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Autore: Loveless    15/07/2012    1 recensioni
Lungo la strada del deserto, Stein affronta i suoi demoni.
[Stein/Medusa, Joe/Marie, manga verse; spoiler fino al capitolo 60]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franken Stein, Marie Mjolnir, Medusa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note preliminari: No, allora, che io riesca a scrivere una storia normale sembra impossibile, ma questo già lo sapete *ride* Questa è la revisione di una fic vecchissima che ho scritto all'epoca dell'uscita del capitolo 60 (è già uscito in Italia?), quello in cui Stein e Marie ricompaiono per affrontare Justin. Ovviamente non sapevo ancora in che schifo sarebbe precipitata la serie di lì a poco (spiacente, ma per me gli ultimi 40 capitoli andrebbero eliminati più o meno in blocco), quindi mi illudevo che la caratterizzazione di Marie e Stein fosse più profonda, che Medusa comparisse più spesso, che la storia fosse più aaaaaaangst e meno wtf?!, e via dicendo. Per un qualche motivo questa storia era stata cancellata dal mio archivio personale, ma ieri l'ho recuperata e, rileggendola, mi sono resa conto che si poteva migliorare. Perciò, eccovela qui, giusto per svecchiare un po' la mia pagina su Efp e per dare un po' più amore al pairing, che ne ha tanto bisogno.
 






L’aveva sentita arrivare mentre stava seduto a guardare la notte srotolarsi lungo la lunga linea frastagliata e metallica del deserto. Fra le ombre che si accalcavano vicino alle braci morenti del fuoco, lei era soltanto quella più densa e meglio delineata, la più tangibile, quella con l’odore del buio addosso, che filtrava attraverso i pori della pelle. Non si girò a guardarla.
«Avrei dovuto aspettarmelo»
«Ma non sei realmente sorpreso»
Stein tirò una lunga boccata al mozzicone di sigaretta, spingendo la punta degli scarponi fra la cenere già spenta.
«Non davvero»
«Hai trovato quello che cercavi, Stein?»
«Risponditi da sola, visto che sai sempre tutto»
Lei rise a voce bassa.
«La tua compagna ha trovato il suo assassino. Ma tu perché sei qui?»
«Io sono qui perché c’è Marie»
Non poté impedirsi di rabbrividire quando le dita di lei gli sfiorarono la nuca in una carezza lenta che si scioglieva fino alla spina dorsale; i polpastrelli erano innaturalmente morbidi e gelati, come le ultime propaggini di un incubo che si dissolveva al risveglio: Medusa era sempre stata una creatura a metà, immersa nel crepuscolo, né viva né illusoria.
«Sei cambiato tanto»
Si rese conto di non conoscere quella voce. Era sempre stato convinto di averne sentito tutte le sfumature di espressione, nella realtà e nelle allucinazioni, e di poter indovinare in ogni momento le scintille che le illuminavano gli occhi quando Medusa parlava o sorrideva. Ma quel mormorio sommesso, quello non riusciva ad identificarlo.
Girò la testa, costringendosi ad imprimere il movimento anche alle spalle irrigidite dalla marcia forzata nel deserto. Medusa stava accucciata poco distante da lui, le mani infossate nello strettissimo spazio fra le ginocchia e la testa appena piegata di lato. La prima cosa che vide di lei, però, furono gli occhi ed il riflesso cupo che gli si era impresso indelebile nella memoria, giorno dopo giorno. Le iridi sembravano oscurarsi ogni secondo di più, fra i ciuffi neri che le cadevano in angoli aguzzi sulla fronte.
«Arachne» mormorò, vagamente sorpreso. Lei scosse la testa.
«Il corpo è suo, sì, ma l’anima è la mia»
«Sei cambiata anche tu»
Medusa rimase in silenzio, contraendo gli angoli della bocca in quella linea dura e spigolosa fin troppo familiare del suo sorriso.
«Ho avuto interi millenni di tempo per cambiare. Pochi mesi non bastano a mutare la natura di una strega»
Mentiva, ancora una volta, con la stessa naturalezza di sempre. Cosa ci fosse di sbagliato, in quel momento, fra lo spazio che li separava e l’oscurità sempre più fitta, Stein non sapeva dirlo con precisione, ma qualcosa c’era, ed era dentro di lei, come mescolato al suo odore.
Si strinse i gomiti, tornando a guardare il confine tra il cielo ed il deserto che sfumava sempre di più, la sabbia che si stemperava grigia dentro la notte che avanzava ad ogni passo. Il freddo sarebbe arrivato presto, ma per il momento non era altro che un soffio tenue contro le palpebre semichiuse. Sarebbe dovuto tornare dentro la tenda, dove Marie stava riposando, e dormire. Serrare gli occhi e chiudere fuori dalla sua testa l'oscurità. Dimenticare ogni scintilla nel buio.
«Bugiarda»

