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Autore: Cali F Jones    17/07/2012    1 recensioni
Dovevo ammetterlo, a vederlo, pareva alquanto buffo; sembrava un bambino troppo cresciuto in un abito di carnevale. Tuttavia, la sua presenza non sollevava in me alcun riso, alcuna gioiosa reazione. Era un angelo, venuto a portarmi via al momento della mia morte.
Questa fan fiction è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. ll personaggio di Arthur è in versione Britannia Angel. Le parti in francese (corsivo) sono prese dall'originale Appello del 18 giugno 1940 del Generale Charles De Gaulle a Radio Londra. In basso, alla fine della storia, trovate la traduzione dei pezzi che ho riportato.
Anche i nomi dei luoghi e dei personaggi nell'ultima parte sono reali e fanno riferimento a luoghi, persone e fatti realmente avvenuti durante la WWII.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Young men standing on the top of their own graves
Wondering when Jesus comes, are they gonna be saved.


Sono passati quattro anni da quando ascoltai per la prima volta quel discorso alla radio. Quattro anni fa…
Me lo ricordo ancora: ero seduto in salotto, a terra, ai piedi di mio padre. Le gambe strette contro il petto, immersi in un silenzio desolante. Mio fratello Arthur era in piedi, accanto a me con lo sguardo perso nel vuoto, mentre nostra madre si trovava sull’uscio della cucina, con un piatto bagnato in una mano e uno straccetto nell’altra.
“Croyez-moi, moi qui vous parle en connaissance de cause et vous dis que rien n'est perdu pour la France. Les mêmes moyens qui nous ont vaincus peuvent faire venir un jour la victoire.”
Quella voce semi-gracchiante continuava il suo discorso. Papà lanciava occhiate alla mamma ogni qual volta necessitava di traduzione, essendo lei di origine canadese e, quindi, conoscendo bene il francese.
“Quoi qu'il arrive, la flamme de la résistance française ne doit pas s'éteindre et ne s'éteindra pas.
Demain, comme aujourd'hui, je parlerai à la Radio de Londres.”

