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Autore: sehnsucht_    17/07/2012    0 recensioni
«Mi piace qui.» Sussurra – una girandola a corto di respiri, un frantume di sogno trattenuto dai clamori del cielo, un oceano di silenzio che scuce i nastri di tutte le frasi.
«Cos’è qui?»
«Qui è per sempre.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Produzioni seriali di cieli ammaccati




«Mi piace qui.» Sussurra – una girandola a corto di respiri, un frantume di sogno trattenuto dai clamori del cielo, un oceano di silenzio che scuce i nastri di tutte le frasi.

Mezze vuote, mezze piene. Coi nostri sogni sbeccati.

Coi nostri infermi malati.

«Cos’è… qui?» Le stringhe, di quelle frasi, intende, sono cadute. 

Tutte insieme, o forse, ad una ad una.

E hanno fatto rumore. Prima, o dopo, che importanza ha?

Tap – tap, pam, padabump!

Le mani di Maximus inarcano un gemito, e s’incastrano tra le pieghe della maglietta di lui. Di loro. Allarga. È come se… come se ci fosse sempre una stella morta, una stella storta, sfiatata, sfatata. Una fiaba a cui non credi più, riposta tra i miasmi di uno scrittoio.

Risposta, tra le lettere untumate, le frasi unghiute.

Sst.

«Fai silenzio.»

Accosta la testa, posa il capo, le pretese di un altro respiro – solo uno, che le nostre sarte orbe decapiteranno tutte le vesti, prima o poi, che importanza ha? – si sciolgono in un abbandono.

La mano frammezza, frammista, le note disciolte, è come un bisturi che recide i post-it dei nostri ricordi, le banderuole delle capitali del mondo. Dapprima impiccate. Travolte. Invase.

Si apre un vuoto.

S’aprono, le dita del ragazzo come i canti di un’ombra uccisa.

Sulla sua pelle, le carni sfavillano, trapuntate di brividi intricati sulle punte di un altro sospiro.

E sospira.

Sospira un’altra volta, prima che ogni punaises si scordi e venga ammazzata. Amore, ti posso chiamare amore?

Sincerarsi di ritrovare a ritroso il recondito rammento di quei voli gelati, le ali morte, riposte, abbandonate come una sposa all’altare. E poi di nuovo. Un’orchestra. La marcia. La sposa impiccata.

«Finiremo all’inferno?»

«Non credo che con te l’inferno mi potrebbe sembrare un posto brutto.» A Tuomas, le frasi, capriolano stanche.

«Chi ha detto che è un posto brutto?»

«Spero solo faccio un po’ di.. freddo?»

Rimembrare il ricordo, sdrucito, slabbrato di quelle volte, andate, in altre ere, in altri istanti sorretti ancora dall’ombra gelata che proiettava il piedistallo in cui aveva nascosto – ancora, quelle algide spoglie, le statue ritratte di angeli caduti in estasi. Che prima o dopo, cadranno tutti, tra gli spazi – i vuoti delle nostre parole. Che ci scriveranno di silenzi, di teche e cristallerie, e turisti – costellazioni di sorrisi, che violenteranno ogni gabbia lasciata mezz’aperta per farti ricordare la strada di casa – oh, torna a casa. Turisti, stelle. Che illumineranno i riflessi degli specchi caduti, bucati. E saranno loro, loro due, le sue mani che ancora riverberano le cuciture delle ali recise crudelmente quasi una tempesta gentile avesse scuoiato poesie come spento ombre, e incanti, illusioni fruscianti come le disgraziate agonie di una candela.

Frrr.

«Cosa cerchi? Ancora… cosa cerchi?»

«Le cuciture delle tue ali, tra le scapole», poi aggiunge, «hai mai provato a volare?»

In quell’istante che ogni sguardo ha taciuto, Maximus stringe ancora più forte l’addome di Tuomas. Maximus cerca ancor di più quelle ali.

«Sono sicuro che al mio primo volo sono state tarpate – un volo, fosse solo il cascare della mia lacrima,» dice Tuomas e impatta uno sguardo, si volta mentre le mani di lui seguono vie insicure sulla sua schiena, rovesciano i brividi tra le scapole. Accertarsi del suo capo, il suo respiro, le gole squartate da quei vuoti richiusi. «O guardarti. Per me, guardarti, è come volare.»

E quando si guardano c’è uno stormire sommesso.

«Le sento. Si stanno aprendo – aspetta, voglio che qui sia per sempre.»

«Sai, che per sempre, non è ora, né domani, né che importa. Sai, che per sempre siamo noi?»

«Allora, per sempre?» Maximus sporge un respiro, quasi ad imbrogliare una bugia, una verità mesta, un tralcio di felicità estirpata in un sorriso.

E le poesie di Tuomas sono tutte per lui. Sporte.

I campi dei respiri concentrano attracchi di luce, balzi di contorti di filari ammaccati. Cieli, ammaccati.  

Maximus devasta le sue labbra.

Tuomas, divora il suo respiro.

O s’è al contrario, nessuno lo sa.

Forse, il fruscio, il frusciare è solo quello delle loro labbra. E quando si posano, si apre un altro vuoto.

Un altro ancora.

E si richiude, con le lingue che affliggono arabeschi, indorano le gole martoriate da lacrime vomitate, uno sbattere di palpebre. 

Una fisarmonica mortale.

«Per sempre.»

  
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