle poco comunque. Il baluginio rosso fiammante del FrecciaRossa la fece voltare. Illuminato dal sole all'entrata della galleria dei treni, sembrava venir fuori da un film.
Lavinia restò ad osservarlo incantata per un po', fin quando un omone con un sigaro in bocca non la sbalzò di lato bestemmiando nel rintontimento generale delle otto del mattino. Lavinia puntò il bagno delle donne. A quell'ora doveva ancora essere pulito. D'altra parte, sedersi su una panchina non era un'idea delle migliori. In un battito di ciglia, si rese conto di quanto fosse prigioniera dai pregiudizi. Ma preferì entrare nel bagno. Si chiuse a chiave e infilò la mano nella tasca interna sinistra del giubbotto. Cinque banconote da venti, dieci di cinquanta, tre da cento e una da duecento. La ammirò in controluce. Magari era pure falsa, se no chissà da dove arrivava.
Fatto stava che un biglietto se lo poteva prendere. Magari su quella carrozza fatata che sembrava essere il FrecciaRossa. Scoppiò a ridere riflessa nello specchietto interno del portafoglio. Chissà se esistevano i lowcost sui treni, i posti che si svendono all'ultimo minuto.
Si passò le mani ancora gocciolanti di acqua saponata tra i capelli corti e riccioluti e sul viso le comparve automaticamente la sua espressione bastarda. Non c'era altro da fare che chiedere.
 
Il ragazzo con gli occhiali della biglietteria era stato contagiato probabilmente dopo diversi mesi, dalla sonnolenza e dall' intontimento generale. Ci volle una decina di minuti buona per fargli capire che voleva un biglietto lowcost, non, non aveva prenotato, si, posso viaggiare da sola,...
- Senti, mi fai sto cazzo di biglietto o no?!- una striscia rossa le imporporò il naso, ma non gliene importò: si stava incazzando seriamente.
Il ragazzo balbettò una risposta e in meno di un minuto tentò di stamparle un biglietto. Ma ormai i posti erano finiti.
- come sarebbe a dire finiti? È mezz'ora che sono qui a guardarti in faccia e i posti sono finiti?!?!- poco ci mancò che gli sputasse in faccia. Lavinia alzò lo sguardo: ormai erano le otto e mezzo, e la partenza del treno dei sogni era prevista per le otto e quarantacinque: non era treno programmato per essere in ritardo.
La castana decise: avrebbe fatto colazione e poi avrebbe tentato la fortuna. Trovò delle tortine a forma di faccina ad aspettarla al bar interno, accompagnate da una buona cioccolata fredda.
Poi caricò lo zaino viola in spalla e si avviò al binario del FrecciaRossa. Era lungo e affusolato, di colori metallici ed a loro modo sgargianti, con finiture precise e tecniche. Lavinia riconobbe gli alettoni di portanza e i baffi pulisci rotaie. Le porte erano a livello esatto della stazione ed evitavano quello spazio un po' ansiogeno tra la banchina ed il treno. Per abitudine, Lavinia le superò con un saltello. Dentro l'atmosfera profumava di plastica e lavoro. Imboccò il primo scompartimento a sinistra, ne superò altri due ed arrivò nella classe economica. Nonostante il nome, era lussuosa quanto la classe precedente, ma le file erano più strette e affollate. Subito al di là, si poteva vedere il sedere del treno. Le scompartimento di coda era chiusa da una porta a scansione palmare. Lavinia appoggiò la mano in gesto di sfida e la porta si aprì. C'erano sei posti disposti a semicerchio, come sui battelli di San Marco, e Lavinia vi si lasciò cadere sopra, con lo zaino a mò di cuscino. Una voce gentile e giovane annunciò dagli altoparlanti che il treno era in partenza. Lavinia pensò di essere stata portata indietro nel tempo. Le sembrava di intraprendere uno di quei viaggi stile Titanic, quelli che testano le innovazioni ma il cui esito è sempre incerto. Tuttavia, il Freccia dava una sensazione di sicurezza e stabilità, nonostante la velocità sostenuta. Cosicché, nell'atmosfera blu della cabina di cosa, Lavinia si assopì.
 
