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Autore: taemotional    19/07/2012    1 recensioni
{Junda}
"Il fuoco scoppiettava in mezzo a loro.
C’era chi cercava legna, chi si era seduto sulla sabbia e ora rideva con gli amici, chi preparava la carne da grigliare e chi, come Ueda Tatsuya, rivolgeva lo sguardo verso l’oceano. Non c’era vento, e quella apparente calma era solamente ravvivata dalle risate degli amici e dallo scoppiettio irregolare delle fiamme."
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Junnosuke, Tatsuya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prefazione: Sono tornataaaaaaa!!! Avevate perso le speranze vero? xD ahahah! Ma chi mi cerca xD 
Bon, a parte le cavolate... vi presento una JunDa fresca fresca, estiva e fluff (divisa in due capitoli). Che c'è di meglio ora??? Mi scuso se i livelli di zucchero nel sangue di qualcuno cresceranno a dismisura!!! LOL detto questo, un ringraziamento speciale a Rory!!!! <3
Buona lettura!! <3

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“Un giorno 
Troverò la strada per tornare 
Dove il tuo nome 
E’ scritto sulla sabbia” 


Il fuoco scoppiettava in mezzo a loro.
C’era chi cercava legna, chi si era seduto sulla sabbia e ora rideva con gli amici, chi preparava la carne da grigliare e chi, come Ueda Tatsuya, rivolgeva lo sguardo verso l’oceano. Non c’era vento, e quella apparente calma era solamente ravvivata dalle risate degli amici e dallo scoppiettio irregolare delle fiamme.
Non era certo la prima volta che Tatsuya si trovava lì, dove anche le onde sembravano essersi calmate per permettere loro di accendere quel fuoco nel piccolo lembo di spiaggia, ma quella sera la visione piatta dell’orizzonte gli diede una strana sensazione nel petto. O forse erano solo i colori del tramonto che iniziavano a farsi così accesi?
Pensò che fosse più opportuno rivolgere lo sguardo agli elementi animati di quel panorama e spostò lo sguardo alle altre persone lì presenti. Non conosceva tutti, anzi, la maggior parte di loro erano dei perfetti sconosciuti. Cercò con lo sguardo la protagonista di quella serata, la ragazza che compieva gli anni e che lo aveva invitato alla propria festa di compleanno sulla spiaggia. Si conoscevano da molto tempo ma era una vita che non la rivedeva e, in effetti, pensò a quale potesse essere stato il motivo effettivo di quell’invito. Al telefono lei gli aveva semplicemente detto che avrebbe festeggiato il suo diciottesimo compleanno ad Okinawa, e che le avrebbe fatto piacere se fosse andato.
Continuò a domandarsi perché lui invece avesse deciso di andare. Forse il motivo era proprio il mare.
Quando la mise a fuoco notò che era accerchiata dai compagni di classe. Sembrava felice. Un ragazzo piuttosto alto teneva una mano poggiata sulla sua spalla. Nel momento in cui anche lui ricambiò lo sguardo Tatsuya voltò il viso da un’altra parte. Non voleva certo creare situazioni di gelosia e romanticherie varie. Decise che dopotutto poteva tornare ad occuparsi di quello che era il vero motivo per cui si trovava là e si mise a contare le stelle che iniziavano a brillare contro il cielo sempre più buio.
Amava il mare. Se fosse stato per lui avrebbe potuto vivere lì, seduto sulla sabbia, per sempre. Amava il rumore, lo scroscio silenzioso e i singulti che spezzano il silenzio di notte. Amava l’odore di sale, il sole sulla pelle, il sole che sparisce all’orizzonte. Le stelle impossibili da contare, la luna che si specchiava sull’acqua e la sabbia che prende la forma del piede durante le passeggiate mattutine. Amava il mare di giorno, e quello di notte in egual misura. Ma il suo momento preferito era di certo l’alba. Per questo, e per altri motivi, si era trasferito su quelle coste di Okinawa da quando aveva raggiunto la maggiore età. Ormai, era impossibile per lui resistere anche solo un giorno senza respirare iodio.
