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Autore: _joy    15/07/2012    5 recensioni
«Domani a quest’ora saremo a Londra» gli dico, piano.
«Domani a quest’ora saremo affogati tra le tue valigie» ride lui.
Gin/Ben
[Serie "Forever" - Capitolo III]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Resto agghiacciata a fissare quelle persone sospese per aria a testa in giù.
Poi sussulto quando sento le loro grida.
 
E sento una bassa risata e due braccia che mi circondano la vita.
«Tranquilla, piccola: lì non ti ci porto»
Mi rannicchio tra le braccia di Ben e sospiro felice. Lui posa la guancia sui miei capelli e resta a guardare con me la discesa infernale del Blue Tornado.
Siamo a Gardaland.
Domani partiamo per Londra. Insieme.
Non sapevo bene come passare la mia ultima giornata in Italia e alla fine abbiamo optato per un programma alternativo.
Per prima cosa, perché io avevo bisogno di sdrammatizzare un po’ dopo la visita a sorpresa dei miei a Milano.
Io ero andata a trovarli a casa e l’umore causato dalla mia imminente partenza decisamente non era dei migliori. Malgrado le rassicurazioni (insomma, Londra è a un’ora di volo: non sto emigrando in Antartide!) la famiglia Morelli ha espresso la sua disapprovazione con ogni forza, con ogni espressione, con ogni frase, a cadenza di un minuto circa tra un’esternazione e la successiva.
Insopportabile.
«Papà, ho un contratto di un solo anno!» ho ripetuto per la centesima volta, esasperata.
«Appunto: una cosa precaria, instabile, improvvisa, inopportuna…»
Uff.
Siamo andati avanti così per cinque giorni. Cinque lunghissimi, estenuanti giorni. Con me che ho portato pazienza, blandito, obiettato, spiegato, argomentato, rassicurato e – alla fine – gridato come una pazza che io partivo comunque, il lavoro l’avevo già accettato, e tanti saluti.
Al che, mia madre è intervenuta cercando di fare da paciere e, nel mentre, di comprendere lei stessa questa mia decisione, per loro così inusuale. I miei sono molto concreti e il concetto di “un lavoro nel cinema” fa drizzare loro i capelli.
Pazienza, dovranno adeguarsi.
Io della mia vita al momento non cambierei una virgola.
Stretta a Ben, ripenso a quante cose sono cambiate da quando stiamo insieme. E sono appena due mesi. Non possiamo rimandare il trasferimento, perché lui sta cercando di restare in Italia quanto più possibile, ma a breve inizieranno le riprese di un nuovo film a Vancouver (Vancouver! Aiuto!! È dall’altra parte del mondo!) e francamente a me dispiace che sia sempre sopra qualche aereo, cercando di ritagliare dei momenti per noi.
Lui dice che non gli importa, ma io alla fine sono quella che non sta facendo nulla, per cui abbiamo deciso che se mi trasferisco a Londra posso iniziare ad ambientarmi e contemporaneamente essere più vicina a lui.
Inoltre, Livia (la moglie di Colin Firth, quella Livia che mi ha offerto il lavoro nella crew del nuovo film che produrrà, tratto dalla serie Vampire Academy, e che avrà Ben come protagonista. Lui ha accettato il ruolo per merito mio, quindi secondo me sto già lavorando bene!) è già all’opera: sta cercando la protagonista femminile per il film e tutto il cast, in generale.
Io la affiancherò come assistente.
E saboterò la scelta della protagonista: le farò scegliere una racchia senza attrattive, giusto per andare sul sicuro.
No, cancellate l’ultima frase. So che non posso farlo.
 
Torniamo al capitolo genitori: ero rientrata a Milano, era volato qui anche Ben per un weekend rubato e, mentre mi lamentavo stretta a lui dei giorni infernali appena passati a casa, mi era suonato il cellulare.
I miei, sotto casa. A Milano. In quel momento.
Attimi di panico. Miei, per la verità, perché Ben si è comportato benissimo. È stato calmo, rassicurante, tranquillo ed educato anche quando l’esplosione di gelosia di mio padre è salita fino a Marte.
