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Autore: The Glass Girl    21/07/2012    4 recensioni
-Christopher.- disse porgendomi la mano.
-Laura.-risposi stringendogliela.
Ci trovammo uno davanti all’altro, senza avere niente da dirci, senza avere qualcosa di cui parlare che potesse in qualche modo avvicinarci.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Christopher.*



-Christopher.- disse porgendomi la mano.
-Laura.-risposi stringendogliela.
Ci trovammo uno davanti all’altro, senza avere niente da dirci, senza avere qualcosa di cui parlare che potesse in qualche modo avvicinarci.
Joseph se ne stava qualche metro più in là, avvinghiato alla bionda che si era trascinato quella sera e di cui, fra l’altro, non conoscevo nemmeno il nome.
Non l’avevo mai vista prima, ma la cosa non mi stupì più di tanto; non era nello stile di Joseph mostrarsi in pubblico due volte con la stessa ragazza.
Mi spostai di poco e lo vidi sorriderle.
Chissà perché mi diede l’impressione di un sorriso finto, un sorriso che sarebbe apparso diverso, forse, se fatto alla persona giusta.
Quando lo vidi avvicinarsi tornai a guardare il ragazzo che avevo davanti negli occhi.
Chissà perché ci aveva trascinati lì. Ancora non l’avevo capito.
Anche se, in effetti, Joseph si lamentava spesso della mia solitudine, del mio voler stare continuamente da sola e del mio esserlo a tutti gli effetti, perciò, forse, voleva potermi trovare qualcuno con cui stare.
Forse alla fine voleva solamente compiere un gesto d’affetto nei miei confronti.
Eppure mi sentivo così fuori posto .. quello che si divertiva, quello che usciva, quello abituato a socializzare sempre e dovunque era lui e non io.
Io ero quella a cui piaceva stare ore e ore chiuse in una stanza con un libro in mano e della buona musica in sottofondo, ero quella che detestava parlare con gli altri, che preferiva stare da sola.
Una folata di vento leggera mi carezzò il viso.
Un  vento caldo, tuttavia quasi accogliente che mi fece sentire … a casa.
Respirai affondo e mi preoccupai degli eventuali argomenti che avrei potuto affrontare con il ragazzo che avevo davanti.
Sperai con tutta me stessa che fosse bello anche caratterialmente.
‘Joseph ti prego non deludermi.’ Pensai.
Forse mi avrebbe fatto bene uscire, schiarirmi le idee, pensare ad altro.
O forse avrei semplicemente dovuto tornare a casa? Incamminarmi a passo spedito e tornare a guardare la televisione con un barattolo di gelato ed un cucchiaio gigante in grembo?
Scossi la testa e respirai, lentamente.
Gli sorrisi e decisi che, chissà per quale motivo, dovevo essere io la prima a parlare, a tentare di introdurre un argomento qualsiasi, che non andasse troppo in profondità e, soprattutto, che non toccasse eventuali punti deboli.
-Allora … da quanto conosci Joseph?-chiesi infine, spostando lo sguardo sull’amico che si stava allegramente sbaciucchiando la solita bionda svampita.
Christopher esitò, forse sorpreso dalla domanda, forse perché aveva già capito che io, alla fine, non volevo essere lì, a parlare con lui.
Sospirò e tornò a guardarmi.
-Un po’.-rispose semplicemente facendo spallucce.
-Capisco.- mi limitai a commentare.
Avevo già esaurito la mia gentilezza e la mia buona volontà.
Adesso toccava a lui: se voleva rivolgermi ancora la parola lo avrebbe fatto, altrimenti no, fine della questione.
Avevo la borsa stretta sotto il braccio destro, ero pronta a tornare a casa di corsa se lui avesse fatto anche solo una mossa falsa.
Sembrava una di quelle commedie romantiche da quattro soldi, con un finale scontato e delle battute davvero mal scritte.
Mi sarebbe servito un copione.
Del resto mi sarebbe servito per tutta la mia vita; sapere già cosa dire, cosa fare, niente incertezze, niente dubbi, niente decisioni avventate, solamente un rigoroso copione che prevedeva ogni mia mossa.
Il mio futuro sarebbe stato sicuramente più luminoso.
Invece fra le mani non avevo niente a parte una passione inutile che non mi avrebbe portato da nessuna parte, una passione che alimentava le mie giornate ma che purtroppo poteva solamente restare tale.
Sorrisi.
