Film > Howl's moving castle
Ricorda la storia  |      
Autore: Marge    16/07/2012    4 recensioni
Anni dopo aver stipulato il contratto con Calcifer, Howl è ormai allo stremo delle sue forze; si inganna conducendo una vita sregolata, ma il suo cuore, custodito tra le baci, anela ancora a ritrovare la fanciulla dai capelli argentati che comparve quella notte…
Scritta per la 10disneyfic con il prompt “Cuore”; fic legata alla saga nata dalla mia storia "Flowers Wall".
Genere: Angst, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Calcifer, Howl, Markl
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flowers Wall'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The boy who drank stars



Stelle numerose cominciarono a cadere. Il caldo di quella notte d’estate era terribile. L’aria afosa rendeva ogni passo una fatica.
Non sarebbe dovuto essere lì.
La notte delle stelle cadenti è pericolosa. Non lo ripeteva forse ogni insegnante, ogni stregone, perfino suo zio, nel donargli quel magico giardino fiorito?
Avevano visi malinconici quando arrivavano a terra. Correvano la loro ultima, disperata corsa, prima di infrangersi in mille scintille dorate; non poteva esservi tanta tristezza in così tanta luce.
Aveva lasciato i libri aperti ed un compito a metà, sul tavolo in casa, per uscire a guardare uno spettacolo tanto proibito quanto affascinante. E forse non è proprio così, ogni cosa, tanto più è bella ed accattivante, tanto più viene vietata da altri?
Cominciarono a cadere a decine, lasciando una scia fiammeggiante, di mille colori, dietro di loro. Camminando si stava impantanando, ma non riusciva a smettere di seguirle, di qua e di là, ovunque cadessero, osservare i loro visti tristi, sentire il loro canto d’addio.
Cantavano.
E le loro voci erano così basse da essere assordanti. Bisbigliavano il loro dolore per la fine, senza urlarlo. Quel canto mesto entrò nel suo cuore e gli fece male.
Tutti siamo destinati a finire, no?
Perfino un mago potente. Forse dopo gli altri, ma tutti, prima o poi, scoppieremo in scintille colorate, intonando sotto voce il nostro ultimo canto. E fino a quel momento, cosa faremo? Il dolore del suo cuore gli allagò la mente, pulsando come una sofferenza fisica. Poteva fermarlo? Perché non riusciva a smettere di osservare l’ultima danza delle stelle?
Le luci si riflettevano nell’acqua come in uno specchio; la notte era illuminata come il più splendente dei giorni.
Alzò gli occhi quando un bagliore intenso lo investì in pieno viso, ed uno di quei tristi esseri gli cadde esattamente tra le mani. Era caldo, pulsava, e brillava, sempre più lentamente, più foco.
“Chi sei?”
“Mi chiamo Howl” rispose il bambino. La luce tra le sue mani gli feriva gli occhi; non riusciva a distinguere le fattezze della creatura.
“Il nostro nome è Calcifer. Grazie per aver accolto il nostro ultimo viaggio.”
Il panico investì l’animo del bambino, ed ebbe una vertigine, come se fosse sul punto di cadere da un dirupo altissimo; come se stesse correndo a perdifiato lungo un pendio erboso.
“Non c’è nulla che posso fare per te?” chiese, lo smarrimento nella voce tremante. Il dolore nel petto era insostenibile, pesante come un macigno, irremovibile.
“Se ci darai una parte di te, diventeremo molto potenti. Ed anche tu potrai diventarlo. Saremo il tuo demone, tu sarai il nostro padrone. Diventeremo grandi, insieme, ed noi non moriremo.”
“Una parte di me?”
Diventare potente. La creatura non sarebbe morta. Lui non sarebbe morto – non molto presto, almeno. E sarebbe stato potente. Non era forse già l’allievo più talentuoso di tutta l’Accademia?
”Il cuore” disse, perché gli faceva male, perché per troppo tempo aveva battuto invano, perché nessuno era stato in grado di colmarlo, di lenire la sua sofferenza, di dargli un motivo per battere ancora. Quel demone era un motivo.
Lo era veramente?
“Bevi” disse allora la creatura.
Bruciò lungo la gola. E squarciò il petto quando gli strappò via il cuore. Batté fuori di lui. Continuò a farlo, ma sembrava sempre più distante. E tra le sue mani, la creatura riprese colore.
Le altre stelle cadenti tacevano, ormai; non cadevano più. Il dolore era sempre più lontano. Ma un senso di vuoto incolmabile si fece strada dentro di lui. Era una perdita.
“Howl! Calcifer!”
Si voltò come inebetito verso la voce. Al di là del fiume, una voragine nera aveva preso il posto dell’erba bagnata.
“Io…io sono Sophie! Aspettatemi, io verrò di sicuro!”
Una ragazza dai capelli argentati. Aveva il terrore negli occhi. Perché era così preoccupata, e triste? Sembrava quasi più disperata delle stelle morenti. Stava scomparendo.
“Aspettatemi nel futuro!” fu il suo ultimo grido. Scomparve, la voragine si richiuse.
Howl impiegò anni a capire la disperazione negli occhi di quella ragazza.
In quel momento, quando tornò il buio nella pianura, sentì per la prima volta l’ubriacatura del potere, della possibilità oltre ogni limite. Non c’era più alcuna perdita.
E se ne cibò, a piene mani, senza freni, per molto tempo.