«Sapevo che c’entrava un…un…» ha tuonato.
«Un cosa?» ho chiesto io, attonita.
Mia madre ha alzato gli occhi al cielo.
«Un…un…un uomo!» ha concluso lui, infuriato.
Io mi stavo già scaldando: ho preso da lui, inutile negarlo, e quando ci arrabbiamo uno con l’altra ricordiamo molto lo scoppio della bomba atomica, temo.
Ma Ben è intervenuto: si è presentato, li ha fatti accomodare in casa (sì, tutto ciò è avvenuto sul pianerottolo), ha spiegato del suo lavoro e del lavoro che dovrò fare io. Ha ribadito che è stata una mia scelta, che lui non vuole condizionarmi, che Livia Giuggioli è una professionista, che non corro pericoli e via dicendo.
Non so come abbia fatto.
Cioè, non fraintendetemi: io lo amo e so quante qualità e pregi lui abbia, ma sentirlo parlare così pacatamente, serenamente, di fronte a due genitori incavolati/preoccupati/stralunati mi ha stupita. Penso dipenda dall’essere cresciuto con un padre psichiatra e una madre psicoterapeuta: se c’è qualcuno che sa gestire le emozioni, è sicuramente Ben.
Stavo fantasticando su che padre meraviglioso potrà essere in futuro, quando mi sono ricordata che dovevo stare attenta a quello che succedeva in salotto, piuttosto.
Mio padre stava dicendo senza mezzi termini che non si fidava affatto e che non avrebbe affidato sua figlia a un perfetto estraneo, inglese per giunta, attore per giunta.
Io ero già prossima all’esplosione, ma Ben mi ha anticipata.
«Signore, io non sarò a Londra per qualche mese. Devo girare un film in Canada. E me ne dispiace, perché sua figlia mi mancherà moltissimo, ma purtroppo la mia vita, lavorativamente parlando, comporta delle difficoltà nei legami sentimentali. Però non toglie che io sia innamorato di lei»
Io avevo sgranato gli occhi.
Ben…Ben aveva appena detto a papà…di essere innamorato di me?
Sì, lo so che è innamorato di me, perché me l’ha detto.
Però questa era una cosa completamente diversa. L’aveva detto ai miei genitori, serenamente, come un dato di fatto, sapendo benissimo che loro probabilmente lo odiavano.
Gli avevo stretto la mano e sorriso e mi ero imposta di calmarmi.
«Mamma, papà…anche se non fossi innamorata di lui, e lo sono, questo lavoro sarebbe stato comunque una bellissima opportunità»
«Ma Gin! Non hai esperienza in quel campo, devi trasferirti all’estero così su due piedi, hai un contratto a breve termine e noi…»
Io e mia mamma ci siamo fissate e ho letto nei suoi occhi che sapeva già che era una battaglia persa.
L’ho abbracciata.
«Mamma, sono innamorata di lui. Davvero. Dammi una mano con papà» le ho bisbigliato.
Lei ha sospirato e ha guardato Ben.
«Mi dispiace se siamo piombati qui e se ti stiamo attaccando in questo modo, ma devi capire che per noi è difficile»
«Lo capisco» aveva annuito lui «Non posso certo farvene una colpa, ci mancherebbe. So che le volete bene e siete preoccupati. Ma anche io le voglio bene»
Mia mamma è sembrata dubbiosa.
«Siete così giovani. Parlare di sentimenti importanti mi sembra prematuro… e comunque, se tu non sei a Londra, lei che farà?»
«Mamma, io sono indipendente. Persino da Ben. Partiamo dal presupposto che io voglio farcela da sola, comunque, ok?»
«Non posso dirti che approvo»
«Solo perché pensate che io lo faccio per lui. Ma Ben non voleva nemmeno che accettassi» 
Distorco un po’ la verità, perché lui non mi avrebbe mai forzata, ma era indubbiamente felice, è chiaro.
E mio padre si allarma di più.
«Perché? Ma che gente è questa?»
Ben mi lancia un’occhiata di rimprovero e io alzo gli occhi al cielo.
