Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Shyar    20/07/2012    3 recensioni
Mi trovavo tra tutte le altre ragazze di sedici anni, che in quel momento spingevano, strette le une alle altre, tentando di farsi forza a vicenda. Mi sentivo soffocare, non capivo se per la paura o per la troppa gente.
Come ogni anno si tenne un discorso d’apertura da parte del sindaco e poi arrivò il momento più temuto.
Una giovane donna vestita in modo molto particolare si diresse verso le due bocce di vetro contenenti tutti i nostri nomi. Il suo passo lento e il rumore dei tacchi sul legno erano insopportabili.
-Come vuole la tradizione, prima le signore!- esclamò con quella sua vocina stridula che mi fece accapponare la pelle. Il cuore prese a battermi forte nel petto.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: La Trentaseiesima Edizione
Personaggi: Nuovi Personaggi
Genere: Avventura, Azione
Avvertimenti: Missing Moments, One-Shot
 
 
Tu-tum, tu-tum.
Il mio cuore continuava a battere, impazzito.
Tu-tum, tu-tum.
Il suo suono mi impediva di pensare.
Tu-tum, tu-tum.
Mi impediva quasi di respirare..
Il rumore di una porta che si apriva dietro di me mi fece sobbalzare e mi girai immediatamente; tirai un sospiro di sollievo quando vidi che si trattava solo di Matthew, il mio stilista. Si fermò per qualche secondo, guardandomi, per poi sospirare.
-So che non è facile, ma devi cercare di rimanere calma- mi disse, addolcendo la propria voce. –Arrivati a questo punto, puoi solo cercare di sopravvivere, Lia..-
Abbassai la testa. Non riuscivo a guardarlo negli occhi e dirgli che pensavo di non poter sopravvivere nemmeno al primo giorno.. mi si avvicinò e mi prese il mento con le sue dita affusolate, sollevandolo. Lo guardai.
-Proverai a vincere?- mi chiese, serio. I miei occhi si riempirono di lacrime, che non riuscii a frenare. Matthew mi strinse a sé, cercando di tranquillizzarmi.
 
Solo un’altra persona mi aveva abbracciata in quel modo: mia madre, poco prima di andare alla mietitura. Erano davvero passati solo cinque giorni? Mi sembrava un’eternità.
Come ogni anno, avevo raccolto i miei capelli in una coda alta, anche se con i capelli così corti non ero riuscita a sistemarla come avrei voluto. Uscii dalla mia stanza indossando il mio vestito più bello, giallo pastello, con la gonna corta fino al ginocchio, un po’ a sbuffo, così come le maniche. Mia madre mi vide immediatamente e mi sorrise. Notai subito il lungo nastro arancione che teneva in mano; me lo passò attorno alla vita un paio di volte, poi lo fermò dietro con un grande fiocco. Fatto ciò mi abbracciò, singhiozzando.
Dopo quell’abbraccio, fuggii in direzione della piazza. Non potevo andare da nessun’altra parte, ma almeno non avrei più visto quella tristezza nei suoi occhi.
Per questo, una volta radunati tutti i ragazzi del distretto sette, non mi voltai nemmeno una volta per cercare i miei genitori. Mi trovavo tra tutte le altre ragazze di sedici anni, che in quel momento spingevano, strette le une alle altre, tentando di farsi forza a vicenda. Mi sentivo soffocare, non capivo se per la paura o per la troppa gente.
Come ogni anno si tenne un discorso d’apertura da parte del sindaco e poi arrivò il momento più temuto.
Una giovane donna vestita in modo molto particolare si diresse verso le due bocce di vetro contenenti tutti i nostri nomi. Il suo passo lento e il rumore dei tacchi sul legno erano insopportabili.
-Come vuole la tradizione, prima le signore!- esclamò con quella sua vocina stridula che mi fece accapponare la pelle. Il cuore prese a battermi forte nel petto.
-Lia Stein!- chiamò la donna. Per un attimo mi sentii svenire. Non sentivo più nulla, non vedevo più nulla. L’unica cosa che avevo in mente era il mio nome, ripetuto tante e tante volte. Le ragazze attorno a me si allontanarono per lasciarmi passare. Abbassai lo sguardo, capendo di non avere altra scelta, e mi diressi verso il palco. La donna mi accolse e poi pescò un biglietto dalla boccia dei ragazzi.
-Lucas Klee!-. Il ragazzo chiamato uscì dal gruppo dei diciottenni rigido, con gli occhi marroni fissi sul palco. Era un bel giovane dai capelli rossi, alto e snello, che indossava una camicia bianca e dei sobri pantaloni color cachi.
La cerimonia voleva che ci stringessimo la mano e così facemmo; in quel momento ci guardammo negli occhi: anche se avevo la protezione dei miei occhiali, ero certa che lui avesse capito che cosa stessi provando.
 
Ci separarono per il saluto ai parenti. Mi sedetti sul piccolo divano in tessuto rosso, sistemandomi la gonna e stando ben attenta a non sgualcire il fiocco. Pensavo di non ricevere nessuna visita, nemmeno quella dei miei genitori.
Ma in quel momento la porta si aprì, mostrando l’ultima persona al mondo che mi sarei aspettata di vedere: mio padre. L’uomo che, in tutti questi anni, la mattina della mietitura era uscito sempre prestissimo per non vedermi, non volendo soffrire se mi avessero chiamata.. Avvertii un groppo alla gola non appena lo scorsi e dovetti fare un sforzo enorme per evitare di gettarmi verso di lui, implorandolo di portarmi via.  Lui mi si avvicinò e si sedette vicino a me, guardandomi attentamente. Poi mi sciolse la coda di cavallo e mi mise un cerchietto per capelli bianco, a cui attaccò un fermaglio: una piccola farfalla dalle ali blu. Mi diede un bacio sulla fronte, mi accarezzò il viso, infine si alzò e uscì dalla porta, senza dire una sola parola. Un minuto dopo entrarono due pacificatori, dicendomi che era ora di andare.
 
Speravo che salire su un treno avrebbe fatto passare in secondo piano tutta la faccenda degli Hunger Games, ma era solo un’inutile speranza, che ovviamente non si avverò.
L’interno era stato arredato con molti mobili colorati, alcuni dai colori così forti da far male agli occhi, mentre altri erano in legno pregiato. Tutto quanto sembrava essere stato comprato da poco, magari apposta per questa edizione. Dall’altra parte del vagone era stato apparecchiato un tavolo con ogni sorta di cibi, ma non stetti che qualche secondo a guardarlo: tutto ciò che era appena successo mi aveva tolto completamente l’appetito.
Ci sedemmo su un morbidissimo divano in pelle, bianco panna. Non mi ero mai seduta su niente di così morbido..
In quel momento entrò Maya, il nostro mentore. Era sempre bassa e dalla corporatura robusta, come l’ultima volta che l’avevo vista in televisione, ma i capelli neri e lisci erano leggermente più lunghi: adesso le arrivavano alle spalle. Sorrise non appena ci vide, i suoi occhi neri si illuminarono. Si sedette su una poltrona nera davanti a noi.
-Così voi siete il nostri tributi..- disse con una voce dolce e musicale; sospirò, per pochi secondi il suo sorriso scomparve.
-Come vostro mentore, farò il possibile per aiutarvi, nell’arena, ma voi dovrete dare il vostro meglio- disse, seria.
 -Adesso però calmatevi e cercate di liberarvi la mente da tutti i pensieri. Ci occuperemo di tutto il resto quando arriveremo a Capitol City-.
 
