People would have spoken
John aveva un conto aperto con le giornate
piovose, fin da
quando era bambino. Per esempio, era stato in un piovigginoso giorno
d’autunno
che suo padre aveva deciso di andarsene per sempre e di far cadere sua
madre in
depressione.
In guerra poi, i rari acquazzoni erano sempre stati una spina nel
fianco, a
partire dalle cartucce che s’inceppavano nei momenti meno
opportuni.
Nell’ennesimo giorno uggioso, era andato di nuovo dalla sua
terapeuta dopo
diciotto mesi di puro sollievo;
quell’odore fastidioso di bagnato aveva segnato
la sua ennesima rovina.
La voce era uscita ferma nel rispondere, ma la mano sinistra aveva iniziato a tremagli impercettibilmente.
Che domande stupide.
Era stato dopo quell’episodio
che aveva capito che una normale vita cittadina a
Londra gli sarebbe stata stretta, aveva bisogno di nuovo ossigeno.
Adrenalina,
come Mycroft Holmes l’aveva definita il giorno in cui
l’aveva incontrato per la
prima volta. E probabilmente, c’era un'unica
possibilità.
Non aveva detto una parola quel giorno.
Ci voleva tornare, in quella merda di Afghanistan.
Aveva fissato ossessivamente la mano di Mycroft, così diversa da quella di Sherlock, più grossa e sgraziata, mentre pigramente scriveva ciò che l’avrebbe riportato in quell’inferno. Un inferno più confortevole di quello attuale, aveva pensato mentre ritirava con mano tremante i documenti, un inferno che non gli avrebbe fatto pensare a Sherlock.
«
Aveva retto due anni, poi c’era stata quella stramaledettissima bomba.
Gli uomini che avevano gridato di scappare quando ormai era troppo tardi, il fragore dell’esplosione, le bestemmie generali, si ricordava tutto, eppure, prima di addormentarsi, ciò che lo accompagnava nei suoi incubi era ancora la voce di Sherlock.
Aveva perso la vista quel giorno, il colpo era stato troppo forte; poche possibilità di riacquisizione gli avevano detto, ma lui non aveva tradito alcuna emozione.
Era un medico, non si era specializzato in oculistica, ma sapeva esattamente che cosa conseguiva ad un parziale distacco della retina.
Era dovuto rientrare in Inghilterra, lontano dalle brandine puzzanti di piscio e dalla disperazione. Non si era sentito sollevato neanche un po’.
Ritornare a Londra senza la sua vista era
stata quasi
una…benedizione. Aveva potuto concentrarsi per tutto il
viaggio su ciò che
avrebbe dovuto dire ad Harriet, invece che perdersi in ricordi troppo
dolorosi.
Aveva riflettuto angosciato a che parole usare quando sua sorella lo
avrebbe
abbracciato arrabbiata, ma felice. “Va tutto bene”
gli era sembrata la frase meno
consona da pronunciare, eppure quando Harry lo aveva stretto quelle
parole di
circostanza erano scivolate fuori dalla sua bocca.
Ed ora eccolo lì, dopo quattro
mesi di definitivo congedo,
sulla poltrona preferita di sua sorella, a fissare, o così
si fa’ per dire, la
canna che aveva trovato sulla mensola più alta della
libreria.
Aveva già preso in considerazione il fatto che Harry fosse
passata a cose più
pesanti dopo il divorzio e, sinceramente, non si sentiva in grado di
affrontare
una discussione. Chi era lui per biasimarla, lui che era scappato in
guerra
solo per dimenticare e continuare a vivere. Due dipendenze diverse,
stesso movente.
Entrambi colpevoli.
Se l’accese in fretta.
Quell’odore gli impregnò subito i vestiti.
Marijuana, da che ricordava faceva
il suo effetto dopo mezz’ora appena, per una durata
complessiva di tre ore, se era
abbastanza. La cenere cadeva sul bel tappeto che Clara aveva comprato
per
scusarsi con Harry di uno dei tanti tradimenti. Una bella mossa,
considerando
la passione assurda di Harriet per i tappeti orientali; sarebbe stato
meglio se
Clara, su suddetto tappetto, non si fosse fatta trovare con
l’amante.
Prese una seconda boccata. Sentiva ancora il rumore della pioggia, i
suoi sensi
non accennavo ad arrendersi. Voleva la beatitudine, voleva una
confusione tale
da non ricordare che lui, nel mezzo dell’appartamento di
Baker Street, che
suonava il violino; voleva ricordarlo senza piangere in silenzio come
un
bambino.
Ciò che rimaneva di quello spinello, ormai quasi al limite, gli cadde dalle mani.
Sherlock.
Trattenne il respiro, alzando il busto di scatto. Dopo nemmeno venti secondi ricascò sullo schienale, stanco. Allucinazioni uditive, certo. Goditela l’illusione, gli sembrò dire il cervello quando il suo nome risuonò per la stanza una seconda volta.
« Tu sei morto» disse semplicemente.
Ma l'illusione faceva male, troppo.
« E tu sei cieco»
«
«
Sentì le molle della vecchia poltrona di sua madre piegarsi sotto il peso di qualcuno, e sorrise; la sua mente, stimolata da un po’ di erba, sapeva meticolosamente arredare un dettagliatissimo scenario per frantumargli il cuore.
Se lo immaginava quasi, nel suo solito cappotto scuro, coi riccioli bagnati dalla pioggia, con le gambe stese sul tavolino.