Se Joseph mi avesse sentita mi avrebbe tirato un pugno sul braccio e poi avrebbe tirato fuori la sua solita pantomima: ‘Vali molto più di quanto pensi solo che o non te ne rendi conto o non te ne vuoi rendere conto.’ Una delle sue frasi filosofiche che sembravano essere uscite da un film o da un libro … ma Joseph non leggeva spesso, quindi.
-Immagino che tu lo conosca da parecchio.- disse Christopher.
Dentro di me sobbalzai.
Ritornai alla realtà e cominciai a riflettere: domanda sbagliata, pensai, argomento sbagliato.
Mi obbligò a pensare e questo non andava bene.
Parlare di Joseph non portava mai nulla di buono.
-Da quanto tempo conosco Joseph? Bah, da parecchio. Ho perso il conto ormai.-
Bugiarda.
Stavano lì, stampati nella mia mente, quindici anni di amicizia.
Ed era così bello poterli ricordare attraverso immagini indimenticabili …
-Si, avevo ragione, lo conosci da parecchio.-commentò sorridendo.
Qualcosa nella sua voce mi fece capire che potevo fidarmi.
-Già.-risposi io, sorridendo a mia volta.
Forse sì mi avrebbe fatto bene dopotutto, così, istintivamente allentai la presa sulla borsa e rilassai i muscoli del mio corpo, decidendo che non me ne sarei andata nel bel mezzo della serata, ma che ci avrei  almeno provato a fare andare le cose per il verso giusto.
Joseph ci venne incontro forse per grazia divina, ricordandosi che lì con lui c’eravamo anche noi.
-Oh bene, vedo che avete già fatto amicizia!-esclamò soddisfatto, un sorrisino beffardo stampato sul viso.
Avrei  voluto avere con me una macchina fotografica, per ricordare quel suo stupido sorriso.
Anche se, pensandoci bene, forse avevo fin troppe foto che lo ritraevano nelle espressioni più stupide … le mie preferite.
Annuì meccanicamente, senza sapere che altro fare.
Forse avrei dovuto accontentarlo, parlare con Christopher, baciarlo, andarci a letto .. forse solamente allora sarebbe stato contento.
Perché alla fine nulla mi toglieva dalla mente che probabilmente lo faceva per sbarazzarsi di me.
Una palla al piede, ecco cos’ero per lui, per le sue serate da star, per i suoi appuntamenti.
Un’amica che aveva a carico, che doveva portarsi ovunque.
-Sì Joseph.-risposi io, sforzandomi, mio malgrado di sorridere.
Eppure mi sentivo così fuori posto, così a disagio.
La bionda con cui stava qualche secondo fa ci venne incontro e ci sorrise.
Quel giro di sorrisi sembrava maledettamente sforzato e totalmente inutile.
Allungò la mano e si presentò.
-Piacere, sono Chanel.- cinguettò.
Ah, ma allora sa anche parlare!
Sarcasticamente sorrisi e le strinsi la mano.
-Laura.- almeno il mio è un nome vero.
Poi si voltò verso Christopher e strinse la mano anche a lui.
Eppure sembrava fosse a disagio pure lui, così fuoriposto, impacciato, timido.
Lo guardai e ancora una volta fui avvolta da quel senso di sicurezza e fiducia che la sua figura emanava e non potei fare a meno di sorridere.
Sì, forse mi avrebbe fatto bene dopotutto.
Era un frase che ripetevo sistematicamente ormai da quando ero uscita di casa, da quando, la mattina avevo scelto il vestito da indossare.
-Bene bene, allora avviamoci.-disse Joseph mettendo una mano intorno alla vita della ragazza.
Cominciarono a camminare e io non potei far altro che seguirli, ormai c’ero dentro.
Strinsi la borsetta e mi ricordai del libro che mi ero portata dietro.
Stavano pur sicuri che, se mi avessero portato in un qualche locale strano, a bere cocktail e superalcolici e a ballare, lo avrei tirato fuori e avrei attaccato a leggere, senza farmi troppi problemi.
Se non ci fossero i libri, probabilmente non sarei sopravvissuta a situazioni decisamente drammatiche.
Camminavamo già da un po’, con l’aria che ci veniva incontro e ci massaggiava i capelli.
L’afa estiva che ci avvolgeva e il vento che ci carezzava.
Mi ricordai di quanto ardentemente ami l’estate.
Il caldo che ti avvolge, la sera che scende tardi, il sole che ti segue passo passo …
-Ho sentito che ti piace scrivere.-osservò Christopher rompendo il silenzio che c’era fra noi.