Il viaggio fu più corto di quanto mi aspettassi, nel primo pomeriggio eravamo già arrivati. Alla stazione ci accolsero centinaia e centinaia di persone, che salutavano, mandavano baci, sventolavano fazzoletti tutti eccitati. Io abbassai lo sguardo: sarei dovuta morire per far felici queste persone..? Lucas strinse i denti, indignato.
Appena scendemmo dal treno ci portarono al Centro Immagine, per sistemarci un po’ prima della sfilata di quella sera. Alcune donne mi portarono in una stanza diversa da quella del mio compagno e scherzavano dicendo che lo sposo non doveva vedere l’amata prima della cerimonia.
Appena entrata, vidi un uomo sulla trentina, con degli splendidi capelli neri e gli occhi color del mare. Mi incantai per qualche secondo a guardarlo e lui mi sorrise.
Mi fece sdraiare su un lettino e mi depilò, mi sistemò i capelli, le unghie.. in quelle ore parlammo di me e del mio distretto, ma l’argomento più interessante fu quello del mio abito: sarebbe stato interamente di aghi di pino intrecciati. Al pensiero che sarebbero potuti cadere tutti dall’abito rabbrividii, scatenando una risata nel mio stilista, che mi fece l’occhiolino, assicurandomi che non sarebbe accaduto nulla del genere.
Quando fui pronta mi fece togliere gli occhiali e mi guidò verso uno strano macchinario dorato. Una strana luce mi accecò per qualche secondo, ma quando la cecità passò, mi accorsi che vedevo benissimo. Mi voltai verso Matthew, che ridacchiò, divertito dalla mia espressione.
-Direi che questi non ti servono più- rise, accennando agli occhiali. Invece di buttarli, però, me li mise in mano, chiudendola.
-Un ricordino della vecchia Lia-.
 
Non appena Matthew mi aiutò ad indossare il vestito, mi accorsi di essere completamente diversa: la scollatura a cuore mi metteva in risalto il decolté e l’abito stesso, lungo fino alle caviglie, mi slanciava. L’unica cosa di quella veste in cui non mi trovavo a mio agio erano le scarpe verdi con il tacco. Erano molto basse, ma non ero comunque abituata a portarle, sebbene qualche tempo fa ne avessi provate un paio, prendendole in prestito da mia madre.
-Mi dispiace molto, ma devo toglierti il cerchietto- disse, sospirando. –Te lo ridarò non appena tornerete indietro, te lo prometto. E’ il tuo portafortuna, vero?-
A quella domanda riuscii a rispondere solo con un cenno del capo.
Appena finito di prepararmi, mi portò in un’enorme stanza circolare dalle pareti nere, illuminata da tantissime lampade.
Vedemmo subito Lucas e il suo stilista: il mio compagno era bellissimo nella sua giacca di aghi di pino, sembrava fosse molto più adulto e sicuro di sé.
Matthew si mise a parlare con l’altro stilista, così ebbi il tempo di guardarmi un po’ in giro: erano presenti tutti i tributi e i loro stilisti. Mi passarono davanti agli occhi i tributi del distretto dodici, quello delle miniere di carbone: avevano indossato una tuta aderente nera, sopra la quale erano stati posizionati quelli che sembravano pezzi di carbone. Ogni anno era sempre la stessa storia, non avevo ancora visto un loro vestito che catturasse davvero la mia attenzione.. In quel momento cominciarono a chiamare i ragazzi per distretto: cominciava la sfilata. Feci in tempo ad osservare anche il distretto sei, trasporti: entrambi erano vestiti con un’uniforme bianca e blu, con un buffo cappello sulla testa. Pensai che la gonna della ragazza fosse fin troppo corta e a quel pensiero mi sfuggì un sorriso. Matthew lo notò e sorrise a sua volta, per poi incitarci a montare sul carro.
Una volta salita, notai una luce particolare qualche carro poco più avanti di me, quello del distretto tre, tecnologia. Tutto il loro vestito era composto da cavi blu, sottili, costellati di microchip e di piccole lucine di cui non si vedeva l’origine.
All’improvviso il nostro carro si mosse e io deglutii, nervosa. Matthew mi appoggiò delicatamente sul capo una corona di rami intrecciati e mi sorrise un’ultima volta.
Uscimmo lentamente dalla stanza e ci trovammo di fronte al doppio delle persone che ci avevano accolti all’arrivo. Formavano un’onda di mille colori. Mi guardai attorno per qualche secondo, cercando di rimanere calma, quando mi voltai verso Lucas. Ci sorridemmo.
Arrivati davanti al palco, il presidente Snow, un uomo vestito di viola e dai capelli e dalla barba bianchi, si alzò in piedi.
-Benvenuti, tributi, alla trentaseiesima edizione degli Hunger Games!-
 
I due giorni successivi ci servirono come addestramento prima dell’inizio dei giochi. Mi ero preparata al peggio, sapevo che molte delle persone nel Centro d’Addestramento avrebbero potuto uccidermi già il primo giorno. Rabbrividii a quel pensiero e tirai un respiro profondo, calmandomi.
-Gli esperti di ogni specialità saranno nelle loro postazioni, sarete liberi di passare da una all’altra liberamente- disse una donna, con la voce annoiata di chi ha ripetuto la stessa filastrocca più e più volte.
Ci elencò tutti i tipi di postazioni e infine ci lasciò liberi di andare.
Io e Lucas andammo prima di tutto alla postazione dei fuochi, dove imparammo ad accenderne uno decente. Non fu molto difficile, perché in quanto abitanti del sette sapevamo già distinguere i diversi tipi di legno.
Ebbi un po’ più di difficoltà con le trappole: annodare corde e creare lacci non era certo il mio forte, ma in circa un’ora ero riuscita imparare qualcosa. Lucas non sembrava avere alcun tipo di problema e ne creava velocemente molti tipi.
Dopo quella postazione ci separammo. Mi attraeva molto il combattimento con la spada, così mi diressi subito lì. Presi una spada e mi avvicinai.
L’esperto mi notò immediatamente e si mise in posizione, attendendo la mia mossa. Io lo imitai, aspettando qualche secondo per gettarmi all’assalto. Quando lo feci parò immediatamente il fendente e contrattaccò; mi spostai velocemente verso destra e con un rapido colpo riuscii a disarmarlo. Recuperai la sua spada da terra.
In quel momento notai un ragazzo dai capelli castani e gli occhi azzurri, abbastanza muscoloso, che mi stava guardando, fermo con la spada a mezz’aria davanti ad un manichino. Era il ragazzo del distretto tre. Com’è che si chiamava..?
-Sei brava- disse; solo quelle due parole mi fecero arrossire e tentai di spiegargli che non sapevo nemmeno io come avessi fatto. Ridacchiò, poi si voltò e continuò il suo addestramento.
Per tutto il resto del tempo non riuscii a fare altro che pensare a quel ragazzo.
Il secondo giorno passai di nuovo dalle postazioni del giorno prima, dato che pensavo di cavarmela nelle altre. Aggiunsi una mezz’ora alla postazione dei coltelli e a quella della frusta, per capriccio.
Provai anche il tiro con l’arco e feci quasi centro, con mia grande sorpresa. Ero perfino distratta, era solo fortuna.
Come ultima tappa del giorno decisi di andare alla postazione della mimetizzazione, dove mi ricongiunsi con Lucas. Riuscimmo entrambi a mimetizzarci con successo, anche se non eravamo proprio perfetti.
Il terzo giorno fu quello dell’esame. Avremmo dovuto mostrare le nostre capacità agli strateghi e loro ci avrebbero assegnato un numero da uno a dodici. Quel punteggio non contava molto, anche perché nell’arena cambiava tutto quanto.
Ci fecero aspettare in una sala, mentre chiamavano i vari distretti cominciando dall’uno, prima il ragazzo e poi la ragazza. Il ragazzo del distretto tre venne chiamato dopo qualche minuto dall’inizio, lo osservai fino a che non fu scomparso nella sala d’esame.
Dopo circa un quarto d’ora chiamarono Lucas.
-Buona fortuna- gli augurai, sincera. Lui mi ringraziò e fece per girarsi, quando si fermò.
-Non pensare troppo, afferra la spada ed agisci- disse, risoluto. Io annuii e lui andò nell’altra sala.
Dopo un paio di minuti chiamarono anche me. Deglutii e mi avviai.
Era una stanza molto più grande di quanto mi aspettassi; la cosa che mi colpì di più furono tutte le armi appese ai muri. Mi avvicinai camminando lentamente e intanto guardandomi intorno. Presi una spada, era leggera e maneggevole, e mi fermai davanti alla postazione dove si trovavano gli strateghi.
-Lia Stein, distretto sette- dissi, cercando di apparire sicura. Mi voltai poi verso il piccolo padiglione dei manichini. Presi un respiro profondo. Corsi velocemente contro di essi e con un fendente mozzai la testa al primo che mi capitò; mi voltai e feci lo stesso con un secondo mentre con un ultimo affondo trapassai il petto del terzo.
Mi voltai verso gli uomini, che mi fecero segno di andare.
 