Ore di spiegazioni, discussioni, proteste e suppliche.
Di rassicurazioni che non stavamo scappando, non stavamo andando a vivere insieme, non avremmo preso decisioni affrettate e stupide e quant’altro.
Estenuante.
Il bello è che, secondo me, a loro Ben è piaciuto. Mio padre non lo ammetterebbe mai, naturalmente, per principio.
Ma mia mamma ha approvato, anche se un po’ a malincuore.
«Sembra che ti voglia davvero bene» ha detto a cena, esitante, mentre guardava Ben che pazientemente sopportava i ruggiti di papà.
«Lo so. È incredibile, eh? Come fa a sopportare papà?»
Lei ha sorriso.
«Non ne ho idea…magari dovremmo salvarlo….»
E con mamma dalla mia parte, è stato più facile.
Lei poi ha precisato che non è affatto convinta del tutto, ma io so riconoscere una battaglia vinta.
Alla fine, i miei si sono fermati a dormire e noi abbiamo dato loro la camera di Francesca e Tommaso, mentre io mi sono trovata (sola) in camera mia e di Ben e lui, povero, è stato sfrattato sul divano.
E ha giurato e spergiurato che lui dorme sempre lì. Solo.
 
Io mi stavo rigirando nel letto, incavolata nera, quando è suonato il campanello di casa.
Ho cercato a tentoni il cellulare. L’una. Ma che cavolo?
Mi sono alzata e ho trovato Ben sulla porta, con una faccia incredula. E, accanto a lui, un ragazzo alto, castano, con una valigia in mano, che mi ha sorriso.
«Hi, I’m Jack»
Il fratello di Ben? Ma…ho buttato un’occhiata al mio ragazzo (il mio ragazzo! A volte ancora non ci credo!), che però sembrava sorpreso quanto me, mentre suo fratello mi abbracciava.
«So, nice to meet you, finally! Where can I sleep? Oh, there’s a party?»
Ha detto, vedendo i miei in vestaglia fare capolino dal corridoio.
«Ricevete sempre visite a quest’ora?»  ha chiesto mio padre, acido.
 
Nuova ridistribuzione dei posti letto: fortuna che in questa casa ci sono due divani.
Ma Jack è fantastico:  ha detto che era venuto giusto per controllare se suo fratello era vivo e intendeva prima o poi tornare a casa. Poi ha osservato il letto improvvisato sul divano, ha fissato Ben e gli ha chiesto se era normale che dormisse lì. E quando il fratello ha risposto che sì, lui dorme sempre sul divano, ha guardato me, terrorizzato.
Al che io sono scoppiata a ridere e l’incavolatura mi è passata, magicamente.
E anche il giorno dopo, la sua allegria ha aiutato a stemperare il clima rigido, ha allentato la tensione con i miei…e poi è fantastico conoscere una parte della famiglia di Ben.
 
Poi, l’ultima sorpresa: la mia migliore amica, Serena, un ingegnere meccanico che lavora in Belgio, è atterrata l’altroieri in Italia, per una visita di una settimana. Mi ha chiamata appena atterrata e tempo un’ora era sulla porta di casa.
E ha scoperto che la sua sorellina mancata – cioè io – si è licenziata, sta per trasferirsi all’estero e, udite udite, sta insieme a Ben Barnes. BEN BARNES.
Credevo le venisse un colpo.
Ma, dopo una giornata di grida e strepiti perché non l’avevo avvertita, mi ha perdonata e si è inserita nella nostra routine come se fosse sempre stata qui.
Come è sempre, con lei.
 
E così, la mia felicità è completa.
Oggi siamo a Gardaland anche con Serena e Jack. E loro non fanno che beccarsi in continuazione, il che – secondo me e Ben – è un ottimo segno.
Siamo appena andati a fare una discesa precipitosa su Atlantide e siamo fradici.
Io e Ben ci sediamo su una panchina, al sole. Lui si sdraia e posa la testa sulle mie gambe. E io spedisco Serena e Jack sul Blue Tornado: sono proprio i tipi che apprezzano di finire sballotatti e rovesciati e poi sballotatti e poi capovolti.