Gli occhi grigi si aprirono di scatto, il fiato corto e il battito veloce le sconquassavano il corpo steso tra due sedili, insieme alle vibrazioni del rallentamento del treno. Lavinia cercò furiosamente di ricordare cosa stesse sognando. Forse quella stessa cabina. Dopo qualche secondo di tentativo si guardò intorno facendo scrocchiare le nocche. Era sveglia, e una gentile voce all'altoparlante stava annunciando che il FrecciaRossa stava per fare il suo ingresso delle dieci e zero due nella  stazione di Firenze.. Lavinia aprì la zip della Samsonite viola. Rimanere sul treno, che si sarebbe fermato per due ore, stava dicendo la voce dell'altoparlante,  era una cosa stupida. Rischiava di essere scoperta ed allora sarebbero cominciati i guai. Tanto valeva fare un giro per Firenze no?
 
Due minuti dopo, i suoi capelli castani volteggiavano mentre saltava dal treno alla banchina e cominciava a correre. Superò i tornelli saltellando e si mise in fila in mezzo alla gente sulle scale mobili. Quando uscì dalla stazione ad accoglierla trovò un sole abbagliante già ben accomodato in un di un azzurro abbacinante. Qualche nuvola passeggiava distrattamente come una pecora sazia ancora al pascolo. Ciò che si trovò attorno era una città in fermento, che a pelle le sembrò simpatica. Si domandò se si potesse definire simpatica una città. Forse era il sentire dappertutto quell'accento così inusuale che la rendeva allegra. Voleva vedere tutto, il fiume che attraversava la città, la casa di Dante, la casa di Beatrice, la galleria degli Uffizi, le chiese più famose del mondo.
 
Un ora e cinquanta minuti dopo passeggiava pacatamente con il gelato in una mano e una bicicletta elettrica presa a nolo dal municipio nell'altra. Firenze meritava davvero il grande nome che il mondo le aveva dato. Anche se le città siciliane che Lavinia aveva visitato qualche anno prima non avevano quasi nulla da invidiarle.
Gettò la carte colata di limone sciolto in un cestino e riagganciò la bicicletta ai portabici di fronte la stazione. Quando varcò i tornelli, capì tuttavia che la condizioni per salire a bordo del FrecciaRossa erano diventate proibitive. Controllori da tutte le parti, e gente che vi si affollava intorno come se la sua partenza fosse stata l'ultima. Di fianco a lei passò di corsa una famiglia. Lavinia li notò per il tipico comportamento: padre alterato per il ritardo, madre bordeaux per lo stress di dover correre da una parte all'altra, bambino uno con la faccia persa nelle novità, bambino due incollato al carrello, bambino tre, incazzato nero col mondo che tutti gli anni lo metteva in quella fottuta situazione di casino perenne.
D'un tratto Lavinia si fermò come nei film, lasciando che tutta le gente le scorresse attorno come in un filmato dalla velocità aumentata. Alzò gli occhi verso l'alto. Lei era libera. Era zingara, vagabonda, felice. E stava andando da lei, cosa più importante. Con un dito scrisse nel cielo di alluminio della stazione il suo nome in corsivo. Poi sorrise e riprese a correre.
 
