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Autore: Taila    14/07/2012    6 recensioni
Sherlock annuì con un cenno della testa, sfregando la guancia contro la sua gamba, i morbidi riccioli scuri che lo stuzzicavano piacevolmente. Il moro si allontanò da lui a fatica, come se non volesse interrompere quel contatto, ma quando lo fece si rimise in piedi con un unico, elegante movimento che ebbe l’effetto di ipnotizzare per un attimo il dottore e fu per questo motivo che non si rese immediatamente conto del mondo in cui l’altro lo stava osservando. Lo sguardo di Sherlock era profondo e così intenso, così diverso da quello freddo e analitico che aveva ogni giorno che John si sentì aprire un buco in fondo allo stomaco. Sentendo il cuore battere più veloce nella gabbia toracica, il dottore gli si accostò di un passo e gli appoggiò le mani sulle spalle, quindi si sollevò sulle punte e lo baciò. Subito le mani del consulente investigativo corsero al corpo premuto contro il suo, lo imprigionarono in un abbraccio, sollevandolo appena da terra senza rendersene conto, mentre affondava ancora di più nella bocca del compagno.
Genere: Azione, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Thanks, God!
Autore: Taila
Serie: Sherlock bbc
Genere: Romantico, slice of life, sentimentale
Tipo: One-shot, slash, fluff, azione
Pairing: Sherlock Holmes x John Watson
Disclaimers: I personaggi presenti in questa shot non appartengono a me, ma a Moffat, Gattis, alla BBC e a quanti ne detengono i diritti. Io li ho presi in prestito per puro divertimento e per i miei loschi scopi *___*
Note: Era da un po’ che disertavo questo fandom, ma i nostri due intrepidi detective non li ho mai abbandonati, anzi! Il fatto è che mi ero intestardita nello scrivere una certa shot, ma a un certo punto mi sono bloccata e non sono più riuscita a proseguire -__- Poi su internet ho trovato una delle fan art più belle su questo pairing che abbia mai visto (Non riesco più a ritrovarla altrimenti avrei messo il link, ma comunque era ambientata in bagno con John seduto sul bordo della vasca con alcune fasciature e Sherlock preoccupato che gli abbraccia la gamba ferita) e mi è scattata la scintilla. Scrivere questa shot è stato un mezzo incubo, perché temevo sempre di far diventare OOC i personaggi (nel caso riscontraste questo ditemelo e provvedo ad aggiungere l’avvertimento ^_^), per alcuni giorni ho fatto lavoro di taglia, cuci e correggi, poi alla fine mi son detta: basta! Altrimenti finisco veramente per rovinarla. Quindi eccomi qui ^^’’ Spero di non aver fatto un disastro completo.
Ringrazio kiba91: Ti ringrazio davvero ^.^ Non ho mai visto Lilo e Stich, sai? Me lo consigli?La frase che hai citato mi è piaciuta molto, anche perché è esattamente ciò che volevo dire io: John e Sherlock sono l’uno la famiglia dell’altro, anche se la loro vita è incasinata e nulla è facile a loro va benissimo così, piace così ^^ Spero che anche questa shot ti piaccia ^__^ Ringrazio manumanu1988: Figurati, mi spiace per quello che è accaduto e spero di non averti fatto rivivere brutti ricordi. Passando a John e Harry… per me loro non riusciranno mai ad andare d’accordo, perché John è sempre stato il figlio perfetto agli occhi dei genitori, mentre lei soltanto un disonore e per questo loro vivranno di rimpianti, di quello che avrebbero potuto vivere insieme se fossero stati meno orgogliosi… Comunque ti ringrazio per aver letto e spero che ti piaccia anche questa shot ^^ Ringrazio Jessie_JLC: Beh, diciamo che anche John ci mette la sua, visto che quando si tratta di Sherlock si preoccupa ma è elastico e gli permette di fare quello che vuole, ma con Harry è rigido e inflessibile. Per questo non troveranno mai un punto d’accordo, secondo me. Sono felice che ti sia piaciuto quel mio Sherlock un po’ più affettuoso, perché ti quoto completamente: in caso di una relazione con John, anche secondo me cercherebbe di non comportarsi in modo da far soffrire il suo dottore *__* Per un seguito… per ora non ho idee in merito, ma nel caso mi venisse in mente qualcosa non esiterei ^^ Spero che anche questa shot ti piaccia ^.