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Autore: EvgeniaPsyche Rox    11/07/2012    6 recensioni
Bambini ammagliati, sguardi incantati, labbra che continuavano a parlare.
Bla, bla, bla.
Un bla-bla continuo.
Avrebbe voluto cucirli la bocca con ago e filo, facendoli tacere per sempre.
''Zitti, zitti'', avrebbe sussurrato loro, ridendo.
''Zitti, zitti, che arriva l'uomo nero a divorarvi.''
Loro non sapevano che talvolta i sogni si potevano trasformare nell'Inferno più buio e oscuro.
Anche nel Paradiso più magico si può aprire uno spiraglio di fuoco, di fiamme e di nero.
Che ridere, pensò.
Genere: Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Sora
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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Prestigio Rosso.

 

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Provava immenso disgusto per quei frammenti di carne e ossa seduti.
Seduti ad osservare.
La loro vita si limitava solo a quello.
Patetici, davvero.

 

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«Roxas, Roxas», era una continua cantilena, un chiamare infinito, quello di suo fratello.
«Roxas, Roxas», seduto alla sua sinistra, senza staccare lo sguardo dallo spettacolo.
«Roxas, Roxas», non smetteva mai di sorridere con quegli occhi vivaci e limpidi; un cielo azzurro assente di nuvole, una giornata eternamente serena.
Sembrava quasi che per lui la notte non arrivasse mai. «ti piace il giocoliere?»
E lui annuiva, guardando gli oggetti volare e venire riafferrati dalle mani dell'uomo.
«Roxas, Roxas», lo richiamava dopo una decina di minuti e a Roxas sembrava che stesse addirittura saltellando sulla sedia. «ti piace il contorsionista?»
E lui annuiva, guardando il ragazzo piegarsi in strane pose che al solo pensiero gli veniva un gran dolore alla schiena.
«Roxas, Roxas», il biondo si voltava verso il fratello, ma la madre era già intervenuta: «Sssh, Sora. Così non riusciremo a seguire.»
E lui per un po' serrava la bocca.

 

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Lo avevano obbligato a condurre una vita orribile,
dove ormai non contava più neanche il tempo che passava.
Era solo una disgustosa massa mescolata a lunghi e faticosi allenamenti,
insieme a patetici spettacoli dati per soddisfare sguardi che nemmeno conosceva.

 

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Sua madre gli aveva ripetuto ormai un centinaio di volte che era un'abitudine, ma lui si era sempre ostinato ad affermare che era solo una fissa: una stupidissima fissa senza senso.
Per il suo sesto compleanno era stato un regalo fantastico, forse anche il migliore; le gambe che gli fremevano dall'emozione, gli occhi blu puntati sul presentatore e le labbra un poco schiuse a causa dell'emozione.
Meraviglia. Stupore. Sorpresa.
Un continuo ''o
oooh'' che saliva e scendeva, un galleggiare di ''Wow!'' mescolato al ''Che forza!'' e al ''Incredibile, ma come fa?''
Per i primi anni era sempre stato un perenne stupore: un battito di mani continuo, un allegro Clap-clap e un sorriso contento sul candido volto.

 

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Luridi pezzi di carne che sapevano solo guardare e commentare.
Stupidi. Maledetti.
Lui era solo un loro passatempo, un capriccio, un modo ridicolo per divertirsi.
Oh, ma adesso avrebbe trovato un modo diverso per farli divertire.
Per una volta si sarebbe divertito anche lui.

 

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«Roxas, Roxas», sussurrava un po'; così, un po' impaurito di essere sentito dalla mamma. «ti piace il domatore di animali?»
E lui annuiva, guardando gli elefanti che camminavano lentamente lungo il perimetro della pista, tenendosi per la proboscide come bambini che si stringono la mano in una triste danza di consolazione.
«Roxas, Roxas», la voce sempre più bassa, un poco timorosa, che si disperdeva nelle sue orecchie come un fastidioso ronzio di una zanzara pronta a privarlo del suo sangue. «ti piace il mago?»
E lui annuiva, guardando corpi che venivano sadicamente tagliati con un coltello, persone che svanivano nel nulla e colombe che volavano via da un cappello nero. 

