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Autore: SunriseNina    20/07/2012    3 recensioni
Takao Hiyama (Terzo) e Yomutsu Hirasaka (Dodicesimo).
Nel terzo mondo Dodicesimo è riuscito a fermare e catturare Terzo.
I due iniziano a vedersi spesso, dialogare attraverso le sbarre, creando un rapporto di amicizia intenso e particolare tra l'Assassino e il Giustiziere.
«Siamo… amici, no?»
Provò ad immaginare quei mesi che aveva passato in cella senza le sue visite: Yomotsu veniva a trovarlo tutti i lunedì, preciso come un orologio svizzero. Lo sommergeva di astrusi progetti di giustizia, racconti di inseguimenti con i criminali, nuovi eccezionali risvolti della politica o della scienza: in pratica, tutto il mondo esterno per lui era filtrato da quell’uomo e dalla sua mente contorta e sognatrice.
Era tutto ciò che gli rimaneva a legarlo al mondo esterno, fino al punto di essere diventato lui stesso il mondo esterno: Yomotsu era il mondo esterno di Takao, e con i suoi occhi ciechi mostrava le meraviglie del mondo a quelli del prigioniero.
«Sai, Yomotsu? Probabilmente tengo a te più di quanto io possa immaginare.»
[POSSIBILE SHONEN-AI. Dipende come volete interpretare la storia.]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Takao Hiyama, Yomotsu Hirasaka
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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NB:
Terzo =Takao Hiyama
Dodicesimo =Yomotsu Hirasaka