^ Ringrazio Sevvina: Assie, me lusingata ^//^ Per la lemon, lieta che ti sia piaciuta, anche perché ultimamente mi sono sciolta molto anche se sembra che riesca a non scadere nel porno per fortuna ^^’’ Anch’io sono incuriosita dal rapporto tra i due fratelli Watson, anche perché nel canone di Doyle Harry muore prima dell’incontro tra Sherlock e il dottore, quindi mi sembra un po’ un personaggio sprecato, citato ma mai adoperato – il rapporto tra Harry e John potrebbe lasciare veramente basito il nostro consulente investigativo con le sue dinamiche sentimentali contorte – e quindi anch’io spero che nella terza serie la vedremo (anche se temo che ci propinino Mary e John sposati -__-). Sono contenta che la scena del litigio ti sia piaciuta. So che ho tardato un po’, ma spero che anche questa shot ti piaccia ^__^ Ringrazio Danyel: Sì lo ammetto, sono stata cattivella con John: prima l’ho spedito in paradiso con Sherlock e poi l’ho ributtato nell’inferno della sua vita quotidiana ^^ Il nostro sociopatico quando si tratta di John cerca di comportarsi nel modo migliore, per non deluderlo e per questo l’ho lasciato sul divano a seguire la discussione tra i due fratelli, in modo che fosse pronto a consolare il suo dottore dopo. Oh, sono certissima che Sherlock lo abbia coccolato a dovere e per tutta la notte, non temere ^_____^ Spero che anche a te piaccia anche questa shot ^^
Ringrazio: Aly Zefy, Danyel, kiba91, malena, mamogirl e Sevvina che hanno inserito “L’un contro l’altra” tra i seguiti. Ringrazio: BlackCobra, Danyel, kiba91, manuvech91, p o l p o e senny per aver inserito “L’un contro l’altra” tre le fic da ricordare. Ringrazio: ermete, Lrig_w e Rumy che hanno inserito “L’un contro l’altra” tra i seguiti.
Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto e tutti coloro che leggeranno e commenteranno questa shot.
Adesso la smetto e vi lascio alla lettura, alla prossima gente \^O^/



Thanks, God!


Il colpo arrivò all’improvviso e impossibile da schivare, tanto da non riuscire a reprimere un gemito quando avvertì il dolore mordergli ogni centro nervoso fin dentro al cervello. Cadde sul ginocchio destro, tenendosi con una mano lo stomaco dove aveva appena ricevuto una ginocchiata, sollevando uno sguardo di fuoco sul rapinatore che era quasi riuscito a cogliere di sorpresa e arrestare senza colpo ferire. Faceva fatica a respirare e un dolore sordo si stava spandendo dal centro del suo stomaco, graffiando ogni suo centro nervoso.
Era stato messo con le spalle al muro.
- Sherlock!- gli fece immediatamente eco la voce di John.
Il consulente detective sorrise nell’udirla, perché sapeva che il suo dottore era sempre un passo dietro di lui, pronto ad aiutarlo in qualsiasi modo e che in quel momento stava accorrendo in suo soccorso. Il rapinatore infilò la mano dietro la schiena ed estrasse da un fodero appuntato alla cintura dei pantaloni un lungo coltello da sub a doppia lama, liscia da una parte e seghettata dall’altra, poi lo guardò trionfante come se ritenesse di averlo già liquidato per sempre. Sherlock piegò le labbra sottili in un ghigno davanti la palese stupidità di quell’uomo che davvero credeva di averlo già ucciso. Stava per scattare e attaccare, quando le mani grandi di John si strinsero sulle sue spalle impedendogli di muoversi, il detective sollevò lo sguardo verso il suo e vide che era così profondo e caldo e intenso da fargli provare un senso di vuoto allo stomaco.
- Sei ferito?- e la sua voce preoccupata lo raggiunse, accarezzandogli l’udito.
Sherlock avrebbe voluto dargli dello stupido perché si metteva a fare il medico con lui quando c’era davanti a loro un uomo armato e pronto a ucciderli, invece riuscì soltanto a pensare che era molto piacevole essere l’oggetto di quella premura.
- No, sto bene.- sentì la sua voce rispondere autonomamente, vibrante di quel desiderio di lavare via la paura dagli occhi blu dell’altro.
John annuì poco convinto, il suo occhio clinico e allenato aveva già registrato la fronte imperlata e i tratti del viso tesi, come anche la mano con cui si teneva lo stomaco e la fatica con cui riusciva a parlare a causa del respiro spezzato. Strinse forte i denti come se stesse reprimendo a fatica la collera che provava ogni volta che Sherlock veniva ferito o solo colpito, sia quando il loro avversario era forte abbastanza da tenergli testa, sia quando il suo compagno era abbastanza avventato da correre tutti i rischi possibili e immaginabili pur di risolvere il suo caso.
