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Autore: marguerite_murcielago    17/07/2012    4 recensioni
C’era una volta, nel paese di Cipango, una città grande e popolosa chiamata Chō, che nella nostra lingua significa “farfalla”...
La storia di un giardino incantato, della ragazza che vi abitava, e dello straniero che le fece riscoprire la primavera.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta, nel paese di Cipango, una città grande e popolosa chiamata Chō, che nella nostra lingua significa “farfalla”. Era davvero una città stupefacente, con strade ampie su cui si affacciavano case grandi come paesi di campagna, circondate da grandi giardini profumati e mura cariche di fiori e piante odorose.
In una di queste grandi case viveva una ragazza; il suo nome era Miyoko.  

 

La casa in cui abitava aveva cento porte, che si aprivano su stanze così splendidamente ammobiliate che avrebbero fatto felici persino la moglie e le figlie dell’imperatore.
Miyoko, però, ancora non era entrata in tutte le stanze della casa, poiché preferiva trascorrere il suo tempo nel giardino incantato che circondava la magione: che in Cipango e a Chō fosse estate, o autunno, o primavera, o inverno, nel giardino di Miyoko scendeva sempre la neve, da un cielo perennemente scuro e annuvolato.
Lei vedeva sempre e solo le sagome degli alberi celate da mantelli bianchi e, più lontano, le mura che la separavano dal resto della gente. Se avesse voluto avrebbe potuto uscire dal portone di legno, ma non veniva aperto da così tanti anni che i rampicanti, prima di ghiacciare, ne avevano preso possesso. Miyoko non voleva uscire, avendo tutto quello che desiderava nelle molte stanze della sua dimore.

 

Una notte – in città era primavera, nel cielo violetto splendeva una luna tonda – una tempesta di neve, con forti raffiche di vento, si abbatté sulla casa di Miyoko.
Ogni tanto capitava, perfino nel suo invernale angolo di paradiso, e nulla di nuovo sarebbe accaduto se una tegola venne sollevata dagli sbuffi del vento e cadde contro il portone.
Il legno era oramai marcito e si creò, così, una piccola fenditura.
Dall’altra parte del muro, un uomo camminava sul marciapiede.
Potete ben immaginare la sua sorpresa, quando sentì uno schiocco e vide una scheggia di legno volare, proprio davanti al suo naso! Quando si fu ripreso, decise di accostare il viso alla fessura che era venuta a crearsi: e cosa vide, dall’altra parte!

 

La ragazza fece scorrere un pannello e andò ad inginocchiarsi sul ballatoio che correva lungo tutta la facciata della casa: tra le mani teneva una tazza scura, da cui saliva il vapore. Prima che si richiudesse il pannello alle spalle, l’uomo vide l’angolo di un futon.
La ragazza, che era sicuro di non aver mai visto prima, indossava una sottoveste verde oliva ed un kimono nero, a tinta unita. L’obi era verde e giallo scuro. Il legno, sotto le sue dita, scricchiolò, e se nel rumore della città lui se ne accorse appena, nel silenzio ovattato della neve risuonò come se qualcuno avesse appena abbattuto un albero.
La ragazza drizzò la testa, prese qualcosa che stava sul ballatoio, accanto a lei.
Era un ombrello nero; lo aprì e, a piccoli passi, venne da lui.
- Da quando è buona norma spiare nei giardini altrui? – chiese, ma il suo tono era dolce.
- Sono stato imperdonabilmente maleducato – rispose lui. La ragazza gli sorrise.
- Entrate pure.