Quella sera ci riunimmo tutti (stilisti compresi) per guardare i risultati dell’esame. Ovviamente i favoriti avevano preso i voti più alti. Sospirai, immaginandomi il peggio.
Passò in sovraimpressione il volto del ragazzo del distretto 3: aveva preso un 8. Il suo nome era Aaron.
Quando arrivò il nostro turno, trattenni il fiato. Lucas aveva ottenuto un sette, mentre io.. un sei.
Tirai un sospiro di sollievo e mi congratulai con il mio compagno mentre Matthew stappò una bottiglia di spumante.
 
La mattina dopo passammo tutto il tempo a parlare con Maya a proposito delle nostre strategie per l’intervista.
Il nostro mentore fin dall’inizio aveva deciso di tenere i nostri normali comportamenti, dato che non avevamo alcun difetto in particolare. Mi consigliò di essere solo un po’ più coraggiosa e di non farmi intimorire dalle domande. Lucas era perfetto: sicuro di sé, riusciva a rispondere con naturalezza alle domande poste dal nostro mentore. Io mi sentii molto imbarazzata, ma riuscii a tirare fuori qualche risposta che non mi dispiaceva affatto.
Poi vennero le lezioni di portamento. Maya stette per un’ora a raddrizzare il mio compagno mentre stava seduto, mentre invece io dovetti camminare avanti e indietro per la stanza con un paio di tacchi da sedici e dei libri impilati sulla testa. Nonostante le varie cadute, alla fine riuscii a camminare dritta.
 
Finite le lezioni tornai velocemente nella mia stanza, dove ero sicura ci fosse Matthew che mi aspettava. Ero emozionata e spaventata allo stesso tempo, sarei dovuta salire sul palco e parlare, anche se solo per tre minuti.
Per tre minuti tutti gli abitanti di Panem mi avrebbero guardata, giudicata.
Sospirai ed aprii la porta della camera. Come avevo pensato, il mio stilista era già pronto, pennelli per il make-up alla mano.
Tentai un paio di volte di guardarmi allo specchio durante il trucco e lui non riuscì ad impedirmelo: aveva applicato sugli occhi un ombretto verde scuro, schiarito alla fine con un po’ di bianco. Mi mise il lucidalabbra, poi si allontanò per guardarmi e schioccò la lingua, soddisfatto.
-Carino e semplice, nulla di complicato- mi disse, sorridendo.
Poi mi aiutò ad indossare il mio vestito: il bustino era molto stretto, così tanto che all’inizio credetti di soffocare, mentre la gonna, stavolta lunga fino al ginocchio, era vaporosa e morbida, di un verde brillante.
Le scarpe erano, con mia grande sorpresa, delle semplici ballerine bianche.
Mi lisciò i capelli e li lasciò ricadere sulle mie spalle, senza nessuna acconciatura particolare.
-Sei perfetta- accennò, per poi porgermi una mano. Io la presi e mi condusse fuori dalla stanza come fossi una dama.
 
In pochi minuti arrivammo nel dietro le quinte del palcoscenico; Lucas ed Emilio erano già lì e vidi Maya poco lontana, che stava parlando con qualcun altro.
Ci avvicinammo e guardai bene il mio compagno: indossava una morbida camicia verde e dei pantaloni marrone scuro.
Ci chiamarono per andare sul palco e cominciai a sentirmi nervosa.
-Stai davvero bene- mi disse Lucas e io lo guardai; mi calmai un po’.
-Anche tu..-
Alcuni assistenti tecnici ci fecero salire lentamente verso il palcoscenico, dove gli applausi furono fortissimi al nostro arrivo. Ci fecero accomodare su delle poltroncine bianche, in ordine di distretto. Tutte le ragazze si sedettero alla destra del proprio compagno.
Arrivò anche Caesar Flickerman, che immediatamente raccontò un paio di storielle per mettere a proprio agio sia noi che il pubblico e una di queste fece sorridere anche me.
Appena finito si sedette su una delle due poltrone poste al centro del palco e cominciò a chiamare uno per uno i tributi. Ognuno di loro aveva un modo diverso di agire, molti sembravano davvero sciolti e qualcuno si arrischiò anche a fare qualche battuta.
Durante l’intervista del ragazzo del distretto tre, non feci altro che osservarlo: indossava uno smoking bianco e nero, che gli donava un’aria molto colta e signorile.
Parlò tranquillamente con Caesar, scherzando sui giochi che stavano per iniziare.
Nessun’altro prima di noi attirò particolarmente la mia attenzione.
Arrivato il mio turno presi un respiro profondo. Lucas sorrise per incoraggiarmi.
-Dal distretto sette, l’incantevole Lia Stein!- mi presentò, mentre io feci del mio meglio per non apparire un pezzo di legno. Mi sedetti sulla poltrona ed accavallai le gambe, attenta alla gonna.
-Allora Lia, cos’hai provato quando è stato estratto il tuo nome?- mi chiese, guardandomi negli occhi. Abbassai un po’ lo sguardo, pensando.
-Credo paura. Il timore di non rivedere più i miei genitori e le persone che mi sono care- risposi, sincera. Non avevo bisogno di fingere, anche se mi trovavo davanti a tutte quelle persone.
-Ti sono venuti a trovare, prima che prendessi il treno?-
A quel ricordo mi venne un groppo alla gola. Guardai Caesar, cercando di calmarmi.
-Sì- risposi, la voce rotta dall’emozione. –E’ venuto mio padre.. e mi ha davvero incoraggiata- dissi, sorridendo. Mi sembrava che stessi tremando. L’uomo annuì e in quel momento scattò il segnale.
-Impegnati a fondo per loro, Lia- mi disse, alzandosi e, dopo avermi aiutata a tirarmi su, mi baciò la mano.
-Questa era Lia, dal distretto sette!-
Tornai al mio posto e mi concessi un breve sospiro di sollievo.
-Adesso, dallo stesso distretto, Lucas Klee!-
Durante la sua intervista fece un ottimo lavoro: non ebbe titubanze e rispose perfettamente a tutte le domande di Caesar.
Scattò il segnale acustico e il presentatore rimandò il mio compagno al suo posto.
Passai il resto dell’intervista come stessi vivendo un sogno, a malapena riuscii a capire che cosa stessero dicendo gli altri tributi. Il ragazzino dell’otto sembrava molto tranquillo e fiducioso nelle proprie capacità; anche la ragazza dell’undici, con i suoi capelli corvini e l’abito bianco riuscì a guadagnare la mia attenzione.
Finito il giro ci alzammo in piedi, salutammo il pubblico e tornammo nelle nostre stanze, dove ci attendevano Maya, Matthew ed Emilio per i saluti ufficiali.
Il mentore sembra quasi commossa quando ci vide. Ci venne incontro, dicendoci che eravamo stati perfetti.
-Avete le carte in regola per vincere- ci disse, sorridendoci, per poi abbracciarci. Non mi opposi: in quel momento era la cosa di cui avessi più bisogno.
Parlai per un po’ con Emilio e mi salutò con tre baci sulle guance, mentre io arrossivo, non essendo abituata a quel tipo di saluti.
Matthew mi sorrise, sistemandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio con un tocco delicato. Mi abbracciò, cullandomi per qualche secondo. Non ci salutammo in quel momento, l’avremmo fatto il giorno dopo, nella camera di lancio.
Infine andai da Lucas. Non sapevo che cosa dire.. sospirai.
-Possa la fortuna essere sempre a tuo favore, Lucas- dissi. –Stavolta per davvero-.
-Buona fortuna anche a te, Lia- rispose, porgendomi la mano. Io inizialmente la presi, ma poi lo abbracciai, chiudendo gli occhi.
Finiti tutti i saluti, andammo nelle nostre stanze per passare quella lunga notte: la notte prima degli Hunger Games.
 
