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Autore: LoliBreaker    17/07/2012    0 recensioni
Un principe, una loli guerrafondaia, una studentessa nullafacente, un barbone, uno scrittore, una cantante, un chitarrista, un gondoliere e Alice. Una serie di frammenti della loro vita, ambientati nel "meriggio dorato" della Città sull'acqua... che ancora sogna, incurante del passare delle epoche. Frammenti sconnessi, internamente poco coerenti, volti però a formare l'immagine più fedele possibile di coloro che ancora inseguono i tramonti. Che sia realtà o finzione, che possieda o meno un senso intrinseco.
Il racconto di uno scrittore che scrive una storia, e di una storia che va avanti senza di lui. Di una ragazza immaginaria, eppure più reale di qualunque altra cosa - bella quanto un cielo color limone. Dell'inarrestabile scrociare delle onde, della Cupola al centro dell'universo, e di una lancia dalla punta dorata. Di ciò che non è stato comunicato, e di ciò che è stato passato oltre in silenzio. D'altronde, se è vero che ogni cosa è bella quando è dipinta di rosso, ciò che viene effettivamente detto non ha reale importanza.
Le stagioni passano, le memorie periscono, eppure...
Che sia o meno un semplice sogno, spero che questa storia vi piaccia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I – Memorie dal cielo stellato

Sangue.
Piuttosto letteralmente, braccia volanti a propulsione.
Quel poco di percezione che riesco a tenere assieme, in qualche modo, mi mostra una scena tratta direttamente dal peggior B-movie immaginabile.
Rido di cuore, mentre gusto il sapore del ferro che si diffonde per la mia bocca e ne esce a profusione.
Quasi fosse l'audio a bassa risoluzione di un vecchio videogame a basso budget, riesco a malapena a udire le parole della responsabile della situazione.
"Non ho braccia..."
No, sono io a non avere più braccia da un attimo a questa parte, se permetti...
"...con cui abbracciarti..."
"..."
Non so che dire. La sua insanità mentale deve aver raggiunto livelli notevoli, se sta roba è tutto quello che riesce a inventarsi come frase ad effetto.

Questo è forse il punto in cui dovrei sentire il rumore dei suoi passi che si allontanano mentre perdo gradualmente coscienza, ma tutto quel che riesco a percepire, invece, è un suono che non ho mai sentito in vita mia. E non ho idea di quanto tale impressione possa essere alterata dalla situazione attuale, ma se dovessi comunque tentare di descriverlo in qualche modo - pare il concerto aritmico e atonale di una serie di tamburi infernali che presenzia all'entrata in paradiso del sacrificio umano qui presente. Spero dal profondo del cuore che le divinità a cui è destinato - sempre che esistano - ne siano quantomeno contente.
In ogni caso, conoscendola, è assai più probabile che la ragazza sia in realtà rimasta qui a osservarmi da vicino, affascinata dal risultato delle sue stesse azioni. Come se niente fosse. Senza provare la minima traccia di rimorso o angoscia.
Credo di averlo già menzionato o fatto intuire, ma per quel poco che ho avuto modo di conoscerla questa qui non ci sta molto con la testa. Non che abbia molta importanza ormai.

Passa un po' di tempo, e il suono si arresta all'improvviso, e i ricordi della mia vita mi passano davanti uno dopo l'altro.
Credo che morirò di noia prima che di perdita di sangue.
La mia unica speranza è l'eventuale presenza di una funzione di skip veloce, ma a quanto pare il destino ha deciso che sarò uno sfigato fino all'ultimo.
Provo a bestemmiare (bestemmiare fa sempre figo), ma riesco solo a sentire maggiormente il sapore del sangue. Eccetto che non è sangue, ma aranciata. O almeno il mio senso del gusto sembra crederlo, quindi immagino che ormai si sia fottuto anche quello.
L'unico aspetto positivo della cosa è che il passo successivo che compie il mio cervello, invece di spegnersi come a questo punto dovrebbe - e preferirei che facesse -, è ricordare quell'altra volta in cui pensai che il mio sangue fosse aranciata. Sì, ero un bambino un po' particolare.

"..."

Passa un po' di tempo.
Fortunatamente, i miei ricordi si stanno facendo gradualmente più interessanti. A questo punto non sono nemmeno certo che siano i miei veri ricordi, ma alla fine non m'importa più di tanto.
Se posso quantomeno essere intrattenuto estendendo a dismisura i pochi millisecondi che mi rimangono da vivere, non importa a chi appartenga la storia che narrerò d'ora in poi.
Perché d'altronde, anche se narrassi la storia che ritengo mi appartenga, quella non sarebbe la mia vera storia.