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Davanti a quei bastardi doveva sempre sorridere.
Un sorriso falso, sporco, pieno di rabbia e rosso.
Odiava dover sorridere davanti a loro: voleva invece gridare, sputarli in faccia e gridare ancora.
Tra poco sarebbe entrato di nuovo in scena.
Di nuovo. Ancora, ancora e ancora.
Un'abitudine che lo aveva fatto diventare completamente pazzo.

 

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Gli piaceva il circo.
Prima gli piaceva tanto: era come se quel luogo gli regalasse sempre dei palloncini, ogni volta di un colore diverso.
Giallo, verde, viola, arancio, rosso.
Quando suo padre gli aveva detto che era un posto noioso, lui si era sentito profondamente ferito e offeso, come se lui e il circo fossero la stessa cosa.
O la stessa persona, chissà.
Poi i palloncini avevano iniziato a tingersi di grigio, tutti quanti; ogni anno sempre più grigi, il tutto era diventato una massa grigia e piena di monotonia che galleggiava di fronte ai suoi occhi stanchi e stufi di rimanere in quel luogo.
«Mamma», aveva iniziato a parlare lui a dodici anni. «non ho voglia di andare al circo.»
E sua madre aveva sgranato gli occhi, stupita. «Come? A te è sempre piaciuto così tanto!»
«Prima. Adesso non più.», e sbuffava, infilandosi la giacca. 

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Bambini ammagliati, sguardi incantati, labbra che continuavano a parlare.
Bla, bla, bla.
Un bla-bla continuo.

Avrebbe voluto cucirli la bocca con ago e filo, facendoli tacere per sempre.
''Zitti, zitti'', avrebbe sussurrato loro, ridendo.
''Zitti, zitti, che arriva l'uomo nero a divorarvi.''
Loro non sapevano che talvolta i sogni si potevano trasformare nell'Inferno più buio e oscuro.
Anche nel Paradiso più magico si può aprire uno spiraglio di fuoco, di fiamme e di nero.
Che ridere, pensò.

 

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«Roxas, Roxas», e verso la fine dello spettacolo gli poneva una domanda, sempre la stessa. «secondo te che cosa c'è dietro il tendone? Che cosa fanno, lì dietro?»
E lui rimaneva in silenzio per un po', con gli occhi velati di una strana inquietudine. «Non lo so. Forse un giorno ce lo diranno.», diceva poi, incerto.
«A te piacerebbe sapere che cosa c'è lì dietro?», continuava a chiedere Sora, voltando un poco le iridi verso il fratello.

«Non lo so», rispondeva pazientemente Roxas. «mamma dice che ci sono cose che è meglio non sapere.»
Il castano si imbronciava sempre un po', insoddisfatto della risposta. «Perché?»
«Perché è così e basta.» 

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La gente desiderava sempre vedere solo ciò che voleva.
Schifosi bastardi.
Volevano vedere solo la luce, le cose belle, i colori, i sorrisi e le acrobazie.
Non guardavano mai che cosa c'era dietro, lì, dietro l'angolo.
Era lì che partiva tutto.
La fatica, gli allenamenti, il sudore, l'ansia, la tensione.
E prima c'era anche la speranza in lui.
Un talento. Aveva un talento e lo avevano costretto a buttarsi a capofitto in quella vita da miserabile.
Sembrava un viaggio infinito, una perenne ricerca senza meta e destinazione.
Ma loro se ne stavano sempre lì a guardare e a commentare.
Sì, sì, continuate pure, miserabili bastardi, tanto voi non capite mai. Voi vi tappate le orecchie e vi barrate gli occhi di fronte alla realtà.
Siamo solo i vostri burattini per giocare, i vostri fottuti giocattoli che buttate quando non vi servono più e quando hanno smesso di divertirvi.
Bruciate all'inferno.

