L’INCONTRO
CON UN SOGNO CHE
FA DA PRELUDIO AD UNA NUOVA VITA
Iniziò
tutto così… Tra un bacio e un altro… E
tra un bacio e un canto….
“è
mai possibile che devo fare tutto io in questa casa?!”
Come
ogni mattina mi trovai ad urlare in casa mia. Vivevo con il mio unico
parente,
Mio fratello, Si chiamava Mark, viveva come un pascià, non
metteva mai gli
indumenti a lavare abbandonandoli in giro per la casa e la sua stanza
era
peggio di un porcile.
Meno
male che c’era qualcuno che mi ascoltava sempre, Shorty, il
mio Husky, creatura
fantastica, col pelo nero e bianco.
Lo
adoravo, l’amavo più di quanto amasi mio fratello,
ci avevo messo anima e corpo
per riuscire ad acquistarlo… Anche se ero abbastanza famosa
nel mondo della
musica, tutto il mondo conosceva il mio nome, non prendevo tanto e
Shorty
costava il doppio di quello che guadagnavo in un anno.
Mark
entrò in cucina, mentre io stavo preparando la colazione.
Dovevo
essere in studio entro le dieci ed erano solo appena le sette.
Mio
fratello indossava solo le mutande, non si vergognava minimamente, mi
faceva
pena solo a guardarlo, ma dovevo ammettere che se qualcuna o qualcuno
lo toccasse
per picchiarlo, lo avrei difeso con
il
mio stesso corpo.
“Eccoti
la colazione, io ho già mangiato. Adesso devo andare in
studio per decidere le
date per il tour e per mettere apposto la tua canzone preferita. Mi
raccomando
attento ai fornelli quando cuoci la carne!”
Non
disse nulla, era troppo intento ad ingozzarsi con la sua colazione.
Sentì
il suo di un clacson, simile a quello della limousine con cui mi recavo
al
lavoro, ero certa che fosse Alfredo.
Presi
le chiavi e lo zaino con dentro alcuni abiti di ricambio, alcune volte
passavo
la notte fuori, anche senza preavviso.
Mi
avviai alla limousine felice di vedere Alfredo, mi sedetti comoda e
salutai
l’uomo come al solito.
“Brutta
giornata Alfredo?”
Chiesi
vedendo la sua espressione.
Sbuffò
come se niente fosse e accese il motore, iniziammo ad avviarci verso lo
studio
con poca voglia, mentre raccontai il mio sogno ad Alfredo, ormai era
come se
facesse parte della famiglia.
“Non
ci posso credere! Ho fatto lo stesso sogno! È da una
settimana che continua
così. Chissà che vuol dire…”
Dissi
arrabbiata, non volevo parlarne ma ormai Alfredo sapeva… di
me, delle mie
tendenze, ormai sapeva tutto di me e io sapevo tutto di lui.
Alfredo
con quella divisa tutta nera con i guanti bianchi, rideva per me e per
il
sogno.
Lo
fulminai con lo sguardo, arrabbiata e lui invece di smetterla, rideva
di più.
“Secondo
me è un sogno premonitore. Se fai lo stesso sogno per
più di una settimana, si
avvererà. Chissà magari oggi incontrerai una
donna che ti farà battere il
cuore.”.
Lo
disse con un tono dolce che solo lui sapeva usare.
Io
non volevo innamorarmi di nuovo, non dopo quella volta…
stavo con una donna più
grande di me e che per sbaglio… morì.
Era
l’unica cosa che Alfredo e mio fratello non sapevano, ma
prima o poi quel dolore
atroce sarebbe scomparso.
Iniziai
a raccontare ad Alfredo di quella ragazza, con tristezza, ma senza
lacrime, per
la prima volta.
“Sai
non è che mi vorrei innamorare di nuovo. Questa storia non
la sai, ormai sei
come un fratello per me e tra di noi lo sai che non ci dovrebbero
essere
segreti, voglio che tu lo sappia. Io sono stata già
innamorata di una donna più
grande di me. L’avevo conosciuta in un pub, una sera. Un
semplice ciao e bum!