La passai completamente insonne, spaventata anche solo all’idea delle terribili ore che mi attendevano da quel momento in poi. Quando mi vennero a prendere per andare all’arena ero già pronta, sveglia come non mai.
Viaggiai con Matthew con un hovercraft privato, in cui c’eravamo solo noi due e qualche altra persona. Durante il viaggio mi inserirono nel braccio un rilevatore di posizione, che avrebbero utilizzato per trovarmi nell’arena.
Il percorso fu breve e fui immediatamente accompagnata alla mia camera di lancio. Matthew mi lasciò sola qualche secondo.
 
-Lia? Mi senti?-
Sentii scuotermi per le spalle e mi riscossi improvvisamente. –Stai bene?- mi chiese Matthew, con un’espressione preoccupata sul proprio volto. Annuii debolmente, prendendo un respiro profondo.
Ero nella camera di lancio, proprio come qualche secondo prima. Avevo solo sognato ad occhi aperti..
-Mi hai fatto preoccupare..- sospirò lui, accarezzandomi la testa. –Guarda cos’ho qui!-
Tirò fuori da dietro la schiena la divisa per i giochi: era una tuta aderente verde scuro e dai bordi blu. Aveva un cappuccio e un borsello porta tutto compreso. Non feci nessuna fatica a mettermela, mi calzava a pennello. Infilai anche gli stivali neri, lunghi fino a metà gamba, inserendoci dentro i pantaloni.
Matthew mi sorrise e infine prese dal tavolo lì vicino il mio cerchietto bianco con la farfalla e me lo mise.
<< Cinque secondi al lancio. >>
La voce metallica risuonò nella stanza e cominciai a tremare. L’uomo mi abbracciò un’ultima volta, tranquillizzandomi.
-Ce la puoi fare, Lia. Sii forte e combatti. Per i tuoi genitori e per me-.
Soffocando un singhiozzo, annuii e mi sforzai di entrare nel tubo che mi avrebbe condotta all’arena.
L’ultima cosa che vidi prima di essere portata lì fu il suo dolce sorriso.
 
Notai immediatamente l’enorme cornucopia dorata che si trovava davanti a tutti noi, disposti in semicerchio non molto distanti da essa. Dentro l’enorme costruzione si trovavano armi ed alimenti, come tutti gli altri anni, poi altri oggetti di minor valore posizionati tra essa e noi. A destra scorsi quello che doveva essere mare ed alcune isole, mentre a sinistra un bosco di latifoglie, molto fitto e perfetto di nascondersi. Ma ero troppo lontana per raggiungerlo. Mi guardai in giro in cerca di una spada, ma non ce n’erano. Non trovai nemmeno un arco.
“Cosa faccio?”
In quel momento suonò il gong e tutti i tributi si lanciarono verso la cornucopia. In un lampo presi a correre, avevo trovato ciò che volevo: una frusta, poco lontana da me. Riuscii a prenderla poco prima di un altro tributo, il ragazzo del distretto dieci, che mi si lanciò addosso. Cademmo entrambi a terra, io scalciando per togliermelo di dosso e quando ci riuscii gli diedi un colpo con la mia arma; barcollò poco distante, tenendosi con la mano la parte di volto ferita, e fu subito trapassato da una lancia. A quella vista corsi via; feci in tempo a prendere al volo un piccolo zaino verde, me lo misi in spalla e mi gettai in mare, nuotando il più velocemente possibile verso la prima isola.
Non ci vollero che un paio di minuti per arrivarci; appena misi i piedi su quella spiaggia mi misi a correre verso l’interno, dove si trovava un altro fitto bosco. La cosa sarebbe potuta tornare a mio vantaggio, se avessi saputo sfruttarla.
Corsi per quella che sembrò una mezz’ora, schivando radici sporgenti e rami, sforzandomi di ascoltare non solo i miei passi, ma anche quelli di eventuali tributi che avevano avuto la mia stessa idea: quell’isola era molto vicina e sicuramente non aveva una grande estensione, quindi avrei potuto facilmente incontrare qualcun altro.
Ad ogni rumore che ero certa non fosse mio, prendevo la mia frusta e continuavo a correre, guardandomi attorno. Poi, assicuratami che non ci fosse nessuno, l’attorcigliavo attorno al mio borsello, attenta a non perderla.
Dopo un po’ sentii dei colpi di cannone, ognuno di essi annunciava la morte di uno dei tributi. Mi fermai ad ascoltare. Nove in tutto. Presi un respiro profondo, più calma all’idea di essere ancora viva, e ripresi a correre.
Quando pensai di essermi allontanata abbastanza dalla riva, mi misi a cercare un nascondiglio per la notte. Avrei potuto arrampicarmi su un albero, ma non andavo molto d’accordo con l’altezza. Alla fine non trovai nient’altro e mi dovetti accontentare di un grosso albero dai rami apparentemente sicuri.
Si stava facendo buio; decisi di controllare velocemente il contenuto dello zaino: solo qualche cracker e nient’altro. Sospirai.
All’improvviso sentii l’inno di Capitol City e alzai subito gli occhi al cielo, che nel frattempo si era scurito del tutto.
Mostrarono i volti del ragazzo del distretto uno, la ragazza del tre, il ragazzo del sei, la ragazza dell’otto, entrambi i tributi del dieci, il ragazzo dell’undici ed entrambi i ragazzi del dodici. Sorrisi al pensiero che sia io che Lucas eravamo sopravvissuti al primo giorno. Mi chiesi come stesse andando al ragazzo del distretto tre..
Mi appoggiai al tronco dell’albero e chiusi gli occhi, tentando di addormentarmi, tenendomi stretta lo zaino.
 