-Diciamo di sì ..-ammisi sorridendo.
-Sai io sono una specie di mezzo scrittore fallito.-aggiunse infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e stringendo le spalle.
Si accese una piccola scintilla speranzosa.
Secondo i miei canoni, il mio ragazzo ideale avrebbe dovuto pronunciare esattamente quella frase durante il nostro primo incontro.
Catturò la mia attenzione con quelle poche parole e forse avevamo trovato un trampolino di lancio.
Seguivo gli altri, senza nemmeno guardare dove stessimo andando.
Il sole pomeridiano poteva ancora scaldare debolmente i nostri corpi, il tepore della sera si infrangeva sulle nostre quattro figure.
Una perfetta serata a quattro … peccato che non poteva esserlo a tutti gli effetti.
-Sul serio? Beh, credimi, siamo in due.-dissi scherzando.
Ridacchiò e mi guardò.
-Sono sicuro che non è così. Sai, devo dirti la verità, non ero particolarmente felice all’idea di uscire stasera, sono più che altro quel tipo di ragazzo a cui piace starsene in disparte, da solo, ma Joseph ha insistito così tanto e adesso … sono contento di non aver rifiutato.-disse poi, impacciato a arrossendo visibilmente.
Incassai il colpo.
-Ehi ci stai provando?-ammiccai dandogli dei colpetti sul braccio con il gomito destro.
Incassò il colpo, stringendo le spalle e sorridendo timidamente.
Riservato, timido, non troppo spavaldo, uno “scrittore mezzo fallito” … mi piaceva.
-Per la cronaca … anche io sono contenta di essere qui, credo. Certo sicuramente è sempre meglio che starsene a casa a piangersi addosso insieme ad un barattolo di gelato che mi avrebbe fatto guadagnare altre migliaia di calorie.-
Svoltammo l’angolo e continuammo a camminare, a passo spedito.
I tacchi della spilungona che aveva portato con sé quella sera emettevano un ticchettio quasi assordante sul cemento del marciapiede e questo aumentò il mio odio nei confronti di quell’essere intellettualmente sottosviluppato e con un nome che esprimeva decisamente una superficialità senza confini.
Io invece trascinavo i miei piedi pesantemente, sbuffando e commentando, chiaramente non a voce alta, ogni singolo gesto di quella ragazza che assomigliava scandalosamente a tutte le altre che avevo già visto e conosciuto.
Ma si sapeva, Joseph non aspirava ad un mostro di intelligenza, né ad un carattere profondo o troppo complesso e forse era anche per questo che non …
-Joseph ma quanto manca?-esclamai irritata.
Ormai erano più di dieci minuti che camminavamo, secondo me senza nemmeno sapere dove andare.
Chiaramente parve non sentirmi e così mi rassegnai, tanto era inutile.
Christopher mi guardò e sorrise.
Oramai era già la quarta o quinta volta che lo vedevo sorridere e la cosa mi pareva strana.
-Allora, chi di noi due è il terzo in comodo stasera?-chiese poi, sottovoce, indicando la coppietta davanti a noi.
-Francamente credo che Joseph abbia la malsana idea che, conoscendoci meglio, io e te potremmo essere una coppia.-risposi calma.
L’idea non lo turbava, né gli dispiaceva evidentemente.
Anzi credo proprio che, quella sera, sapesse già come sarebbero andate a finire le cose, dieci volte meglio di me, che avevo solamente immaginato quello che aveva in mente quel cretino del mio amico.
Ci fermammo, aspettando che il semaforo pedonale mutasse da rosso a verde mentre le macchine ci sfrecciavano davanti, sollevando un’aria che sapeva di smog.
Finalmente riuscì a raggiungerlo.
-Allora quanto manca?-chiesi impaziente e visibilmente scocciata.
Joseph sospirò e fece roteare gli occhi, dopodiché scosse la testa.
-Guarda che se mi porti in una di quelle discoteche o, peggio ancora, in uno di quei locali che piacciono tanto a te, ti giuro io mi alzo e me ne vado.-lo avvertii stringendo la borsa.
Sapeva che mi ero portata dietro un libro, o almeno se lo immaginava.
-Puoi fidarti, per piacere? So che non ti piacciono quei posti e Dio non voglia che tu ti metta a leggere di sabato sera, in un locale e per giunta in compagnia! Uno mi faresti sfigurare e, a quel punto, non potrei più uscire con te e due sarebbe davvero troppo squallido, per cui ho scelto un semplicissimo ristorante cinese.-rispose con un sorrisino sghembo sulla faccia.