Perché sono finalmente diventato uno con il cielo stellato sopra di me.


***


Credo di aver sempre voluto diventare il cielo stellato.
Inglobare nel mio essere ogni singola persona che esiste, è esistita, ed esisterà mai in questo mondo.
Per fare questo, in primo luogo, dovrei scindere la mia unica stella... allora, e solo allora, sarò in grado di vedere davvero lontano. Vedere così lontano da inglobare ogni stella in me. Così lontano che i miei bulbi oculari perderanno la loro massa a causa della velocità prossima alla luce. In modo che i miei occhi diventino gli occhi di Dio stesso. In modo da diventare il cielo stellato, a cui gli uomini di ogni epoca rivolgono le loro preghiere, trascendendo lo spazio e il tempo.
Però, c'è una cosa che mi sono sempre chiesto a riguardo.

Poniamo che guardando il cielo stellato, aspirando a diventare come lui, ansioso di diventare un tutt'uno con la natura, venga preso dall'imponente desiderio di farmi una sega.
E' decisamente colpa del silenzio di tomba che mi circonda.
Non so se avete mai provato a dissacrare una tomba. Beh, neanch'io.
Però non posso essere il solo ad aver mai voluto deturpare qualcosa di sacro con l'arma fornitami da madre natura, vero?
Spero solo che questa affermazione non mi renda un potenziale pedofilo.

Ad ogni modo... avrei certamente proseguito nella mia opera poco comprensibile alla logica comune, se non avessi sentito un rumore di passi che si avvicinava. E' solo un presentimento, ma credo conoscere il loro proprietario.
Disgraziatamente le sue tette sono di dimensioni considerevoli, quindi ho difficoltà a ricordare il suo nome. Ci siamo già incontrati non poche volte in circostanze sospette come questa, quindi di norma dovrei quantomeno ricordarmi il suo nome.
Per non essere scortese, decido di spararne uno a caso.

"Ciao, Giulietta."
"E tu chi cazzo sei?"
"..."

Non è che perché io mi dimentico il tuo nome tu devi fare lo stesso, sai?

"...Ah."

In effetti, generalmente le persone non si identificano dal rumore dei loro passi. In altre parole, sono un idiota.

"...Fa' finta che io non abbia detto niente."
"Mi riesce difficile."
"Mi dispiace. Già che ci siamo, come ti chiami?"
"..."

Il suo volto illuminato dal chiaro di luna è talmente inespressivo che non dà nemmeno indicazioni sulla sua intenzione di rispondere o meno. Non che sia un brutto volto. Potrei persino ricordarmi il suo nome, se solo me ne desse uno.

"Alice."
"Bel nome."
"E' uno pseudonimo, comunque."

...

"Mi odi così tanto?"
"Beh, sei una persona sospetta."

Non me la sento di ribattere. D'altronde, se fosse arrivata anche solo qualche istante più tardi, mi avrebbe beccato nel corso di un improbabile - e probabilmente incomprensibile - atto indecente.
Però, però. Se è vero che questa situazione mi rende un tipo sospetto, allora lei lo è ancora di più.

"Che ci fai qui di bello, Alice?"
"Guardavo le stelle."

Sì, suppongo che una persona normale avrebbe sempre un qualche motivo preciso per trovarsi in un dato posto in un determinato momento.
Al contrario del sottoscritto, una persona con un minimo di decenza non andrebbe certamente a fare passeggiate notturne senza un motivo preciso.

Chessò, rubare o uccidere.

"..."

Al limite possiedo il vantaggio della forza fisica. Intendo, è pur sempre una donna. Credo. Alla fine si sa mai di sti tempi.

"..."

Aah, devo dire qualcosa.

"E' una bella giornata, vero?"

In effetti, la luna stanotte è così splendida che sembra quasi che sia giorno. O almeno facciamo finta che sia così.

"Ascolta, il vento... sembra che stia sussurrando."

Le idiozie che mi escono di bocca non sono del tutto intenzionali. L'unica cosa intenzionale è il fatto che le stia sparando una dietro l'altra, ma il resto del lavoro è compiuto dal mio subconscio. Ne vado piuttosto fiero.

"Come se le anime dei morti ci stessero rammentando della caducità della vita. Come se la forza gravitazionale della luna ci spingesse ad abbracciarci per l'eternità, ricordandoci di vivere nel momento. Questo è ciò che mi dice il vento."

"..."