Fu il primo a realizzare una pozione funzionante. Fu il primo ad imparare l’arte del volo, ed a perfezionarla così bene. Fu il primo a realizzare incantesimi potenti. Fu il primo ad avere una donna, ed era temuto, adorato e rispettato da ogni altro singolo allievo.
Fu il primo in ogni cosa. E fu anche il più bravo.
Poi, cominciò a stare male.

“Ricordi Sophie?”
Calcifer scoppiettava piano nel caminetto.
“La ragazza che è comparsa quella notte.”
“Abbiamo capito di chi parli. La ragazza con i capelli d’argento.”
“Ha detto di aspettarla nel futuro.”
Il mago sospirò e si rigirò sul divano, voltandosi sul fianco per osservare il demone: “Tu credi che verrà? Come farà a trovarci?”
Calcifer non rispose.
“Devo trovare quella ragazza. Ad ogni costo.”
Si alzò e si preparò per uscire.
“Dove pensi di andare a cercarla?”
“Parlerò con tutte le fanciulle del regno di Ingary, se necessario. Dovessi aspettare cento anni.”
“Stai esagerando, Howl. E non arriverai a vivere altri cento anni, se continui così.”
“Sta zitto, demone maledetto!”
Girò la manopola della porta su Porthaven, ed uscì al sole caldo della cittadina marina. Sophie non si trovava lì, di quello era ormai certo. Poteva continuare a raccogliere informazioni, fare incantesimi di ritrovamento, conoscere ogni ragazza del regno, ma non l’avrebbe trovata, se non fosse stato il momento. Sophie lo conosceva, aveva detto il suo nome, e quello del demone. Li avrebbe rintracciati, ma quando? Il nero dentro di lui era sempre più grande, e palpabile. Per quanto tempo avrebbe resistito ancora?
Consumarsi senza limiti era l’unico modo per non sentire la perdita.

“Il signor Howl è uscito?” chiese Markl al demone, guardandosi timoroso attorno; il grande mago aveva ancora il potere di incutergli terrore, ed in quel periodo più del solito, perché poteva cambiare umore da un momento all’altro. Si mostrava sorridente e disponibile alle spiegazioni, ed un secondo dopo urlava e sbatteva le porte, e spesso se ne andava scomparendo per giorni interi.
Calcifer chiuse gli occhi per concentrarsi: “Sì, ora è nelle Lande, e sta volando come un pazzo su e giù per i dirupi.”
“Perché fa così?”
Il demone sospirò emettendo fumi grigi: “Il suo potere lo sta esaurendo. Ricorda, benedetto ragazzino: non fare mai un patto con un demone, se vuoi rimanere in vita in maniera dignitosa. Anche se quel demone morirebbe, senza di te.”
Markl notò l’inflessione amara nel tono della creatura del fuoco.
“Deve preparare alcuni incantesimi; abbiamo tante prenotazioni dagli abitanti di Porthaven, del resto, Jenkins è l’unico stregone in tutta la cittadina.”
In quel momento bussarono.
“Porta di Porthaven!” gridò Calcifer facendo scattare il pomello sul blu.