Io morirei.
Loro protestano perché noi non andiamo, cercano di trascinarci, ma noi siamo irremovibili. Allora iniziano a discutere su chi di loro è in grado di sedersi proprio davanti e se ne vanno dimenticandosi di noi, persi nel battibecco.
Ben alza una mano e mi tira piano l’estremità della treccia.
Gli sorrido e i nostri occhi si incontrano.
«Potresti chinarti? Il tuo ragazzo vuole un bacio»
Io lo accontento subito.
Quando ci separiamo, metto una mano tra i suoi capelli e glieli accarezzo dolcemente.
«Domani a quest’ora saremo a Londra» gli dico, piano.
«Domani a quest’ora saremo affogati tra le tue valigie»  ride lui.
Io sorrido.
«Ma no, non sono così tante»
Lui fa una smorfia comica.
«Ecco perché i tuoi sono ripartiti di corsa: per non aiutarci con le valigie»
Io mi metto a ridere.
«Amore mio, mio padre ha giurato al mio secondo anno di Università che non mi avrebbe mai più aiutata a fare un trasloco e sta mantenendo la parola»
«Mentre io…»
«Mentre tu sei il mio ragazzo e quindi sei – some dire – obbligato a darmi una mano»
Lui mi fa una linguaccia e io mi chino di nuovo a baciarlo.
Ah, che pace.
«È davvero bello qui» mi dice piano Ben.
«Sì, vero?» annuisco, entusiasta «Vale la pena venirci solo per le scenografie»
«Anche perché tu non sei così avventurosa da venirci per i giochi» mi prende in giro lui.
Io faccio il broncio.
«Io i giochi li faccio. Non tutti, ma li faccio»
Lui ride.
«Sì, quelli dei bambini»
«Te ne approfitti perché Serena ti ha raccontato di quella volta che sono voluta andare sul Volaplano»
Lui sorride dolcemente.
«Amore, il bambino più grande che ho visto salirci oggi avrà avuto sei anni»
«E allora? È bello! È panoramico! E poi, basta che ci regga, no?»
Lui scoppia a ridere talmente forte che una bambina si volta a guardaci curiosa. Io le faccio ciao con la mano e lei indica Ben, perplessa.
Io gli faccio un cenno e lui si volta, la vede e le sorride. Lei sembra perplessa e ci si avvicina. Guarda Ben con la testolina piegata da un lato.
Lui si mette seduto e le fa una carezza sulla guancia.
E lei all’improvviso dice:
«Ma tu sei Caspian!»
Io sgrano gli occhi. Ammazza, che fisionomista.
Ben ha i capelli corti e la barba, ora.
Lui esita un attimo e poi le fa un cenno con la testa.
«Sì, ma non dirlo a nessuno. Sono in vacanza. Ok?»
Lei annuisce, gli occhi sgranati.
E quando sua madre viene a prenderla, scusandosi con noi, lei le dice eccitata: «Mamma, mamma, sai chi è quello? Non te lo posso dire!»
La sto ancora guardando quando Jack e Serena tornano, spettinati e raggianti.
«Fantastico. Dovete provare»
Io faccio finta di non sentirli e propongo di andare nella zona dei pirati. Serena sbuffa e tenta di convincermi ancora.
«Uffa, Sere, ma fatti accompagnare da Jack, no?»
«No, voglio farmi accompagnare da te. Dopotutto, chi è la migliore amica che sta per abbandonarmi trasferendosi a Londra?»
«Non funziona, cara» ribatto, inflessibile «Ti ricordo che tu vivi in Belgio»
Lei mi fa la linguaccia.
E, tempo due minuti, è andata a farsi un’altra folle discesa con Jack.
Prendo la mano di Ben gli sorrido.
«Sono una bella coppia, vero?»
Lui annuisce, poi esita.
«Si vede che tu e Serena siete molto legate»
«Bè, praticamente è mia sorella…»
Lui sospira.
«Quindi, un’altra persona che mi odierà perché ti sto portando via»
Io mi fermo a guardarlo, perché penso che stia scherzando.
Mi basta un’occhiata al suo viso per capire che non sta scherzando affatto.