-Non mi convinci Joseph, quel sorrisino lo conosco.-puntualizzai, scrutando il suo volto.
Gli occhi castani, i tratti morbidi del viso, la mascella rilassata, quella fila di denti bianchi e perfetti che ti abbagliava e quelle labbra così morbide semplicemente alla vista, che assaporarle doveva essere paradisiaco … i capelli neri, ricci, che ricadevano ribelli sulla fronte.
Distolsi lo sguardo, fingendo una chiamata al cellulare del tutto inverosimile.
Rovistai nella borsa e lo strinsi fra le mani, dopodiché tornai ad abbandonarlo lì dentro.
Mi bastarono pochi minuti per riprendermi, poi ripartimmo.
Attraversammo sulle strisce e io pregai vivamente che il locale di cui parlava fosse veramente un tranquillo ristorante cinese, anche se avevo i miei dubbi.
Il sole stava ormai lentamente scomparendo e quel tepore caldo che c’era praticamente cinque minuti fa scomparve, lasciando il posto al vento umido della sera.
Per un qualche strano caso mi ritrovai ad avere più caldo di prima.
Passeggiavamo ancora, girando ogni tanto in qualche via leggermente più stretta e nascosta tanto per tagliare e rendere il percorso più breve.
A quel punto, dopo praticamente mezz’ora che camminavamo mi chiesi se, per caso, Joseph non avesse dimenticato la strada o, per lo meno, che dietro di loro c’eravamo anche noi.
Non si girò più, nemmeno per controllare se li stessimo seguendo, nemmeno per controllare se, per qualche strano caso, non ci avessero investito.
Avevo esaurito gli argomenti di conversazione e Christopher non sembrava averne altrettanti.
Mi chiese in cosa mi fossi laureata, il perché e quale fosse il mio libro preferito.
Fu più che altro questione di educazione, risposi e me ne stetti zitta.
Per questo, dopo un quarto d’ora da quando ci eravamo conosciuti non parlavamo già più.
Sembravamo entrambi a disagio e forse, dopotutto lo eravamo davvero.
Forse stavo solamente recitando, forse mi ero convinta che uscire mi avrebbe fatto bene solamente perché non volevo vedere quello che realmente avevo davanti agli occhi e forse avrei dovuto tornare a casa, semplicemente girarmi, prendere la strada di petto, salutare tutti quanti(tranne la bella Chanel ovviamente)e andarmene.
Ero una palla al piede, una donna noiosa che si era addirittura portata un libro da leggere!
Ma, purtroppo, non appena questa idea mi solleticò, arrivammo finalmente a destinazione.
Joseph e la sua stereotipata compagna entrarono per primi e, non so per quale motivo, li seguimmo a ruota.
Il ristorante, chiamato il dragone d’oriente, aveva gli interni decorati con motivo orientali, lanterne di carta rosse e dragoni di porcellana in miniatura.
Un acquario pieno di pesci colorati era sistemato sul bancone, accanto alla cassa, davanti alla quale stava una donna dai lunghi capelli neri e gli occhi a mandorla scuri.
-Salve!-esclamò sorridente.
-Mangiate qui?-chiese poi, tenendo stretto fra le mani un piccolo block notes ed una bic nera.
Il vestito rosso le fasciava il corpo magro ed il trucco leggermente sfumato risaltava gli occhi scuri.
Il ristorante era praticamente pieno ed i tavoli quasi tutti occupati.
Ma per Joseph Jonas avrebbero di sicuro trovato un posto libero.
Posò un braccio sul bancone e sfoderò un sorriso a dir poco smagliante.
-Ho prenotato un tavolo per quattro, Jonas.-disse con voce suadente.
Era più forte di lui.
La cameriera controllò le prenotazioni su un foglietto e confermò.
-Prego da questa parte.-cinguettò sempre sorridendo.
Joseph pose un braccio intorno alla vita della ragazza, che con un movimento fluido ed aggraziato gli stampò un bacio sulle labbra.
Seguimmo tutti quanti la donna, che ci condusse ad un tavolo, al centro della sala.
C’erano delle lunghe candele color panna accese, che facevano più caldo che altro, e un cartellino con il cognome Jonas scritto a mano.
La mora tolse il cartellino e lo mise in una delle tasche del vestito, dopodiché ci porse quattro menu che aveva appena preso da una pila lì vicino.