 

Miyoko attese, sotto l’ombrellino laccato, che l’uomo tirasse il chiavistello.
Con un cigolio, il portone si aprì verso di lei e una brezza tiepida le ricordò le notti primaverili, il profumo dei fiori chiusi ancora nell’aria, la luce della luna sulle guance.
Insieme a quel miscuglio di sensazioni, entrò anche un uomo con i capelli neri, che alzò subito la testa verso il cielo, stupito forse dalle nuvole basse e levigate, forse dai fiocchi di neve quasi invisibili che gli cadevano sulle labbra. Cortese, Miyoko gli offrì del posto sotto il suo ombrello e si avviarono, vicini, verso la casa illuminata. Alla luce dorata che traversava i pannelli scorrevoli, i due si studiarono per un breve istante: Miyoko inarcò appena le sopracciglia: doveva essere uno straniero perché, oltre all’altezza inconsueta, aveva la pelle molto chiara, molto più chiara della sua, che non vedeva il sole da tempo.
Gli occhi erano quasi neri, attorniati da ciglia lunghe.
Sotto il suo sguardo stupito, le belle labbra rosee si allargarono in un sorriso.
- Signora, ho attraversato molte terre per arrivare qui: sono stato in Catai e da lì ho preso una nave per il paese di Cipango: ma mai, mentre viaggiavo su quella barchetta fragile, ho pensato che avrei potuto trovarvi una simile bellezza – le rivelò, soffiandole in volto.
Miyoko arrossì e lo invitò in casa.
- Torno subito, signore, e le porterò un tazza di tè, per riscaldarvi.

 

Indossò una sottoveste rosa scuro e un kimono giallo chiaro; all’altezza delle cosce erano state ricamate nuvole bianche, dalle ginocchia in giù un volo di libellule tra fili d’erba.
Infilò un fazzoletto nell’obi nero.
- Scusate il ritardo – si inginocchiò e versò il tè in una tazza bianca, che lui avvicinò a sé, ma senza bere. Non distoglieva un attimo lo sguardo da lei e dai suoi movimenti.
- È da molto tempo che un uomo non mi degna della sua attenzione – aggiunse, mascherando a fatica il piacere nella sua voce. L’uomo aggrottò le sopracciglia.
- Non sei… una donna delle nevi? – chiese, a fior di labbra.
Miyoko rise. – Oh, una yuki-onna? E dov’è il kimono bianco, i miei occhi terrificanti?
- Ma il tuo giardino…
- Incantato. Un giorno dissi di non voler cambiare mai e la neve che cadeva su Chō non smise mai di cadere sul mio giardino e sulla mia casa – rivelò e bevve un sorso di tè.
- Come ti chiami?
- Miyoko.
- Vieni con me, Miyoko.
La prese per mano, con molta delicatezza, e la condusse in giardino, a piedi scalzi.
Attraversarono di corsa il giardino innevato, silenziosi e fuggevoli come ombre; lui aprì il pesante portone e i profumi della primavera accarezzarono il naso di Miyoko.
Di nuovo, lui la prese per entrambe le mani e la sospinse sulla strada; era davvero una notte dolce e tiepida e le persone passeggiavano sui marciapiedi, chiacchierando amabilmente.
Miyoko si voltò verso la sua casa e notò, non senza stupore, che la neve non c’era più: la luna irradiava la sua luce bianca sulle rocce, sui sentieri e sui fiori chiusi.
- Miyoko – le disse lui, sfiorandole le labbra con un dito – accetta sempre ciò che il destino ti offre: sia esso una tempesta di neve o una tegola rotta, farà sì che prima o poi la neve si sciolga. Siamo parte della natura e la natura non tollera l’immobilità.

 
C’era una volta, nel paese di Cipango, una città grande e popolosa chiamata Chō, che nella nostra lingua significa “farfalla”. Era davvero una città stupefacente, con strade ampie su cui si affacciavano case grandi come paesi di campagna, circondate da grandi giardini profumati e mura cariche di fiori e piante odorose.
In una di queste grandi case viveva una piccola famiglia; da una finestra aperta risuonava una dolce ninna nanna.

 

Quando tutti saranno assopiti,
anche gli uccelli e le pecore
nei giardini e nei campi,
le stelle questa sera
riverseranno la loro luce dorata
dalla finestra!

(Memorie di una geisha)

   
 
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