Amo passeggiare per i cimiteri.
Nel silenzio più cupo e puro, dove tutto è finito.
Dove tutto è morto, come la mia speranza.
Aggirarmi tra le tombe chiedendomi che tipo di persone fossero, che carattere avessero, se hanno avuto una vita felice o meno.
Vedere fiori ormai appassiti, come le mie ambizioni, e notare fiori freschi che, nel tentativo invano di dare colore a una tomba grigia, la rendo solo più cupa perché sembra quasi speranzosa che che lì possa esserci ancora qualcosa di vivo.
Sentirmi quasi come se camminando in quel luogo, stessi come esplorando me stessa giacché, proprio come un cimitero, sono grigia, morta, con fiori freschi di speranza e illusione che si alternano a quelli rinsecchiti delle speranze disilluse.
Osservare che tutto è immobile o almeno sembra nonostante il tempo continui a passare.
E lo si nota dalla tomba rotta e lasciata andare, dalle foto ingiallite sulle lapidi e dagli alberi intorno che sembrano aver visto e conosciuto ogni freddo corpo portato là dentro, tanto sono incurvati e ombrosi.
Sentire l’incessante battere di cuori ormai decomposti che si alterna a una gradevole sensazione di appartenere a quel posto così morto, così pieno di sogni, dolori, gioie ormai dissolte.
Cogliere quella sottile linea tra la fine e l’inizio che la morte porta.
Quell’assordante silenzio interrotto solo dalla ghiaia calpestata.
Niente ipocrisia, compassione, odio degli altri.
Solo me e il dolce pensare a tutto e niente in un luogo che sento così mio.