 

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«Mi sto annoiando, voglio tornare a casa. E' tutto noioso. Che palle mamma, voglio tornare a casa.», non faceva altro che ripetere con aria spossata. «Mi annoio. E' una stupidaggine, è sempre la stessa barba.», continuò poi, mentre sua madre si sforzò in ogni modo di ignorarlo.
Lui adesso voleva fare cose da grandi. Era un ragazzo, ormai.
Per il suo compleanno desiderava feste e balli, desiderava scatenarsi e mostrarsi, desiderava divertirsi e ridere, festeggiando un altro anno che si aggiungeva alla sua vita.
Festeggiando un anno più vicino alla morte.
«Sssh, Roxas. Così non riesco a sentire niente.», lo rimproverò poi la donna, allo stremo. «Se continui così, questa sarà l'ultima volta che ti porterò al circo per il tuo compleanno.»
«E meno male!», commentò lui, lanciando una fugace occhiata in alto, mentre suo fratello iniziò a lagnarsi. «Ma a me piace il circo; è così bello, pieno di luci e colori!»
«Perché allora non vieni a vivere qui e basta?», gli chiese aspramente Roxas, sbuffando ripetutamente.
«Oh, guarda!», indicò improvvisamente con l'indice Sora. «Arriva il mangiatore di fuoco!»
E il giovane Roxas voltò gli occhi, sospirando, annoiato. «Tanto fa sempre le stesse cose. E' così noioso, come tutti.» 

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Era tutto pronto.
Sarebbe stato il gran finale.
Avrebbe stupito tutti.
Però nessuno avrebbe avuto il tempo di dire 'Wow'.
Che ridere, pensò ancora.

 

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L'uomo dagli occhi verdi rimase fermo, immobile, al centro della pista con due aste nei pugni serrati e lo sguardo rivolto al pubblico.
«Perché fa così?», chiese Sora, sporgendo un poco il volto. «Che ha?»
«Si vede che ha un ritardo al cervello o un vuoto di memoria, per cui si è dimenticato dove si trova. Beato lui.», commentò con acidità il biondo, appoggiando la testa sul gomito finché non iniziò a sentire qualcosa di strano.
«Non sentite questo odore?», questa volta fu lui a chiedere; sua madre e Sora iniziarono così ad annusare l'aria, socchiudendo gli occhi.
«Sembra...», cominciò a parlare il castano, venendo però interrotto dall'altro: «... Benzina.»
Non era una sensazione facile da descrivere.
Seppe solo che qualcosa si mosse nelle viscere del suo stomaco, come se qualcuno avesse bussato ad una porta all'interno del suo corpo.
Un toc-toc per avvertirlo.
Stupido toc-toc. Stupid toc-toc che era giunto alle sue orecchie e al suo cervello troppo tardi.
Il mangiatore di fuoco aveva già acceso le due aste, le quali però, invece di essere spedite nella sua bocca, vennero improvvisamente scagliate in avanti. Verso il pubblico.
Non aveva mai sentito delle urla così intense, agghiaccianti, piene di tutto.
Gli sembrò che stessero vomitando via tutto ciò che avevano avuto dentro; come se le loro angosce fossero state cacciate via tutte insieme da quelle urla strazianti che gli graffiarono la pelle, scavando nelle sue ossa, raggiungendo la sua anima che in quel momento era caduta nel panico più totale.
Com'era possibile? Cos'era andato storto? Eppure lui era seduto a lamentarsi fino a qualche secondo fa, era tutto normale, troppo monotono forse, ma normale.
Mentre adesso si era alzato, così come tutte le altre persone; aveva visto una coppia di giovani bruciare di fronte ai suoi occhi e aveva sentito le loro urla riempire il circo, annunciando l'inizio di una tragedia che forse non avrebbe avuto mai fine.
E poi era scoppiato un incendio mostruoso. Le fiamme avevano iniziato a spargersi in maniera spaventosamente veloce, divoravando tutto, le sedie, le gambe delle persone, le loro braccia, la pelle, bruciava la carne e raggiungeva le ossa con un perenne sottofondo di grida e suppliche di aiuto.
Perché non se n'era accorto nessuno? Perché nessuno aveva sentito prima l'odore della benzina che era stata sparsa ovunque?
Le fiamme continuarono a divorare, ad uccidere, a distruggere, a ferire.
E lui, quell'uomo dagli occhi verdi e folli, continuava a ridere, al centro della pista.