L'altoparlante aveva annunciato un treno in partenza per Napoli al binario Quattro, e Lavinia aveva pensato che non c'era tempo da perdere, biglietto o meno. Era salita al volo su quel treno a strisce verdi e nere, e le porte si erano chiese a ghigliottina dietro di lei.
Aveva trovato un posto in seconda classe, vicino al finestrino e si era seduta ad aspettare. Decisamente, il treno non era rapido come il FrecciaRossa. Era rimasta in silenzio fino a quando un controllore vestito in una specie di uniforme blu non era entrato nello scompartimento per analizzare i biglietti dei passeggeri. Arrivato a Lavinia, l'aveva squadrata con sufficienza. La castana, già bordeaux, aveva finto di cercare belle tasche, nella Samsonite, il fantomatico biglietto perduto. Dopo cinque minuti di ricerche, era evidente che non l'avesse ed il controllare aveva cominciato a sbraitare in casertano. Lavinia l'aveva guardato quasi schifata. Ma cosa voleva? Di certo bestemmiare in mezzo ad un treno di seconda scelta non avrebbe né fatto comparire il biglietto che non aveva preso, né avrebbe risolto alcun problema. Per fortuna, in quel momento si era affacciato allo scompartimento un ometto sulla sessantina con dei gran baffi neri, che aveva allontanato con tre frasi calme l'altro controllore e si era avvicinato a Lavinia. Ciò che sembrava essere stato fatto per scacciare l'altro era in realtà il tono dell'uomo, che cominciò ad interrogarla.
La castana aveva dapprima risposta balbettando, poi aveva taciuto, irritata dall'arroganza dell'uomo. E così ora si erano trovati a fare una sosta fuori programma in culo agli asini di quel paesino del Lazio, per denunciare una ragazza senza biglietto su quel treno. Che se lo tenessero, il loro viaggio in treno, sbuffò Lavinia. Aveva sia i soldi che le abilità oratorie per convincere un giudice di pace della sua perfetta innocenza, ma a loro interessavano cognomi e indirizzi.
Dopo qualche resistenza, Lavinia glieli aveva dati. Di sicuro, se gli avesse dato qualcos'altro, i problemi sarebbero svaniti come per un colpo di bacchetta magica.
Tanto no avrebbero trovato niente e nessuno, ridacchiò malignamente in faccia all'ufficiale. Erano partiti. Di certo suo padre non si sarebbe fermato nelle sue vacanze d'oro per una figlia. Ne aveva altri, e meglio adattati al rango, anche...
 
Difatti, dopo quasi tre ore, dietro la cauzione del biglietto e di cinque caffè shakerati con relative brioches, l'avevano buttata fuori dalla stazione con la Samsonite viola. Twinxy cominciò a vibrare furiosamente non appena mise piede fuori da quel posto. Non appena vide lo schermo, gli occhi grigi le si illuminarono. Finalmente una nota positiva nella giornata: Daria la stava chiamando.
Rispose col cuore in gola per l'emozione.
La chiamata fu breve, con lo scambio di battute che ormai era diventato quasi un rituale tra loro due. D'un tratto però, Daria le disse una cosa che fece svanire tutta l'incazzatura per la faccenda del biglietto. - Sai, Lyv, non so quanto sia giusto dirtelo, ma mi manchi tantissimo -. Lavinia, Lyv, era scoppiata a ridere e con parole semplici le aveva spiegato che era giusto tutto quello che decidevano insieme. Quando chiusero la telefonata, Lavinia sentì la voglia nell'incavo del polso bruciare: stava facendo la cosa migliore.
 
Da quel paesino sperduto chiamato Canino, Lavinia decise di prendere la prima corriera per arrivare a Tarquinia o se possibile a Civitavecchia.
Così, mezz'ora dopo viaggiava su e giù per le colline della campagna Laziale. I Campi, attraversati a tratti da quelli che dovevano essere stati piccoli acquedotti di epoca romano, erano di un giallo solare, di spighe mature.
Lavinia immaginò di corrervi in mezzo. L'aveva fatto, una volta, da piccola, e si era slogata una caviglia, ma si era sentita talmente felice da desiderare farlo mille volte ancora. Sfortunatamente, il giorno dopo aveva cominciato la scuola, e come si usava dire, all'età di sei anni e mezzo era entrata nell'imbuto.
 