Volare senza curarsi di nulla non era però l’unico modo per distrarsi.
C’erano ancora molte cittadine che non aveva controllato, nel regno di Ingary, ed uscire la sera ad interrogare – adescare, avrebbe detto Calcifer – le ragazze era piuttosto divertente. Non c’era nulla di male a parlare con ognuna di loro, chiedere il nome, un bacio, e magari qualcosa in più: divertiva e soddisfaceva anche loro, su questo non c’era alcun dubbio. E ad ogni modo, ad Howl non interessava affatto cosa pensassero: si sarebbe nutrito di loro finché non l’avesse trovata.
“Acqua calda in bagno” ordinò salendo le scale. Markl lo seguì fino sul pianerottolo del primo piano: “Signor Howl, ci sono molti incantesimi fa preparare. Ed ho anche fatto quel compito che mi aveva chiesto, ma ho dei dubbi. Possiamo vederlo insieme?”
Howl si rese conto in quell’istante che trascurava il ragazzino da giorni. Sicuramente era un bambino indipendente, ed a suo modo sapeva anche rendersi molto utile; prima che arrivasse, Howl non poteva fare lo stregone della città a tempo pieno, dal momento che passava molto tempo fuori casa. Il bambino teneva in ordine, rispondeva ai clienti, teneva occupato Calcifer cosicché non lo assillasse continuamente su quanto si stesse consumando.
Ma soprattutto, senza rendersene neanche conto, Howl aveva pian piano cominciato ad amare l’insegnamento; Markl era sveglio ed intelligente, e probabilmente da qualche parte dentro di sé aveva anche una predisposizione per le arti magiche. Era curioso e perspicace, ed imparava velocemente. Howl non l’avrebbe mai detto prima, quando l’aveva accolto in casa, ma Markl era andato a riempire un vuoto; quando passava le sue ore con lui, il tempo filava quasi più velocemente di quando si distraeva in altra maniera, ed alla fine, non si sentiva così svuotato come nelle altre occasioni. Ed il potere, con quel piacere, non c’entrava nulla. Era solo soddisfazione di trasmettere un insegnamento: era diverso, ma appagante alla stessa maniera.
Eppure, in quel momento, la richiesta del bambino gli diede un fastidio istintivo. Era stanco, e l’unica cosa che l’avrebbe rimesso al mondo era un bagno bollente. E magari un’uscita serale a Kinsgbury.
Markl capì al volo, dall’espressione del suo maestro, che non era tempo per lui, e si affrettò a ritrattare: “Potremmo fare domani. Non c’è fretta.”
“Domani. Domani passerò tutta la mattinata con te” asserì Howl. Scomparendo nel bagno, sospirò, sentendo il vuoto dentro di sé allargarsi. Doveva assolutamente uscire al più presto.

Julie era una ragazza bruna che Howl aveva conosciuto qualche tempo addietro. Viveva in una casupola in riva al mare, ed erano tutti pescatori in famiglia: il padre, gli zii, i fratelli, i cugini. Lei, assieme alle altre donne della famiglia, si occupava di mandare avanti tutta la baracca, mentre gli uomini erano in mare. L’odore del sale sulla sua pelle era inebriante. Julie conosceva tutti gli anfratti degli scogli in cui era possibile appartarsi, e vi passava molto tempo, dal momento che nella sua casupola, un unico ambiente, vivevano in quasi quindici persone.
Non gli chiese mai nulla. Era aggressiva, lasciava morsi e segni sulla sua pelle. Howl vi andò tre volte in tutto, ed infine, mentre si rivestiva, le disse che non sarebbe tornato. Lei cominciò a gridare, un urlo simile al mare in tempesta, e come una sirena maledetta sembrava gli stesse lanciando un anatema. Le lacrime le segnarono solchi più chiari nella pelle mangiata dal sale.

Rientrò a tarda notte. Markl era andato a dormire. Svogliatamente, Howl lanciò uno sguardo alle pergamene riempite sul tavolo: sembrava tutto corretto. Ricordò il suo impegno, e decise di salire subito al piano superiore per dormire.
“Stai diventando un mostro” lo apostrofò Calcifer dal focolare. Howl si fermò a metà scala.
“Non le avevo promesso niente. Non mi ha neanche chiesto il nome. Cosa poteva volere, da me?”
Il demone rimase quieto tra le braci, a rosseggiare. “Così non va bene” commentò tra sé e sé.