Venni svegliata violentemente da un colpo di cannone, il che mi fece perdere l’equilibrio; caddi a terra, sbattendo la testa contro il tronco. Strinsi i denti per soffocare un grido, mi avrebbero scoperta immediatamente. Mi tirai in piedi, per mia fortuna non avevo subito nessun danno.
Dal cielo sembrava fosse poco prima dell’alba; a quanto pareva, la caccia dei favoriti non era ancora finita. Sospirai, tirai velocemente su lo zaino che era caduto con me e me lo misi sulle spalle. Ripresi a correre nella stessa direzione del giorno precedente, sperando di trovare una fonte d’acqua dolce.
Non era facile, non vidi nemmeno un’animale nei dintorni. Strinsi i senti, cominciavo ad avvertire la fame e la sete,
ricordando che era dalla mattina prima che non mangiavo. Trovai alcune bacche commestibili e ne mangiai molte, conservandone altre dentro alcune foglie che riposi nel mio borsello, per ogni evenienza.
Verso il primo pomeriggio vidi finalmente un cerbiatto. Corsi ancora per un po’, seguendolo, e infine trovai una piccola pozza d’acqua. Ne bevvi avidamente, sentendomi molto meglio.
Un altro colpo di cannone mi fece ricordare di essere nell’arena e che avevo abbassato la guardia. Mi ripresi velocemente e cercai un altro albero per passare la notte; ne trovai uno a pochi metri dalla pozza.
Non appena il cielo si oscurò, nell’aria risuonò ancora l’inno di Capitol City: stavolta erano morti il ragazzo del distretto cinque e quella del nove. Mi sentii sollevata. Quella volta mi addormentai senza problemi.
 
Mi svegliai lentamente, riguadagnando poco a poco la percezione della realtà. Mi tirai lentamente a sedere sul tronco,  guardandomi un po’ intorno: tutto era tranquillo, quasi non mi sembrava vero che fossi stata l’unica ad essere arrivata fino a quel punto dell’isola. Mi tirai giù dall’albero e andai a bere, ancora assetata, stavolta prestando attenzione a non voltare le spalle al nemico. Mangiai il resto delle bacche che portavo nel borsello e ne cercai delle altre, trovandone alcune più grandi e succose. Come prima, ne misi via una parte, cambiando le foglie che le avvolgevano.
Durante il pomeriggio, mentre stavo ancora cercando, sentii improvvisamente dei rumori di foglie smosse e di voci. Non ebbi nemmeno il tempo di pensare, il mio corpo agì per me: scattai nella direzione opposta a quelle voci, fuggendo il più velocemente possibile. Dei rami continuavano a sferzarmi il viso, andavo troppo veloce per starci attenta e ben presto mi trovai con alcuni tagli sanguinanti. Senza nemmeno fermarmi mi pulii con la mano, solo per evitare di avvertire la sensazione del sangue che colava sulla pelle.
All’inizio sembrava che quelle voci mi stessero seguendo, ma ben presto riuscii a seminarle, cambiando spesso percorso. Infine arrivai al terminare dell’isola. Me ne trovai davanti un’altra che sembrava un’enorme montagna. Valutai velocemente quanto tempo mi ci sarebbe voluto per arrivare fin lì a nuoto, dato che sarei stata allo scoperto tutto il tempo: se il nemico avesse avuto un’arma da lancio, sarebbe finita.
Mi gettai in acqua, sforzandomi di immergermi il più possibile e riemergere solo per prendere aria. Arrivata sull’altra sponda non mi fermai a prendere fiato, trovai prima degli enormi massi che mi avrebbero nascosta facilmente.
Riuscii a calmare un po’ il mio ansimare dopo qualche minuto e mi concessi cinque minuti di riposo.
Nel frattempo era calata la sera e non me n’ero affatto accorta, presa com’ero nella fuga.
Stavolta nessun volto comparve dopo l’inno di Capitol. Da una parte volevo sorridere, ma pensai che se non ci fosse stato nulla d’interessante, presto gli strateghi ci avrebbero costretti a riunirci e a combattere.
Chiusi gli occhi, decidendo che se sarebbe successo mi sarei fatta trovare pronta.
 
Mi svegliai verso mezzogiorno, il sole era già molto alto nel cielo. Mi alzai in piedi tutta dolorante a causa delle pietre su cui mi ero appoggiata per la notte.
Per un attimo mi sembrò di essermi svegliata una prima volta a causa di un colpo di cannone per essermi poi riaddormentata, ma non ne ero per niente sicura.
Mi passai una mano tra i capelli, toccando anche il mio cerchietto. Strabuzzai gli occhi; mi chiesi come avesse fatto a non cadere per tutto questo tempo.. Io me n’ero perfino dimenticata. Mi accorsi che era molto più saldo sulla mia testa di quando mio padre me l’aveva messo la prima volta..
“Grazie, Matthew..” pensai e non potei impedirmi di sorridere.
In quel momento sentii dei passi veloci sulla roccia e mi voltai appena in tempo per vedere una ragazza corrermi incontro, una lancia alla mano. Mi lasciai cadere a terra, schivando il colpo e maledicendomi per essermi distratta.
Presi la frusta e cominciai ad indirizzare colpi verso di lei, usando tutta la forza che avevo. Resi le mie scudisciate veloci ed irregolari, per evitare che la ragazza capisse il mio sistema. Mi tirai in piedi, ma un colpo di lancia mi colse impreparata, ferendomi ad un braccio. “Nulla di grave, resisti” mi convinsi, stringendo i denti. Presi la rincorsa verso il tributo, in posizione di difesa e con lo scudiscio le ferii la mano, facendole cadere l’arma, e la colpii con un calcio al torace, facendola finire contro le rocce. Gemette, cadendo a terra. Ansimai, spaventata, quando un colpo di cannone mi fece trasalire. Avevo appena ucciso una persona.
Tremai, non riuscivo a controllarmi e caddi in ginocchio, con lo sguardo perso nel vuoto. Non mi accorsi nemmeno più del mio braccio.
Mi alzai dopo qualche minuto per pura forza di volontà, ringraziando il cielo che nessuno fosse ancora arrivato. Non potevo rimanere lì, mi avrebbero trovata.. Recuperai la frusta che mi era caduta dalle mani e riuscii in qualche modo ad arrotolarla attorno al marsupio, poi presi a correre via.
Mi allontanai finché non fui sul punto di svenire per mancanza di ossigeno; mi fermai in una piccola rientranza tra le rocce, ben nascosta. Era già sera.
Improvvisamente risuonò la solita melodia: vennero mostrati i volti della ragazza del distretto cinque, quella che avevo ucciso, e il ragazzo del nove. Avevo davvero sentito un colpo di cannone, quella mattina..
Non potei pensare ad altro e mi addormentai, sfinita.
 