La fermata successiva salì sul bus un uomo sulla sessantina, con una camicia a righe gialle e blu e un paio di jeans, con una cartelletta sotto braccio. Si sedette sui sedili disposti lungo le fiancate del bus. Alcuni minuti dopo, Lavinia si sentì spiacevolmente in soggezione. Alzò lo sguardo con rabbia e scoprì gli occhi appannati  dell'uomo su di lei. Non appena lei lo guardò, lui finse di scrutarla solo come un ostacolo nel panorama dei campi che scorreva alle sue spalle.
Due fermate dopo, il sessantenne cambiò posto e si mise due file davanti a Lavinia, sempre lateralmente. Fu tentata di spostarsi, ma preferì ignorarlo. Magari si era sbagliata. Ne sarebbe stata convinta, se la fermata successiva l'uomo non si fosse spostato sulla sua stessa fila.
Lavinia iniziò a sentirsi a disagio, sentiva a pelle quanto fosse viscido anche solo il suo modo di guardarsi attorno. Si alzò di scatto e raggiunse le porte, prenotando la fermata successiva. L'uomo fu subito dietro di lei, e sentì la sua mano allungarsi, nascosta dalla folla delle altre persone che scendevano. Senza controllare la rabbia, prese il polso ossuto dietro alla sua schiena e lo girò al contrario. Sentì un mugolio debole in mezzo alla folla, e subito dopo si aprirono le porte. Lavinia saltò dall'altra parte, e si aggrappò al sostegno opposto a quello dove stava prima.
Due minuti dopo le porte si richiudevano. La castana ebbe il tempo di vedere l'uomo cercare qualcuno tra la folla, poi voltarsi e fare una strana smorfia. Istintivamente, gli alzò il medio e pensò – stronzo.- . Ma cosa credeva, di filarsi una ragazza solo perché era da sola in bus.
Tornò a sedersi e scelse il posto accanto all'autista.
L'uomo, in cravatta d'ordinanza, la squadrò dell specchietto retrovisore, e Lavinia si voltò stizzita. Erano tutti matti.
 
Quando arrivò a Civitavecchia, il mare riapparve nello splendore sfavillante delle tre del pomeriggio. L'aria odorava di sale e petrolio, e il porto era diviso da tante recinzioni. Passandogli accanto, Lavinia pensò che visto dall'alto doveva assomigliare ad uno di quei tappeti su cui i gemelli facevano correre le macchinine da bambini, con le righe gialle, le freccette, i silos, automobili e navi di tutte le dimensioni sparsi ovunque.
Scendendo dall'autobus, l'afa estiva prima placata dall'aria condizionata la investì stordendola. E ora, cosa faceva. Guardò la voglia sul polso sperando in un magico intervento. Nulla. Beh, cosa si aspettava.
 
La sezione più a nord del porto era riservata a quelli che erano gli originari abitatori di Civitavecchia. Infatti, la città era conosciuta come scalo turistico principale per le due isole e attracco del commercio marittimo mediterraneo, ma come ogni città di mare che si rispetti, tutta o buona parte della sua storia arriva dall'acqua salata. Così, Lavinia trovò nel settore nord i pescatori indaffarati. Le sembrava incredibile: cucivano le reti per davvero! Aveva sempre immaginato fosse solo il verso di una canzone. Caricavano bancali di scatole di polistirolo riempite di ghiaccio e facevano il pieno alla propria barca. A condurla lì era stato un gabbiano irriverente che aveva mancato di un passo la sua spalla.
 
Tre giovani uomini lanciavano pacchi e borse su un gozzo grigia di media grandezza. Da bordo, una signora in camicia, con un favoloso cappello di paglia a tesa larga dirigeva le operazioni.
Lavinia, senza nemmeno chiedersi come e perché, si avvicinò ad ammirare la barca e il suo capitano. La prima era di metallo lucido, nemmeno un incrostazione sotto la linea di galleggiamento, e con un bel motore Yamaha che di tanto in tanto si faceva sentire nello sciabordio. Così come la voce della donna, abbronzata e alta ogni tanto riecheggiava tra gli scafi. Quando i ragazzi ebbero finito di scaricare, saltò a terra con un balzo. Lavinia pensò che se non fosse stato anacronistico, le sarebbe stato molto bene un corsetto e un bel paio di pantaloni con gli stivali, e magari anche un tricorno: da piratessa.
 