"Ed eppure vivere nel momento non è affatto nella nostra natura. Ci preoccupiamo del futuro, e ci facciamo influenzare dalle nostre stesse memorie, che definiscono e limitano ciò che siamo. Come gatti dentro a delle scatole, che vivono di multiple esistenze e non possiedono un futuro sebbene lo desiderino. Possiamo solo immaginare in che stato appariremo quando un ipotetico osservatore aprirà la scatola... e passiamo il nostro tempo a immaginarlo, e a lasciarci trascinare dalla corrente, disperando di uscirne.
Vogliamo vedere cosa stia al di là della scatola, ma aprire la scatola è come morire, come tagliarsi un dito e morire stupidamente di perdita di sangue. E, aspettando di veder scorrere il sangue altrui, versiamo lacrime di compatimento per i nostri caduti - quando in realtà desideriamo dal profondo del cuore raggiungere la loro stessa destinazione.
Alla fine, gli esseri umani non sono 'esseri temporali'. In realtà vorrebbero vivere fuori dal tempo. Ed è per questo che le illusioni sono così preziose... come quella che forse, entrambi, stiamo vedendo in questo momento..."

"..."

"...No, eh?"
"Beh, era carina, dai."
"Grazie."

Il comportarmi come se fossi un attore che cerca di fare discorsi profondi a partire da ogni scenario simil-poetico che trova è una delle mie brutte abitudini, ma sono lieto che la cosa abbia intrattenuto qualcuno.

"Ora è meglio che me ne torni a casa."
"Aspetta."

Vuole forse sfruttare l'occasione per darmi un romantico bacio sotto la luna piena?

"Hai dimenticato questo."
"No, sono certo di non aver dimenticato nulla..."

Le parole mi muoiono in bocca quando la linea del mio sguardo incontra la sua.
I suoi occhi paiono come provenire da un altro mondo, e non per una questione di bellezza o bruttezza.
Sembrano piuttosto voler penetrare la mia anima, e ne rimango naturalmente agghiacciato.
Le sue mani lasciano cadere un oggetto - una palla di neve capovolta? - che nel toccar terra si frantuma in mille pezzi di vetro.
Il tutto è così surreale che decido di contare il numero delle dita della mia mano destra.
Sullo sfondo del mio campo visivo, vedo Alice allontanarsi.
Il suoi passi descrivono la felicità innocente di una persona che ha trovato un nuovo passatempo.


***


LO
VE

La scritta sulla porta che sto per attraversare è chiara e limpida come l'acqua del canale che passa sotto il Ponte dei Sospiri. Rossa come il tramonto che vi si riflette. Come tutti i tramonti, ogni cosa è bella quando è dipinta di rosso.
Qualcuno è mai riuscito ad afferrare un tramonto, mi chiedo? Se le mie predizioni sono valide, qualora anche qualcuno vi riuscisse, non proverebbe altro che la sensazione di aver raggiunto l'orizzonte. Ben diverso dall'afferrare un tramonto...

Hai mai visto un cielo color limone?

Ad ogni modo, mi trovo di fronte a una porta con una scritta. E' passato un po' di tempo da quella notte in cui ci siamo incontrati per la prima volta.
Alice. La porta sembra essere socchiusa, e se mi trovo qui c'è sicuramente un motivo, ma per qualche ragione esito comunque ad entrare.
Perché, non so ancora il suo vero nome...

Alice? Sarebbe stato un bel nome. Bello quanto un cielo color limone, forse.
Ma suppongo che dovrai accontentarti di un tramonto rosso.

Puoi dire quello che vuoi, ma i tramonti sono belli qualunque colore abbiano, giusto?

Fa' come ti pare.

"Benvenuto."

La sua voce rimbomba nella stanza quasi completamente priva di arredamento.
Potrei ignorarla senza alcuna conseguenza se volessi, ma scelgo comunque di ascoltare. E poiché scelgo di ascoltare, la sua voce raggiunge le mie orecchie. Le sue parole coincidono con quelle create dalla mia mente.
Ed eppure, questo non è un sogno. Probabilmente. Tutto questo è reale quanto un cielo colorato di limone. Quanto i frammenti del vetro di una palla di neve che cadono di fronte ai miei occhi, riflettendo il cielo stellato.

"Prego, accomodati."

La stanza nel frattempo è diventata effettivamente una pioggia di frammenti di vetro. Chi li ha lanciati? Chi li ha causati? E mentre avanzo tra i frammenti che mi stracciano i vestiti, senza per questo ferirmi il corpo, sento su di me un intenso sguardo di riprovazione - diverso da quello malizioso di fronte a me. Non ho il tempo per determinarne la ragione e la provenienza. Non ne ho il tempo. Se mi fermo, le mie ferite potrebbero smettere di rimarginarsi.

Sei proprio un idiota, lo sai?