Marie impugnò le forbici e recise la prima ciocca di capelli con un colpo deciso, netto quanto un taglio chirurgico. Non piangeva, stringeva forte le labbra e tagliava come se ogni sforbiciata le strappasse via un pezzo di sé.
«Joe diceva che i capelli sciolti mi stavano benissimo»
Un’altra ciocca. Degli invisibili filamenti biondi si impigliarono fra le piante nude dei suoi piedi e le fibbie dei sandali, ma lei non se ne accorse. Lui sì.
«Forse sarebbe triste, adesso, e cercherebbe di fermarmi»
Quando Joe era morto, lei lo aveva seguito. I sandali, le ciocche che cadevano sul pavimento, erano il suo modo di portare il lutto; attorno al polso Marie teneva un paio di elastici per legarsi i capelli rimasti in due trecce sottilissime.
Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che si erano guardati negli occhi che Stein non riusciva nemmeno a ricordarlo. In quel viaggio si erano ritratti l'uno dall'altra ed avevano continuato a camminare lungo strade parallele, fianco a fianco, senza mai provare ad incontrarsi.
«Ma lo sto facendo per lui»
Stein finì di sistemarsi l’ultimo bottone della camicia nera. Lui non portava il lutto per Joe, ma per Marie. Qualcuno avrebbe dovuto ricordarla.

Sapeva che lei li stava seguendo.
La sentiva sempre dietro di sé, una presenza più soffocante e stritolante di quella della propria pazzia repressa; per quanto si sforzasse di dimenticarla, di ignorarla deliberatamente, Medusa si sedeva ogni notte dietro di lui e rimaneva ad osservarlo senza una parola.
Un sera le aveva chiesto: «Per quanto ci seguirai, ancora?»
«Per quanto ti seguirò?»
Aveva potuto quasi vedere il suo sorriso. Quasi.

Marie gli aveva chiesto: «Stein?»
Aveva scosso la testa, come a dire di non chiedergli altro.

Non se n’era accorto prima, ma Medusa aveva una sottile ragnatela bianca stampata sulla guancia sinistra, proprio sotto l’occhio, quasi nello stesso punto in cui lui aveva la sua cicatrice. Quando allungò la mano per toccarla, lei lo lasciò fare, rilassata come se lui non fosse un pericolo da temere.
«E questa?»
«Non si abbandona un corpo senza lasciarsi nulla dietro»
La ragnatela sembrava avere una propria, pallida lucentezza, ma nessun rilievo; riusciva a sentire solo la pelle liscia di Medusa, senza incontrare ostacoli. Si rese conto di non averla mai toccata, prima di allora: le aveva piantato una mano nello stomaco, l’aveva quasi baciata, l’aveva tagliata in due ed aveva ballato con lei ma non l’aveva mai toccata davvero. Il pensiero gli fece allontanare in fretta le dita.
«Dovevi odiarla davvero tanto, tua sorella maggiore»
«Diciamo che Arachne mi serviva più da morta che da viva»
Medusa fece una breve pausa, battendosi il pollice sul labbro inferiore come se stesse riflettendo.
«Sono una strega. Non mi hanno insegnato a rispettare i legami di sangue»
«Anche se l’avessero fatto, te ne saresti fregata. Segui soltanto il tuo egoismo»
«E tu non fai lo stesso, Stein?»
Lui aprì la bocca per rispondere, ma si trovò solo ad annaspare a vuoto, senza aria nè risposte da darle. Medusa gli rivolse un piccolo ghigno di vittoria.
«Lo immaginavo»

Marie gli aveva chiesto: «Che cosa ti sta succedendo?»
Non le aveva risposto. Non le rispondeva mai.