“Salve.”
La ragazza alzò i suoi occhi chiari, quasi gialli, sul volto della persona che aveva parlato.
“Ci conosciamo?” chiese.
“Vorrei molto che ciò fosse vero. Ahimé, purtroppo è la prima volta che vi vedo. Ma questo non mi ha impedito di notare la vostra bellezza.”
La ragazza arrossì e sorrise compiaciuta.
“Permettetemi di presentarmi. Il mio nome è Vincent Cunnigham, al vostro servizio” si inchinò intrappolandole una mano fra le sue. La fanciulla indossava guanti bianchi, e rise.
“Io mi chiamo Virginia” disse. “Virginia Scott. Siete di Market Chipping, signor Cunnigham?”
Howl le porse il braccio: “Posso accompagnarvi? Siete impegnata?”
“Sto andando a fare delle commissioni per mia madre, ma possiamo fare la strada assieme” rispose lei accettando il suo braccio. Cominciarono a camminare lungo il marciapiede lastricato; si trovavano in una delle vie del centro della cittadina.
“Mia madre è un’insegnante di pianoforte, devo recarmi da Brunori per comprare alcuni spartiti” spiegò.
“Suonate anche voi il piano?”
La ragazza annuì, e si lanciò in un accorato resoconto dei suoi musicisti preferiti e di quali brani le riuscissero meglio.
La accompagnò al negozio, e dopo la convinse a prendere un the assieme. Seduti al tavolino all’esterno di una caffetteria rinomata, la ragazza improvvisamente si guardò intorno sgomenta: “Mi chiedo come abbiate fatto; di solito non accetto inviti da sconosciuti.”
“Io non sono uno sconosciuto” rispose Howl guardandola negli occhi.
“Non vi conoscevo fino a poco tempo fa” rispose lei, ma era ancora a disagio. Il mago sapeva cosa avesse: stava combattendo dentro di sé contro il desiderio che sentiva per lui. Non era sempre così facile conoscere ragazze di un certo ceto sociale, e tante volte era molto più semplice dedicarsi a qualche semplice e rustica contadina, magari anche non di primo pelo, molto più istintiva; tuttavia, in certi momenti il gusto per sfida e per i merletti d’alto borgo lo richiamava in strade più pulite, ed Howl non si lesinava dall’usare qualche incantesimo per accalappiare la malcapitata di turno. Non aveva mai utilizzato filtri d’amore, ma sapeva come rendersi seducente, affascinante, desiderabile oltre ogni limite. Sapeva come far impazzire di confusione quelle testoline graziose, divise tra l’ascoltare la voce dell’istinto o rintanarsi al sicuro delle loro camerette preziose, sospirando per lo scampato pericolo.
Virginia Scott scosse la testa facendo dondolare i riccioli inanellati, ed il cappellino sulla sua cima ondeggiò pericolosamente. Era davvero molto graziosa.
“Avete sorelle?” chiese d’improvviso Howl. Virginia lo guardò sorpresa: “No, ho un fratello minore. Perché me lo chiedete?”
A quel punto lui non seppe cosa rispondere. Chiamò il cameriere e pagò il conto, poi si alzarono. “Dove abitate? Posso accompagnarvi?”
Virginia annuì, ma lui si accorse che era riluttante ed aveva accettato solo per educazione. Qualcosa, anche se non capiva bene ancora cosa, stava cominciando ad andare storto.
Non gli era mai successo.
La portò fin davanti al portone di casa. La sera cominciava a scendere, colorando d’azzurro le facciate delle case. Le prime luci cominciavano ad accendersi nelle case.
“Posso rivedervi?” le chiese quando lei cominciò a cercare la chiave nella borsetta.
Virginia sorrise: “Vedremo. Vi ringrazio per il pomeriggio piacevole.”
Howl notò solo in quel momento la strana composizione di frutta ed uccellini di cera sul cappellino, così fitti che sembravano quasi straripare e cadere da un momento all’altro. Scoppiò a ridere, in maniera genuina, gesto che non avrebbe mai fatto di fronte ad una sua nuova conquista, ma che gli venne dall’interno, spontaneamente, forse perché aveva ormai capito che Virginia Scott non avrebbe mai sospirato di piacere tra le sue braccia. “Cosa c’è da ridere?” chiese lei imbronciata.
“Il vostro cappellino è molto particolare, non vi avevo fatto caso” spiegò, ancora preso dalle risate.
“È un cappellino all’ultima moda” rispose lei, offendendosi. “Della cappelleria Hatter, una delle migliori di Market Chipping. Si vede che non siete affatto avvezzo a questo genere di cose.”
“Su, non ve la prendete. Mi farò perdonare per la mia impudenza con un bacio” disse, e prima che la ragazza potesse ribattere, si chinò sul suo viso. Lei, dopo un iniziale momento di coinvolgimento, lo allontanò e rientrò di fretta in casa, armeggiando con la serratura con dita tremanti.
Howl rimase a ridere di se stesso davanti al portone: per la prima volta, era stato un totale fallimento.