Le stelle intanto diventavano sempre più visibili e anche gli invitati aumentavano di numero, o almeno, le orecchie di Tatsuya ebbero quell’impressione. Quando si voltò verso il fuoco, quell’impressione si fece concreta.
La festeggiata gli si avvicinò in quel momento.
“Ueda-san!” esclamò mentre lui si alzava per ricambiare l’inchino, “Sei venuto, che bello! Da quant’è che sei arrivato?”
“Ah... da un po’! Ma non volevo disturbarti, ho visto che parlavi con i tuoi compagni di classe” rispose Tatsuya sorridendo.
“Ma come! Dovevi venire subito! E’ una vita che non ci vediamo!”
“Vero” acconsentì Tatsuya, “Non avevi nemmeno dieci anni l’ultima volta che ti ho visto! Fortuna che mi sono messo a vedere le tue ultime foto su internet altrimenti non ti avrei riconosciuto!”
Lei rise, “Idem!” poi indicò il ragazzo alla propria destra.
“Lui è Junnosuke Taguchi... anche lui di Tokyo e... non lo sai, ma...” e il resto della frase le rimase in gola. I suoi amici la stavano strattonando per andare a vedere i loro regali. Lei fuggì tra mille scuse.
Tatsuya guardò il ragazzo più attentamente, chissà perché aveva l’impressione che l’avesse osservato tutto il tempo dopo quel primo scambio accidentale di sguardi.
“Piacere” disse, “Devi essere un suo compagno di classe?”
Junnosuke annuì ma non disse altro. Non lo guardava più nemmeno, ma lo sguardo tradiva un sorriso. Che tipo strano.
“Bene!” esclamò allora Tatsuya per riempire quel silenzio, “Quanti altri invitati devono arrivare?”
Il ragazzo fece spallucce. Nello stesso momento la festeggiata dichiarò che ormai c’erano quasi tutti e che si poteva iniziare a mettere la carne sulle griglie. A quella notizia, lo stomaco di Tatsuya si rallegrò.
 
“Non mi ero accorto di avere così tanta fame!” esclamò con la pancia piena rivolto ad alcuni ragazzi lì vicino. Una ragazza dai capelli lunghi raccolti in una coda annuì cercando di intavolare una conversazione più profonda. Ma Tatsuya aveva subito capito dove voleva arrivare e aveva optato per troncare il contatto sociale all’istante.
Si allontanò dal fuoco prima di tutti e iniziò a seguire il perimetro dell’acqua.
Ogni tanto lanciava qualche sguardo malinconico all’oceano, verso un punto più distante, sempre più distante... fino a che la testa non gli girò e dovette chiudere gli occhi. Si accucciò in quel punto aspettando che ogni linea tornasse al proprio posto.
Ormai si era allontanato parecchio, e il fuoco era solo un piccolo spruzzo luminoso alla sua sinistra. Poteva essere benissimo confuso con una stella particolarmente vicina.
Sospirò tornando a guardare verso l’acqua nera. Non era normale, vero? Per lui che amava così tanto il mare, le sue onde e agognava quei fondali misteriosi, avere paura dell’acqua, avere le vertigini al solo pensiero di quelle profondità erano sentimenti che laceravano il proprio io. Era davvero quello il suo posto quindi?
Sprofondò le testa tra le braccia intrecciate e si rannicchiò. Decise che era meglio pensare a qualcos’altro. Pensare a qualcosa di vivo. Ecco, sì... a quel ragazzo. Lo aveva guardato per un brevissimo istante di tempo ma decise che tentare di ricordarne i dettagli gli avrebbe distratto la mente per un po’.
La cosa che più l’aveva colpito era la statura decisamente alta. No, la cosa che più l’aveva colpito era il fatto che, sebbene fossi così alto e avesse delle spalle piuttosto ampie, il fisico tradiva l’acerbezza tipica dei teenager. Niente da fare lo stesso: aveva un debole per i tipi alti e atletici. Il viso lo ricordava bene... i lineamenti morbidi, gli occhi profondi color nocciola - dello stesso colore dei capelli -, il collo così lungo. O forse, la cosa che più l’aveva colpito era stato l’abbigliamento. Sebbene quel caldo, indossava una giacca chiara su una t-shirt variopinta e jeans attillati ma strappati in vari punti. Se poi gli avesse ascoltato la voce, di sicuro avrebbe trovato strana pure quella.   
