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Autore: AlexisLestrange    19/07/2012    13 recensioni
A Dean piaceva il suo papà. Gli piaceva perché era grande e forte, e sapeva fare tutto.
Era sicuramente il papà migliore del mondo.
Ma quello che a Dean piaceva più di tutto, era senza dubbio Sammy.
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dean Winchester, Famiglia Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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A Dean piaceva il papà.

Gli piaceva perché era forte. Lo capiva da come lo sollevava in aria senza nessuno
sforzo, da come non si lamentava mai, neppure quando si era fatto tanto male, da
come caricava tutte quelle cose pesanti su e giù dalla macchina, tutti i giorni.

Era indubbiamente il papà migliore del mondo.

Non c’era nessun dubbio: nessun altro papà sapeva fare tutte quelle cose che faceva il
suo, e Dean ne era proprio contento. Era un peccato che fosse l’unico a sapere di
avere un papà tanto fantastico, o meglio, forse Sammy lo sapeva, e forse lo aveva
saputo anche la mamma, ma adesso l’unico che poteva essere orgoglioso di John era
lui, Dean. E lo era.

A Dean piaceva il papà.

Gli piaceva quando era forte, ma soprattutto quando era solo il suo papà, e
nient’altro. Quando se ne stava a casa con loro e doveva cambiare il pannolino a
Sammy, o quando si trovava a rincorrere il fratellino che stava muovendo i primi
passi. Gli piaceva quando non sapeva da che parte iniziare per preparargli una
crostata come quelle che faceva la mamma, o quando prendeva a cavalluccio Sammy
lasciando che Dean gli si sedesse sul ginocchio, e diceva che gli voleva bene.

Sì, a Dean piaceva proprio il suo papà. Ma quello che gli piaceva più di tutto era
indubbiamente Sammy.

Sammy era il suo fratellino –e questo era ovvio, però ogni tanto Dean se lo ripeteva,
prima di andare a letto. Gli piaceva il suono di quella parola, “fratello”: ogni tanto, si
arrampicava sulla culla di Sammy, si sporgeva a guardarlo e gliela sussurrava tante
volte, quasi fosse una canzoncina, o una ninna-nanna.

Fratello, fratello, fratello.

Sammy di solito lo guardava, e alzava le manine per afferrare le dita di Dean, che
dondolavano sopra di lui. Qualche volta sorrideva anche.

Gli piaceva soprattutto quando il papà usciva, e allora era solo lui che doveva badare
a Sammy. Si sentiva incredibilmente importante: tirava fuori Sammy dalla culla, lo
metteva in piedi, gonfiava il petto e gli ripeteva severamente tutte le regole della
casa.

Non si usciva fuori, non si apriva la porta, non si andava da nessuna parte finché papà
non tornava. Non bisognava gridare né fare troppo rumore. Non bisognava mai
entrare nella stanza del papà.

A volte però aveva l’impressione che il fratellino non lo ascoltasse, o che, se anche lo
ascoltava, non capisse nulla di quello che gli stava dicendo. Erano quelle stesse volte
in cui Sammy gattonava via fino all’angolo con le cose di papà, vi si arrampicava, e
ogni tanto riusciva a mettere anche mano a una delle pistole.

E allora Dean si spaventava, correva da lui, lo prendeva in braccio e lo riportava
immediatamente nella culla, al sicuro.

Se Sammy piangeva per la delusione, gli raccontava una storia o cercava di distrarlo
con un giocattolo –anche se in verità non ce n’erano molti, in casa.

Ma quella sera il fratellino doveva essere proprio triste, perché non c’era modo di
tirarlo su di morale. Piangeva, e le lacrime gli scivolavano giù per le guance rotonde,
mentre guardava Dean come aspettando che facesse qualcosa di grandioso per lui.

Dean però non sapeva cosa fare. Era terrorizzato all’idea che il papà potesse tornare
all’improvviso e dargli la colpa per avere fatto piangere Sammy. Non lo voleva
deludere –si fidava tanto di lui, quando glielo affidava per tutta la sera.

Dean prese in braccio il fratellino, e provò a cullarlo come aveva visto fare alla
mamma tante volte. Ma le braccia della mamma erano state grandi, morbide e calde,
mentre lui era solo un bambino che cercava di consolare un altro bambino.

«Sh, calmati, Sammy» gli mormorava Dean, in fretta. «Cos’è che non va? Perché non
puoi imparare a parlare così me lo dici? Dai, non fare così. Non ti devi preoccupare di
niente, lo sai? Ci sono qua io! Io, Dean. Sono tuo fratello, Sammy. Fratello, fratello,
fratello. E ti voglio bene. Anche il papà ti vuole bene. Ci sono io qua io. Dean»

Pian piano Sammy si era calmato, e si era addormentato.

Era stato il giorno dopo, che il papà era tornato. Lui e Dean erano seduti a tavola a
mangiare una pizza in silenzio, perché il papà era di quell’umore in cui non aveva
voglia di parlare. Doveva essere stanco.

Sammy scese dal divano dove l’avevano appoggiato, mosse qualche passo sbilenco ed
arrivò fino al fratello, tirandolo per la maglia.

«Dín».

Erano le prime parole che gli sentivano pronunciare. Il papà alzò la testa verso loro
due, sorpreso, e sembrava come un uomo che si risvegliava dopo un lungo torpore.

Dean era imbarazzato.

«Cosa c’è, Sammy?»

«Dín, Dín, Dín» ripetè quello, tutto contento. «Dín. ‘Ello. ‘Ojo ‘ene».

Dean non credeva alle sue orecchie. Il papà spalancò gli occhi, stupefatto.

«Che cosa… che cosa hai detto, Sammy?» domandò, con voce roca.

«Dín. ‘Ojo ‘ene. ‘Ojo ‘ene, ‘ojo ‘ene, ‘ojo ‘ene».

Dean era diventato tutto rosso. «Sta zitto, Sammy» borbottò, impacciato.

Una lacrima scese lungo la guancia di John.
   
 
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