Quella stessa sera, a tavola, papà disse che la guerra non sarebbe mai arrivata da noi, che, stavolta, gli Stati Uniti non sarebbero stati coinvolti.
Un anno dopo i giapponesi ci attaccarono. Io e mio fratello fummo costretti ad arruolarci. Papà ormai era anziano. Eravamo in viaggio verso l’Inghilterra quando ricevemmo la notizia che aveva avuto un attacco di cuore. Almeno – pensai – è morto nella sua casa, vicino a mia madre. Mi piace sempre pensare che se ne sia andato felicemente. Ma so che non è stato così. Lui era sempre stato contrario alla guerra, non voleva che io ed Arthur partissimo. “Affronterò tutte le conseguenze” diceva “Ma, vi imploro, non partite! Non tornerete mai più!” Non credo di aver mai fatto promesse più vane ed effimere di quelle che feci a mio padre quel giorno. “Stai tranquillo” dicevo io “Torneremo sani e salvi, te lo prometto!”. Cazzate! Arthur sapeva che quelle erano solamente le speranze vacue di un ragazzino, ed infatti, ricordo, egli non disse una parola, neanche una mezza sillaba. Ma allora io ci credevo. Credevo in ognuna di quelle cazzate che dicevo a mio padre. Mi sento veramente un idiota.
Ed ora sono qui, nascosto in mezzo a questi cumuli di macerie, aspettando un segnale dal mio generale. Oggi è il 13 giugno. Siamo arrivati qui esattamente una settimana fa. Quando i portelloni delle navi si sono aperti, i tedeschi ci hanno sparato contro. Arthur era accanto a me. Venne colpito proprio sotto il cuore, più o meno dove si trovano le costole. Non lo so, non sono un medico, ma credo che lì ci sia un polmone. Ha impiegato tre giorni per morire. La notte, quando per un attimo si fermavano i combattimenti e potevamo metterci al sicuro, mi implorava di sparargli. Mi diceva “Uccidimi! Ti prego! Piantami una pallottola in testa e fammi smettere di soffrire!” e piangeva. Diavolo, quanto piangeva. Non riuscivo a sparargli. Ci provai. Presi in mano la pistola, la puntai contro la sua tempia, ma poi la mano mi tremò e scoppiai in lacrime. Non potevo sparargli! Avrei dovuto farlo, merda! Quanto dolore gli avrei risparmiato… Devi odiarmi, non è vero, Arthur? Ti prego, perdonami. Ma davvero, non ce l’ho fatta! Ho passato due notti abbracciato a lui. Tremava e piangeva. Poi pregava. Pregava Dio di farlo morire in fretta, pregava Dio di vegliare su nostra madre e pregava Dio affinché io potessi sopravvivere e tornare da lei.
Lo strano ragazzo di fronte a me ascoltava con aria assorta la mia storia. Non sapevo chi fosse o cosa volesse da me. Non era un soldato, di questo ne ero certo. Era apparso il giorno prima, dicendomi di essere un angelo. Un angelo. Non ho mai creduto negli angeli e, tantomeno avrei cominciato a crederci ora, dopo aver visto cosa questa guerra ha prodotto e avrebbe continuato a produrre.
“Un angelo?!”
“Sì, un angelo”
“E cosa saresti venuto a fare qui sulla Terra?”
“Mi ha mandato Dio”
“E cosa ti ha detto di fare?”
“Mi ha detto che il mio umano sarebbe morto a breve e che dovevo scendere sulla Terra a recuperarlo”
“Sarei io il tuo umano?”
“Esattamente”
“Quindi… immagino che tu sappia tutto di me e che non ci sia nemmeno il bisogno che ti racconti questa storia”
“No, affatto. Non so nemmeno come ti chiami”
“Davvero?? Almeno sei sicuro di essere il mio angelo?”
“Sì, certo. Nessun angelo conosce il nome del suo umano, rischierebbe di affezionarsi”
“E quindi come hai intenzione di chiamarmi? Ti avviso subito che i nomi “umano” o “tizio” non sono di mio gradimento!”
“Oh, non lo so. Con che nome vuoi che ti chiami?”
“Che ne dici del mio?”
“Qual è?”
“Alfred”
“Alfred… Alfred… Alfred” ripeté per tre volte, come se avesse paura di dimenticarselo.
“E tu, invece, come ti chiami?”
“Noi angeli non abbiamo nomi”
“Ma non mi va di chiamarti “angelo”!”
“Come vuoi chiamarmi?”
“Posso scegliere io un nome per te?”
“Certo”
“Allora, che ne dici di… Arthur?”
“Arthur? Come tuo fratello?”
“Precisamente!”
“È un bel nome”
“Ti piace?”
“Sì… quindi io ora sono Arthur e tu sei Alfred, giusto?”
“Giusto!”
Sorrise divertito. Probabilmente era la prima volta che qualcuno si rivolgeva a lui con un nome vero e proprio.
“Davvero voi angeli non avete un nome?”
“No, mai avuto”
“Eppure nella Bibbia si legge, ad esempio, dell’arcangelo Gabriele e…”
“Ah credi ancora in quello che c’è scritto nella Bibbia?”
“Sono stato cresciuto con quella… Cosa c’è? È così diversa la realtà dei fatti?”
“No no, mi chiedevo solo come facessi a crederci ancora. Voglio dire, ora sei qui, in questa guerra, tuo fratello è morto e tu stai per fare la stessa fine. Ancora credi nella Bibbia? È coraggioso da parte tua”
“Se ti dicessi che non ho mai creduto negli angeli, invece?”
“Ma ne hai uno davanti agli occhi, non puoi non crederci”
“Cosa siamo noi, per voi? Una specie di animaletti? Oppure solamente dei giocattoli con cui ammazzare un po’ di tempo?”
“Ad ogni angelo Dio affida un umano. Noi lo seguiamo sempre, vegliamo su di lui, senza mai farci né vedere né sentire. Poi, quando è il momento, Dio ci chiama e ci dice di andare a prendere il nostro umano. Allora noi ci riveliamo solo ad egli e lo accompagniamo in Cielo. Lì ci separiamo per sempre dal nostro umano e moriamo con lui”
Spalancai gli occhi a quell’ultima affermazione. Moriamo con lui. Gli angeli…muoiono?
“La nostra esistenza” continuò “ha senso solo se abbiamo un umano a su cui vegliare. Una volta che egli muore, anche noi non serviamo più”
“È per questo” domandai, abbassando la testa “che non potete affezionarvi al vostro umano?”
“Sì”
In quel momento, pensai ad Arthur, a mio fratello. Lo rividi steso a terra, con quella fasciatura di fortuna attorno al petto, mentre piangeva e mi implorava di ammazzarlo. Vedevo il suo angelo, al suo fianco, che gli bisbigliava all’orecchio. “È ora di andare” diceva “Vieni con me”.