Insomma un ragazzo - diciottenne anche lui? - che era il suo esatto opposto. Strano e attraente allo stesso tempo.
Ma non doveva rifletterci troppo. Si alzò di scatto. Dopotutto era il fidanzato della propria amica.
Mentre tornava verso il fuoco pensò che, in fondo, finché quei pensieri restavano nella propria mente non ci sarebbero stati problemi.
 
Mentre si sedeva al proprio posto avvertì ancora il suo sguardo sul proprio viso. Sbuffò prendendo con le bacchette un pezzo di carne e lo addentò nella maniera più maleducata che conosceva. L’aveva forse scambiato per una ragazza? Eppure si erano presentati e tutto. Ingoiò la carne senza averla masticata troppo bene e fece fatica a farla passare per l’esofago. Si diede un paio di colpetti sul petto e gli occhi iniziarono a lacrimare.
 “Tutto bene...?” gli domandò la solita ragazza lì acconto porgendogli la caraffa dell’acqua.
“Sì, sì, tranquilla...”
Fece finta di guardare verso la festeggiata, ma con la coda dell’occhio cercò la sua figura. Annuì soddisfatto. Non lo stava fissando. Possibile che fosse stata solo un’impressione? Una percezione auto indotta...?
Tornò a concentrarsi sulla sua amica. Caspita se era cresciuta. Ormai era proprio una donna, pure bella. Mentre si allungava per afferrare un secondo pezzo di carne i suoi compagni di classe iniziarono a fare baccano. Volevano portarla in un locale lì vicino ma lei non voleva andarci. Eppure sorrideva. Di sicuro stava solo facendo la difficile perché c’era il suo ragazzo.
A Tatsuya uscì un sorriso. Ripensò ai propri diciotto anni, alla prima volta che i suoi amici più grandi lo volevano portare in discoteca. Ma lui non voleva andare. Perché sapeva che il ragazzo che gli piaceva era solito frequentare proprio quel posto. Chissà cosa sarebbe successo se non fosse andato. Magari non avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere il suo primo fidanzato, e magari non avrebbe scoperto di essere davvero gay. E, chissà, forse in quel momento sarebbe stato alla festa mano nella mano con la propria ragazza. Invece di sognare il mare, sarebbe rimasto a Tokyo, come tutti gli altri.
“Se vuoi puoi andare!” gli diceva quel ragazzo alto... Junnosuke, se non ricordava male. Come l’altezza, anche il nome era davvero lungo. A pensare quella cosa le orecchie di Tatsuya presero fuoco. Smettila, non fare strani accostamenti mentali... non continuare il discorso. Si concentrò nuovamente sulla scena, ignorando invano il ragazzo. Era la prima volta che gli capitava di avere un colpo di fulmine per il ragazzo di qualcun altro.
Lei continuava a scuotere la testa e voleva che lui andasse insieme a loro.
Junnosuke rispose che doveva tornare a casa e riprendere lo studio per un qualche test. E che si fidava di lei.
Lei restò un po’ interdetta, poi gli sorrise scoccandogli un bacio sulla guancia. Si voltò verso di noi.
“Chi vuole venire? Andiamo al locale sulla spiaggia privata di Kamenashi!”
La maggior parte degli invitati risposte di sì, mentre alcuni le si avvicinavano per salutarla. Anche Tatsuya fece così, inventandosi la prima scusa che gli venne in mente. Ormai certi locali non li frequentava più.
Mentre si dirigeva verso il mare alcuni ragazzi avevano iniziato a raccogliere l’acqua per spegnere il fuoco. Mano a mano quel calore e quella luminosità alle proprie spalle iniziò ad affievolirsi, finché non si ritrovò al buio e gli schiamazzi degli invitati si facevano sempre più lontani. Solo i riflessi delle stelle sull’oceano e qualche lampione in lontananza illuminavano la sua vista.