Le labbra di Medusa risalirono in silenzio lungo la linea del suo mento e della bocca, lente e dense come sangue, ridisegnando i suoi contorni, tracciando di nuovo i confini fra lui ed il buio; si impigliavano tre le sue, gli legavano le mani e sigillavano i suoi occhi, mentre il freddo continuava a pulsare contro la sua fronte ed il senso di colpa premeva come uno osso spezzato contro lo sterno, quasi cercasse di squarciarlo.
Stein si sentiva in bocca il sale, la sabbia e la polvere del deserto, le dita chiuse a pugno fra le ciocche di capelli dense di oscurità e la lingua sul filo dei suoi occhi, ed il respiro di lei, solido e tangibile quanto la sua presenza, che gli si infilava gelato tra le labbra.
Aprì gli occhi con uno spasimo improvviso. Si rese conto che stava tremando, che una spiacevole sensazione liquida gli si stava solidificando nello stomaco come cera ormai fredda. Rimase per qualche tempo ad aspettare che il battito del suo cuore rallentasse. Da quando aveva conosciuto Medusa aveva saputo dare un nome alla paura: dopo anni di sfumature e pensieri astratti, ora tutto diventava reale.

Le asperità della roccia si imprimevano, bollenti come se il sole stesse battendo ancora su di loro, sotto i palmi delle sue mani già livide e spellate. Le impronte di Marie, mezze risucchiate dalla sabbia, andavano avanti per un pezzo di strada, poi tornavano indietro, vicino al punto dove stava lui.
«Ti è mai capitato di voler tornare indietro nel tempo?»
I cambiamenti erano stati impercettibili, graduali, talmente insignificanti che non sarebbe mai riuscito a ricostruire con precisione il momento da cui erano cominciati. Forse tutto era iniziato quando avevano lasciato Death City, forse durante il viaggio in Alaska, forse non c’era mai stato niente da poter dividere.
Ma quali fossero state le cause, il momento esatto, lui sapeva vedere soltanto la divisione.
«Ci sarebbero davvero molte cose che cambierei, se solo ne avessi la possibilità»
Aveva visto Joe una sola volta. Anche se richiamava alla memoria la sua immagine, Stein non riusciva a capacitarsi di come un uomo simile fosse oggetto di un amore e di un rimpianto così totalizzante da annullare ogni cosa. Ma forse era soltanto la morte che rendeva i rimpianti immensamente più grandi di quanto fossero mai stati in vita.
«…Ma indietro non si può tornare»

Medusa lo guardava, raggomitolata su se stessa, gli occhi chiusi a mezzo.
«Dovresti tornare indietro»
Lui affondò una mano nella sabbia. Era gelida, stranamente compatta, ma impossibile da trattenere fra le dita; già da molto tempo si era reso conto che ogni momento della sua vita gli era irrimediabilmente sfuggito via dalle mani. Non gli serviva Medusa per ricordarlo.
«Non posso farlo»
«E’ per Marie?»
Rimase in silenzio. Medusa gli sembrava stranamente piccola e curva, troppo bianca, di un pallore cadaverico. Ricacciò in fretta il pensiero in un angolo della sua mente, prima che gli venisse la nausea.
«Sì, è per lei»
Medusa sospirò, lanciandogli uno sguardo sottilmente ironico al di sotto delle palpebre senza dire nulla.
Poteva ingannare Marie, poteva ingannare il mondo, poteva ingannare se stesso, ma non avrebbe mai potuto ingannare lei. Lo conosceva troppo bene. Era capace di tracciare con la memoria ciascuna delle sue cicatrici, sapeva quali parole sarebbero riuscite a ferire e a sanguinare fino ad incancrenirsi.
Non lo faceva per Marie. Non per la Marie che camminava sempre un passo dietro di lui, che si fermava per momenti interi a fissare la linea incandescente del deserto, con gli occhi pieni di qualcosa che andava oltre la rabbia ed il senso di perdita, ma nemmeno per quella ragazza che lo aveva sempre spinto in avanti quando riusciva a malapena a mettere un piede davanti all’altro. Non per Joe, una presenza invisibile che gli camminava a fianco, messo tra lui e Marie come una voragine che di giorno in giorno si allargava e che minacciava di inghiottirlo. Non per amore di giustizia e verità – quando mai ci aveva creduto?
Le pupille di Medusa ebbero una contrazione quasi violenta quando lui allungò un braccio per agguantarle i capelli della nuca e stringerli tra le dita, mormorando direttamente sulla pelle calda della sua gola: «Va bene. Lo faccio per me. Solo per me»
Ad occhi chiusi, le labbra serrate su quelle di lei, Stein pensò che sarebbe arrivato fino in fondo, perché era così che doveva andare, perché non poteva fare altro e perché era semplicemente troppo debole per sottrarsi a ciò che lo costringeva ad avanzare.
Anche se sapeva che la sua debolezza l’avrebbe portato soltanto all’ennesimo errore, all’ennesima curva troppo stretta che svoltava verso il nulla, all’ennesima strada sbagliata.
  
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