Mi ero persa nei suoi occhi e nel suo sguardo, dal modo in cui parlava.
Siamo
state 2 anni assieme. Una sera, il giorno del suo compleanno, le avevo
preparato una sorpresa. Un’intera sala di un ristorante, il
più elegante della
città, pieno di palloncini salatini e pizza. Solo io e lei.
L’ho aspettata per
2 ore. Quando tornai tornavo a casa, sentì di un incidente
d’auto in cui era
coinvolta una donna di 25 anni. All’inizio non pensavo fosse
lei ma poi… una
telefonata di sua madre che piangeva, avevo capito subito che era lei
quella donna
di 25 anni, che era coinvolta in quel stramaledetto incidente. Era
stato un
pirata della strada a farla fuori. So chi è il tipo che
l’ha investita, ma è
scappato chissà dove dall’altra parte del
mondo.”
Dissi
guardando un punto fisso davanti a me, gli occhi lucidi che non
volevano
piangere.
Non
ebbi nemmeno il tempo di guardare Alfredo che si fermò sul
lato destro della
strada e si girò a guardarmi.
“Non
me l’hai mai raccontato piccola! Deve essere stato un colpo!
Mi dispiace
moltissimo per quella donna! Ma ora che ci penso non è
quella donna che era perseguitata
da un serial killer?”
Dopo
quella domanda non sapevo cosa rispondere.
Un
semplice sì uscì dalla mia bocca.
Con
un segno gli faccio comprendere di riprendere il tragitto.
Dopo
cinque minuti Alfredo azzardò a chiedermi una domanda.
“Silvia,
ma non è che nei sogni che fai c’è
questa donna?”
Io
rimasi di stucco, non riuscivo più a capire se era la donna
che amavo o
un’altra che non conoscevo.
Mi
concentrai più che potevo sul sogno, no… non era
la donna che ho amato…
“È
un’altra persona che non conosco.”
Alfredo
sorrise. Forse aveva capito qualcosa, sui sogni che facevo.
Alfredo
accelerò fino allo studio, dove avrei conosciuto una nuova
donna, per aiutarmi
con i testi delle mie nuove canzoni.
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“Sicura
che non vuoi che ti porti su la roba?”
Mi
chiese Alfredo ridendo come un pazzo. Sicuramente si divertiva a
prendermi in
giro, non riuscivo a portare tutto da sola ma non volevo che si
disturbasse per
me.
Non
dissi nulla, comprese che non avevo bisogno del suo aiuto.
Guardai
quel palazzo di 12 piani.
Era
di colore azzurro con le finestre a due ante medie.
Ringraziai
tutti i numi del cielo che dovevo recarmi al primo piano, soffrire di
vertigini
non mi aiutava a stare in posti troppo alti.
“Vuoi?”
Disse
Alfredo, mi voltai, teneva una sigaretta della Camel nella mano che
tendeva
verso me. Negai col capo, non fumavo da tre anni. Guardai quella
sigaretta
ripensando al passato e mentre la mise via urlai.
“No!
Ho cambiato idea”
Gli
sfilai il pacchetto dalla tasca e l’accendino ancora in mano.
La
fumai e per fortuna non mi venne la tosse, come la prima volta.
Quella
sigaretta che mi fece scordare per un po’ i miei problemi, di
quelli ne avevo
tanti, troppi, e non finivano mai.
Vidi
passare una donna, all’incirca avrebbe avuto uno o due anni
più di me, mi
guardò strana, come se già mi conoscesse, ma
io…
Ma
io quella donna la conoscevo!
Era
la donna del mio sogno! La donna che mi perseguiva da settimane.
“Ehi!
Hai visto la donna più bella del mondo? Sveglia! Io sono qui
bellezza!”
Mi
sbeffeggiò Alfredo con quella voce da maschio che
l’avrei sentito anche da
dentro allo studio.