 
“Hey, tu!” gridò a un certo punto qualcuno, “Stiamo andando via! Resti al buio?”
Tatsuya si voltò. Junnosuke, con ancora il secchio in mano, lo guardava dal punto in cui poco prima c’era stata quella stella scoppiettante.
“Resto ancora un po’!” gli gridò Tatsuya di rimando, e tornò a perdersi con lo sguardo verso l’orizzonte. Si era seduto nel punto in cui le onde non arrivavano, per non sentire quelle vertigini nel petto, e aveva allungato le gambe fino a bagnare i piedi scalzi.
Junnosuke gli si avvicinò, svuotando nel mare l’acqua che era rimasta nel secchio. Poi rimase lì cercando di scorgere anche lui quello che Tatsuya sembrava star fissando con tanta intensità.
“Non ti ho mai visto,” commentò Junnosuke di colpo, “Anche tu sei di Tokyo?”
Tatsuya alzò lo sguardo verso l’altro, “Non proprio...” iniziò aggrottando la fronte, “E’ una storia complicata.”
“Ah... okay.”
No, la voce non era affatto strana. Forse il tono non lo convinceva molto. Dal primo dialogo che si erano scambiati si sarebbe aspettato una persona decisamente più scorbutica.
“Come si scrive il tuo nome? Così ti cerco sul web.”
A Tatsuya non andavano troppo a genio i social network, ma si era dovuto abituare ai tempi e, alla fine, le foto del profilo erano servite per riconoscere l’amica. L’amica...
Tatsuya aggrottò le sopracciglia. Se quel ragazzo fosse stato chiunque altro magari un pensierino ce l’avrebbe fatto. Ma con lui no. E poi non capiva perché quello sembrava tanto un abbordo. Decise di testare fin dove volesse arrivare. Tanto non lo rivedrò più.
Si stampò un ghigno sul volto.
“Ai miei tempi gli spasimanti mi chiedevano il numero di cellulare.”
Non lo stava guardando, ma vide con la coda dell’occhio che l’altro aveva fatto un passo indietro. Sei rimasto schifato, eh? Ma non fece in tempo a dire altro che Junnosuke si sedette lì accanto. Lo guardava con un’espressione incredula.
“Ma scusa, tu quanti anni hai?”
Mi spieghi cosa vuoi da me?, avrebbe tanto voluto chiedergli, invece si limitò a rispondergli come nulla fosse successo.
“Molti più di te.”
“Eeh! Non si direbbe guardandoti! Però io, anche se ho appena finito il liceo, ho vent’anni.”
Questo non andava bene. Era maggiorenne. Un freno in meno.
“Io vent’otto.”
“Wow!” esclamò Junnosuke sorridendo, “Non si direbbe proprio.”
“Già, me lo dicono tutti” concluse Tatsuya alzandosi.
“Dove vai?”
“Sono vecchietto, ho bisogno di dormire a differenza di voi giovani.”
“Esagerato! Ah! Ma quindi non me li dici i kanji del nome?”
“Tatsu si scrive come drago. Ti basta questo” e si incamminò verso la strada.
“Perfetto! Ti aggiungo!”
Junnosuke lo guardò allontanarsi.
 
Possibile che Junnosuke fosse come lui? Possibile che, proprio come era successo a lui tanti anni prima, stava prendendo in giro la propria ragazza in attesa di quello giusto? E possibile che poi fosse interessato a lui?
Mentre si chiudeva alle spalle la porta di casa avvertì il cuore pulsargli forte in petto. Sbuffò.
“Smettila” si disse, dopotutto non era più il tempo delle cotte da un pezzo. “Dovresti cercare di metter su famiglia, piuttosto.”
Si lasciò cadere sul letto. Dopo qualche secondo, prese a rigirarsi convulsamente sulle lenzuola.
“E’ troppo caldo!” gridò di colpo, e si sfilò t-shirt e jeans. Quindi allungò un braccio e aprì la finestra. La brezza del mare entrò di colpo riempiendogli i polmoni. Chiuse gli occhi.
