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Autore: ladyblack89    21/07/2012    0 recensioni
Terza os della trilogia. E' divisa in più parti. Spero che vi piaccia. ^^
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Futuro

Per sempre


 

 
 
“Il passato torna sempre al presente per mostrarci pezzi del nostro futuro.” (Sk8erGirl_483 / Lady Black)


 
 

La mattinata si annunciava assolata e serena.

O almeno così aveva previsto il meteo.

Spense la tv a schermo piatto del suo piccolo salotto, indirizzando il telecomando verso un angolo della stanza e poi, afferrato velocemente lo zaino blu e arancione, che troneggiava indisturbato sul divano bianco, uscì da casa.

Aveva fatto una promessa, pensò richiudendo la porta dell’appartamento con un giro di chiavi: doveva andare a trovare sua nonna Simone. Ormai, rifletté il ragazzo, abbassandosi la visiera del suo cappellino, erano mesi che non la vedeva. I telefoni e le mail per quanto utili, non potevano sostituire una normale visita di cortesia che, ovviamente, sarebbe stata molto gradita.
Camminando con passo spedito scese le rampe di scale d’acciaio che costeggiavano una parete dello stabile, e in men che non si dica si ritrovò a fare lo slalom tra i cassonetti dell’immondizia.
-Certo che questo posto a volte fa proprio schifo! - asserì più a sé che al gatto randagio che lo fissava, appollaiato su un muretto bianco.

-Buongiorno. - lo salutò cordialmente, sorridendogli sornione.

L’animale miagolò e poi scappò via.

-Ma che gli avrò fatto? Bah... -

Il giovane dai capelli biondo scuri si aggiustò meglio la giacca di pelle e guardò distratto l’orologio.

“Oh, cazzo!” realizzò poco finemente nel suo cervello, dove il criceto, per un attimo, aveva smesso di girare sulla ruota.

-Sto per perdere il treno! -

Quasi urlando frasi senza senso e imprecazioni varie in differenti lingue, cominciò a correre verso la stazione. Fortuna per lui che era abbastanza vicino a casa.
 

§
 

Quando ebbe finito di fare la sua bella valigia rosa sorrise soddisfatta.

I capelli biondo scuri e lisci che le ricadevano morbidi sulle spalle incorniciavano benissimo il suo volto solare.

Diede un’ultima occhiata all’orologio-gatto appeso al muro della sua camera e sbuffò sonoramente.

-Dove è la limousine? E’ un sacco che aspetto! - gridò al nulla mettendosi le mani delicate sui fianchi.

Quel giorno era speciale. Non poteva far tardi.

La signora che doveva incontrare la aspettava a braccia aperte da così tanto tempo, che lei si era persino dimenticata quand’era l’ultima volta che l’aveva vista.

Un po’ Jenny se ne vergognava; non andare a trovare i parenti non era una bella cosa, tuttavia  non ci poteva fare niente. Infatti, da quando suo padre e la compagna si erano trasferiti a Parigi, lei non aveva avuto molte occasioni per tornare in Germania.

-Questa è tutta colpa del vecchio! - sbottò qualche istante dopo infrangendo il fragile silenzio che era calato sulla stanza.

Aggrottò le sopracciglia curate e si sedette sul suo letto a tre piazze, iniziando a dondolare blandamente le gambe.

-E’ tutta colpa di papà e della sua stupida etichetta discografica. - sibilò ancora mentre uno strano senso di vuoto la pervadeva.

A un tratto però un uomo alto e distinto entrò nella stanza e si avvicinò piano.

-Signorina Kaulitz, la macchina è arrivata. - spiegò fermo ma dolce, invitandola quasi con la voce ad alzarsi dal letto.

Jenny smise di dondolare le gambe e lo fissò negli occhi.

-Grazie, George. - sorrise poi chiudendo meccanicamente le palpebre.

Il maggiordomo ricambiò il gesto e prese la valigia poco più in là.

“Il viaggio sarà lungo.” riflette osservando fuori la porta-finestra la Tour Eiffel.

 
§

 
Lui lo sapeva: era un casino vivente.