Anche se ero profondamente addormentata, continuavo a sentire dei rumori. Dei rumori molto corti, ma vicinissimi.
Come primo impulso avrei dovuto avere quello di scattare in piedi e scappare, ma mi sentivo fin troppo debole. Inoltre, non sapevo come, percepivo che non c’era nulla da cui fuggire.
Aprii gli occhi che il sole era già alto, anche se non avevo la minima idea di che ora effettivamente fosse. Mi alzai, tenendomi alle rocce per evitare di barcollare o perdere l’equilibrio.
Uscita dalla rientranza, vidi un ragazzo chino sul fuoco, che stava cucinando un pesce. Alzò la testa, probabilmente aveva avvertito dei rumori, e mi sorrise.
-Alla buon’ora!- mi disse con voce scherzosa.
Aveva i capelli rossi e gli occhi marroni mi sembravano così familiari.. indossava una divisa col numero sette..
“Lucas..”
Mi vennero le lacrime agli occhi e cominciarono a scendere tra un mio singhiozzo e l’altro; ero incapace di fermarle. Non riuscivo nemmeno a capire se fossero a causa del mio omicidio o se fossero di felicità, perché finalmente non ero più sola.
-Ehi, perché stai piangendo?- mi chiese, allarmato dalla mia reazione improvvisa.
-Ho ucciso una persona..- singhiozzai, senza nemmeno riuscire a pensare alla mia risposta.
-Anche io..- rispose il mio compagno, abbassando lo sguardo. -Però siamo entrambi vivi. Questa è l’unica cosa di cui dobbiamo tenere conto, qui- continuò deciso. Sapevo che era giusto, ma non riuscivo a farmene una ragione; non avevo mai pensato, al di fuori dell’arena, che dovessi uccidere per continuare a vivere..
Mi asciugai le lacrime con il palmo della mano, decidendo che dovevo essere forte. Lucas sorrise, soddisfatto.
Il mio compagno mi fece mangiare il pesce che aveva appena cucinato.
Una volta finito, l’osservai per un po’: sembrava stanco, come se nella notte non avesse chiuso occhio..
-Lucas, dormi un po’- gli dissi, desiderosa di essere d’aiuto. –Sto io di guardia-.
Lui accettò, ringraziandomi, poi si voltò dall’altra parte e si addormentò immediatamente. Per la prima volta durante gli Hunger Games, passai alcune ore piacevoli, intenta solo ad ascoltare il rumore del mare e il respiro regolare del mio compagno.
Si svegliò solo una volta arrivata la sera, ben riposato. Solo in quel momento si accorse della ferita sul mio braccio e la esaminò immediatamente. Io me n’ero completamente scordata..
In quel momento vedemmo una piccola capsula grigia che dondolava piano nell’aria in attesa di arrivare a noi, accompagnata da un paracadute. Un regalo dagli sponsor. Lucas la prese immediatamente e l’aprì.
-Sono delle erbe, non ci saranno di grande aiuto- disse, deluso. Io invece mi illuminai: le erbe non sono mai inutili.
-Io invece credo di sì- accennai, alzandomi. Sorrisi, vedendo che le erbe erano proprio quelle che mi aspettavo. Le ridussi in poltiglia e me le applicai sulla ferita. Sentii pizzicare, probabilmente la ferita si stava disinfettando.
-Scusa, non ti sono di grande aiuto- disse il mio compagno. Scossi il capo.
-Non è vero. Mi basta che tu sia qui- dissi, sincera. Lui mi sorrise.
Accese un fuoco e per tutta la sera rimanemmo lì vicino per riscaldarci.
 
Venni svegliata dalla luce del sole, non mi aspettavo di dormire così tanto. Lucas era già in piedi e mi augurò subito il buongiorno. Ricambiai, sorridendo. Lo feci spontaneamente, ero davvero felice che ci fosse qualcun altro con me.
Dopo avermi esaminato la ferita, avendo visto quanto fosse migliorata, decidemmo di nuotare un po’. Per un paio d’ore non pensai ad altro che alle onde che mi cullavano e alla sensazione di leggerezza che mi pervadeva.
Più tardi mangiammo del pesce e finimmo le riserve d’acqua di Lucas. A quel punto cominciammo a discutere su cosa avremmo dovuto fare d’ora in avanti, quando la terra si mise a tremare sotto di noi. Cademmo entrambi, stupiti, mentre il mare cominciava ad invadere la spiaggia. Il mio compagno mi urlò immediatamente di sistemare lo zaino e io obbedii, veloce, così come fece anche lui. Non appena finimmo di sistemare arrivò l’acqua e ci tuffammo, nuotando verso l’isola più grande, mentre quella dietro di noi affondava.
Riuscimmo ad arrivare all’isola nel pomeriggio, dopo un lungo percorso a nuoto. Tirai un sospiro di sollievo quando toccai terra: per fortuna nessuno degli altri tributi ci aveva notati. Lucas suggerì di andare al fiume dov’era stato qualche giorno prima e io non ebbi alcuna obiezione, non essendo mai stata in quella parte dell’arena.
La camminata per arrivare al corso d’acqua fu lunga ma abbastanza piacevole, nonostante non aprimmo quasi bocca durante il tragitto, per paura che qualcuno ci potesse sentire. Se i favoriti si fossero trovati da quelle parti.. Rabbrividii. Di sicuro avrei dovuto prestare molta più attenzione in quel luogo rispetto agli altri.
Arrivammo al fiume nella notte, appena in tempo per vedere il resoconto sulle morti del giorno: nessuna. Sicuramente domani ci saremmo dovuti aspettare qualcosa dagli strateghi: eravamo rimasti in undici ed erano trascorsi già.. sei giorni dall’inizio degli Hunger Games. Era passato così tanto?
Bevemmo avidamente dal fiume e Lucas mi propose di mangiare un po’ di frutta secca per non accendere il fuoco; accettai. Poi, stanchi, ci arrampicammo su due alberi per la notte.
 
Il canto di alcuni uccelli mi svegliò sul presto. Sorrisi, finalmente un dolce risveglio; Lucas si destò poco dopo, così scendemmo entrambi dagli alberi, riposati. Come colazione pescammo un pesce e, mentre decidevamo che cosa fare durante quel giorno, lo mangiammo con gusto.
La cosa migliore era avere una panoramica completa dell’arena, per capire almeno dove saremmo dovuti fuggire in caso di incidenti oppure di tributi troppo forti. Anche se, in quel caso, era molto più probabile che ci avrebbero inseguiti in capo al mondo pur di ucciderci entrambi.
Ci mettemmo in marcia immediatamente, dirigendoci verso il grande vulcano che si trovava al centro dell’isola. Non si trovava molto lontano dal nostro fiume, arrivammo ai suoi piedi qualche tempo dopo. Cominciammo a risalire il vulcano. Fu più difficile di quanto avessi previsto: nonostante non fosse molto ripido, continuavo a scivolare, cadendo su varie sporgenze. Nonostante ciò riuscimmo ad arrivare molto in alto, e finalmente potemmo guardarci un po’ attorno.
Da dove ci trovavamo potevamo vedere cinque isole più piccole, la prima delle quali era quella su cui ero fuggita il primo giorno. La parte vuota di mare era quella dove si trovava l’isola rocciosa che era affondata il giorno prima.
All’improvviso fummo distratti dal rumore di alcuni passi dietro di noi. Mi voltai velocemente e trasalii alla vista di alcuni favoriti, appena usciti da alcune rocce, molto probabilmente la loro base.
Due ragazze ci si avvicinarono, una era del distretto uno e l’altra del due. Avevano un’espressione sprezzante in volto e ridacchiavano.
-Ehi, sfigati, pronti a morire?- sibilò la ragazza del distretto uno, riducendo gli splendidi occhi azzurri a due fessure. La compagna la assecondò, sembrando divertita.
Io mi misi in posizione, tenendomi pronta ad estrarre la mia frusta, quando d’un tratto il vulcano tremò violentemente. Feci un passo indietro, cercando di ragionare.. “Oh, no..”
Degli schizzi color rosso, fumanti, colpirono in pieno la ragazza dagli occhi azzurri che gridò, accasciandosi al suolo. Sentimmo partire un colpo di cannone. Immediatamente dopo ciò, vedemmo uscire la lava, densa ed incandescente, dalla bocca del vulcano. Io e Lucas non ci guardammo neppure, lui mi prese la mano, ci voltammo e cominciammo a scendere, correndo. Ne andava delle nostre vite. Il gruppetto ci seguì subito dopo, non sembravano per niente scossi dalla morte della compagna. Correvamo più veloci del vento e ordinai alle mie gambe di non cedere, nonostante fossi quasi completamente priva di energia. L’urlo della ragazza del distretto due mi fece rabbrividire: di sicuro nessuno dei suoi l’avrebbe aiutata, loro pensavano solo a se stessi. Svoltammo più volte per seminare gli altri favoriti e ci fermammo a riposare solo quando fummo sicuri di essere al sicuro dalla lava e dai nostri inseguitori. Non rimanemmo fermi a lungo, solo quel poco che bastava per recuperare un po’ le forze. Nessuno dei due era ferito gravemente, avevamo riportato solamente qualche graffio qua e là. Riprendemmo a camminare, allontanandoci ancora un po’ dal vulcano, per essere sicuri. Quando fummo certi di aver distanziato di molto i nostri nemici, bevemmo un po’ d’acqua e salimmo sopra alcuni alberi per la notte.
Quando il sigillo di Capitol City si illuminò nel cielo, accompagnato dall’inno, vedemmo i volti delle due ragazze che erano morte sul vulcano. Dopodiché chiusi gli occhi, addormentandomi subito.
 