Restò un po’ immobile in quel modo, seduto sul letto, mentre l’odore e il rumore delle onde riempivano la stanza. La frangia si muoveva a ritmo del venticello serale. Osservò attentamente il cielo e, sebbene fosse completamente nero, lui sapeva che di lì a poco sarebbe venuto a piovere. Lo sentiva e basta. Inspirò profondamente e, dopo essersi calmato, tornò a distendersi, aspettando l’acquazzone. Gli piaceva il rumore della pioggia contro le onde.
Sorrise, poi ridivenne serio. Sorrise ancora. Quindi aggrottò le sopracciglia.
“Povera...” mormorò aprendo gli occhi e puntandoli al soffitto alto. “No, mi sto immaginando tutto.”
Chiuse gli occhi con forza. Non pensare a niente, dormi e basta.
 
Quando aprì gli occhi trovò il coinquilino disteso sull’altro letto lì accanto. Si alzò cercando di non fare rumore e decise di preparare la colazione.
Mentre sistemava gli ingredienti si impegnò a tenere la mente occupata con dosi e modalità di preparazione delle pietanze. Non aveva voglia di pensare, ricordare e costruirsi altri castelli in aria. Non serviva a niente. Doveva pure eliminare dal corpo il sentimento dolciastro che aveva provato al risveglio quella mattina.
“Buongiorno!”
Tatsuya alzò il volto verso l’entrata della cucina.
“Giorno, Koki” rispose sorridendo mentre tornava a riempire le ciotole di riso bianco. “Ti sei alzato presto.”
“L’odore della tua colazione è la mia sveglia naturale! Sei sempre bravissimo.”
“Questa è roba semplice da fare... Quando imparerai piuttosto a farti da mangiare da solo? Io non ci sarò mica per sempre.”
Koki mise il broncio e si sedette a tavola.
“Non ne sarò mai capace... dovrò trovarmi qualcuno bravo come te in cucina” e a quella frase il suo viso si illuminò di una strana luce.
“Che hai?” chiese Tatsuya senza dargli troppo peso e spaccò l’uovo sopra le ciotole.
“Non sai cosa è successo ieri sera...”
Koki Tanaka era il suo coinquilino dal momento stesso in cui Tatsuya aveva deciso di trasferirsi in quel posto. Si conoscevano da un po’ e, dal momento che avevano qualche anno di differenza d’età, Koki lo aveva subito visto come il proprio fratello maggiore. I loro genitori invece erano amici di vecchia data, per questo si erano fidati a lasciarlo partire insieme a lui. Ovviamente non sapevano che il proprio figlio fosse gay, né tantomeno che anche Tatsuya lo fosse. Dopo il trasferimento, Koki si era subito segnato in una scuola pubblica a Naha e Tatsuya gli aveva fatto da tutore finché non aveva raggiunto la maggior età.
“Allora, me lo dici che ti è successo?” insistette Tatsuya. Quello poteva essere un buon modo per distrarsi.
“Ieri sera... ad una festa sulla spiaggia... ho conosciuto un ragazzo...”
Tatsuya cercò di trattenersi, ma aveva preferito che il motivo di quel sorriso sul suo volto fosse dovuto a tutto tranne che a quello. Che ne so, tipo un bel voto a scuola.
“Un ragazzo...” ripeté con gli occhi fissi alla propria ciotola.
“Sì...”
“E ti piace?”
“Credo di sì...”
“Okay allora, sono contento.”
“Davvero? Non sei arrabbiato?”
“Hey, non sono mica tuo padre! E non è nemmeno la prima volta, no?”
“Sì... ma questa volta è diverso...” iniziò Koki, “E poi ha la mia età!”
“Ah!” esclamò Tatsuya ignorando l’amaro che provava in bocca. “Allora è perfetto!”
Era geloso. Maledettamente geloso. Non di Koki - lui era l’unico ragazzo gay che conosceva e con cui non gli era mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di andarci a letto. Il problema era la sua giovinezza. Innamorarsi a quell’età, essere ricambiato, le feste la sera e le ubriacature che ti facevano dimenticare il motivo per cui la mattina dopo ti ritrovavi nel letto di qualcun altro. Tutto quello gli mancava. Da quanto tempo non si innamorava come un ventenne spensierato? Che non provava quella fitta allo stomaco che gli toglieva la fame e il sonno?