«Ben? Ma cosa dici?»
Lui sospira.
«Sapevo di essere egoista a chiederti di venire a vivere a Londra. I tuoi genitori, i tuoi amici, la tua vita…»
«Ma non sei egoista! Insomma, stiamo insieme, mi hai trovato un lavoro fantastico…»
«L’ho fatto per me, egoisticamente» mi interrompe lui.
«E io non dovrei esserne contenta? Sapere che tu mi vuoi a Londra per me è più importante che avere un lavoro»
«Sei così candida» mi sorride e mi dà un bacio in fronte «Così dolce. Ti fidi di me e io…io non so se sarei stato capace di fare una cosa del genere con la generosità con cui l’hai fatta tu»
Mi stringo a lui.
«Perché lo dici come se fosse un problema?»
Affondo il viso nella sua maglietta e sento la sua voce vicina all’orecchio.
«Non lo dico come se fosse un problema» sembra perplesso «Volevo farti un complimento, veramente. Tu sei così…generosa. Non pretendi qualcosa in cambio. Non fai una cosa per me per chiedermene poi una indietro»
Io alzo di scatto la testa e lo guardo sconvolta.
«Ma chi farebbe mai una cosa del genere?»
Lui fa un sorriso triste.
«Tantissime persone»
«Ma…ma perché? Voglio dire, tu hai fatto una cosa per me: mi hai trovato un lavoro, hai trovato una soluzione che ci avvicina…non capisco. Io cosa ho fatto?»
Sono confusa.
«Gin» lui scuote la testa «io ho intorno talmente tante persone che hanno cercato e cercano di trarre vantaggi dal lavoro che faccio che davvero tu mi sorprendi»
«Ma Ben…tu non sei per niente una persona calcolatrice, o superficiale, o vanesia»
«Lo spero proprio. Ma io ho alle spalle una famiglia che mi ha cresciuto con certi valori. E anche tu ce l’hai. Ma non sai in quanti farebbero di tutto per un po’ di fama, o di soldi»
Mi prende il viso tra le mani.
«Voglio che mi prometti che starai attenta. Che non ti farai condizionare dalla gente che frequenta l’ambienta del cinema, da certa gente almeno, e che resterai te stessa»
«Ma certo che te lo prometto»
«Gin, ascolta, sono serio. Io sarò lontano. C’è Livia, certo. C’è Jack…» ci pensa su un attimo «Appena ti sei sistemata magari ti porto a conoscere i miei»
Io sgrano gli occhi.
«Ben! Ma di cosa parli? Non penserai di mettermi dietro delle guardie del corpo, vero?...Vero??»
Lui fa un sorrisino e mi bacia di nuovo la fronte. Mentre mi stringe bisbiglia che non sarebbe una cattiva idea.
Io gli dò un pizzicotto sul braccio e lui ride.
«Senti, non farmi fare il fidanzato geloso e apprensivo. Comunque un po’ tuo padre ha ragione: non conosci Londra, ti ho trascinato io in questa storia per egoismo e tu…»
«Basta» lo interrompo, secca «Ma cos’è questa storia dell’egoismo?»
Lui sospira.
«Tesoro, ti ho spinta a trasferirti a Londra e ora io parto per Vancouver. Sono preoccupato. Io…»
«Stop. Allora, innanzitutto, non mi hai spinta: me l’hai proposto. E io ho detto di sì. E poi, guarda che io sono in grado di badare a me stessa. Anche se non vado sul Blue Tornado»
Sorride, un po’ più calorosamente.
«Lo so che sei in grado, mi dispiace solo….mi dispiace di non esserci. Non l’avrei mai detto, ma per la prima volta partire per girare un film mi pesa»
Gli metto una mano sulla guancia.
«Ora mi metti dalla parte di quella che ti dice di restare perché le mancherai troppo e ti pentirai di tutto quello che mi hai detto finora»
Lui sorride e scuote la testa.
«Ti amo» mi dice, stringendomi.
«Anche io, tantissimo» gli rispondo, prima di baciarlo.