Venni svegliata da un colpo di cannone che ancora non era arrivata l’alba. Preoccupata balzai giù dall’albero, guardandomi attentamente attorno, ma non sentii né vidi nulla. Con un sospiro di sollievo mi sedetti sull’erba, quel balzo improvviso mi aveva dato un capogiro. Alzai la testa verso l’albero di Lucas, che ancora stava dormendo, tranquillo. Sorrisi, alzandomi.
Per prima cosa andai al fiume vicino al nostro accampamento, concedendomi un paio di minuti per lavarmi e rilassarmi, poi catturai un pesce e tornai da Lucas.
Tentai di cuocerlo bene com’era riuscito lui, ma lo tenni troppo sul fuoco. Quando il mio compagno si svegliò, temetti di averlo destato io con l’odore di bruciato. Nonostante questo, lo mangiò lo stesso.
Gli proposi di fare un giro di ricognizione nei dintorni e nel frattempo di cercare qualcos’altro da mangiare. Lui si mostrò d’accordo. Io sarei andata a sud, mentre lui a nord, decidemmo. Ci saremmo poi ritrovati durante il pomeriggio all’accampamento.
Camminai attraverso i boschi per un po’, raccogliendo di tanto in tanto qualche radice commestibile ed alcune bacche, quando finalmente non vidi un enorme lago davanti a me. Lungo la riva vidi due macchioline colorate, ma ero troppo lontana per capire di che cosa si trattasse. Mi avvicinai un po’, fino a che avvertii due voci.
Appartenevano ad un ragazzo e ad una ragazza ed erano molto vicine a me. D’un tratto mi sentii sollevare di peso e tentai di urlare, ma qualcuno mi tappò la bocca, intimandomi di stare zitta.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, era giunta la mia ora?
Avvertii le stesse voci di prima, molto più vicine. Riuscii a scorgere i due tributi del distretto quattro. Erano gli stessi che avevo visto poco prima, anche se lontani, e stavano discutendo di un’alleanza. Molto probabilmente, dicevano, avrebbero ucciso il ragazzo del distretto due.
Solo quando si furono allontanati a sufficienza, mi sentii liberare. Mi voltai immediatamente, mettendo mano alla mia frusta. Rimasi stupita quando vidi lo stesso giovane che mi aveva fatto un complimento  nel centro di addestramento.
Aaron, distretto tre.
Lui rimase immobile, gli occhi fissi su di me e sulla mia arma, esitando. Uno come lui avrebbe potuto uccidermi subito, già quando mi aveva trovata di spalle. Invece mi aveva nascosta.
Senza dire né fare altro corse via, nella direzione opposta a quella dei tributi del distretto quattro.
Rimasi immobile per qualche secondo. Cosa significava? Perché non mi aveva uccisa?
Mi alzai e corsi più veloce che potevo, adesso la cosa più importante era avvisare Lucas dell’alleanza di cui avevo appena scoperto l’esistenza.
Rifeci tutto il percorso con il cuore in gola, temendo un assalto da qualcuno. Non provai sollievo nemmeno quando vidi il mio compagno che mi stava aspettando all’accampamento.
Lo raggiunsi e mi fermai davanti a lui, ansimando per la corsa e per la paura, l’istinto continuava a farmi voltare da una parte e dall’altra.
-Cosa succede?- mi chiese, sicuramente aveva notato il terrore che stavo provando. Tentai di aprire la bocca per spiegargli tutto, sapevo di doverlo informare immediatamente, ma non riuscii ad emettere nessun suono. Lui mi si avvicinò e mi abbracciò, tentando di calmarmi.
-Ho incontrato i tributi del quattro.. Si sono alleati per uccidere il ragazzo del due..- mi sforzai di dire, nonostante il tremare della mia voce.
-Avete combattuto?-
-No..-
-Allora l’unica cosa che rimane da fare è allontanarci da qui, così non ci troveranno. Tranquilla..- concluse, rassicurandomi. Non appena mi fui calmata sciolse l’abbraccio e decidemmo che cosa fare.
Mi disse che aveva trovato un’isola paludosa durante la sua ricognizione a nord-ovest, quello sarebbe stato un buon posto dove nascondersi. Ci incamminammo immediatamente, portando con noi gli zaini e le provviste che avevamo raccolto.
Raggiungemmo l’isola giusto qualche secondo dopo il tramonto. Quel luogo non mi piaceva, mi sentivo costantemente osservata, ma non avevo altra scelta che abituarmi. All’improvviso sentimmo un colpo di cannone. Tremai, mi ricordai subito dei due ragazzi del distretto quattro.
Addentrandoci un po’ nella palude avvertimmo anche alcuni movimenti provenienti dall’entroterra, perciò decidemmo di rimanere vicino alla riva per accamparci.
Quando arrivò la notte, mostrarono il volto del ragazzo del distretto due e quella del sei. Eravamo rimasti solo in sette. Non mi sarei immaginata di poter sopravvivere fino a quel punto.. a quel pensiero non riuscii a reprimere un sorriso. Poco dopo il sonno prese il sopravvento su di me.
 
Sentii la voce di Lucas che mi chiamava, eccitato. Aprii lentamente gli occhi, essendo ancora molto addormentata, ma dopo aver guardato ciò che il mio compagno mi indicava, mi svegliai del tutto: davanti all’isola dove ci trovavamo ne era apparsa un’altra.. anzi no, era la stessa identica isola rocciosa su cui ci eravamo incontrati.
“Non è possibile che gli Strateghi abbiano fatto ciò..” pensai, confusa. “Ci separeranno e basta..”
Nonostante i miei dubbi, decidemmo subito di passare di nuovo a quell’isola, almeno l’avevamo già esplorata in parte e sapevamo com’era costituita.
Una volta arrivati lì rimanemmo vicini al mare, concedendoci un po’ di tempo per lavarci e rilassarci ammollo nell’acqua. Trovammo molte cozze nel fondale e mangiammo quelle per pranzo, finendo anche le nostre scorte d’acqua. Nel pomeriggio sentimmo un colpo di cannone. “Sei..” Non avevo assolutamente idea di chi sarebbe potuto essere.
La sera Capitol City ci mostrò il volto del ragazzo del distretto otto, il dodicenne. Mi sentii male per la sua morte, era ancora un bambino.. In quel momento sentimmo ancora l’inno.
-Attenzione, tributi – disse una voce. Ci mettemmo in ascolto. -Le fonti di acqua sono state prosciugate. Ma vogliamo essere gentili coi nostri ospiti, per cui abbiamo indetto un festino alla cornucopia al calar del sole: ci sarà grande abbondanza d'acqua, non mancate!- ci avvertì, con un tono che mi sembrava tanto quello allegro di un invito ad una festa. Ma il festino di cui parlava era solo un pretesto per riunirci e farci combattere.
Rimasi per un po’ a fissare il cielo, quella notte stellato, cercando di prendere sonno, ma fu come se tutta la stanchezza mi avesse abbandonata, non volevo neppure chiudere gli occhi.
Se il giorno dopo fossimo sopravvissuti entrambi, avremmo dovuto combattere ancora, con avversari molto più forti di noi.
Soffocai un singhiozzo, tentando di calmarmi. Lucas, accanto a me, dormiva tranquillo. Sorrisi.
Almeno uno dei due doveva farcela.
 