“Ah...” mormorò poi.
“Cosa?” chiese Koki con la mente visibilmente da un’altra parte.
“Anche io ho conosciuto qualcuno.”
Koki saltò in piedi.
“Ehhhh!?” gridò, “Da quanto tempo! Tatsu, sono così contento!!”
Accennò un sorriso.
“Davvero?”
“Ovvio! Sei sempre così solo!”
“Hey!”
“Cosa? E’ vero!”
Tatsuya sbuffò. Però aveva proprio ragione. Se trascorreva le proprie giornate tra gli spartiti e la palestra non poteva certo sperare di trovare qualcuno. Quello giusto. Eppure la vita era così strana. Una sera esci e ti innamori come fosse la prima volta. Lo stomaco gli aveva fatto davvero male. Ogni volta che avevano incrociato gli sguardi. E pure quando gli aveva sorriso perché sorpreso nello aver scoperto la sua età. Di solito la sorpresa che vedeva nella faccia della gente lo irritava... quella volta invece... il sorriso sul suo volto aveva così tanto accorciato quel divario che li separava al punto che avrebbe potuto allungare una mano e raggiungerlo.
“Già... l’età...”
Koki, che stava sciacquando le scodelle nel lavabo si voltò. “Hai detto qualcosa?”
“Senti... se una persona è fidanzata può comunque uscire con qualcun altro, no? Ma se c’è troppa differenza d’età si rischia di non capirsi e si può soffrire per ogni frase fraintesa.”
“No, aspetta...” cominciò Koki asciugandosi le mani con uno straccio, poi gli si avvicinò al tavolo, “...mi dici che il tradimento lo perdoneresti?”
“Eh...? Non l’ho mai detto! Come potrei!”
“Ma hai appena detto che si può uscire con due persone allo stesso momento!”
“L’ho detto?”
“Sì...”
“E’ che... okay, mi sto auto convincendo che non è un problema se lui uscisse con me.”
“Ma se è fidanzato lo è...”
“Non c’è bisogno che tu me lo dica!”
“Eppure mi sembra che il bisogno ci sia eccome!”
Si erano ritrovati a gridare in cucina. Finiva sempre che litigassero. E ogni volta, era Tatsuya quello nel torto, e consapevole di esserlo.
“Va bene” concluse quindi fingendo una maturità che non aveva, “Vado in camera.”
“Tatsu!” gridò Koki sospirando, “Ma sei sicuro che sia fidanzato?”
“L’ha baciata!” rispose aspro voltandosi verso l’ingresso della cucina, un piede sulle scale per il piano superiore. “Sulla guancia...”
Koki non disse altro.
“E poi è troppo piccolo! Pure più piccolo di te! Come potrei!”
L’altro apparve sulla porta con le braccia incrociate.
“Certe volte anche tu mi sembri più piccolo di me.”
“Come?”
Koki sospirò, “Se pensi cose del genere e addirittura tralasci il fatto che sia fidanzato, significa solo una cosa per me... non te lo devo dire io, no? Vedi se ne vale la pena, e, anche a rischio di soffrire, dovresti metterti in gioco. Lo riesci a vedere da solo se ce la fai.”
Tatsuya restò immobile, il solito piede sul primo scalino. Che urto. Per te è facile metterti in gioco. Ma la cosa che più gli urtava era il fatto che anche lui voleva pensarla allo stesso modo...
“Non lo rivedrò più comunque...”
“Non hai il suo numero?”
“No...”
“Avete almeno parlato?”
“Sì...”
“E te lo sei fatto sfuggire?”
“Senti” sbuffò Tatsuya salendo finalmente le scale, “Io me ne vado in palestra.”
“Oggi non è il tuo giorno libero? Vai a farti una passeggiata all’aria aperta piuttosto.”
Tatsuya lo ignorò.
“Non venire a piagnucolare da me poi!”

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