 

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Sapeva perfettamente che nessuno se ne sarebbe accorto.
Era così ovvio.
Si erano fatti uccidere dal loro sogno.
Troppo impegnati ad osservare incantati lo spettacolo, gli occhi luccicanti e pieni di stupore, non si erano accorti di un incendio
che presto avrebbe distrutto le loro vite in una voragine di dolore e urla senza fine.
Patetici. Davvero patetici.
Se solo avessero fatto più attenzione alla realtà, a ciò che circondava loro, invece di rimanere rinchiusi nella fantasia e nella magia.
Per una volta sarebbe stato lui lo spettatore.
Era così divertente.

 

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Gli sembrò davvero di essere all'inferno. Chissà, forse lo era davvero.
Ma la vera domanda era un'altra: quale peccato aveva commesso per finire in quel posto?
Altre urla strazianti che si sommarono al fuoco e alle fiamme; un tremendo odore di carne che bruciava gli riempì le narici ed ebbe il forte impulso di vomitare.
Cos'era successo? Cosa stava succedendo?
Vide il rosso che divorava gli spalti, facendo crollare numerosi pezzi di legno, i quali schiacciavano poi corpi bruciati e ossa distrutte.
Roxas spense completamente il cervello e galleggiò nel vuoto del nulla: lasciò solo che l'odore del sangue e della carne si impossessassero definitivamente del suo corpo.
Che cosa aveva fatto?
Tutta colpa di quella fissa. Quella stupidissima fissa di andare al circo ogni anno per il suo compleanno.
Un uomo si acasciò di fronte a lui; gli occhi sbarrati e spenti, le labbra pallide, un rivolo di sangue sulla guancia sinistra, l'espressione persa a contemplare la morte per sempre.
Le fiamme gli afferrarono la gamba e iniziarono a divorargli la pelle, scavando per raggiungere la carne rossa e succosa; Roxas strillò, inorridito da quella scena e indietreggiò, impotente e troppo impaurito per aiutare quel pover'uomo.
Inciampò in un'asse di legno e cadde rumorosamente all'indietro, sbattendo violentemente la schiena: un'ondata di dolore gli attraversò la colonna vertebrale e gridò di nuovo, questa volta ancora più forte.
E quello fu il momento in cui si spaventò di più.
Udire il proprio urlo lo straziò dal dolore e dalla paura. Per lui fu come essere di fronte ad uno specchio e scoprire se stesso. Fu come vedere il riflesso della propria paura, nuda e cruda in tutto il suo orrore.
Respirò affannosamente, accorgendosi di aver ingerito del fumo per tutto quel tempo: tossì violentemente e si mise una mano sul naso e sulla bocca, mentre il petto si alzava e si abbassava sempre più velocemente.
Non doveva svenire. Non doveva svenire. Non doveva svenire.
Se chiudeva le palpebre, non le avrebbe riaperte mai più.
E quel pensiero lo terrorizzò a morte.

 

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Probabilmente era davvero diventato pazzo.
Ma in fondo non era colpa sua.
Gli altri avevano risvegliato la sua vera essenza intrisa di rosso.
Non svegliar il can che dorme.
A quanto pare nessuno conosceva quel proverbio.