“E Dio?” continuai, mentre il mio sguardo si perdeva nel vuoto assoluto, incapace di brillare come un tempo “Che cosa dice, Dio, di tutto questo, di questa guerra?”
Pensai a tutti gli angeli che morivano ogni giorno. Ogni soldato che perdeva la vita era un angelo in meno. Ogni civile, ogni donna, ogni bambino che moriva, un altro angelo spariva.
“Che cosa dice Dio? I suoi uomini sono sulla Terra che si uccidono a vicenda! I suoi angeli muoiono uno dietro l’altro e lui? Lui cosa sta facendo? Perché non lo impedisce? Perché permette tutto questo? Vedo uomini, padri di famiglia, figli, fratelli morire per mano di loro simili! Vedo donne e bambini massacrati in nome di quale ideale? Quale ideale può valere più di una vita umana? Quale cazzo di ideale? Ci mandano in guerra, ci danno un arma e ci dicono “uccidete il nemico”. E quelle ombre, le ombre di quei nemici che ho ucciso mi perseguitano la notte! Anche quei nemici erano padri, erano figli, erano fratelli! Chi ha detto “noi siamo i buoni” e “loro sono i cattivi”? Ci uccidiamo senza scopo, tormentati dai colpi di fucili e dai tuoni di bombe che risuonano nel silenzio. E Dio? Dov’è Dio? Se ne sta lassù, a guardare come uno spettatore a teatro! Aspetta solo la fine, si chiude il sipario. Si alza ed applaude. Poi se ne va, commentando: “Ammirevole”. Dov’era Dio, mentre mio fratello mi pregava di ucciderlo? Stava guardando? Stava godendo di quella vista? Dimmelo! Dov’era Dio, mentre quel soldato tedesco lanciava il suo ultimo sospiro, maledendo il nome del suo generale? Dov’era Dio? Dove è sempre stato Dio?”
Le lacrime mi rigavano il volto. Caddi in ginocchio. Le ferite vecchie di giorni ripresero a dolermi. Bruciavano in maniera così pungente, come se mi fossero state appena inflitte.
Arthur, l’angelo che era sceso sulla Terra il giorno prima fece pochi passi verso di me. Indi, si inginocchiò, di fronte a me e, in un gesto improvviso, mi abbracciò. Annodò le sue braccia attorno al mio collo e nascose il viso contro la mia spalla.
“Dio è sempre stato qui” rispose con voce strozzata “Lui è sempre stato accanto a te, accanto ad ognuno di quei soldati, accanto ad ognuno dei suoi angeli. Lui è nella mano tremolante che ti ha impedito di sparare a tuo fratello. Lui è nel sospiro di quel soldato tedesco. Lui è nel cuore di ogni figlio, di ogni padre, di ogni moglie e di ogni fratello che aspetta impaziente a casa. Lui è nel nome che tu mi hai dato. Lui non è lo spettatore a teatro. Lui è uno degli attori, uno dei protagonisti. Lui è il padre che piange quando vede anche solo uno dei suoi figli morire. Ha pianto quando è morto tuo fratello. Ha pianto quando è morto quel soldato tedesco che malediva il suo generale. Piangerà quando morirai tu. Piangerà sempre per i suoi figli e per i suoi angeli”.
Si strinse a me ed io non potei fare altro che completare quell’abbraccio così caldo e confortante.
“Quando morirò?” domandai, infine.
“Domani”
“Perché sei venuto qui con due giorni d’anticipo?”
“Volevo sentire la tua storia, conoscere il tuo nome”
“Ma così non ti affezioni a me?”
“Credevo di poterci riuscire senza lasciarmi trasportare dalle emozioni”
“Ora mi stai abbracciando…”
“Infatti. Ho detto “credevo”. Mi sono sbagliato”.
Ridacchiai appena alle sue ultime parole, sciogliendo infine l’abbraccio.
“Che cosa succede” continuai, guardandolo negli occhi verde smeraldo “se un angelo si affeziona al suo umano?”
“Nel momento stesso in cui l’angelo si affeziona comincia a svanire, perde consistenza, forma e muore. L’umano, invece, rimasto senza angelo, è destinato al Limbo, senza né gioia né dolore”.
Deglutii a quelle parole. Nel momento stesso in cui l’angelo si affeziona. Che voleva dire? Era forse stato quell’abbraccio? No, sarebbe già svanito.
Rimasi con quell’interrogativo per il resto della serata. Quando fu notte fonda, Arthur si addormentò su un cumulo di macerie in un angolo di quella stanza. Probabilmente, un tempo, quella era stata una casa. Immaginai le persone che vi vivevano, prima che guerra scoppiasse. Ebrei. Lo avevo capito dalla Stella di David incisa sulla porta in legno. Mi chiesi dove quella famiglia si trovasse. Speravo fosse salva, che fosse riuscita a scappare prima dell’arrivo dei tedeschi. Ma forse, invece, era in uno di quei campi di lavoro, in Germania, forse, o in Polonia. Forse era già stata sterminata. Forse era in America, forse era salva nel mio paese. Quella notte pregai per quella famiglia.
Impiegai diverse ore per addormentarmi. Sognai di tornare a casa, sognai mia madre in lacrime per la gioia di rivedere uno dei suoi figli. Sognai. Sognai. Sognai. Nient’altro. E quando riaprii gli occhi era l’alba. La luce mattutina del primo sole illuminava con quel suo chiarore violetto la polvere e i detriti. L’aria, quella mattina, sembrava stranamente leggera. Una delicata brezza ti accarezzava la pelle del viso, regalandoti un temporaneo, ma dolce sollievo. Quel giorno sarei dovuto morire. Era triste morire in una giornata così bella. Arthur ancora dormiva. Il suo viso era rilassato, come se nulla al mondo avrebbe mai potuto disturbare il suo pacifico riposo.
Ero intento ad osservare quella figura che così prepotentemente era apparsa nella mia vita, sconvolgendo i miei ultimi giorni. Era magro, scarno e non molto alto. I suoi capelli scompigliati erano dello stesso colore del granoturco, come perennemente baciati dai raggi del sole. Indossava una vestaglietta bianca, che lo copriva fino a metà coscia. Era un uomo, ma la sua pelle era liscia come quella di un bambino. Dovevo ammetterlo, a vederlo, pareva alquanto buffo; sembrava un bambino troppo cresciuto in un abito di carnevale. Tuttavia, la sua presenza non sollevava in me alcun riso, alcuna gioiosa reazione. Era un angelo, venuto a portarmi via al momento della mia morte.