Takao guardava l’uomo con una smorfia annoiata, volta più a infastidire l’interlocutore piuttosto che a rappresentare i suoi veri sentimenti: per lui quegli incontri settimanali erano quanto di più di interessante ci fosse nella sua vita dal giorno dell’arresto.
Sulle guance scavate di Yomotsu si disegnò un sorriso.
Il detenuto era conscio di quanto fosse sincero e amichevole ma, per quanto ci provasse, non poteva ignorare i tratti malati che invadevano quell’espressione. Un brivido gli percosse la schiena, e si ritrovò a schernire sé stesso: proprio lui osava dar dello psicopatico all’altro? Da che pulpito arrivava quella predica!
«Come stai, Terzo?»
La sua voce aveva sempre un tono alterato o ridacchiante, come se Dodicesimo non avesse mai imparato a modularla; probabilmente era a causa delle infinite ore a parlare da solo, chiuso nelle quattro mura della sua casa.
«Hai presente cosa ti ho detto la volta scorsa? E quella prima ancora? Ecco, sempre lo stesso schifo.» disse Takao, mordicchandosi l’unghia del pollice con indolenza.
L’altro divenne improvvisamente imbarazzato e dispiaciuto: «Ti porterei qualcosa, ma sai come sono le regole del carcere. Specie per quelli come te.»
«Sì, lo so.» sibilò Takao. Anche lo spesso vetro che li separava era frutto della sua situazione: in altri casi era possibile conversare seduti accanto all’altro, ricordando i momenti in cui si era ancora uniti, ma questo privilegio non era permesso agli esseri disumani come lui. Erano da tenere alla larga, distanti dal mondo, chiusi nelle loro celle singole ad imparare a memoria le crepe del soffitto.
«Fa sempre così caldo qui?» chiese Yomotsu, sbottonando il colletto della camicia trasandata. Si stava agitando, o si sentiva in soggezione: forse era stato il silenzio prolungato dell’altro.
«Sì, è sempre così. Probabilmente aspettano solo che qualcuno di noi muoia di caldo, o per la puzza che viene dal refettorio.»
L’altro annuì, poi lo sguardo vitreo dei suoi occhi spalancati si fermò su Takao: «Ieri sono tornati i giornalisti. Mi facevano ancora domande.»
L’omicida si fece perplesso: «Ma è passato parecchio tempo dall’ultima volta che sono venuti a farti domande, come mai…?»
«Sono passati esattamente dieci mesi dall'omicidio, e sono senza notizie nuove…» spiegò l’altro, stringendosi nelle spalle e intrecciando spasmodicamente le dita.
«Capisco, hanno voluto risollevare il polverone. Sanguisughe.» mentre proferiva queste parole, Takao realizzò che era già passato quasi un anno.
Quasi un anno da quando aveva ucciso quella ragazza, quasi un anno da quando era stato catturato, quasi un anno da quando Dodicesimo si era intromesso nella sua vita.
«Presto se ne saranno già tutti dimenticati.» disse Yomotsu con un sorriso.
«Sì, di sicuro.» disse l’altro, scettico. La sua intera famiglia, i suoi amici, chiunque avesse prima avuto un legame di qualsiasi genere con lui aveva drasticamente troncato i rapporti una volta appresa la notizia dell'arresto.
Fissò le proprie mani unite da una catena lunga e sottile: non gli era rimasto nulla al di fuori di quella prigione, se non gli sguardi della gente e una solitudine ancor più tremenda della reclusione in cella.
Alzò lo sguardo con un sorriso ironico: in realtà, una persona gli era rimasta.
Yomotsu fece uno dei suoi sorrisi sghembi dall’altra parte del vetro: «Quando uscirai di prigione,  se ti rimetterai sulla buona strada, ti farò un costume adatto e potrai diventare il mio fedele braccio destro per la cattura dei criminali!»
«Orripilante.» commentò l’altro «E in qualsiasi caso io non uscirò di qui, non l’hai capito?»
«L’infermità mentale potrebbe farti scontare la pena.»
«Oh, sì, che bello. Rilasciato causa pazzia, un ottimo curriculum per reinserirmi nella società.» ma in fondo, che gli importava? Lui odiava il mondo esterno. Lo aveva sempre odiato.
Gli strizzacervelli con cui lo attorniavano non lo volevano capire, non riuscivano a comprendere che il suo intento omicida era solo l’effetto di una naturale repulsione per quella vita da marionetta, per una società frivola e sciatta, per l’esistenza mera e insignificante a cui tutto il genere umano era condannato.
Aveva vissuto una vita grigia, monotona, e nell’unico momento in cui i suoi sentimenti rancorosi erano saliti in superficie era stato catturato e messo dietro le sbarre.
«Ti troverò un nome perfetto come supereroe…» rifletteva intanto Yomotsu.
«Dio, sei sfiancante. Anche se mi facessero uscire da questo buco, non verrei certo a spalleggiare un povero cretino come te.»
L’altro rise sguaiatamente per poi accasciarsi sulla sedia: «Sei così divertente, Terzo. Hai ancora un posto in cui vivere, dopo il rilascio? Ti ospiterei volentieri.»