Ci sedemmo tutti e quattro, io di fianco a Christopher, Christopher di fianco a Joseph e, ovviamente, Joseph di fianco a Chanel, il costoso profumo tanto amato.
Avevo elaborato almeno una decina di commenti su quella ragazza che, però, sfortunatamente, non avrei mai potuto pronunciare a voce alta, ma che, ogni tanto erano in grado di farmi sorridere.
Probabilmente ero passata per pazza più di una volta, ma se non altro mi distraevo.
Sfogliai il menu lentamente … mangiare cinese era praticamente una passione.
Per un attimo mi convinsi del fatto che in realtà Joseph ci aveva portato lì esclusivamente per me.
I fogli plastificati si incollavano fra di loro ogni tanto e quindi fui costretta, più di una volta, a doverli staccare.
Infine giunsi ad una conclusione. Posai il mio menu di fronte a me ed aspettai.
Girandomi notai che la donna non si era mossa di un centimetro e che io ero l’unica persona che non aveva ancora ordinato.
Sussultai ed elencai le mie ordinazioni: involtini primavera e riso al curry.
Mi sorrise calorosamente e scrisse il tutto sul suo blocchetto, dopodiché lo richiuse, raccolse i menu, e se ne andò.
Mi ero completamente estraniata dalla conversazione e sicuramente la cosa non mi dispiaceva dato il potenziale intellettuale di quel tavolo.
L’unico che si salvava era Christopher, eppure Joseph …
-Gli involtini primavera sono i miei preferiti.-disse Christopher giocherellando con le sue bacchette.
-E la parte più bella è mangiarli con queste!-esclamò poi prendendo goffamente in mano le bacchette.
Sorrisi sinceramente divertita e provai a prendere le mie in mano.
 Abituata a mangiare il cinese del takeaway non avevo mai preso in mano delle bacchette.
Il mio tentativo risultò penoso, così mi rassegnai e le posai, sperando che mi avrebbero portato una forchetta ed un coltello.
Presi il tovagliolo che stava sul piatto, piegato con cura e lo appoggiai sulle ginocchia con delicatezza.
-Ci hai rinunciato eh?-mi chiese dandomi di gomito.
Incassai il colpo, realmente in imbarazzo.
-Cosa vuoi, sport troppo estremo per i miei gusti!-esclamai sperando di non aver sfoderato una battutina squallida e per niente divertente.
Forse stare tutto quel tempo da sola mi faceva davvero male … davvero!
Ma Christopher rise, non con troppa enfasi, ma rise.
-Allora … stai lavorando a qualcosa?- domandò pacato.
-Bah, nel tempo libero tento, invano, di scrivere qualcosina, di poco conto eh, racconti brevi più che altro, che però non mi convincono per niente. Vorrei poter riuscire a scrivere qualcosa di serio, un libro vero, ma per ora riesco solamente a concentrarmi su squallide storie d’amore, davvero troppo mielose e strappalacrime.- mi uscì spontaneo e dissi la verità, tanto che male c’era?
Sembrò piacevolmente colpito e, dopo avermi chiesto su cosa mi basassi per quei racconti, attaccò a parlare del liceo.
Il liceo per me era stato un vero e proprio incubo.
Un inferno fatto di ragazzine altezzose e ragazzi ruvidi e prepotenti, con degli insegnanti che provavano gusto nel vederci soffrire e un orario micidiale che massacrava.
Per lui, invece, era stato il paradiso.
Una specie di giardino dell’Eden fatto di banchi ed aule, di mattonelle e bagni decadenti.
Mi raccontò dei suoi successi con le ragazze, dei suoi voti eccellenti in quasi tutto e di come socializzava con qualsiasi persona gli capitasse a tiro.
-Si insomma, praticamente sei la mia copia sputata!-esclamai ironica.
Rise e proseguì raccontandomi aneddoti divertenti di quando era adolescente.
Provai con tutta me stessa ad ascoltarlo, ma la mia testa vagava, persa in ben altri argomenti …
La mora di prima sistemò il piatto con i quattro involtini davanti a me e poi, dopo aver servito tutti gli altri, si congedò con un sorriso.
Prima di cominciare mi feci portare, per sicurezza, una forchetta ed un coltello e poi presi a gustare il mio piatto.
Mangiammo lentamente, chiacchierando ogni tanto, mentre dentro di me la convinzione che Joseph si sarebbe fatto la ragazza che aveva di fianco anche sotto al tavolo si faceva sempre più forte.