- Adesso riprendi fiato.- disse John abbassandosi con il viso fino a portare le loro fronti in contatto.
- John!- provò a protestare il detective.
Ma il medico gli mise una mano sulla testa, affondando le dita in quei ricci morbidi e scuri, scorrendo tra le ciocche fino a raggiungere la nuca. John vide il compagno socchiudere gli occhi, le ciglia fremere appena contro la pelle dello zigomo, momentaneamente dimentico dell’uomo armato che ancora li stava aspettando, perché adorava essere toccato in quel modo.
- Lascia fare a me. Sono un soldato, ricordi?- lo redarguì, la voce profonda e addolcita che sembrava avvolgere l’altro come una coperta di lana calda in pieno inverno.
Il biondo staccò le mani da lui muovendosi il più piano possibile, curando di mantenere il più possibile un contatto, cercando in questo modo di calmare se stesso e l’altro. Sherlock aprì gli occhi in tempo per vederlo slacciarsi il giaccone e lasciarlo cadere a terra, gli rivolse un altro sorriso rassicurante e poi si avvicinò al rapinatore, assunse una posizione di difesa sollevando le braccia davanti al corpo e rimase in attesa.
- Allora è vero quello che si dice in giro. – ghignò il rapinatore – Siete così carini insieme che un po’ mi spiace farvi la pelle.- disse e si slanciò in avanti.
John non si permise di arrabbiarsi, doveva restare concentrato se voleva tirare fuori vivi da quella situazione se stesso e Sherlock. L’uomo provò un affondo, che il medico evitò saltando di lato. Per un attimo gli parve di essere ritornato in caserma quando veniva addestrato nell’autodifesa: anche allora il caporale con cui doveva combattere impugnava una lama vera, ma non aveva alcun intento omicida nei suoi confronti almeno. Il rapinatore continuava a tentare degli affondi e John continuava a evitarli con una certa facilità, il soldato che era ancora vivo e attivo dentro di lui riconobbe nell’altro una buona tecnica sporcata però dalla ripetitività e prevedibilità nei colpi sferrati.
Sherlock osservava compiaciuto John scartare con dimestichezza e metodo. A volte dimenticava che l’altro aveva servito nell’esercito britannico e con successo anche, visto che aveva raggiunto il grado di capitano. Di prove della sua alta preparazione militare ne aveva avute a iosa fin dal loro primo caso, ma forse quella dimenticanza dipendeva dal fatto che in John il medico aveva quasi sempre la meglio sul soldato, perché lui preferiva salvare la vita alle persone piuttosto che toglierla, nonostante fosse abile in entrambi i campi. Si rimise in piedi quando avvertì il dolore allo stomaco scemare e la respirazione rifarsi pian piano regolare, senza mai distogliere lo sguardo dal suo compagno e pronto a intervenire nel caso ce ne fosse bisogno.
John trattenne a fatica un lamento quando la lama del pugnale nemico gli morse la pelle dell’interno coscia destro, perché non voleva dimostrarsi debole agli occhi di Sherlock, voleva mostrargli quanto valesse anche lui. Si tirò indietro di alcuni passi, doveva guadagnare tempo e cercare un varco nella difesa avversaria per poterlo disarmare e porre fine a quello stupido scontro. Stava perdendo troppo tempo e sentiva il sangue impregnargli la stoffa dei pantaloni, colando e portandosi via un po’ della sua forza una goccia dopo l’altra. Il rapinatore sorrise, sentendo la vittoria già in pugno. John avvertì una rabbia sorda ribollirgli nello stomaco perché non poteva finire in quel modo, non lì in un vecchio collettore fognario dismesso al di sotto del piano stradale urbano, non quando Lestrade e gli altri stavano per arrivare.
Per un attimo fu attraversato dalla consapevolezza di non potercela fare, come un brivido freddo che sciabordava lungo la sua schiena, e quella paura lo paralizzò inchiodandolo sul posto, nella sua posizione. Ma l’attimo successivo l’avvertì e fu come essere attraversati da una scossa elettrica ad alto voltaggio, la consapevolezza che Sherlock fosse lì con lui, a pochi passi da lui lo riscosse e poteva avvertirla distintamente contro di lui, più alta e più imponente, forte. Era soltanto un’illusione creata dalla sua mente, lo sapeva, ma riusciva a sentire in modo chiaro e netto il suo torace premuto contro la propria schiena e quelle mani eleganti e dalle dita affusolate stringergli le spalle, come se fosse dietro di lui e lo incitasse silenziosamente a non mollare. Quando John riportò lo sguardo sul rapinatore era determinato a vincere e a spedirlo in galera. Lo osservò attentamente e si disse che quella era l’unica cosa da fare. Calcolò con attenzione i tempi, leggendo le intenzioni dell’avversario nella postura del suo corpo, inspirò e si decise a reagire.