 

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Il dolore alla schiena lo scosse e riuscì finalmente ad alzarsi, barcollando appena; alzò le iridi blu tremanti e lo spettacolo che gli si presentò davanti gli gelò completamente il sangue nelle vene.
Rimase immobile e per un attimo non udì più le urla, le fiamme che divoravano la carne e le ossa, e neanche il suo respiro irregolare e pesante.
Sperò che fosse tutto un incubo, uno schifosissimo incubo.
Doveva essere così. Per forza.
Presto si sarebbe svegliato sul suo morbido letto bianco e avrebbe rivisto la luce del sole.
Per forza.
Ma non successe nulla.
Era sempre lì, imprigionato in quella trappola di fuoco ad osservare quell'oscenità che sembrava divertire tanto l'uomo al centro della pista.
Urlò. Urlò il nome del fratello con tutto il fiato che aveva in gola; strillò fino a sentire la voce rompersi tra le corde vocali e scoppiare in singhiozzi disperati.
«Dove sono, Roxas? Dove sono, dove, dove sono, dove? Devi dirmelo tu, Roxas. Inizia a cercarmi, dai, giochiamo insieme a nascondino.», si piegò sulle ginocchia, appoggiando le mani su altri frammenti di legno, ignorando le schegge che iniziarono a forargli la pelle, spillandogli sottili rivoli di sangue.
'Dove sono, Roxas? Devi dirmelo tu. Inizia a cercarmi, dai.'
Si mise le mani sugli occhi, sperando di poter cancellare l'immagine di Sora che veniva lentamente e inesorabilmente divorato dal fuoco, dal rosso delle fiamme che lo uccidevano lentamente, senza pietà, senza lasciargli neanche il tempo di gridare o di invocare aiuto.
Una barriera di fuoco si erse di fronte a lui, costringendolo ad indietreggiare faticosamente con le ginocchia; continuò a singhiozzare ossessivamente, balbettando frasi sconnesse e suoni inarticolati, come un neonato che tentava di dire la sua prima parola.
Inciampò su un sedile e tastò con le mani il muro che divideva gli spalti e la pista; le fiamme nel frattempo continuarono ad avanzare e a Roxas sembrò addirittura che esse si fossero trasformate in un volto minaccioso, pronto a divorare tutto quello che gli si parava davanti.
Compreso lui.
Il rosso gli sfiorò il braccio e si ritrasse immediatamente, voltandosi, con le lacrime agli occhi e i singhiozzi che continuavano ad uscire dalle labbra tremanti; scavalcò velocemente il muro giusto un attimo prima che il fuoco potesse iniziare a rissucchiargli la gamba destra.
Notò solo in quel momento che anche il tendone dietro le quinte stava bruciando e che numerose grida stavano esplodendo perfino lì.

Cadde sul terreno come un burattino senza più il suo padrone a manovrarlo e respirò pesantemente, cercando di controllare i violenti tremori e la nausea che prendeva nuovamente posto tra le sue viscere; successivamente si trascinò sulla pista con entrambi i gomiti, udendo altre urla, sempre più forti e disperate. 

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Aveva condiviso il suo piccolo inferno con gli altri.
Era davvero una persona altruista, assolutamente.
Aveva permesso anche al resto delle persone di vedere cosa lui vedeva ogni giorno, cosa doveva sopportare per soddisfare i loro bisogni infantili.
Almeno adesso avrebbero capito che cosa si provava ad essere considerati dei fenomeni da baraccone,
degli stupidi giocattoli usati per passare il tempo,
essere considerati dei banali oggetti da ammirare prima di buttare nella spazzatura.
Adesso invece erano loro i giocattoli, erano loro le bambole che venivano buttate via davanti ai suoi occhi.
A quel pensiero rise ancora, ancora e ancora.