Si era persino messo la sveglia due ore in anticipo pur di essere puntuale, ma alla fine niente. Restava il tragico fatto che era ora lì: in piedi, a fare ancora il biglietto del treno.
Sbuffò sonoramente mentre la folla davanti e dietro di lui, aspettava che i controllori convalidassero i preziosi pezzi di carta. Quando arrivò finalmente il suo turno, porse a uno dei due uomini in divisa il biglietto.

L’aveva acquistato con i suoi soldi: tutti i suoi risparmi; o almeno una bella parte. Non gli andava a genio il fatto che, essendo figlio di un cantante famoso dovesse, per forza di cose, diventare un ragazzino viziato. Non era affatto così.

In effetti, a pensarci bene, era stato proprio lui fin da piccolo, a rifiutare tutte quelle attenzioni principesche che suo padre e la sua compagna gli avevano rifilato.

Perso nei suoi pensieri, salì sul treno e si mise a cercare il suo posto.

“Accipicchia, quanta gente! Ah, è vero… questo week end è un ponte quindi molti tornano a casa. - pensò camminando lungo gli stretti corridoi del vagone sette - La mia fila è la dieci, mi sa.”
Con un po’ di fatica, scavalcando qualche persona, arrivò al traguardo.

“Finalmente… - pensò soddisfatto - eccolo!” realizzò mentre vedeva una ragazza occupargli il sedile.
-Ehi! Quello è mio! - protestò subito.

 
§

 
Non appena fece per accendere il suo i-pod, una voce la raggiunse.

-Uhm?-

Un bel ragazzo biondo come lei le si parò davanti con aria severa.

-Scusa, questo è il mio posto. - la informò appoggiando un braccio sulla testata del sedile e inarcando un sopracciglio.

La ragazza lo fissò, squadrandolo per qualche secondo e poi si soffermò sugli occhi. Erano ambrati. Bellissimi, e molto simili ai suoi.

“Che belli.” - realizzò per poi tossire per finta. Mise su un’espressione seria e chiuse le palpebre.

-Mi spiace giovanotto ma questo posto è il mio. -

-Giovanotto? Ma come parli? - domandò perplesso - …Comunque, questo sedile è il mio. - partì di nuovo all’attacco, stringendo i pugni delle mani.

-Uffa! Fammi vedere il biglietto. - pretese subito.

-No! Il biglietto è mio! Non te lo do! - le rispose sbatacchiando la testa a destra e sinistra come un bambino capriccioso.

-Dammelo! Devo vedere il numero! - lo sgridò lei facendo uscire una croce celtica dalla sua testa in stile cartone animato.

Il ragazzo, mugugnando qualcosa d’incomprensibile, afferrò il biglietto dalla tasca del jeans e glielo porse. Quella osservò il suo e l’altro e poi glielo ridiede.

-Sei proprio scemo. Il tuo posto è questo. - lo rimproverò ancora, indicando il sedile accanto - E’ vicino al mio. - specificò, alzandosi e facendogli spazio per passare.

-Ah, è quello? -

-Sì, è quello. E ora siediti e sta’ buono ragazzino. - disse inviperita pensando alla sciagura che le era appena capitata accanto.

-Ragazzino a me non lo dici! Io ho già vent’anni! - la rimbeccò la disgrazia umana alzando la voce e attirando gli sguardi degli altri passeggeri.

-Che figura! - ammise sconsolata mettendosi le mani sul viso - E comunque… - disse distogliendo lo sguardo dal suo vicino e posandolo al grande vetro del treno - ti facevo più piccolo. Anch’io ho vent’anni. - spiegò calma, accendendo poi il suo lettore musicale.

Il ragazzo voltò un po’ il capo e la fissò sorpreso.

-Ma dai? Anche tu? Sembravi più vecchia! - esclamò senza pensarci troppo mentre dopo qualche secondo un pugno gli arrivava diritto in faccia.

-SEI PROPRIO UNO STUPIDO! – gridò realmente offesa, attirando immancabilmente gli sguardi di tutti.