Sherlock aveva osservato incuriosito il suo dottore, per un attimo gli era sembrato indeciso e sul punto di cedere, ma all’improvviso aveva recuperato tutta la sicumera del soldato. Le spalle non erano più incurvate in avanti ma aveva la schiena ben dritta e la postura ora era più solida, in quel momento John ispirava forza e determinazione. Il rapinatore si fece avanti e provò ad affondare il coltello nel torace, con un’improvvisa e sorprendente sensazione d’orrore Sherlock vide che quella volta il suo dottore non fece nulla per schivare il colpo, ma al contrario vide il braccio raggiungere il corpo di John e l’affondo andare a segno. Un senso di vertigine lo colse quando la sua mente gli ripropose con sadica precisione l’immagine tridimensionale della lama che affondava nella carne, tranciando i tessuti e i nervi, recidendo i vasi sanguigni e producendo un’emorragia che non sarebbe mai riuscito a fermare. Si sentì piegare in due da un conato al pensiero di aver perduto il suo coinquilino, l’unica presenza in un mondo popolato da sette miliardi di persone che aveva il potere di farlo sentile a casa e amato in un mondo che avvertiva come straniero e ostile, l’unica luce che avesse mai illuminato il buio della sua esistenza.
Stava per crollare su se stesso, un pezzo dopo l’altro come uno specchio colpito da un sasso, quando John si girò in modo da permettergli di vedere che in realtà aveva bloccato il braccio del rapinatore tra il suo e il torace, stringendo forte fino a fargli mollare la presa sul coltello. Sherlock batté un attimo le palpebre per lo stupore, prima che dentro di lui il senso di orrore e perdita venisse sostituito dal prepotente desiderio di sbattere la testa contro il muro, perché quando si trattava di John non riusciva a tirare fuori una deduzione decente. Era semplice, addirittura elementare comprendere quali fossero le intenzioni del dottore leggendole dalla postura che aveva assunto il suo corpo, ma lui era stato distratto dalla paura che l’altro fosse stato ferito gravemente per poter usare efficacemente il suo cervello.
Sherlock guardò attentamente il suo compagno immobilizzare il rapinatore, bloccargli le braccia dietro la schiena e legargli i polsi con una fascetta di plastica. Fu allora che notò che si muoveva in modo strano, a scatti e comprese che non era uscito indenne da quello scontro. Sapeva che John era un soldato addestrato ed esperto, chissà quanti scontri all’arma bianca doveva aver affrontato sia in addestramento sia in un vero e proprio combattimento, eppure un insulso rapinatore da strada era riuscito a segnare ben due ferite sulla sua pelle e lui in quel momento si sentiva come se una presa gelida gli stesse stritolando le viscere. Era così strano per lui trovarsi preda di qualcosa di imperfetto e ingestibile come i sentimenti, ma da quando John era comparso nella sua vita gli ingranaggi arrugginiti della sua sfera emozionale avevano ricominciato a muoversi, a fatica e in maniera stridente, ma era arrivato al punto che ogni cosa dentro di lui convergeva nell’universo blu e perfetto delle iridi dell’altro uomo.
- Sherlock dannazione, vieni a darmi una mano!- imprecò il biondo con il ginocchio piantato al centro della schiena del recalcitrante rapinatore.
John sollevò la testa verso il consulente investigativo e, per il movimento, due ciocche gli scivolarono sulla fronte ondeggiando e andando a ombreggiare il blu profondo e dolce di quelle iridi. Una serie di immagini invase la mente di Sherlock, come se il suo cervello avesse sezionato la scena scomponendola in una serie di fotogrammi che la ripercorrevano attimo dopo attimo, per poi archiviarle tutte in quella stanza del Mind Castle che aveva dedicato esclusivamente a John.
- Pensavo che avessi una resistenza maggiore, capitano.- commentò mentre si avvicinava ai due.
Per nascondere il turbamento che provava dentro, per non mostrare all’altro quanto fosse penetrato a fondo dentro di lui e non dargli un’arma di sicuro effetto da adoperare contro di lui, perché un uomo razionale come lui, che aveva dedicato tutta la sua vita all’analisi logica dei fatti, non era pronto ad affrontare qualcosa di così potente, sconosciuto e terrificante come i sentimenti.
- Mi spiace deluderti, ma avrei davvero bisogno di aiuto in questo momento.- replicò l’ex soldato.