Ma Sherlock Holmes era morto, morto e sepolto per sempre. Cazzo.
Non ci fu alcuna risposta. Tutto
già finito? Probabile.
Ma poi un sospiro, un familiare sospiro, interruppe quel silenzio.
Dio, che inconscio sadico.
«
«
« Dimmi qualcosa che non so John »
«
Uscite dalla sua bocca senza controllo, quelle parole, pronunciate con un’esasperazione al limite, fecero ricadere la stanza nel silenzio. Era un incubo, un assurdo martirio alla sua sanità mentale, ma gli piaceva, Dio se gli piaceva, risentire la sua voce che pronunciava qualcosa di diverso da “Addio John”. Sembrava tutto così…reale.
«
Gli sembrò quasi di udire un “Vaffanculo”, ma era così lontano che forse se l’era solo immaginato.Aveva un gran sonno, e dire che non riusciva a dormire decentemente da più di due anni. Avrebbe dovuto provarla prima, quella roba.
« E’ stato bello risentirti Sherlock ». Si stupì nel constatare che non era una bugia, che era stato davvero piacevole dialogare con il fantasma di quello che era il suo più grande rimpianto.
Chiuse gli occhi. Tutto, in fondo,
è destinato a finire.
Fine un cazzo. Avvertì, un attimo dopo aver abbassato le
palpebre, delle dita
sulle sua labbra. Così calde, così lisce,
così sue.
Spalancò gli occhi, e si sorprese dell’intima
speranza che aveva nutrito nel
poter incontrare le sue iridi
azzurre ancora una volta. Tutto però, rimase immerso nel
buio.
E la rabbia arrancò disperata dentro il suo cuore.
Come poteva lui, proprio lui che l’aveva abbandonato portandosi nella tomba parte della sua vita, dirgli quelle parole? Come osava?
Avrebbe iniziato ad insultarlo di brutta maniera se a quelle dita non si fossero sostituite delle labbra.
Asciutte, dolci labbra. Le sue labbra.
Il nero si tinse di migliaia di colori.
“Carpe diem” diceva
Orazio.
Altro che “cogliere”, John voleva bloccarlo
quell’attimo, per sempre.
Non era stato nulla di irruento o disperato, ma c’era
esigenza nel modo in cui Sherlock
premeva le sue labbra.
Perfetto.
«La
gente ne avrebbe parlato»
sussurrò con un mezzo sorriso «
Avrebbe parlato
per giorni».
Ma Sherlock era morto. E lui non poteva far altro che conviverci, in
qualche
modo.
Fu lo sbattere della porta
d’ingresso a svegliarlo. Harriet,
ovviamente. Trattenne il fiato, alzandosi di colpo, consapevole. Non
aveva riordinato nulla dopo...quello, la canna probabilmente doveva
trovarsi
ancora ai suoi piedi, con l’accendino.
Complimenti John.
Si sedette di nuovo, rassegnato. Sperò davvero che sua
sorella soprassedesse,
ma conoscendola era più possibile che la terra si fermasse
ed il sole
cominciasse a girarci attorno.
Harriet però, parve proprio non accorgersene; nonostante
stesse davanti a lui, i
passi erano sembrati così decisi che sua sorella doveva
essere sobria, dalla
sua bocca non era uscito quel respiro scocciato che gli riservava
quando faceva
qualcosa che non approvava.
Non rispose, si limitò a calpestare assorto, con una disinvoltura che resantava il ridicolo, il tappeto. Nulla, sembrava tutto sparito, perfino l’aria, finalmente si era deciso a fare un bel respiro profondo, era salubre. I suoi vestiti però, quell’odore soffocante lo avevano ancora.
No, probabilmente era impazzito. Scoprì che non gliene importava assolutamente niente.
Era tornato dalla sua terapeuta tre giorni dopo,
nell’ennesima piovosa
giornata.
Non sapeva nemmeno perché c’era andato, non aveva
la minima intenzione di
condividere le sue follie con quella donna.
Fu lei a spezzare il silenzio che si era creato dopo i rispettivi
saluti.
John aveva annuito, rivolgendo uno sguardo
alla finestra. Se
gli avesse chiesto cosa rappresentava per lui quell’unica
frase sarebbe
scoppiato a ridere come un pazzo. Perché lo era ormai, vero?
Un pazzo che aveva ricominciato a respirare.
“Una
volta eliminato l'impossibile, ciò
che resta, per
quanto improbabile,
deve
essere la
verità”.
Angolino di Hime
Non mi sono mai fatta
così tante turbe mentali per una
fanfiction dai tempi di Umineko. E’ stato un parto durato
quattro giorni, gemellare
probabilmente, però finalmente sono soddisfatta, nei limiti
che la mia
autostima mi permette.
E’ che sono
così…perfetti insieme, non so se li ho resi
abbastanza.
Bene, passiamo ai
ringraziamenti ~ In primis a Bea che mi ha fatto conoscere
Sherlock (siamo chiari, dopo che una persona ti passa per mesi immagini
di
tumblr su di loro, per sfinimento sei tenuta a guardarlo----Ciao Bea
♥). Poi a Swig che, all’una di notte, in
preda alla disperazione, mi ha fatto una lezione di oculistica in piena
regola.
Poi…non so, a mia madre probabilmente, che mi vedeva
isterica al pc e non ha
detto nulla-
Bene, spero vi piaccia, almeno un po’.