“Quindi le foglie di alloro vanno aggiunte solo alla fine?”
“Sì. Devi sminuzzarle bene. Ma questo non basta: devono venir raccolte di notte, alla luce della luna, ma che non sia piena. Devi coglierle partendo dalle più basse, e salendo verso le alte. E poi devi tagliarle a questa maniera…ti faccio vedere…”
Chini sul tavolo, il mago ed il suo apprendista erano intenti a preparare un semplice talismano energizzante. Con movimenti fluidi, quasi come se il coltello che aveva tra le mani non avesse peso, Howl tritò finemente le foglie, diffondendo il loro profumo nella cucina.
“Prova tu” disse poi porgendo l’arnese al bambino. Markl lo prese e si dedicò con impegno al lavoro, corrugando la fronte.
“Preparane almeno dieci. Domani li esaminerò.”
Il bambino arrestò il lavoro certosino e lo guardò smarrito: “Dieci? Ci vorrà tutta la notte.”
“Dormirai quando sarai morto” sentenziò Howl cupo.
“Che fai, esci nuovamente?” chiese Calcifer dalle braci, mentre il mago indossava una delle sue giacche preferite, rossa sgargiante.
“Ho degli affari da sbrigare” rispose evasivo.
“Affari come la povera innocente Virginia Scott?” domandò ancora il demone, sarcastico. Senza dare risposta, Howl uscì dal Castello, dalla porta sulle Lande, involandosi nel cielo trapuntato di stelle.

Comparve accanto alla ragazza mentre questa stava raccogliendo della legna sul retro della casa. L’odore di fieno e di animali era dolce, e dall’interno provenivano voci accalorate che discutevano di politica.
“Scoppierà la guerra, vedrai!” tuonò un vocione maschile. “E come al solito, moriremo tutti come bestie, mentre il Re se ne sta con la sua corte, laggiù a Kingsbury, ricoperto d’oro!”
“Stai zitto, uccellaccio del malaugurio” lo rimbeccò la voce roca di una donna avanti con l’età.
La ragazza, nel vederlo, non si sorprese, e non disse nulla. Howl aveva il vago sospetto che avesse capito, da qualche tempo, chi lui fosse; od almeno, che fosse il tipo di uomo dal qualche non aspettarsi nulla.
“Aspetta” gli disse. Howl la osservò rientrare carica di ciocchi di legna, e dire, nuovamente sull’uscio, rivolta all’interno: “Vado a controllare la vacca gravida nella stalla!”
“Brava la mia figliola!” approvò la voce maschile.
Sgattaiolò accanto a lui e si fece seguire nella stalla, al di là del cortile. Lì, tra le balle di fieno odorose e i muggiti delle vacche, lasciò che Howl l’accarezzasse e la facesse godere a sufficienza, facendo confondere i suoi gemiti con i versi delle bestie. Era però una tipa sbrigativa, e poco dopo, stava già riallacciandosi la camicetta ingiallita, mentre Howl, sdraiato sulla paglia dorata, ad occhi chiusi, cercava di non pensare a nulla.
“Puoi restare ancora un po’ qui, se vuoi” disse lei; era brusca, ma a suo modo, gentile. “Tanto non verrà nessuno a controllare.”
Cominciò ad accarezzare il muso della mucca gravida. “Fra poco nascerà un bel vitellino” la sentì cantilenare nelle orecchie dell’animale. “Basta che vai via entro l’alba. I miei fratelli cominciano presto a lavorare. Non vorrei essere nei tuoi panni, se ti trovano qui.”
Ad Howl scappò un sorriso sbieco; un paio di contadinotti armati di forca non sarebbero certo stati un problema: si sarebbe innalzato con grazia sopra le loro teste, facendoli rimanere a bocca aperta, invocanti tutti i santi di loro conoscenza, di fronte a lui, un demonio, e sarebbe scomparso armoniosamente nel cielo terso del primo albore.
“C’è qualcosa che non va, in te” disse lei avvicinandosi; lo stava squadrando.
“Molte, piccina. Non una sola.”
“Intendevo dire che sei una persona triste.”
Howl alzò la testa e la osservò incuriosito e contrariato: “Triste?”
Ma la ragazza si era voltata e stava nuovamente parlando ad un animale. Se ne andò senza aggiungere altro, ed Howl ricadde sulla paglia, stanco, sospirando. Chiuse gli occhi, cercando di ricostruire nella sua mente quel volto che aveva visto, molti anni prima, solo per pochi istanti. L’avrebbe riconosciuta?

