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Autore: Sarugaki145    15/07/2012    3 recensioni
“Un giorno ci incroceremo in un caffè o in metropolitana.
Cercheremo di non riconoscerci
o di fingere di non vederci,
ci gireremo svelti dall'altra parte.
Saremo imbarazzati per ciò che è diventato il nostro "noi",
per quello che ne è rimasto.
Niente.
Due estranei uniti da un passato immaginario.”
(D. Glattauer)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Courtney, Duncan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Un giorno ci incroceremo in un caffè o in metropolitana.

Cercheremo di non riconoscerci

o di fingere di non vederci,

ci gireremo svelti dall'altra parte.

Saremo imbarazzati per ciò che è diventato il nostro "noi",

per quello che ne è rimasto.

Niente.

Due estranei uniti da un passato immaginario.”

(D. Glattauer)

 

 

Unknowns.

Camminava per la strada svelta, com’era solita fare, perché lei non aveva tempo da perdere, mai.

I tacchi alti che portava non le impedivano certamente la sua marcia, la rendevano, anzi, più ritmata con quel "tic tac" che risuonava sull’asfalto.

 

Lo sguardo orgoglioso sfidava la folla, mentre le gambe slanciate schivavano i  passanti agilmente.

 

I lunghi capelli castani erano raccolti in un elegante chignon, mentre qualche ciuffo le scivolava sul collo liscio.

 

Una spruzzata di lentiggini le ringiovaniva i tratti del viso, altrimenti tirati in un`espressione severa, perché era quella l’espressione che lei prediligeva, per esprimere tutta la serietà e risolutezza di cui tanto andava fiera.

 

Due occhi color cioccolato schizzavano vispi da un volto all`altro, troppo impegnati a dettare il suo cammino per potersi fermare ad osservare veramente qualsiasi cosa.


Una valigetta in pelle nera era tenuta stretta da una manina affusolata, che stonava con l`atteggiamento severo della donna. Quelle mani da bambina rappresentavano un`infanzia non vissuta, da una donna troppo concentrata sulla sua carriera.


La giovane donna prese le scale della metropolitana, per scendere di sotto e fare un breve viaggio per raggiungere l’ufficio, come faceva tutti i giorni
.

 

 

 

 

 

E il primo incontro avvenne proprio li.

 

 

 

 

Era nel suo ambiente naturale, la metropolitana.


Il buio, le ombre che si allungano, la scarsa luce artificiale, l`aria pesante non respirabile.


Lui si trovava a suo agio in quel luogo.

 

All`oscuro di quella malandrina luce del sole che poteva illuminare i suoi occhi chiari e che poteva illuminare la menzogna del suo cuore.

 

La sua cresta verde si intonava alla muffa che viveva sulle pareti di quel posto, lo faceva sentire parti di quelle pareti umide, che non gocciolavano perché, come lui, di lacrime non ne versavano mai, ma restavano comunque umide, mentre quell’acqua trapelava dai loro pori.

 

Indossava una maglietta scura, di un gruppo musicale metal non molto noto, uno di quelli che ascoltano solo i veri intenditori e lui, di quella musica, ne capiva più che della sua stessa vita.

 

Era in quella squallida metro perché quel mattino doveva andare in centro, aveva infatti bisogno di ritirare delle cartacce, come le definiva lui, dal suo nuovo datore di lavoro.

 

 

 

 

 

E fu mentre lui scendeva dalla vettura e lei aspettava di salire che avvenne.

 

 

 

 

 

Stava picchiettando col piede nervosamente sulla riga gialla che non andava superata all’arrivo della metro, preoccupata che quel mattino potesse arrivare puntuale e senza il suo solito anticipo.

 

La porta le si fermò praticamente di fronte e lei si mise a lato per poter far passare le persone che dovevano scendere a quella fermata.

 

Fu un’insolita cresta verde che attirò per un attimo la sua attenzione e proprio in quel momento un lungo brivido le attraversò la schiena.

 

 

 

 

Troppa gente, c’era decisamente troppa gente su quella carrozza per i suoi gusti e finalmente era arrivata la sua fermata.

 

Con un sospiro di sollievo il ragazzo si fece largo tra i pendolari per raggiungere le porte che si stavano aprendo in quel momento e non appena mise un piede sulla banchina gli venne spontaneo guardarsi intorno e fu in quel momento che la vide.

 

Era li, impettita mentre aspettava di salire sul convoglio, con i capelli in perfetto ordine, gli occhi truccati poco e quel nasino all’insù che l’aveva fatto impazzire.

 

 

 

 

Non si usava forse dire “se non lo vedo non esiste”?

 

Ecco, lei fece proprio così.

 

Non l’aveva visto e quindi non esisteva, era solo un frutto della sua stupida immaginazione, non era vero che era appena sceso da quella metropolitana.

 

Salì in carrozza e si guardò bene dal non girarsi per non rischiare di vederlo ancora, perché se non lo vedeva lui non esisteva.

 

 

 

 

Lei non si era girata dalla sua parte, quindi non l’aveva probabilmente visto.

O forse, semplicemente, lui non si era accorto di essere stato visto.

Questo dubbio lo accompagnò finché non osservò le porte della metro chiudersi e lentamente ripartire verso il tunnel scuro, in modo da scomparire alla sua vista.