Le labbra di Sherlock si stirarono in un pallido sorriso, perché la vena polemica nel suo dottore indicava che stava bene.
- È arrivato Lestrade con la cavalleria, puoi lasciare tutto a lui.- disse il moro di nuovo con la sua aria di superiore distacco ben impressa in volto.
Pochi secondi dopo gli Yarder irruppero con le pistole impugno e urlando al sospettato di arrendersi.
- In perfetto orario per perdersi lo spettacolo, ispettore.- commentò ironico Sherlock.
- C’era traffico per strada.- ribatté Lestrade, irritato.
- Di’ piuttosto che Anderson ha sbagliato strada. Prevedibile. – concluse con quel tono saccente così tipicamente suo da far sogghignare il dottore e offendere i due Yarder – John smettila di giocare con il rapinatore e andiamo via.- ordinò il moro mentre già si stava avviando verso l’uscita.
John sospirò e scosse la testa, pensava che i tempi in cui riceveva ordini ai quali poteva solo obbedire fosse passato da un pezzo, ma fece comunque quanto dettogli dal compagno.



§§§



Rientrarono al 221b di Baker Street quasi un’ora dopo e per fortuna Mrs. Hudson era troppo occupata con le sue soap opera messicane per notare il loro ritorno. John sospirò sollevato, adorava la loro padrona di casa ma in quel momento si sentiva troppo stanco per ascoltare i suoi rimproveri sulla loro sconsideratezza. Sherlock, che aveva risalito i diciassette scalini a due a due, fresco e riposato come una rosa, John invece sentiva dolergli anche muscoli che aveva dimenticato di possedere e i tagli al braccio e alla coscia gli bruciavano in un modo che lo stava facendo impazzire. Sul taxi aveva fatto delle fasciature di fortuna strappando la sua camicia, ma sapeva che se non avesse suturato la fuoriuscita di sangue non si sarebbe fermata, infatti aveva impregnato così tanto la stoffa dei vestiti che indossava che ormai si sentiva umido ovunque e circondato da un odore ferruginoso.
A fatica John si trascinò su per le scale, fermandosi sulla soglia del loro alloggio il tempo necessario per notare il lungo spolverino nero abbandonato con noncuranza sul pavimento insieme alla sciarpa e il suo padrone già steso sul divano con le mani giunte e le dita appoggiate alle labbra.
Probabilmente stava già annegando nella noia.
In realtà Sherlock stava cercando di trovare un senso logico al tumulto di emozioni e sensazioni che si erano riversate nel suo cervello, ingombrandolo e ingolfandolo, impedendogli di pensare e di comprendere cos’era accaduto quel giorno, il perché di quel formicolio al petto che non gli dava requie da quando aveva visto il sangue del suo amico. Non era abituato, ma credeva di poter spiegare le emozioni nello stesso modo in cui si risolve un problema matematico, sbagliando completamente metodo e ritrovandosi sempre al punto da cui era partito.
Stanco, John si appoggiò contro lo stipite della porta e si fermò a guardare il compagno. Sapeva che doveva occuparsi di lui, Sherlock aveva ricevuto un brutto colpo allo stomaco e doveva accertarsi che non ci fossero lesioni interne, perché se avesse lasciato fare a lui si sarebbe lasciato morire senza fare niente. A fatica lasciò la sua posizione e si diresse a passi pesanti verso il bagno, gettando il proprio giaccone nel portabiancheria e poi si costrinse a salire un’altra rampa di gradini per raggiungere la propria camera dove teneva la borsa del pronto soccorso. Scese di nuovo dabbasso e si fermò davanti il divano in attesa, ma l’altro continuava a non notare la sua presenza. John allora si schiarì la voce.
- Togliti la camicia.- ordinò una volta ottenuta l’attenzione dell’altro.
- Hai intenzioni professionali.- considerò il moro dopo averlo squadrato da capo a piedi.
- Sherlock ti prego! Sono sfinito e devo controllare che tu non abbia versamenti nell’addome, quindi per un volta collabora senza fare storie.- replicò con uno sbuffo esasperato.
Il moro lo osservò incuriosito, inclinando la testa verso la spalla in una posa che lo faceva assomigliare tanto a un gatto. Avrebbe potuto fare resistenza, avrebbe potuto ordinargli di convincerlo, ma lo vedeva anche da sé quanto fosse stanco il volto del suo dottore e poi, più egoisticamente, sentiva il bizzarro bisogno di una prova tangibile che l’altro stesse bene – inutile retaggio di quel suo lato umano che aveva sempre cercato di soffocare – e quale metodo migliore delle sue mani calde ed esperte sul proprio corpo?