“Abbiamo cercato ovunque! A Kingsbury, a Porthaven, nelle cittadine presso il mare, nei villaggi di montagna, nelle campagne, ovunque vi siano donne – e ve ne sono numerose, nel regno d’Ingary. Eppure, nulla!”
Per la rabbia, Howl scagliò lontano uno dei ciocchi di legna destinati a Calcifer.
“Forse i tuoi metodi di ricerca non sono poi così fruttuosi.”
“Tu non fai che criticarmi, demone del malaugurio, ma la verità è che non ti sei degnato di aiutarmi poi molto.”
“Adescare fanciulle innocenti, con la scusa di cercare questa Sophie! Cosa ti dice poi che lei non sia ancora una bimbetta di pochi anni, sgambettante dietro le gonne della madre? Tu la usi come scusa.”
Con fare melodrammatico Howl rovesciò gli occhi e si lasciò cadere sul divanetto.
“Che vuol dire adescare?” chiese Markl, che era seduto al tavolo a studiare, e pur dando le spalle al focolare non si perdeva una parola della discussione.
“Vuol dire approfittarsi di una brava ragazza.”
“Tutt’altro, vuol dire farle un grandissimo dono, caro apprendista. Ma lo capirai tu stesso fra qualche anno.”
Dopo un momento di silenziosa riflessione, aggiunse: “Come farò, se davvero è ancora una bambina?”
“Potresti cominciare, per esempio, nel lasciar perdere quella Strega delle Lande. Che bisogno c’è di competere con lei a quella maniera? Ottieni l’unico risultato di farla ingelosire, e le fai venir voglia di vendicarsi.”
“Prima o poi una delle sue maledizioni ci cadrà addosso” confermò il bambino, dondolando i piedi.
“Siete entrambi così crudeli con me!” si lagnò il mago. “La Strega delle Lande è affascinante, così potente! Ed inoltre madame Suliman…”
“Altro terribile personaggio che dovresti dimenticare, Howl” terminò Calcifer, perentorio. “Non puoi accontentarti di far lo stregone in ben due città, con due diversi nomi, e nel frattempo tirar su Markl come tuo apprendista? Non è poco.”
“Non basta” sussurrò lui voltandosi, e spiaccicò il volto contro i cuscini. “Non sopravvivremo a lungo” continuò a bisbigliare, più che altro a sé stesso, per quanto nessun suo pensiero fosse facile da celare a Calcifer.
“Prova a pensare a quella Sophie” consigliò il demone dopo un po’, impietosito. “Non ricordi alcun particolare che possa aiutarci?”
“Assolutamente. Ero solo un bambino, ed inoltre ero così stordito! Aveva i capelli grigi. Ed una voce…oh, una voce bellissima! Ci ha chiamati per nome, ricordi?”
Il demone non rispose ed i suoi occhietti si rimpicciolirono ulteriormente nello sforzo per concentrarsi.
“Sembrava una fata turchina. Ma è scomparsa così velocemente…”
“Potresti cercare tutte le Sophie, evitando magari di andar in giro a baciare le povere Virginia innocenti…”
“Demone impiccione e dalla lingua lunga!”
“Di Sophie ce ne sono troppe, nel regno” si intromise Markl. “Abbiamo già provato a fare una lista, consultando le registrazioni delle nascite nel regno d’Ingary negli ultimi venti anni. Ma son così tante che ci vorrebbero anni, a controllarle una per una.”
“Non ti sfugge nulla, eh, marmocchio? Mi sembra d’aver due carcerieri, in guisa di due aiutanti!”
“Sei tu che urli da mattina a sera i tuoi drammi” commentò velenoso Calcifer. “Quanto poi a far la lista delle Sophie…non sei di certo stato tu! Avrai senz’altro raggirato qualche altra povera ragazza dell’ufficio del censimento, nella capitale.”
Senza badargli, Howl si alzò a sedere e premette tutte e dieci le dita delle mani sulle tempie, coi gomiti sulle ginocchia.
“Signor…”
“Silenzio!” tuonò.
Passò così circa un’ora, in cui né il demone né il ragazzino osarono disturbarlo, respirando a malapena.
“Ho trovato!” urlò poi. “Markl, tira fuori il pendolo: proviamo ad utilizzarlo sulla lista delle Sophie! Potrebbe indicarci di quale si tratta!”
“La radiestesia non è certo la forma di divinazione più potente” sussurrava il mago, dispiegando l’enorme rotolo che conteneva il nome di tutte le Sophie del regno. “Ma questo pendolo è costruito in un materiale particolare: l’ottenni in uno dei miei viaggi nelle terre verso Est, anni fa. Me lo donò un saggio ed anziano stregone che…”
“Un barbone” lo corresse Calcifer.
“Tu non sai guardare oltre le apparenze! Non interrompere le mie lezioni. Dunque, sono queste scritte a renderlo efficace, ma non solo: il vecchio mi disse che di tratta di pietra lunare, e sfrutta quindi l’energia di quell’astro per divinare.”
“Come faceva il vecchio ad avere un pezzo di luna?” chiese il bambino sbalordito, e Calcifer fischiò sarcasticamente.
Sordo alle loro perplessità, Howl aveva intanto spiegato la pergamena, ed occupava così quasi l’intero pavimento della stanza del focolare.
“Markl, siediti in un angolo, non darmi impiccio. Calcifer, vieni qui.”
Ogni incantesimo che i due compivano assieme meravigliava il bambino, che si chiedeva se mai sarebbe riuscivo a far qualcosa d’uguale: sembrava che il demone trasfigurasse completamente la sua natura, e la sintonia tra loro era palpabile.
Il pendolo cominciò ad oscillare, mentre Howl, quasi scivolando sulle carte senza camminarvi sopra, scorreva i nomi.
Ad un tratto il pendolo si fermò, per poi vibrare insistentemente sopra un nome: Sophie Hatter, Market Chipping, figlia di Robert e Claire Hatter.
Quella fu l’unica volta in cui, pur non avendo un cuore, Howl avvertì un tuffo al petto, ed il respiro gli si mozzò nella gola.
Dove aveva già sentito quel nome?

