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Autore: brunaacorti    14/07/2012    2 recensioni
"Mi accostai alla porta dei miei, e posai l’orecchio sul legno dipinto: sentii delle risate di bambini.
Bambini? Nella stanza dei miei genitori?!
La faccenda diventava sempre più strana."
Genere: Commedia, Parodia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto così reale.

La prima volta in cui mi svegliai senza la sveglia di mia madre fu una mattina di Gennaio..
 
Le tapparelle della mia stanza erano chiuse e i raggi del sole non riuscivano ad intrufolarsi nella mia camera, eppure mi svegliai ugualmente, quasi sicuramente grazie alla forza dell’abitudine.
Diedi un breve sguardo all’orologio, erano le 7:10, avrei dovuto darmi una mossa per essere nel cortile della scuola alle 8:00, così decisi d’alzarmi e dopo essermi sbarazzata delle coperte, cominciai a scendere dal letto, infilando subito dopo il piede nella pantofola.. ma.. c’era qualcosa che non andava: stranamente il mio piede sembrava davvero cresciuto, tanto da non riuscire più ad entrare nella ciabatta.
Come può essere possibile una cosa del genere?! Mia madre mi aveva detto più volte che durante il sonno ogni parte del nostro corpo cresce di qualche millimetro, come le unghie e i capelli.. ma una crescita tanto notevole non l’avevo mai immaginata!
Lasciai per terra le ciabatte, e cominciai a dirigermi scalza verso la camera dei miei genitori, loro dovevano avere per forza una risposta a questo strano fenomeno!
I miei piedi sudati a contatto con il freddo parquet producevano un rumore odioso e snervante, che faceva accrescere il mio stato d’ansia e nervosismo.
Mi accostai alla porta dei miei, e posai l’orecchio sul legno dipinto: sentii delle risate di bambini.
Bambini? Nella stanza dei miei genitori?!
La faccenda diventava sempre più strana, così decisi di aprire la porta, e lo spettacolo che mi si prospettò davanti agli occhi era davvero agghiacciante: due bambini, che potevano avere circa 10 anni, saltavano sul letto, lanciandosi contro i preziosissimi cuscini in piuma d’oca arrivati direttamente dalla Danimarca.
I due marmocchi non mi notarono subito, così mi schiarii la voce e bussai con le nocche contro il legno del mobile, attirando così la loro attenzione.
 
“Non ho idea di chi voi due siate, ma vi ordino di lasciare questa stanza immediatamente, o potrei davvero arrabbiarmi e farvi pagare i danni” – dissi con tono scocciato, più che arrabbiato
 
La bambina lasciò cadere il cuscino, e mi guardò per poi scoppiare a ridermi in faccia – “Ma come lasciare questa stanza? Ehy, questa è anche casa nostra!” – rispose lei, per poi tornare nuovamente a giocare.
 
Rimasi a bocca aperta dopo l’esclamazione della bambina. Casa loro?! Ma se io non li avevo mai visti!
Osservai attentamente il bambino, cercando di capire da dove venisse, oppure tentare di riconoscere in lui un pro – pro – pro- pro cugino che magari avevo visto circa tre volte in tutta la mia vita: capelli neri, occhi scuri, abbastanza alto per la sua età.. un ciondolo a forma di ancora appeso al collo.. mio padre ne ha uno uguale.. coincidenza?
Nella mia testa cominciò a balenare una strana idea, un’ipotesi completamente surreale: e se i miei genitori si siano trasformati in bambini, ed io in un’adulta?
Mentre queste domande mi tartassavano la mente, squillò il mio telefono di casa e sperando fosse mia nonna, corsi a rispondere.
 
“Pronto?” – dissi con il fiatone per lo shock recente
“Buongiorno. Sono D’Agostino, hai deciso di non venire a lavoro oggi?! Dai, è tardi!” –l’uomo dall’altro capo del telefono, senza neanche aspettare una mia risposta, chiuse la telefonata.
 
D’ Agostino.. D’Agostino, certo, un collega di mio padre.. e ciò poteva significare solo una cosa: avrei dovuto guidare degli autobus quel giorno.
Corsi in stanza, indossai il primo jeans che trovai, presi una camicia bianca e dall’armadio di mio padre riuscii a prendere la giacca che lui indossava per andare a lavoro: certo, mi stava un po’ grande.. soprattutto perché era da uomo.
Presi le chiavi di casa ed il mio cellulare, uscii dall’appartamento e chiusi la porta a chiave: ai due bambini avrei pensato al mio ritorno.
 
Fortunatamente avevo accompagnato più volte mio padre in azienda, quindi sapevo benissimo dove andare, ed arrivai a destinazione nel giro di un quarto d’ora, ovviamente i pensieri che erano sorti quando ero in casa, erano ancora nella mia testa e mi tormentavano sempre di più.
 
Non appena mi videro arrivare, quelli che dovevano essere i miei ‘colleghi’, cominciarono a sbraitarmi contro perché ero terribilmente in ritardo, ma l’ignorai, e salii sull’autobus a me assegnato.
Mi sistemai al posto del conducente, e guardai dietro di me.. nell’autobus c’erano un sacco di persone: bambini, anziani, donne in dolce attesa..  ed io non potevo fare a meno di pensare al fatto che non avevo mai preso neanche il patentino, ne avevo mai messo mano su un volante..sapevo che avrei combinato un disastro, avrei potuto uccidere qualcuno.. e quel pensiero mi fece girare talmente tanto la testa che decisi di scendere dall’autobus e di tornare casa, dopo essermi data malata, ovviamente.
 
Non stavo bene, dovevo tornare a casa, mangiare qualcosa e tornare di nuovo a dormire, forse sarebbe tornato tutto come prima.
Tornai a casa impiegando minor tempo di quello utilizzato per andare a lavorare, e infilai la chiave nella toppa della porta.
Una volta in casa gettai le chiavi e il cellulare nel portaoggetti sul mobiletto dell’ingresso, dopo andai in cucina per mangiare qualcosa.
Sfortunatamente però non c’era nulla di pronto, dopotutto i due bambini non erano in grado di fare nulla, così mi preparai un semplice panino, e dopo aver finito di mangiare andai in camera, e non guardai neanche nella stanza dei miei genitori, non volevo vedere quei due marmocchi odiosi!
Mi tolsi la giacca, la camicia, i jeans e mi rimisi nel letto, cercando di dormire.
Non mi addormentai subito, ma quando ci riuscii tornai nel mio peggior incubo: la mia casa si riempiva di gente a me estranea, e tutti rubavano qualcosa dicendo di essere parte della mia famiglia!
 
Non so quanto tempo dopo, ma qualcosa mi scosse, aprii gli occhi e vidi accanto a me mia madre, che mi porgeva il solito guinzaglio rosso – “Devi alzarti e far fare la passeggiata al cane” – disse lei, e per la prima volta fui lieta di sentirglielo dire.

   
 
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