Quella schiena però restò nei suoi pensieri per tutta la giornata.

 

 

 

 

 

Ma probabilmente lei l’aveva visto e sapeva di non esserselo immaginato, perché lei non prese più la metropolitana in quel punto, forse per paura di incontrarlo di nuovo.

 

 

 

***

 

 

E il secondo incontro avvenne proprio li.

 

 

 

Entrò in quel bar che non aveva mai frequentato perché doveva andare in bagno, ripensandoci più tardi si sarebbe appellata a questa cosa e non a quella chiamata "destino".

 

Ordinò frettolosamente un caffè e mentre aspettava scappò in bagno.

 

Quando uscì da quello squallido gabinetto dalla luce bianca al neon poté definirsi rilassata.

 

Ma è proprio quando abbassi la guardia per un attimo che il nemico attacca.

 

Alzò gli occhi tornando al bancone e questa volta non poté far finta di non vedere, non poté pensare che fosse stato frutto della sua immaginazione.

 

  Non era il solito baretto in cui giocava a biliardo ogni pomeriggio appena finito il lavoro, era stato invitato da un collega a fare una partita a biliardo in quel nuovo posto, non giocava quindi in casa.

 

Era estremamente concentrato su quelle palle colorate che dovevano eseguire i movimenti esatti che lui gli imponeva colpendoli con la pallina bianca senza numero.

 

Un pomeriggio un po` diverso, ecco come l`aveva definito prima, quando ancora non era avvenuto il fatto.

 

Stava alzando il volto con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra, aveva appena imbucato una palla impossibile.

 

 

 

 

 

 

Due paia di occhi che si incontrano e questa volta non si riescono a lasciare.

 

Il cielo e la terra.

 

L`oceano e la sabbia.

 

Respiri trattenuti.

 

Cuori infranti.

 

 

 

 

Cercò si staccare gli occhi, ma qualcosa la tratteneva contro la sua volontà.

 

 

Tentò di tornare a guardare la palla bianca, ma quella donna era più interessante.

 

 

 

 

Non avrebbero dovuto, loro non erano altro che sconosciuti ormai.

 

 

 

 

Distolse lo sguardo appellandosi a quell`orgoglio che la caratterizzava, tornando a concentrarsi sul bancone del bar.

 

Il caffè era più importante.

 

Il caffè era molto più importante di un uomo che non aveva fatto altro che rovinarle la vita.

 

 

 

Staccò gli occhi cercando di tornare l`uomo freddo e insensibile che si vantava di essere.

 

La pallina era più importante.

 

La pallina era molto più importante di una donna che gli aveva stravolto la vita facendolo sentire per la prima volta realmente vivo.

 

 

 

Un traditore, ecco cos’era.

 

Nient’altro che uno sporco traditore che nel momento del bisogno l’aveva lasciata per un’altra, senza una spiegazione, senza un perché.

 

Senza un addio.

 

 

 

Un’arpia, ecco cos’era.

 

Una donna che doveva avere il mondo sotto controllo, che doveva imprigionare lui in una gabbia di regole e di promesse.

 

Senza lasciargli la sua amata libertà.

 

           

 

 

 

-Scusi signorina, ma conosce quel ragazzo dalla cresta verde pieno di piercing? Perché continua a fissarla..-

 

-No, grazie al cielo. Poi sicuramente dovrebbe togliersi quella robaccia dalla faccia prima di poter parlare con me..!-

                                                 

 

 

 

-Hey amico! Ti sei incantato a vedere la bellona? La conosci?-

 

-Io? Ma ti pare che conosca una tutta così perfettina? Prima scenda dall`olimpo, poi ne possiamo parlare!-

 

 

 

Estranei.

 

Ecco cos`erano ora.

 

Estranei.

 

Come se il loro passato non fosse mai esistito.

 

 

 

Soli.

 

Estranei.

 

Soli.

 

Estranei.

 

Soli e estranei.

 

Estranei e soli.

 

 

 

Ormai erano solo quello.

 

 

 

 

***

 

 

 

Pianse quella sera, ripensando a quegli occhi così vivi nella sua memoria, pianse altre lacrime amare ripensando a quell’amore che l’aveva distrutta, umiliata, cambiata.

 

Si strinse al cuscino per non sentirsi così sola, mentre la televisione accesa riempiva quella stanza vuota di voci e rumori che a lei tanto mancavano.

 

 

 

Non andò con quella donna facile quella sera.

 

Era chiuso nei suoi pensieri e per una sorta di rispetto per il suo ricordo non volle soddisfare i suoi bisogni carnali quella sera.

 

Ripensava a quegli occhi e a quella vita che era entrata in lui per un momento quel pomeriggio.

 

 

 

 

E per la prima volta dopo così tanto tempo sentirono l’esigenza di un abbraccio.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Si sarebbero amati nuovamente?

 

No, nessuno dei due riusciva più a credere nelle favole.

 

Si sarebbero odiati ed evitati, mentre si sarebbero consolati con altri.

 

Perché, in fondo, chi ha veramente amato non può fare a meno di altro amore.

 

E chissà se loro, Courtney Barlow e Duncan Nelson, l’avrebbero mai trovato in qualcuno che non fosse quel personaggio appartenente a quel passato ormai lontano.

  
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