D'un tratto, la donna si voltò verso di lei. Lavinia sostenne lo sguardo. La Samsonite le stava segando la spalla, ma era troppo concentrata sulla figura per preoccuparsi di spostarla.
La donna le si avvicinò, mostrando capelli lunghi e grigi e un viso dolce e abbronzato.
- Cosa fai qui? - le domandò con gentilezza, come se fosse una nipote incontrata per caso.
- cerco un passaggio per arrivare più a sud possibile – rispose Lavinia
- dovresti chiedere ai gabbiani -.
Ok, si disse Lavinia, tutta questa faccenda sta  diventando assurda. Com'è che sono arrivata qui perché ne ho seguito uno con lo sguardo, non siamo mica nelle fav....
in quel momento, un albatros si posò sui radar del gozzo e gracchiò.
- mia figlia si è sposata e trasferita da poco, disse la donna, posso offrirti un passaggio fino ad Amantea. Se aiuterai quando richiesto e non soffri il mal di mare -
- gli aiutanti dei romanzi esistono anche nella vita reale?, bisbigliò Lavinia esterrefatta, per quanto riguarda il mal di mare no, navigo tranquillamente e so anche pilotare, quindi sono a vostra disposizione -.
- bene, allora sali che non ho voglia di guidare. Porterai tu La Magnifica fuori dal porto-.
Mondo alla rovescia! Pensò Lavinia.
 
Nei tre giorni che seguirono, La Magnifica, il suo enigmatico capitano e Lavinia navigarono a quaranta chilometri dalla costa italiana diretti verso ovest. Il gozzo era abbastanza spazioso da consentire che Lavinia evitasse gli altri passeggeri fino ai pasti o viceversa. Per quanto la riguardava tuttavia, Lavinia non si teneva in disparte. Non era il suo un viaggio in cui la nave era solo un mero mezzo per arrivare in un luogo. Quel gozzo lucido era per lei un tappeto volante verso Daria. Lei.
Al di là di questo, era innamorata del mare e della navigazione praticamente da sempre e ben presto anche l'equipaggio se ne era accorto. Jared e Jacob, i gemelli, le avevano insegnato tutto quello che sapevano quando nell'impeto della generosità fraterna l'avevano portata con loro a pesca. Era uno svago molto plebeo per loro pensava Lavinia dubbiosa , infatti era svolto di nascosto ai genitori che di certo avrebbero disapprovato.
 
La seconda sera ci fu la tempesta. - Classico – borbottarono il gozzo ed i suoi passeggeri. A Lavinia non era mai capitato di essere per davvero in mezzo ad una tempesta, nemmeno quando viveva con i nonni. Così indossò i suoi abiti più impermeabili ed uscì sul ponte. Un vento dritto e freddo tirava verso l'est, ed il cielo era di un color acciaio brunito che prometteva una bella battaglia in mare. Senza preavviso, un fulmine viola squarciò l'orizzonte. Lavinia rimase a bocca aperta. Era la cosa più bella che in natura avesse mai visto. Chissà se nel mare succedeva qualcosa, nella sabbia un fulmine del genere fondeva i granelli e li faceva cristall...
La doccia gelata dell'onda e della pioggia furono talmente repentine da fermarle i pensieri. Scattò verso il timone e si legò una corda attorno alla pancia copiando i nodi accanto a lei.
- Ehi ragazzina, non portare iella, le corde servono per legare i pacchi, per legare noi è ancora presto! -. le gridò la donna dai capelli grigi. Lavinia rimase interdetta con la corda tra le mani, poi se la annodò alla vita e la seguì.
La plancia di comando era rialzata rispetto al ponte, ed era coperta. LA donna sembrava solo un ombra all'interno di esso, sola ed in silenzio. Lavinia si sedette su una delle poltroncine a dritta e guardò fuori. Rimase lì tutta la notte, cullata e non spaventata come gli altri dalla mareggiata.
- Ci sono anime che trovano il loro posto in mezzo al silenzio, altre in mezzo al fragore, altre tra l'uno e l'altro- , sentì bisbigliare.
- che ovvietà. - pensò.
 
