Come
ogni estate sin da quando avevo quattro anni trascorro
le vacanze in casa di zia Monica, sorella minore di mia madre che vive
in
Toscana in una grande villa vicino al bosco, ho sempre girovagato nei
dintorni
da sola senza alcun problema per mancanza di automobili e reali
pericoli ,
ricordo solo un unico posto in cui la zia mi vietava
d’andare: la
soffitta,s fa un po’
ridere a
pensarci bene: la meta’ delle mie amiche vengono sempre
sorvegliate dai
genitori su cosa fanno e dove vanno, io almeno qui giro tranquilla
senza
problemi senza che nessuno mi stia dietro e zia Monica mi proibisce di
salire
in una semplice soffitta? Ovviamente le ho spesso rivolto domande a
proposito e
la sua risposta quando ero piccola era: “perche’ se
ci vai ti aspetta l’uomo
nero Eleonora”. Ora che sono cresciuta mi rendo perfettamente
conto che si
tratta di una favoletta forse ideata per preservarmi dal farmi male, ma
ripeto,
che male posso farmi in una soffitta? Non ho piu’ cinque anni
e ogni cosa non
e’ piu un potenziale pericolo, cosi un mattino approfittando
del fatto che non
potevo uscire causa un forte temporale e che la zia era a lavorare
chiusa nel
suo studio mi avventurai lassu’, percorsi tutte le rampe di
scale finche’
giunsi davanti a quella porta e con fare circospetto l’aprii
pian piano: alla
fioca luce che filtrava da una finestrella vidi una serie di oggetti
rotti, il
pavimento impolverato e su di esso una bella bambola di ceramica che
pensai mi
somigliasse: lunghi capelli color caffe’ e occhi scuri, solo
che lei era
vestita di un lungo abito tra il blu e il celeste un po stinto e io
indossavo
una canottiera rosa acceso e dei pantaloncini bianchi, per un
po’ ci giocai
stando ben attenta a non rovinarla: sapevo che quelle bambole sono
molto
delicate e non volevo essere sgridata dalla zia. Alzai lo sguardo e mi
parve di
vedere una specie di foschia nera davanti a me tutt’a un
tratto mi sentii
debole e persi i sensi.
Rinvenni
che era quasi mezzogiorno e mi domandai cosa
diamine fosse successo: non ero mai svenuta in vita mia, pensai che si
trattasse di un calo di zuccheri avevo letto qualcosa a riguardo ma
decisi di
non dire nulla alla zia per non turbarla.
Il
resto della giornata trascorse tranquillamente ma la
notte al momento di coricarmi ebbi uno strano presentimento come se ci
fosse
qualcuno ad osservarmi nel buio,li per li non ci feci caso e chiusi gli
occhi. Dopo qualche
ora sentii una
strana voce, roca e profonda che mi chiamava
“Eleonora…Eleonora…la prossima
volta che andrai in soffitta morirai”
mi
alzai a sedere e scrutai nella stanza buia: vidi due occhi rossi
luminosi e
spietati e guardando piu in basso vidi che appartenevano ad
un’orribile
creatura dal viso scheletrico e la pelle squamosa come quella di un
serpente.
