Un colpo di cannone, un elicottero. E poi basta, la vita è finita.
Funerali? No, niente. Solo un colpo di cannone, e non per commemorarlo. Per avvisare i suoi nemici che è morto. Che non ce l’hanno più tra i piedi. Un elicottero viene a prenderlo, lo issa su di se e va via.
Tutto viene trasmesso in TV. Le persone vedono i loro cari morire. Cosa si prova, da genitore, a guardare in diretta televisiva il massacro di proprio figlio? Di certo non ci si diverte. E cosa prova colui che l’ha ucciso? Proprio niente. Un senso di calma, probabilmente, molta calma. Quasi di sollievo: un nemico in meno.
La sera l’immagine del morto viene trasmessa su uno schermo, in cielo. Ma non per ricordarlo, per annunciare agli altri chi è morto. Per permettergli di farsi i conti su chi altro ammazzare.
E poi il vincitore… festeggiato come un eroe, in realtà un assassino. Nei distretti, tutti allegri a festeggiarlo. Ma non possono far altro che odiarlo. Lui, quello che ha messo fine alla vita dei loro figli. Lui, quello che è tornato a casa sano e salvo. Lui, quello che è sopravvissuto all’arena.
Loro vogliono il suo sangue, mentre lui va a sbattergli in faccia quello dei loro cari.
A Capitol City le persone lo celebrano come una festa. Ovvio, loro non patiscono la fame pur di non prendere tessere per evitare le nomine, loro non hanno il timore che i loro bambini possano essere mandati a morire in un’arena. Loro devono solo guardare, divertirsi, festeggiare il vincitore. E anche in tutto il resto di Panem devono farlo, o ci penseranno i Pacificatori.
Le persone nei Distretti non hanno figli, per paura che un giorno possano essere nominati. Muoiono di fame, pur di non prendere le tessere. Pur di vivere cacciano illegalmente, e vengono giustiziati.
Ora, questa, per caso, può essere definita “vita”? No, non credo proprio.