Quando se ne accorse, diventò tutta rossa e si rannicchiò al suo posto in silenzio.

“E meno male che non dovevo gridare.” - sospirò imbarazzato l’altro.

 
§

 
La prima mezz’oretta di viaggio trascorse placida e monotona. Il biondo, che si chiamava John, ascoltò il lettore mp3, come la sua vicina. Tuttavia, a un certo punto, quando era proprio al momento massimo della contemplazione di una canzone di Clapton, il piccolo aggeggio si spense.

-Nooo! Il mio lettore! Le pile! - piagnucolò triste.

La giovane accanto, seccata da tanto baccano, si tolse le cuffie e lo fissò truce.

-Che hai? Che ti manca? - domandò in modo stizzito.

John le mostrò i suoi occhi tristi e semi lacrimosi, che facevano tanta tenerezza alle molte ragazze che rimorchiava, e aggiunse pure il labbro tremolante.

A quella vista, lo guardò, se ancora più possibile, male.

-Bah, il tuo lettore va a pile? -

Quello annuì e fece finta di tirare su col naso.

Certo che, immaginò la giovane, quello era proprio un bambino nel corpo di un ventenne.

In uno slancio d’affetto, arrivato da dove neanche lo sapeva, passò una mini pila al suo vicino.

-Tieni. E’ per te. - disse atona.

John fissò la piccola batteria e gli occhi iniziarono a brillargli.

-Danke! Danke! Io senza musica non posso vivere.  - ammise gioioso come un bimbo che aveva appena ricevuto una caramella.

-Danke? Ma come parli? -

-Significa grazie in tedesco. - le spiegò, alzando un dito ben curato e annuendo vigorosamente con la testa.

-Lo so che vuol dire, grazie! Parlo quattro lingue. Mi chiedevo solo perché parlassi così. -

Il biondo la guardò voltarsi e poi rimettersi le cuffie.

“Certo, che di essere acida lo è. Se continua così rimarrà zitella.” Pensò, tornando nel suo mondo.

 
§

 
Dopo le tre ore di viaggio, più una di ritardo, il treno si fermò alla Berlin Hauptbahnhof, stazione centrale.

La mattinata nella capitale sembrava assolata, anche se con qualche nuvola.

Sia John che Jenny si alzarono dai loro posti e iniziarono a raccogliere tutte le loro cose. Stando attenta a non lasciare niente, la ragazza si guardò bene in giro.
“Bene, ho preso tutto.”

Anche il suo vicino di posto si accertò che non gli mancasse niente e si posizionò nel corridoio del vagone.

-Allora ci diciamo addio. - sorrise un po’ triste il biondo.

-Già. Anche tu a Berlino, quindi? - chiese lei tanto per chiacchierare - Sei venuto per lavorare?-

Il biondo scosse la testa e le sorrise.

-Sono venuto a trovare una persona cara. - la informò ammorbidendo la voce.

La ragazza lo guardò sorpresa.

-Ma pensa. Anche io sono qua per lo stesso motivo. - fece stupita mentre l’altoparlante della stazione annunciava qualcosa ai passeggeri – Allora, ciao e buona fortuna. - concluse la biondina allungando la mano in segno di saluto.

John la strinse lieto e sorrise.

Dopotutto quella tipa non era così acida come pensava...

-Ah, comunque io mi chiamo Jenny. – lo informò senza sapere neanche perché.

Il coetaneo, a quel punto, le riprese la mano e la strinse forte ancora una volta.

-Io sono John, molto piacere. - disse per ultima cosa, prima che le porte del treno fossero tutte automaticamente aperte.

-Beh, allora ciao. – lo salutò ancora, scendendo dal vagone.

Il nuovo conoscente accennò un saluto con la mano e scese, prendendo la via opposta alla sua, con in spalla il suo mitico zaino.




Continua...



NDA: Questa è la prima parte dell'ultima os della trilogia. ^^ A breve metterò l'altra, il tempo di betarla. Ah, questa l'ho scritta da sola, perchè con Sk8er non ci sentiamo da tempo, ma io volevo concludere questa storia. XD
   
 
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