Sbuffò anche lui mentre portava le mani sui bottoni della camicia per slacciarli, giusto per non far capire all’altro il perché di quella resa repentina, e avvertì una piccola bolla di calore scoppiargli nello stomaco quando John gli rivolse un sorriso grato.
Appena Sherlock si fu liberato della camicia, il dottore si inginocchiò davanti al divano, stringendo i denti per la fitta di dolore che gli aveva trasmesso il taglio alla coscia e si fermò a studiare l’addome del suo amico su cui stava iniziando a fiorire l’ombra scura di un brutto ematoma. Allungò le mani verso di lui e iniziò a tastare la parte con perizia e cercando di non fargli troppo male. L’addome era ovviamente traumatizzato per il colpo che aveva subìto e gli avrebbe provocato dolore per diversi giorni, ma almeno era trattabile, non era duro né gonfio ma la pelle era naturalmente tesa e morbida. John sospirò di sollievo, perché sapeva che se la situazione fosse stata più grave Sherlock avrebbe di sicuro rifiutato il ricovero in ospedale e lo avrebbe costretto a operarlo lì sul pavimento polveroso del loro salotto perché rifiutava categoricamente di farsi toccare da qualsiasi persona che non fosse lui. Scostò le mani dal corpo del compagno solo per prendere una pomata contro le contusioni dalla borsa che aveva appoggiato sul pavimento accanto a sé, se ne versò una quantità generosa sulle dita e appena la sostanza entrò in contatto con la pelle, sentì Sherlock trattenere il fiato per la sensazione di gelo.
Massaggiò a lungo l’addome dell’altro uomo, fino a quando la pomata non venne completamente assorbita e il moro seguì attentamente ogni suo movimento perché gli piaceva vedere il lato più professionale di John, il modo accorto e delicato con cui si prendeva cura di lui, arrivando al punto di occuparsi di lui prima che di se stesso, come poteva capire dalla stoffa inzuppata di sangue dei vestiti che l’altro ancora indossava. Nessuno prima di quell’uomo troppo gentile e allo stesso tempo nostalgico eroe di guerra si era mai preso la briga di farlo, era molto più facile lasciar perdere quel bambino troppo complicato, troppo cocciuto e saccente che faceva perdere le staffe a chiunque a casa, piuttosto che applicarsi e scavare un varco per raggiungerlo, per capirlo e farsi capire.
Soltanto John l’aveva fatto.
Finito di spalmare la pomata, il dottore allontanò le mani da lui e si rimise in piedi, grugnendo per il fastidio dei muscoli anchilosati e piegò la schiena indietro, avvertendo le vertebre cervicali scricchiolare. Desiderava solo crollare sul letto e dormire per una settimana di fila… peccato che quella giornata infernale non fosse ancora terminata.
- Adesso tocca a me. Tu cerca di non fare movimenti scorretti, altrimenti sentirai parecchio dolore.- lo ammonì, anche se era consapevole che l’altro non l’avrebbe mai ascoltato.
John recuperò la borsa dal pavimento e la appoggiò sul basso tavolinetto del salotto, quindi si diresse verso il bagno. Sentiva il bisogno disperato di una doccia ma non poteva farla, non con quei tagli che avrebbero sanguinato più copiosamente sotto l’acqua calda. Ma ugualmente avrebbe dovuto darsi una ripulita, sia per eliminare quell’odore salino e putrido di sangue stantio e fogna che gli si era appiccicato addosso, si per una questione igienica. Riempì il lavandino di acqua tiepida e un po’ di sapone, con gesti secchi si liberò degli abiti che lanciò nel portabiancheria e si liberò delle fasciature improvvisate e ormai zuppe, e poi recuperò la spugna dalla doccia. Lavò via il sudore e il sangue rappreso sulla pelle, fremendo quando la spugna sfiorò i tagli, si asciugò velocemente con un telo dopo aver notato che il sangue aveva ripreso a scorrere e poi lo strinse attorno alla ferita sulla gamba, per tamponare la fuoriuscita di liquido ematico.
Prese il telo più grande che usavano per la doccia e con esso si cinse i fianchi per coprire la propria nudità. Con movimenti rapidi e precisi prese il kit per le suture e imbroccò il filo nella cruna dell’ago, con due dita avvicinò i due lembi della ferita sul braccio e iniziò a cucire. Quando era in guerra aveva suturato migliaia di ferite sia sugli altri commilitoni che su se stesso, la prima volta ricucirsi da solo aveva richiesto una buona dose di coraggio e un certo stomaco, ma ormai era ampiamente abituato. John chiuse la sutura con un nodo e la disinfettò con della tintura di iodio, poi prese un rotolo di fascia sterile e con essa bendò la ferita, fissando i bordi con una grappetta.