"*******"

Non riesco più a udire la sua voce. La voce della donna chiamata Alice. Nonostante lo desideri fortemente, non riesco a sentire nulla. Sebbene l'immagine davanti a me sia così vicina, tanto vicina che se estendessi la mano potrei persino arrivare a toccarla.

Lo so. Non avrei mai dovuto aprire quella porta.

Te l'avevo detto, no?
E' importante conoscere il colore dei tramonti.
Perché se non sai nemmeno come si chiamano, come potresti mai riuscire ad afferrarli?
Fossi in te tornerei a farmi le seghe sul cielo stellato.

Silenzio. Ho mal di testa.

Fa' come vuoi.
Io ti ho avvertito.
Io ti ho avvertito.

Come se tutti i pezzi di vetro che mi hanno sfiorato finora mi avessero in realtà inferto ferite profonde, tutt'a un tratto,
provo un dolore lancinante.
La mia visione si riempie di bianco. Le mie orecchie percepiscono un lontano rumore metallico.
I pezzi della mia strana situazione si ricompongono, e vengo improvvisamente a conoscenza della verità.

Ma... non voglio essere ricordato di nulla. Perché, non voglio ricordare nulla...


***


Il vento soffia.
Questa volta non sta sussurrando.
Se dovessi dire di che tipo di vento si tratta, pur essendo forte abbastanza da scompigliare violentemente i capelli della ragazza che mi precede, camminando per le strade morte della Città... direi che la sua freddezza non è tale da riempire di vita i passanti, ma da arrivare invece a congelarli.
Mi piace il freddo dell'inverno. Mi piacciono gli ambienti desolati. Tuttavia, la desolazione di questo scenario è tale da uccidere anche l'animo più romantico.
Essendo arrivato fin qui dopo aver superato il confine tra sogno e realtà, e avendo speso tutte le mie energie confrontando l'insensatezza del regno dei miei sogni, mi sovviene che in fondo non è colpa del vento se mi sento così.
Non è colpa del vento se il mio sguardo perso nel vuoto non si ferma a contemplare la situazione.

Se, invece, mi fossi fermato ad ascoltare.
Se quella nuvoletta di vapore acqueo uscita dalla bocca di Alice... o almeno, quella donna che ama chiamarsi Alice...

Aspetta, si è voltata e mi ha rivolto la parola?
Le sue labbra si muovono appena, però.
Ma se focalizzo la mia attenzione, mi pare di leggervi lo stesso disgusto che provo io per l'universo tutto.

D'altronde, forse sta declamando la fine dell'universo stesso.

Il vento soffia.
Non c'è modo per me di sapere cosa stia dicendo Alice. Ma non ho il coraggio di guardarla negli occhi, né di avvicinarmi e chiedere di ripetere quello che ha detto. Preferisco lasciare i dettagli alla mia immaginazione. Forse così, in futuro, riuscirò a ricordare quello che ha detto senza razionalizzarlo stupidamente.
Senza doverci stare male, e analizzare le parole una per una.
Senza rielaborarlo in alcun modo al solo scopo di farmi sentire meglio. Perché so benissimo che è quello che farò.
D'altronde, sono solo un verme egoista. Come tutti.

"Hai mai visto un cielo color limone?"

Sono certo che questo è ciò che mi ha chiesto.

"Perché, vedi? Esiste proprio qui e ora. In questo istante."

Alzo lo sguardo al cielo, e lo vedo. Questo cielo possiede certamente il colore di un limone.
Ed eppure al tempo stesso, sta tramontando.
Sono certo che stia tramontando. Perché credo che, allo stesso ritmo del cielo sopra di me, qualcosa dentro di me stia tramontando a sua volta.
E mentre rifletto sull'eventuale correlazione tra le sue cose - mi sembra di vedere cadere un fiocco di neve. Come se non avessi mai visto della neve in vita mia, e finora l'avessi trattata come un oggetto a me estraneo, piuttosto che come una parte di me.
Mai, in vita mia, immaginavo che danzare sotto la neve potesse essere fonte di una simile gioia. Infantile, forse, ma per questo la gioia più grande che possa esistere.

E l'ombra innanzi a me sta danzando a sua volta. E mentre io e l'ombra danziamo, il vento sembra cessare man mano, e il cielo colorato di limone comincia a sbiadire. Alla fine, era pur sempre un tramonto.
Danziamo nella Città morta. Fino alla fine dei tempi. Finché non potremo più danzare. Senza poterci mai chiamare per nome l'un l'altra.

Ed eppure, perché sento che Alice mi abbia già lasciato da tempo?

Perché mi sento così... triste...?
  
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