“Jones! Arthur e Alfred Jones! Voi due! 1a Divisione di Fanteria! Spiaggia Omaha, settore orientale. Veloci!”
“Signorsì, signore!”
“Il settore occidentale è coperto?”
“Sì, signore! 29esima Divisione di Fanteria”
“Maresciallo Harris, qui parla il Generale Omar Bradley, mi sentite?”
“Qui Maresciallo della RAF Arthur Harris, vi sento forte e chiaro”
“Mi trovo a bordo dell’incrociatore Augusta. Ho ricevuto il segnale dai miei uomini. Potete cominciare il bombardamento pre-assalto”.

“Alfred… a cosa stai pensando?” quella voce mi richiamò dai miei ricordi. Mi stropicciai gli occhi, cercando invano di cancellare quelle visioni così violente di quel giorno, di quel dannato 6 giugno. Mio fratello rimase ferito nello sbarco. Dovevamo salvare la Francia. Tremila uomini sono morti quella mattina. Tremila angeli insieme a loro.
Rimango abbracciato al mio angelo, al mio Arthur, mentre il suono incessante dei bombardamenti mi sovrasta. “Che cosa volevi dire, eh, Arthur? Che cosa volevi dire con quel “nel momento stesso in cui l’angelo si affeziona”? Come riconosci quel momento?”
Arthur sciolse il nostro abbraccio. Posò una mano sulla mia guancia, accarezzandola appena. “Baciami, Alfred” sussurrò, donandomi un tenero sorriso.
Quelle furono le ultime due parole che sentii pronunciare dal mio angelo. Le nostre labbra si unirono. Assaporai con infinita lentezza la dolcezza delle sue, del suo bacio così teneramente ingenuo. Era qualcosa di nuovo e meraviglioso, qualcosa che ti lascia senza fiato nella tua inesperta ed innocente utopia. Vivi in un mondo in rovina, circondato da morti, chiedendoti costantemente dov’è Dio. E quando trovi quel piccolo e momentaneo sprazzo di felicità, capisci che nulla, nella tua vita è mai avvenuto per caso. Capisci che il mondo attorno a te cresce e si trasforma in ogni istante. Le case, le macerie e le rovine si disgregano attorno a te. Nulla è perduto, nulla è mai veramente perduto finché sei ancora immerso in quel sogno, quel bacio di un angelo che sparisce piano a piano, lasciandoti da solo a vagare in un mondo vacuo.
Un sogno fragile come l’aria.
Infinito come il cielo.
Immortale
come un
angelo.




TRADUZIONE PARTI IN FRANCESE:
- Credete a me, a me che vi parlo con conoscenza di causa, ed affermo che nulla è perduto per la Francia. Gli stessi mezzi che ci hanno sconfitto possono portarci un giorno alla vittoria.

- Qualunque cosa accada, la fiamma della Resistenza francese non si dovrà spegnere e non si spegnerà.
Domani, così come oggi, io parlerò a Radio Londra.
  
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