 
Due ore dopo, siamo stretti l’uno all’altra sulla ruota panoramica. Jack e Serena sono venuti con noi e non fanno altro che lamentarsi, in inglese, da quando siamo in coda.
«Ma fanno sempre così?»  chiede ora Jack.
Noi lo ignoriamo. Serena sospira.
«Non ne ho idea, ma penso di sì. Del resto, tuo fratello è fortunato ad aver incontrato la mia migliore amica e quindi bisogna scusarlo»
«Secondo me è uscito di testa, non l’ho mai visto così»
Ben gli lancia un’occhiataccia. Jack gli fa una smorfia in risposta e poi chiede:
«Allora, quando la porti da mamma e papà?»
Io incrocio lo sguardo di Serena e la vedo sgranare gli occhi.
Genitori??  Mima con le labbra.
«Presto, penso»  risponde intanto Ben «Tra un po’ vado a Vancouver e non mi va l’idea di lasciarla sola…»
Io alzo gli occhi al cielo e Jack ride.
«Giuro, non ti ho mai visto così! Tu che porti una ragazza a casa, dopo solo qualche mese! Mamma e papà saranno felicissimi…certo, non che siamo proprio all’oscuro»
«Jack» sospira Ben.
«Ma dai, cosa dovevo dire? Continuavano a passare a casa nostra, a chiedermi dov’eri e quando tornavi. Cosa potevo fare? Lo sai com’è mamma….»
Ben geme.
«Ma perché non puoi mai aspettare? Non potevo dirglielo io?»
«Ingrato! Ma tanto, ormai…» mi dà una pacca sulla spalla e mi dice, in italiano: «Benvenuta in famiglia!»
Io rido.
«Magari la tua insegnante di italiano potrebbe venire a Londra a trovarci, la prossima volta che andrà in ferie»
Serena e Jack si scambiano un’occhiata e poi lei dice, indifferente:
«Magari sì, giusto per vedere come ti sei sistemata»
Ah!!! Lo sapevo!!!!!
 
La giornata si chiude con un giro nella Casa di Prezzemolo (Serena l’ha fatto apposta e me la pagherà!) e poi ripartiamo per Milano.
Il giorno dopo, Serena ci accompagna in aereoporto.
Dopo il check-in, io chiamo i miei per salutarli e poi mi volto a guardarla. E mi si stringe il cuore.
Ci abbracciamo strette e lei mi bisbiglia che è felice per me, che si vede che Ben è un bravissimo ragazzo e che era ora che nella mia vita succedesse una cosa così bella.
E poi ci mettiamo a piangere come due stupide, strette l’una all’altra.
Nemmeno una di noi stesse per partire per la guerra.
Ma piangiamo tantissimo e, quando alla fine ci separiamo, la mia amica mi asciuga gli occhi e tira su con il naso.
E poi alza gli occhi dietro le mie spalle e fa una risatina stentata.
Io mi volto e vedo Ben e Jack increduli.
Ben si rabbuia e mi tende le braccia. Io mi ci rifugio subito. Probabilmente anche Serena si accorge che è preoccupato, perché lo rassicura dicendogli che noi due piangevamo anche quando vivevamo insieme a Milano e ci separavamo per una settimana di ferie.
Poi lo traduce in inglese per Jack, mentre Ben mi accarezza i capelli, e quello ribatte:
«Tzè. Lo sapevo che non eri normale.»
Lei lo insegue per picchiarlo finchè lui non arriva alla fila dei controlli e le fa ciao con la mano. E le manda un bacio. Lei gli mostra il medio, gli occhi ridotti a due fessure.
Io e Ben la raggiungiamo e io la abbraccio ancora, fortissimo.
Lei ricambia e poi stringe anche Ben.
«Mi raccomando, te la affido. Se le succede qualcosa povero te»
Lui annuisce.
«Vieni a trovarci presto»
«Certo. Ciao, sorellina mia»
Ci abbracciamo ancora.
«Ciao, tesoro»
«See you soon, baby» mi strizza l’occhio.
Io sento il braccio di Ben dietro le spalle e mi allontano con lui.
Certo.
See you soon. 

   
 
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