 

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Respirò, si fermò, singhiozzò e riprese a trascinarsi faticosamente: e poi di nuovo tutto da capo, come un ciclo. Come il tasto 'replay' premuto ripetutamente; premerlo sempre, sempre, sempre, per rivedere quella scena che ti era piaciuta tanto.
Ma a lui non piaceva. Per niente.
Abbandonò le braccia al suolo quando raggiunse il centro della pista, mentre le risate rimbombarono nelle sue orecchie, mescolandosi alle urla strazianti e senza fine.
«Anche tu sei venuto a goderti lo spettacolo?», alzò lentamente le iridi blu stanche e vuote, incrociando uno sguardo di un verde raggelante.
Era pazzo. Un uomo pazzo, ecco tutto.
Volle alzarsi e iniziare a prenderlo a pugni, gridargli in faccia, spaccargli le ossa e il volto, chiedergli perché, perché e ancora perché.
Ma la stanchezza avvolse il suo corpo e rimase immobile anche quando l'uomo dai folti capelli rossi lo sollevò da terra, prendendolo per le ascelle e costringendolo a voltare lo sguardo verso ciò che rimaneva degli spalti.
«Guarda. Non è strepitoso? Guarda, li vedi? Sono prigionieri del luogo che più li divertiva. Adesso saranno costretti a restare qui per sempre. Li vedi, li senti? Stanno gridando di felicità. Lo si legge dai loro occhi.»
E Roxas guardò, con gli occhi pieni, come un oceano in tempesta sotto la satura luna notturna, guardò con le labbra tremanti, sibiliando frasi spezzate e senza senso, guardò impotente, guardò, guardò e morì.
Venne ucciso lentamente da quella scena, dal fuoco mangiatore di uomini, dalle urla, dalle preghiere non ascoltate, dal ricordo di suo fratello, da tutto.
Guardò fino a non udire più nulla.
Guardò fino a sentire gli occhi stanchi, insieme a tutto il resto del corpo.
Guardò fino a sentire la stanchezza divorargli le ossa, scavargli la pelle e raggiungere l'anima ormai spenta e privata di tutto.
Era quella la cruda realtà. Nuda, schifosamente nuda, mostrando tutta la sua oscena follia, la stessa follia che brillava in quegli occhi verdi, disgustosamente verdi.
Era quella la realtà. Senza censure, senza palloncini, senza colori, senza risate, senza magie e senza acrobazie.
Era quella la realtà. Con il sangue, la carne, le ossa, le urla e l'odore di morte che riempiva il circo.
Guardò spegnendosi lentamente. 

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Lo spettacolo stava giungendo alla fine.
Peccato, si disse.
Però al tempo stesso pensò che era un sollievo.
Si era stancato. Aveva iniziato a trovarlo noioso, dopo un po'.
Le cose annoiano sempre, dopo un po'.
E' sempre così.
E' naturale.
Le bambole e i giocattoli non lo divertivano più.

 

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Si lasciò cullare tra le braccia del diavolo e le fiamme che si stavano avvicinando si mescolarono a quei capelli del medesimo colore del sangue.
Si lasciò privare di tutto, di ciò che gli era rimasto dentro e anche dei vestiti sporchi.
Si lasciò baciare e si lasciò guardare.
Si lasciò scopare dal diavolo e si lasciò sporcare dentro.
Le urla si trasformarono in un ricordo lontano, offuscato, una fotografia sporca, una riga illeggibile, un messaggio mai ascoltato, una parola macchiata.
Galleggiò tra le fiamme che iniziarono ad essergli addirittura care amiche; sentì il loro calore sempre più vicino e socchiuse gli occhi.
Fu come dolcezza in mezzo all'orrore, carezze nel terrore, bellezza nell'osceno, bianco nel nero, puro nello sporco.
Forse lo avrebbe scandalizzato scoprire che i pompieri sarebbero arrivati giusto l'attimo dopo in cui il suo corpo smise di bruciare.
Respirò e soffrì, ma non se ne accorse.
Si lasciò amare violentemente dal diavolo e si lasciò baciare dolcemente dalla morte, in mezzo alla tempesta di fuoco e alle urla lontane, nella notte.