Sobbalzai
e mi voltai verso lui che iniziò a ridere, lo guardai con
aria rimbambita,
sembravo una scema e poi gli diedi un piccolo pugno sulla pancia.
“Che
ridi?”.
Gli
chiesi divertita.
Guardai
l’orologio e fu troppo tardi per parlare ancora. Presi la mia
roba, fortunatamente
trovai il modo di portare le mie cose.
Salutai
Alfredo con un cenno del capo e lo vidi andare in macchina e tornare a
casa.
Mi
sarebbe venuto a prendere dopo e gli avrei parlato della giornata.
Buttai
la sigaretta per terra e la pestai come un tempo facevo, ed entrai, la
hall era
gigantesca.
Mi
ritrovai davanti la segretaria, pomposa dietro al suo bancone.
A
destra l’ascensore e a sinistra lo studio per gli attori.
Andai
dalla segretaria per una domanda che mi era venuta in mente mentre ero
ancora
fuori con il mio autista.
Appoggiai
la roba per terra e mi presentai. “Salve! Sono
Silvia…”
Non
riuscì nemmeno a dire il mio cognome che mi interruppe.
Sorrise
come una vera donna, peccato fosse etero questo ben di dio.
“Si
la conosco, è molto famosa… Comunque mi dica pure
sono a sua disposizione.”
Aveva
un’area da fan questa segretaria, ma non ci diedi peso, avevo
così tanti fan
che ormai per me i loro visi si confondevano, sembravano tutti uguali.
Le
sorrisi e ripresi la mia roba.
“Volevo
sapere se è già arrivata la ragazza che mi
aiuterà ad arrangiare le canzoni,
non so se mi spiego…”
Dissi
guardandola negli occhi.
Era
la prima volta che vedevo questa segretaria, probabilmente era stata
appena
assunta, speravo che fosse brava e che non avrebbe combinato guai come
la sua
collega di prima.
“Certo!
È appena arrivata le dico che è
arrivata?”
Mi
chiese tutta pimpante
“Sì,
ma dille che sono andata in bagno”
Le
sorrisi e mi diressi in bagno, entrai e mi lavai le mani per poi
entrare in uno
dei cubicoli; tutto mi sarei aspettata, tutto tranne di trovare una
donna sul wc.
Era
seduta e guardava verso il pavimento con un’aria che tutto
sembrava tranne
felice.
“Ehi…
Tutto bene?”
Le
chiesi.
Sembrava
quei film espliciti in cui una delle due stava sempre male per via
delle
tendenze o per cos’altro.
Posai
a terra la mia roba e mi misi in ginocchio per guardarla meglio.
Lei
lentamente alzò le testa e ebbi un ricordo di lei.
Quei
sogni con lei… Aveva il viso pieno di lacrime, non sapevo
come aiutarla se non
parlava, ma poi prese coraggio.
“Scusa…
è una giornata molto pesante per me. Sono stata lasciata e
non ho più un
appartamento, sono costretta a vivere per strada.”
Lei
a vivere per strada? Ma se era così carina da mozzare il
fiato e dei vestiti
che facevano invidia! Forse le persone non erano poi come pensavamo.
L’abbracciai
senza sapere il motivo, forse per consolarla e basta.
Era
solo una cosa gentile per tirarla su di morale.
Lei
non esitò si appoggiò a me.
Poi
mi prese per il mento e mi diede un bacio, o quasi.
Mi
scansai e tossì per l’imbarazzo.
Presi
la mia roba e la guardai.
“Lei
deve essere la mia aiutante per l’arrangiamento delle canzoni
e dei testi futuri
per il mio album, giusto?”
Annuì
guardandomi un po’ perplessa
“Venga
con me”
Dissi
porgendole la mano.
In
queste occasioni ero sempre seria dopo un mezzo bacio, non sapevo il
motivo, ma
me l’avrebbe spiegato dopo il lavoro e se non avrebbe
accettato il mio aiuto
sarebbe venuta da sola nello studio.
Mi
prese la mano e si alzò guardandomi e sorridendomi.