L'indomani mattina quando uscì affamata dalla plancia di comando, vide la costa calabra illuminata da un sole splendente. Tutti i colori sembravano brillare come se dietro ad ogni dettaglio ci fosse una torcia per farlo risaltare di più tra gli altri. Le montagne mostravano i loro profili ancora in lontananza. Lavinia rimase ammirata. Non per nulla, rifletté, esiste un secolare conflitto tra le due sponde dello stretto.
 
Alcune ore più tardi dopo, calorosi saluti all'equipaggio del gozzo e al suo comandante, che la guardava ammirata, Lavinia riprese la sua strada. In mezz'ora, camminando attraverso la città, si trovò nella piazza centrale di Amantea. Amantea. Era certa che domandando di Leone non sarebbe arrivata da nessuna parte, così cercò di riconoscere, a distanza di cinque anni, la strada che conduceva al quartiere fuori le prime mura della città. Leone era vicino di casa dei nonni e a lei piaceva prenderlo in giro per quel nome così maestoso, ma quando i suoi genitori si erano separati, lui era dovuto partire con suo padre, ma le aveva promesso di chiamarla. I primi tempi Lavinia era rimasta delusa, ma alcuni anni dopo, ad una sagra del paese i due si erano rincontrati e i genitori si erano accordati per trascorrere insieme le vacanze. Erano appena adolescenti, rise Lavinia. E adesso?
 
Quando suonò il campanello, le aprì la porto un ragazzo di ventitré anni, con addosso solo dei boxer a strisce e un'espressione della serie ' se non hai un buon motivo per svegliarmi è meglio che sparisci '. Lavinia affrontò ferma l'esame che il ragazzo le fece con lo sguardo.
- Ma chi cazzo sei, nanerottola del nord ? -
- Ma che cazzo di modo è, Spilungone del sud! -. i due ragazzi si abbracciarono.
- Cosa ci fai qui?- . - Leo, sto scappando e ho bisogno una moto. Non è detto che torni indietro. Devo andare abbastanza lontano ....-
- Seeee, il tuo lontano starà si e no allo stretto. Quanti anni hai, ancora diciassette? -
- no, mi hanno maledetto e me ne sono rimasta tredicenne! -
- Bene! Allora di do la bicicletta. Rossa o blu? Quella verde la stanno fottendo adesso e bisogna aspettare -.
Lavinia rise, poi tornò seria. - Dai Leo, ma chi vuoi che guardi quanti anni ho, voglio arrivare di là entro stasera!-.
- e perché, di qua ti insegue la peste? Guarda che comunque te lo chiedevo perché quando hai suonato, bestemmiò per la caduta di alcuni barattoli non meglio identificati, dicevano fossi una ventenne che riscuoteva le imposte -.
Lavinia sollevò il sopracciglio con lieve disappunto, ma Leone non le lasciò il tempo di dire niente che le stava lanciando un mazzo di chiavi.
- Ti piace così? -. le stava mostrando una.
 Lavinia fece un salto di gioia, poi lo squadrò. - non me la vuoi dare veramente.-
- perché non dovrei? Insieme a casco e giacca, s'intende. Sono il tuo fratellone, o J&J ormai ti hanno assorbito nel loro universo? -
Lavinia gli si buttò addosso e lo strinse per ringraziarlo. Cominciava a sentire odore di casa.
 
Infilò una cuffia e il casco con la visiera oscurata. Tra le gambe la moto già cominciava a stiracchiare i pistoni. Agganciò il nastro sotto il mento e strinse i guanti. Era pronta. Sarebbe arrivata da lei in giornata. Fece un saluto militare a Leone, che la guardava fumando appoggiato allo stipite della porte e fece ruggire il motore.
Cinque ore dopo, la moto arancione arrivò nel punto più alto di Villa San Giovanni. Lavinia strinse le pinze dei freni e sentì l'odore di gomma calda.
Al di là dello stretto, lievemente appannata dalla calura pomeridiana, c'era Messina, calda, aggregata come tante molecole vicine, bellissima. All'interno di essa, un cuore batteva all'unisono col suo senza nemmeno essersene reso conto. Lavinia sorrise e prese a scendere verso il porto. Nella sua mente passò quasi per caso un pensiero : Scilla e Cariddi.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Com Amely Mason