Adesso doveva occuparsi del taglio nell’interno coscia e sarebbe stato molto più facile, perché non sarebbe stato costretto ad assumere una posa scomoda e avrebbe avuto a disposizione entrambe le mani, peccato che in quel punto la carne fosse più morbida e delicata e per questo anche il solo pensiero di forarla con un ago era una sofferenza. John inspirò mentre si ripeteva mentalmente che temporeggiare avrebbe solo allungato l’agonia. Cambiò il filo di sutura con uno nuovo e soltanto quando si girò per poggiarsi al bordo della vasca, vide la figura di Sherlock in piedi a pochi passi da lui e immobile come una statua, che lo stava studiando incuriosito e sorpreso.
- Ti stai ricucendo da solo.- disse asciutto e il medico non riuscì a riconoscere il tono che aveva usato.
- Non è la prima volta.- rispose John con una semplicità disarmante, mentre si sedeva sul bordo della vasca.
A quelle parole Sherlock avvertì una punta d’orgoglio e ammirazione verso quell’uomo che ai suoi occhi era un piccolo, grande mistero che non smetteva mai di sorprenderlo perché, ogni volta che credeva di averlo svelato, regolarmente accadeva qualcos’altro che lo smentiva clamorosamente. Quando lo vide piegarsi in avanti sulla gamba per togliere l’asciugamano con cui aveva fasciato il taglio, avvertì qualcosa contrarsi dolorosamente dentro di lui, ancora non comprendeva pienamente le dinamiche dei sentimenti propri e altrui – troppo imprevedibili e casuali anche solo per pensare di provarci – ma provò il bisogno di avvicinarsi e di fare qualcosa per il suo John. Per questo motivo, sotto lo sguardo sorpreso dell’altro, si sedette a terra e gli prese la caviglia nella mano in una stretta troppo delicata per poter credere che fosse la propria, gli sollevò piano la gamba e lo fece appoggiare con il piede sul proprio ginocchio.
John avrebbe voluto chiedergli il motivo che lo aveva spinto a fare tutto quello, ma la vicinanza di Sherlock in quel momento era tutto ciò che desiderava e perciò decise semplicemente di godersela. Portò le mani sul nodo con cui aveva stretto l’asciugamano e lo sciolse, lasciandola cadere a terra. Lo sguardo di Sherlock si fece più scuro quando vide il taglio inciso sulla carne morbida di John, sapeva che non era pericoloso e che nel giro di pochi giorni si sarebbe rimarginato, ma quell’analitico distacco che lo caratterizzava sempre, in qualsiasi situazione non arrivava, ma al contrario si sentiva preda di istinti contrastanti e troppo forti perché riuscisse a comprenderli e quindi a controllarli. Sapeva di odiare l’uomo che aveva fatto del male a John, ma sapeva anche che c’era dell’altro, che non era così semplice. Appoggiò la guancia sopra il lato del ginocchio dell’altro e, mentre lo osservava cucire i due lembi della ferita con una sicurezza che proveniva dalla pratica, sentiva il timore di perdere il suo compagno acquattato dentro di lui come una belva nascosta nell’ombra e pronta a sbranarlo, fremeva al pensiero che quel giorno avrebbe potuto concludersi tutto, che avrebbe potuto perdere John… Il suo John che lo comprendeva come nessun altro, che aveva creato un mondo perfetto attorno a lui in cui non si sentiva più uno straniero in un mondo estraneo, che lo accoglieva ogni giorno a braccia aperte, che lo amava con un amore dal quale non esisteva ritorno.
Sherlock circondò il polpaccio di John con entrambe le braccia e piegò la testa di lato, cercando di nascondere il volto contro la sua pelle. Aveva l’impressione che a stringerlo in quel modo non sarebbe mai riuscito ad andare via da lui. Il biondo, che in quel momento stava finendo di bendarsi, avvertì quella presa forte sulla propria gamba e sollevò lo sguardo per scoprire cosa stava combinando l’altro e, quando lo vide abbarbicato al suo arto, non poté reprimere un sorriso intenerito perché in quel momento gli sembrava un bambino sperduto. John allungò la mano verso di lui e affondò ancora una volta le dita tra i ricci sulla fronte, in una carezza che voleva essere gentile e delicata, per lavare via tutta la paura e la tensione di quel giorno.
- Sto bene, Sherlock.- mormorò sapendo che era ciò che l’altro voleva sentire.