“Grazie…”
Disse
per poi avviarci nello studio da sole.
Il
mio menager e il fonico non erano ancora arrivati sarebbero di certo
venuti
dopo, quando avrei completato tutto l’album e dopo aver
modificato alcune
canzoni.
Lavorammo
tutto il giorno e facemmo la pausa per il pranzo, andammo in un
fastfood di
fronte allo studio, dovemmo attraversare solo la strada.
Parlammo
un po’ di quelle canzoni e arrivò un momento in
cui scese il silenzio, nessuna
delle due sapeva che argomento toccare per continuare la conversazione,
fui io
a interrompere il silenzio.
“Perché
prima ha tentato di baciarmi?”
Chiesi
senza scrupoli, e senza vergogna, avrei voluto davvero sapere che cosa
le ara
passato per la mente prima.
Mi
guardò per un istante e poi sorrise, avvicinò il
viso al mio e rispose.
“Ero
sconvolta, ovvio che sarebbe scappato un bacio..”
Disse
per poi sorridere, e sorrisi con lei.
In
un certo senso aveva ragione, sicuramente l’avrebbe fatto con
chiunque.
“Ti
va se stasera usciamo?”
Rimasi
di stucco, non sapevo niente di lei e lei niente di me.
“Beh..
io..”
Balbettai
un po’ per poi restare in silenzio a fissarla, sembravo
un’ebete, poi lei mi
rassicurò.
“Non
preoccuparti è per conoscerci meglio!”
Sorrisi
a quella frase, mi guardai un po’ intorno e le feci il cenno
di sì.
Appena
finito di mangiare andammo subito al lavoro per continuare i testi.
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Entrammo
nello studio, mi guardai intorno ma non riconobbi più il mio
vecchio studio,
era tutto cambiato.
I
mobili, i fogli per scrivere, la scrivania che tanto amavo…
tutto era cambiato.
Mi
guardai intorno mentre camminai in avanti senza vedere una sedia e
quasi non ci
finivo sotto.
Era
tornato tutto come una volta, era tutto lussuoso, il mio adorato
porcile, la
mia confusione dove riuscivo a trovare tutto, era tutto scomparso,
guardai la
donna prendere un foglio e metterlo nella scrivania nera.
‘che
schifo di scrivania! Fa cagare!’
Pensai,
faceva tutto schifo! Perché la segretaria non mi aveva detto
di questo
cambiamento?
“Senti
devi compilare questo modulo per me.”
Disse
la donna che era dietro di me, ancora si doveva presentare, ma credo
avesse
voglia solo di lavorare.
Annuì
sorridendole e presi la penna dalle sue mani senza toccarla e mi misi
seduta
nella sedia che avevo di fronte e lessi il modulo…
Che
alla fine erano solo domande personali.
Nome: Silvia
Cognome: Ferrato
Età: 19 anni
Luogo
di nascita: Canada
Titolo
di studio: Diploma in Geometra
Passate
esperienze lavorative: Ho
lavorato in
molti locali e poi ho iniziato a cantare.
Finito
di compilare il modulo mi alzai e presi il foglio e la penna e glieli
restituì.
Mi
appoggiai al tavolo guardando il modulo e poi la donna che leggendo il
mio nome
sorrise per poi tornare subito seria.
Mise
il modulo nella sua borsa.
Chissà,
magari mi conosceva già, ma allora perché
quell’invito?
La
guardai mentre feci un passo verso di lei e presi coraggio.
“Tu
come ti chiami? Sai non ci siamo presentate durante l’ora di
pranzo..”
Lo
stomaco si liberò di quella frase che mi perseguitava da
mezz’ora.
Mi
guardò come sorpresa della domanda, ma non resisti a farle
un accenno di
sorriso, per riceverne uno più bello.
Ci
guardammo a vicenda negli occhi.
Aveva
degli occhi azzurri come il cielo completamente libero da nuvole, erano
bellissimi.
Si
avvicinò a me, qualche centimetro in più e le
nostre bocche si sarebbero
toccate, ma si fermò e mi sorrise mostrandomi la sua mano
tesa verso la mia.