Tendeva le lunghe mani artigliate verso di me, riuscii per un pelo a
non
strillare di terrore: “vattene!” sibilai in tono di sfida
cercando di
dissimulare la paura, le sue labbra si curvarono in un ghigno crudele
dopodiche’ svani’ nel buio. Mi rannichiai sul letto
sperando ardentemente di
svegliarmi da quell’incubo,
la mattina
seguente era una bella giornata di sole e mi alzai un po rincuorata ed
iniziai
a vestirmi convinta che fosse davvero stato un brutto sogno, andando
verso la
porta lo sguardo mi cadde sulla parete alla mia sinistra: in quella che
sembrava tempera scura c’era scritto
“ora
che mi hai risvegliato arrivera’ la tua fine”. Ero
attanagliata dalla paura
cosi mi decisi a scendere in giardino dove zia Monica si stava
occupando delle
sue piantine: indossava pantaloni di tela grezza ed una maglietta
rossa, teneva
i lunghi capelli biondi legati in una lunga treccia, appena mi vide
poso’ il
rastrello: “che ti succede Eli?” mi chiese,
l’adoravo era l’unica tra gli adulti
di cui mi fidassi completamente,
senza tante smancerie la condussi in camera mia e appena vide quella
scritta mi
affrettai a spiegarle che non ero stata io, che la mia calligrafia era
ben
diversa…Zia Monica era visibilmente sconvolta e si sedette
sul mio letto: “non
dovevi andare in soffitta…”
io la
guardai sorpresa: “ma cos’e’ successo
zia? Non ci sto capendo niente” , lei mi
prese le mani fra le sue e rispose: “vedi, se ti ho proibito
di andare lassu’
c’era un motivo ben preciso: quando avevo la tua
eta’mi ci avventurai anche io,
e m’imbattei in quella cosa spaventosa che vive
lassu’: io lo chiamo “uomo
nero” ma non so esattamente cosa sia, ne’ da dove
venga, so solo che una volta
risvegliata e’ difficile allontanarla da te” .
“Ma tu devi pur aver fatto
qualcosa quando eri bambina perche’ smettesse di
tormentarti…”
cominciai io
“mi sono disegnata nell’atto di
sconfiggerlo: il disegno prese vita e
cosi la me stessa “disegnata”
mi ha
aiutato” sorrise
lei. Io pensai che era
un bel problema: non avevo ereditato il suo talento artistico, ogni
volta che
prendevo in mano una matita era come se il cervello mi si scollegasse “Zia, dici che
puo’ andar bene anche la
scrittura?” Nella
mia classe ero tra le
migliori in italiano “uhm.
Forse si.
Facciamo cosi: siccome quella creatura non e’ riuscita ad
avermi quand’ero piccola
ora non puo’ piu farmi del male, quindi dormirai con me
finche’ non avrai
scritto questa storia come si deve.” Andai
a fare colazione ben decisa a scrivere
una storia che mi permettesse di uscire da quella faccenda. Passo’ qualche
giorno e cercai d’infondere
all’altra me stessa quei poteri che io non avevo e
soprattutto molto coraggio,
di notte ancora lo vedevo ma non poteva toccarmi e capivo che
cio’ non faceva
che accrescere la sua furia, finalmente
finii e una sera dopo cena la zia mi accompagno’ in soffitta
ma rimase fuori
dalla porta: sapevamo entrambe che solo io potevo sconfiggerlo. “ehi tu! Vieni
fuori coraggio! Son sola non
vedi? Avanti, vieni fuori e facciamola finita!”
dissi ad alta voce, subito
davanti a me rividi la stessa foschia nera di molti giorni prima ma
stavolta
l’orrenda creatura si materializzo’ completamente
“sei venuta a morire? Era da
tanto che non mangiavo” disse con la solita voce roca e
spaventosa. Io senza
dire una parola tolsi dalla tasca il foglio dove avevo scritto il mio
racconto
e cominciai a leggerlo ad alta voce, nel giro di qualche istante vidi
un’altra
me stessa accanto a me: assolutamente identica, mi sembro’ di
guardarmi allo
specchio: lei si mise tra noi due e ogni volta che lui cercava di
afferrarmi
lei mi difendeva senza venire a sua volta ferita, alla fine ci
prendemmo per
mano e quando l’uomo nero cerco’ di afferrarci
entrambe lancio’ un urlo
terribile e si dissolse nell’aria in una nube di cenere. Mi
ritrovai
inginocchiata sul pavimento e pochi istanti dopo zia Monica mi
stringeva tra le
braccia in lacrime “tutto
a posto
tesoro?” mi
chiese “certo
zia, ce l’abbiamo fatta, non tornera’
mai piu” le risposi rialzandomi “evidentemente la
mia soluzione non era
perfetta perche’ i disegni prima o poi svaniscono: la
scrittura invece rimane
intatta negli anni quindi direi che d’ora in poi possiamo
stare tranquille,
pero’ io quel racconto lo conserverei non si sa
mai…” sorridendo
rimisi in tasca il foglio e seguii
la zia giu per le scale.