«Ho una casa, e anche nella remota possibilità che io esca di qui non starei da te neanche morto.»
«Potrei farti stare nella casetta in cui alloggiava Nono…»
L’altro alzò la voce, irritato: «Ma mi ascolti quando parlo? Mi chiedo perché vieni a conversare con me, se poi parli da solo!»
«Terzo, hai ancora i capelli lunghi?»
Quella domanda lasciò Takao leggermente spiazzato, specie per l’espressione assorta e materna che aveva assunto l’uomo davanti a lui; fissando i suoi occhi spenti rispose sommessamente: «No, li ho tagliati un po’ di tempo fa. Un mesetto, mi pare. Solo che le altre volte non me lo hai chiesto, e non te l’ho detto.»
«Hai la barba?»
«Solo un po’, non ho mai voglia di farmela.» disse lui, passandosi la mano sulle guance ispide «E che ti interessa?»
«Non saprei… vorrei conoscere il volto del mio unico amico, penso.» Yomotsu arrossì assumendo un’aria infantile.
Sorprendentemente, Takao si ritrovò a sorridere: «Ti ho mai detto che ho una cicatrice?»
«Una cicatrice?!» esclamò l’altro, emozionato «Dove?!»
«Sul gomito, mi sono fatto male quando avevo dodici anni andando in bicicletta. Avevo imboccato un vicolo e ho tentato di fare inversione perché mi era parso di vedere una figura che mi aveva messo paura, ma per l’agitazione sono caduto in terra facendomi un taglio sul gomito. A ripensarci ora, probabilmente avevo visto solo un cane randagio, o qualcosa di simile.»
L’altro si morse il labbro, sorridendo in preda a una gioia incontenibile: «Che bello, Terzo! Nessuno  mi aveva mai raccontato dettagli così della propria vita!»
«Siamo… amici, no?»
Quella frase gli salì dal cuore, più sincera di quanto avrebbe voluto o immaginato. Era davvero così? Quel fanatico che aveva iniziato a fargli visita come una madre ossessiva era suo amico?
Provò ad immaginare quei mesi che aveva passato in cella senza le sue visite: Yomotsu veniva a trovarlo tutti i lunedì, preciso come un orologio svizzero. Lo sommergeva di astrusi progetti di giustizia, racconti di inseguimenti con i criminali, nuovi eccezionali risvolti della politica o della scienza: in pratica, tutto il mondo esterno per lui era filtrato da quell’uomo e dalla sua mente contorta e sognatrice.
Era tutto ciò che gli rimaneva a legarlo al mondo esterno, fino al punto di essere diventato lui stesso il mondo esterno: Yomotsu era il mondo esterno di Takao, e con i suoi occhi ciechi mostrava le meraviglie del mondo a quelli del prigioniero.
«Sai, Yomotsu? Probabilmente tengo a te più di quanto io possa immaginare.»
Gli occhi dell’altro si fecero umidi; con espressione incredula e felice sfiorò il vetro con le dita, facendo sussultare il cuore di Takao:«Terzo… Mi hai chiamato per nome… Io sono così felice!» lacrime gioiose gli rigarono il volto, i polpastrelli premevano su quel vetro fino a fargli male.
Takao appoggiò la mano nello stesso punto, sperando che attraverso il vetro egli potesse comunque sentire le loro dita sfiorarsi: «Ehi, ho cambiato idea. Se esco vengo a trovarti, capito? Basta che non provi a mettermi qualche stupida tutina da supereroe psicopatico.»
«T-terzo…» singhiozzò l’altro, commosso.
«Takao, mi chiamo Takao.»
Le loro dita premevano su quella barriera impenetrabile, quelle tremanti ed emozionate di Dodicesimo e quelle calme di Terzo.
Il tempo sembrò fermarsi, dilatando quei pochi ed intensi attimi in cui le loro anime parvero toccarsi.

«Voi due checche!» li apostrofò una guardia nerboruta «Il tempo è finito. Devi tornartene in cella.»
Takao lo squadrò con un’occhiata gelida: «Arrivo, simpaticone.» si rivolse a Yomotsu «Dai, alla prossima.»
L’altro annuì con foga ed si avviò barcollante per il corridoio fino ad essere ingoiato dalla porta.
Terzo osservò Dodicesimo andarsene, conscio che sarebbe tornato a trovarlo ogni lunedì fino al letto di morte.
Yomotsu lo avrebbe sempre aspettato, indifferente al fatto che fosse solo un omicida senza speranza, senza futuro, senza dignità o morale.
Forse Dodicesimo era logorroico e un po’ pazzo, ma il suo sentimento era la cosa più pura e sincera che fosse mai stata donata a Takao.
Il carcerato sorrise tristemente: per la prima volta, ormai esternato da quella che l’uomo comunemente chiama “vita”, sentiva di esistere per un motivo: qualcuno che lo aspettava aldilà di quelle sbarre.













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Note dell'Autrice:
Oook, solo io potevo scrivere una FanFiction su questi due personaggi, ma eccola qui x°° spero vi sia piaciuta, e PER FAVORE lasciate una recensione :')

Nina
   
 
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