“Mi
chiamo Erika, tanto piacere”
Erika?
Il suo nome m’incantò, fin da piccola amavo quel
nome, ma a differenza di molti
bambini non volevo cambiare il mio nome, mi piaceva quando mi
chiamavano mi
sembrava che parlassero di un raggio di sole che illuminava
ciò che lo
circondava.
Le
sorrisi e ci stringemmo la mano.
Perlomeno
l’avrei chiamata per nome e non dandole del lei.
Presi
dalla mia borsa il foglio con la canzone da modificare.
Lessi
tutto il testo mentre Erika prese il suo cellulare che stava
squillando, una
suoneria di poco gusto direi.
Non
feci molto caso alla musica, ma l’espressione che si dipinse
sul volto di Erika,
la guardai con fare interrogativo e senza indugi rispose.
“Che
cosa vuoi? No non voglio tornare con te! Sono al lavoro e non ho
intenzione di
uscire ancora con te! Non chiamarmi più!”
Spense
il cellulare con una faccia che non ho ma visto in vita mia. Pensai
subito a un
suo marito, ma poteva essere chiunque.
Un
parente, una fidanzata. In un certo senso in questo paese era pieno di
lesbiche
per cui non potei non pensarci.
Mi
ricordò tanto il giorno in cui mio fratello
litigò con una sua ex e alla fine
si fece una in un locale e il giorno dopo si sentì meglio.
Sperai
solo che non prendesse da me…
Scossi
la testa e vidi lei che guardava ancora il cellulare.
Avrei
voluto dirle qualcosa, ma in quel momento sembrò come un
offesa o non so cosa.
“Ehi!”
Le
dissi sottovoce, quasi non l’avevo sentito io…
quel
tono aveva un qualcosa tra il dolce e il triste e forse anche un
pizzico di
sensualità.
Si
voltò e mi guardò con uno sguardo felice.
Forse
si sentì libera dopo quelle parole.
Pensai
al fatto che dormiva fuori.
“Se
vuoi puoi venire a vivere da me. Insomma la casa è grande,
vivo sola con mio
fratello e le stanze da letto libere sono tre. Non ti preoccupare se
non hai
soldi, pagheremo tutto noi.”
Dissi
quelle parole come se me la immaginassi in casa mia con le valigie, da
sole io
e lei, ma sicuramente non avremmo avuto tempo libero, visto che ci
abitava
anche mio fratello.
Avrebbe
avuto anche fatto conoscenza con Shorty, l’avrebbe adorato e
lui avrebbe
adorato lei.
Si
sedette comoda e dritta sulla sedia accanto a me, aveva una collana che
all’inizio non avevo notato: Un lupo.
Scossi
la testa ed Erika fece una faccia strana e sorrise, per poi rispondere.
“Non
vorrei disturbare. Insomma sai non sono una donna che va a casa delle
persone
così. Ci conosciamo appena da stamattina.”
In
effetti non ebbe tutti i torti, però io ero una ragazza che
aiutava la gente e
lei, doveva per forza stare con me per due anni consecutivi, lei quella
notte
avrebbe dormito in una panchina se non avessi fatto qualcosa. Solo al
pensiero
mi faceva pena…
Abbassai
lo sguardo tristemente alla sua risposta, aveva ragione però
non volevo che
rimanesse fuori…
“Senti
io sono una persona che aiuta chi è in
difficoltà, che non hanno una casa, sono
sensibile, per cui se non vuoi venire a vivere con me, mi
sentirò triste.”
Dissi
nascondendo il viso con i miei capelli biondi. Erika forse aveva capito
i miei
sentimenti o forse no, non sapevo cosa stava facendo, ma quella voce mi
fece
felice…
Un
sì dolce che avrei spaccato tutto pur di farle vedere quella
casa.
Alzai velocemente lo sguardo e incontrai il suo. L’abbracciai, una stretta molto commovente, ma per me no. Mi bastava che lei fosse felice.