 

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«Roxas, Roxas», lo chiamò saltellando sulla sedia accanto a lui, non più timoroso di essere sentito dalla mamma.
«ti piace la morte?»
E lui non rispondeva, guardando la voragine nera che si apriva di fronte a sé.

 

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*Note di Ev'*
-Si fissa intorno, in mezzo al deserto e alla paglia che gira- (?)
Ehm... Salve, credo.
Oddio, cioè, questa storia ce l'avevo in mente davvero da tanto tempo, solamente che avevo pensato ad una cosa diversa. Nel senso che volevo prendere un po' spunto da 'It', il famoso film del pagliaccio assassino, ma poi è uscita fuori una cosa del tutto diversa.
Magari è anche meglio così. Almeno spero.
E' da tipo tre giorni che la sto scrivendo e, devo ammetterlo, per me è un piacere averla finalmente terminata.
Insomma, boh... Abbiamo un Sora rompicoglioni che non fa altro che spaccare le palle al fratello con domande idiote, un Roxas che è sempre uno sfigato del piffero e fa la parte della vittima della situazione -E quando mai.- e un Axel più psicopatico che mai.
Tra di essi è proprio quest'ultimo il personaggio più complicato e 'pieno', se così posso dire; i suoi pensieri, che sono trascritti a destra in grassetto, sono pieni di rabbia a causa di una vita passata a vivere per accontentare gli altri contro la sua volontà.
E così decide di vendicarsi, brucia tutto e oplà. (?)
Il finale è... Mah, non saprei. Diciamo che volevo mettere anche un po' d'angoscia proprio con il fatto che i pompieri sarebbero arrivati troppo tardi, ecco.
Sì, alla fine scopano, perché... Perché Axel voleva giocare con gli altri; voleva divertirsi lui per una volta e alla fine appunto, proprio come Roxas, si annoia dello spettacolo.
Perché la natura umana è così. Dopo un po' ci si stanca sempre delle cose.
Non so quanto questa storia abbia senso per gli altri, ma per me ce l'ha eccome. Siccome non mi piacciono le storie horror senza una trama precisa, fatte tanto per parlare di organi volanti e occhi che cadono allegramente (?), io preferisco dare sempre un certo spessore alle cose, e dare una certa caratterizzazione ai personaggi.
Nel senso, Axel non è solo un pazzo-psicopatico a cui viene la geniale idea di bruciare il circo in cui lavora da tempo; Axel è un mezzo pazzo che si è rotto le palle, reagendo di conseguenza.
Sora... La presenza di Sora era piuttosto importante; non solo perché creava un certo effetto con le sue domande alla cazzo (?) e perché ha dato un finale alla storia, ma anche perché con la sua morte ha completamente distrutto l'anima del biondo, il quale poi infatti, nonostante si ritrovi faccia a faccia con l'uomo che ha provocato quell'inferno, non ha la forza fisica e psicologica di fare o dire qualcosa.
Va bene, basta. Ho finito, finalmente.
Io credo di... Mah, sì, più o meno credo che come storia non sia uscita così male. Almeno spero ç___ç''
Ah, sì, un'altra cosa: tra gli avvertimenti non ho aggiunto 'One Shot' perché... Perché è magicamente scomparso.
Cioè, sono rimasta tipo dieci minuti a ricontrollare, dando la colpa al fatto che, molto probabilmente, il mio cervello si era spento; e invece no. E' scomparso davvero D: Adesso c'è roba tipo 'Mpreg' o altre parole strane di cui ignoro bellamente il significato.
Quindi boh.
Insomma, se avete letto vi incito sempre a commentare perché ci tengo particolarmente all'opinione altrui sui miei scritti, davvero.
Quindi. Commentate. Per. Favore. ;A;
Alla prossima, people.
E.P.R.

 

   
 
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