Ed infine la vide.
Stava parlando con due soldati.
“Lasciatemi passare!” le sentì dire, con un tono timoroso, ma forse, in fondo, anche arrabbiato.
“Visto? Tutta colpa di quel tuo muso baffuto!” disse il biondino.
Aveva una lunga treccia castana, ma era lei: si sentì riempire da qualcosa di indicibile, una sensazione di calore mai provata. Ed insieme, lo pervase una grande collera.
“Certo che è carina perfino da arrabbiata!” esclamò l’altro, che la osservava chinandosi in avanti.
“Ah, perdono, perdono!” intervenne avvicinandosi. Posò una mano sulla spalla della ragazza. Sophie sobbalzò.
“Ti stavo cercando, sai” le sussurrò. La catenella con la goccia blu ondeggiò davanti al suo viso.
I due soldati uscirono dallo stato di trance, e si rialzarono a guardarlo.
“E tu chi saresti mai?” chiese il biondino, infastidito.
“Accompagno la ragazza” rispose Howl. Da qualche parte, in fondo alle Lande, tra le braci di Calcifer, il suo cuore impazzì.




***
Scritta con il prompt “Cuore” di 10disneyfic (qui la mia tabellina). Alcune storie nascono sotto una buona stella, fin dall’inizio, e questa è probabilmente quella che io reputo la migliore, tra tutte le fic che ho scritto da quando ho cominciato a raccontare di Howl e Sophie. Maggiori chiacchiere.
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Howl's moving castle / Vai alla pagina dell'autore: Marge