Perché la paura del suo amante era anche la propria. Quando lo aveva visto accasciarsi a terra dopo essere stato colpito, si era sentito come se il suo mondo fosse improvvisamente esploso in mille frammenti e aveva dovuto fare quasi violenza su se stesso per non perdere il controllo. John era riuscito a calmarsi solamente quando era riuscito ad accertarsi che l’altro stava bene, che non era stato ferito gravemente, ma combattere contro il rapinatore in modo pulito, solo per disarmarlo e non per spezzargli il collo, era stato più difficile di quanto avesse immaginato. Eppure, nonostante tutto, in quel momento erano insieme, un po’ ammaccati ma indubbiamente vivi ed era quello ciò che importava.
Sherlock spinse ancora di più il volto contro il suo ginocchio, strofinando il naso e le labbra sulla sua pelle, accarezzandolo con il suo respiro caldo e bisbigliò un grazie, Dio!, così flebile che il biondo riuscì a sentirlo solo con molto sforzo. Un calore denso gli riempì lo stomaco, perché quell’isolita esclamazione era l’ultima cosa che avrebbe pensato di udire sulle labbra del suo coinquilino e ciò gli fece intuire più chiaramente quello che stava provando in quel momento, John si chinò in avanti fino a lasciargli un bacio sulla spalla nuda e sentì la sua pelle incresparsi in un leggero brivido sotto le sue labbra.
La guerra aveva strappato a John più pezzi di quanto fosse disposto ad ammettere, l’aveva rovesciato e svuotato, spesso si era sentito più un fantasma che un essere umano vero e proprio, ma ultimamente aveva incominciato a pensare che tutte le sofferenze inflitte e patite nel suo periodo militare fossero state in realtà il giusto prezzo da pagare per poter vivere quella nuova, stupefacente e bellissima pagina della sua vita assieme a quel terremoto vivente del suo compagno e lo provavano momenti come quello, in cui Sherlock lasciava trasparire un po’ i suoi sentimenti, quel suo cuore che diceva di non avere e John se ne abbeverava come un assetato. Spostò la testa in modo da incastrarla nell’incavo del collo del moro, aspirando a fondo l’odore intenso di quella pelle candida.
- Andiamo a letto?- domandò, parlando con le labbra premute contro di lui in una carezza intima e sensuale.
Sherlock annuì con un cenno della testa, sfregando la guancia contro la sua gamba, i morbidi riccioli scuri che lo stuzzicavano piacevolmente. Il moro si allontanò da lui a fatica, come se non volesse interrompere quel contatto, ma quando lo fece si rimise in piedi con un unico, elegante movimento che ebbe l’effetto di ipnotizzare per un attimo il dottore e fu per questo motivo che non si rese immediatamente conto del mondo in cui l’altro lo stava osservando. Lo sguardo di Sherlock era profondo e così intenso, così diverso da quello freddo e analitico che aveva ogni giorno che John si sentì aprire un buco in fondo allo stomaco. Sentendo il cuore battere più veloce nella gabbia toracica, il dottore gli si accostò di un passo e gli appoggiò le mani sulle spalle, quindi si sollevò sulle punte e lo baciò. Subito le mani del consulente investigativo corsero al corpo premuto contro il suo, lo imprigionarono in un abbraccio, sollevandolo appena da terra senza rendersene conto, mentre affondava ancora di più nella bocca del compagno.
Perché John sapeva che in quel momento le parole erano totalmente superflue, che avevano bisogno di un contatto tra di loro più tangibile, di sentire davvero la consistenza reale e tangibile dei loro corpi, quel calore che gridava a gran voce che erano entrambi vivi. Inclinò la testa di lato per lasciare più spazio a Sherlock e affondò la punta della dita nella carne sopra le scapole, lasciando dieci impronte tonde e rosse sulla pelle nivea.
- Questa notte dovrai ospitarmi nella tua camera amico mio, perché temo di essere così stanco da non riuscire a salire quei pochi gradini che portano alla mia.- gli bisbigliò sulle labbra, guardandolo negli occhi e sorridendogli piano.
Sherlock ricambiò il suo sorriso prima di tornare a baciarlo, John era un’impronta calda e odorosa di disinfettante contro di lui, lo sentiva attorno e dentro di sé e quella riprova che l’altro era ancora vivo era così potente da farlo fremere. Sherlock era un egoista e un opportunista, non era l’uomo che l’altro credeva che fosse, per questo motivo per quanto sarebbe stato pericoloso e sarebbe potuto costare la vita a uno o a entrambi di loro, non avrebbe mai rinunciato ad avere al proprio fianco John, in qualunque situazione o per qualsiasi motivo, perché finché l’avesse avuto con sé tutto sarebbe andato per il meglio.

  
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