Stetti sveglia tutta la notte e non appena spuntò l’alba chiamai Lucas, svegliandolo. Dovevamo assolutamente trovare un piano prima dell’arrivo della sera.
Approfittammo del mare vicino a noi e pescammo qualche granchio, mangiandolo per colazione. Dovetti sforzarmi per inghiottirlo, non avevo per niente fame. Mi sarebbe servita molta energia in vista di quella sera.
Finito il nostro pasto parlammo con calma della nostra strategia.
-Potremmo raggiungere la cornucopia da punti diversi, così che, nel caso in cui succedesse qualcosa, almeno uno dei due avrà l’acqua- propose Lucas; mi parve immediatamente un buon piano.
-Nel caso in cui uno dei due non arrivasse al festino?- domandai, era sempre meglio considerare quell’eventualità, tutto quella sera sarebbe potuto andare storto.
-In quel caso, l’altro gli verrà un soccorso solo dopo aver recuperato l’acqua- mi rispose. Annuii, avendo capito.
In realtà, avrei voluto anche un piano di riserva, qualcosa da usare in caso di necessità. Non volevo rischiare di perdere l’unica persona con cui mi fossi trovata bene fino a quel momento..
Lucas mi abbracciò, stringendomi forte.
-Qualunque cosa accada, sono felice di aver passato questi giorni con te- mi disse; a quelle parole mi sentii male, era come se avesse già deciso che non ci saremmo più rivisti. Ma lo capivo, perché stavo pensando la stessa cosa.
Ricambiai l’abbraccio e sperai che non avvertisse il mio tremare.
-Sii prudente..-
Sciogliemmo l’abbraccio e immediatamente ci separammo, lui in direzione della cornucopia e io verso il bosco, prendendo entrambi il mare.
Mi guardai attorno ogni volta che riemersi dall’acqua, temevo sempre che qualcuno mi vedesse. Arrivai al bosco, credevo fosse a sud della cornucopia e cominciai a incamminarmi in direzione della costruzione dorata.
Dopo un po’ mi fermai a guardare il cielo: mancava poco al tramonto. Più si avvicinava l’ora stabilita più mi sentivo nervosa e preoccupata. Se io non fossi stata abbastanza forte da sopravvivere quella sera, volevo che vincesse Lucas. Volevo solo questo. D’un tratto l’idea di separarci non mi sembrava più tanto buona. Mi nascosi dietro un albero, accovacciandomi su me stessa. Tremai, avevo troppa paura.
Paura di morire.
Di non poter vedere più Lucas.
Né Aaron.
“L’ho promesso...” pensai, soffocando i miei singhiozzi. “Devo essere forte..”
Mi alzai e mi nascosi meglio, un po’ più avanti, da quella posizione riuscivo a vedere la cornucopia e il territorio lì attorno. Tutto era tranquillo, non vedevo nessun tributo, non sentivo nemmeno un rumore, se non quello del mio respiro. Rimasi immobile, contavo i secondi che mi separavano dal tramonto.
Un ramo che si spezzò dietro di me mi fece sobbalzare, d’istinto mi abbassai; un coltello si andò ad infilzare dove poco prima c’era la mia testa. Ansimai, voltandomi velocemente: un favorito, il ragazzo del distretto quattro, mi fissava, giocherellando con la lama del coltello che aveva in mano. Impallidendo notai che ne aveva molti altri alla cintura. Mi feci forza e mi alzai, prendendo la mia frusta, sembrava non cercasse altro che un bello scontro, magari per ingraziarsi quei pochi che ancora non avevano scommesso su di lui. O più probabilmente, sorrisi a quel pensiero, sulla sua compagna.
La mia espressione sembrò infastidirlo, si gettò immediatamente contro di me, prese bene la mira. Mi abbassai di nuovo e gli diedi un forte calcio alle gambe facendolo cadere; mi spostai subito e presi a frustarlo.
Non riuscii comunque a fermarlo, si rialzò in pochi secondi; velocemente presi a correre verso la parte più fitta del bosco, sperando di seminarlo. Un coltello mi passò di fianco, sfiorandomi il collo con la lama e tagliandomi una ciocca di capelli, e si andò a piantare in un albero vicino. Strinsi i denti, voltando per un attimo la testa, dovevo stare più attenta.
Ma andai a sbattere contro qualcosa; urlai, cadendo indietro. Il ragazzo del quattro individuò la mia posizione, lo sentii arrivare ed accelerare il passo. Mi maledissi e mi alzai; rimasi pietrificata.
Aaron. Era anche lui caduto a terra per la botta. Gli presi velocemente la mano e lo tirai su, riprendendo poi velocemente a correre, con lui che incespicava dietro di me.
Imprecai quando arrivammo in un’ampia radura, non avremmo fatto in tempo a nasconderci. Non avevamo scampo.
Gli lasciai la mano e feci per prendere la mia arma, ma la mia mano si strinse attorno all’aria. Guardai il borsello, stupita. “E’ caduta quando mi sono scontrata..”
Aaron mi affiancò, porgendomi un coltello, mentre lui prese la lancia che aveva dietro la schiena. Accettai e mi misi in posizione.
Il ragazzo lanciò alcuni pugnali verso di noi, riuscimmo a schivarli di poco: mi procurai qualche graffio lungo la guancia. Poi corse verso di noi, prendendo la mira.
Il mio alleato gli corse incontro, fermando la sua lama con quella della lancia, continuando a fare forza sopra di essa; scivolò, il coltello adesso aveva la traiettoria libera.
-No!- urlai, lanciandomi contro il nemico; spostai Aaron e trafissi il nemico con la mia arma. Però..
Gemetti.
La sua lama mi aveva colpita.
Caddi a terra. Riuscii a sentire un colpo di cannone per il mio nemico. Sentii un forte dolore al petto.
Chiusi gli occhi.
Potevo essere soddisfatta. Ero riuscita a resistere dieci giorni e, con il mio gesto, avevo aiutato le due persone di cui mi fidavo di più, tra tutti noi ventiquattro.
Allora.. perché stavo piangendo? Che sciocca.. non ne avevo motivo.
Sorrisi, più a me stessa che ad altri. “Vinci..”
Lasciai che un’oscurità confortante mi avvolgesse, cullandomi in sé.

Angolo dell'autrice: 
La mia prima One-shot che scrivo su Hunger Games. ^^
Ho partecipato con questa storia ad un concorso in cui mi si chiedeva di inventare un personaggio e di farlo partecipare ai giochi.
Spero che vi sia piaciuta, sarei davvero felice se mi lasciaste un commento per dirmi che cosa ne pensate. Suggerimenti e critiche sono bene accetti. ^^

Shyar  
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Shyar