Viaggiando con l’immaginazione potevo vedere la mano dell’amico posata sulla sua coscia, sotto il tavolo, mentre lei sorrideva, assecondandolo.
Joseph Jonas ed il suo fascino …
Mentre mangiavo decisi di rinchiudermi in me stessa, pensando alla persona che affollava i miei pensieri ormai da anni.
Quasi cinque minuti dopo aver terminato il mio piatto arrivò anche la prima portata, ovvero il riso, che non fui in grado di finire.
Lasciai là quasi metà portata, ormai piena e scostai di poco il piatto.
Alzai gli occhi e notai che tutti, a parte Chanel che aveva sbocconcellato qualcosa dal piatto di Joseph, avevano mangiato abbondantemente, spolverando tutto.
Guardai Joseph e roteai gli occhi.
Lui mi sorrise di rimando, tornando poi a mangiarsi con gli occhi la sua “ragazza”.
Il ristorante si stava svuotando piano piano, mentre noi continuavamo a chiacchierare pacificamente, nonostante avessimo già finito di mangiare.
Notai con dispiacere che Joseph non  mi aveva praticamente rivolto la parola per tutta la sera.
Poco male, il giorno dopo non lo avrei cercato, né mi sarei fatta trovare.
Sapevo essere antipatica e dispettosa, acida e scettica.
-Allora ordinate qualcos’altro?-chiese la mora di prima.
Io scossi energicamente la testa e anche gli altri rifiutarono l’offerta.
Ci alzammo e tornammo alla cassa.
Il registratore elaborò lo scontrino e la mora annunciò il prezzo.
-Sono cinquantacinque.-cinguettò sorridendo.
Quella donna aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Joseph tirò fuori il portafogli dalla tasca dei suoi pantaloni bianchi forse un po’ troppo stretti e pagò per tutti.
Con un sorriso da cascamorto porse i soldi alla donna, dicendole di tenere il resto come mancia e lei fu ben contenta di accettare, chiaramente colpita da quel fascino da rockstar.
Come biasimarla …
In un attimo eravamo già fuori dal locale e stavamo ripercorrendo i nostri passi, pronti per ritornare al luogo del ritrovo.
Mentre l’altra coppia camminava davanti a noi, facendoci da guida, mi resi conto di aver giudicato male Christopher e di non avergli dato ancora nessuna possibilità di farsi conoscere, di farmi conoscere.
-Allora … tu che mi dici? Qual è il tuo libro preferito? Penso che tu faccia lettere, ma probabilmente frequentiamo corsi diversi perché non ti ho mai visto …- dissi ragionando.
Esitò un attimo e raccolse le idee, troppe domande contemporaneamente probabilmente.
-Beh in realtà io faccio scienze della comunicazione, forse per quello non mi hai mai visto.-rispose ridendo, con le mani dietro la schiena.
Proseguivamo senza nemmeno sapere dove andare, seguendo solamente il corso della strada o, a volte, la folla.
-Libro preferito … beh in realtà non ne ho uno in particolare, però adoro il gabbiano Jonathan Livingston.-
Aggiunse poi riflettendoci.
Annuii, tutto sommato soddisfatta, dopodiché decisi di portare avanti la conversazione, continuando a conoscerlo pezzettino dopo pezzettino, domanda dopo domanda.
-Quindi com’è nata la tua passione per la scrittura?-azzardai guardandolo negli occhi per la prima volta.
I suoi occhi sono particolari: verdi con delle sfumature di grigio intenso.
Mi persi in quegli occhi, mentre le sue labbra si muovevano, ma nelle mie orecchie non entrava niente.
Riuscì solamente a percepire l’ultima parte della sua storia.
-Così cominciai a scrivere e da allora non ho mai smesso.-
Scossi la testa e tornai a guardare davanti a me, per essere sicura di non aver sognato.
Sorrisi debolmente e annuii, fingendo di aver seguito tutta la storia, senza essermi persa nemmeno il minimo particolare, sperando che non si fosse accorto di nulla.
Ma lui continuò a camminare e a parlare, senza dire nulla a riguardo.
-Tu invece? Com’è nata la tua passione?-
Difficile …
Raccolsi le idee e mi preparai.
-Beh fin da piccola ho sempre avuto questa passione, e, anche se quando avevo sette anni andavo in giro a dire che avrei fatto la veterinaria o, in alternativa la cantante, mi piaceva scrivere. Cose da bambini, ovvio, ma pur sempre scrivere. Poi, alle medie ho capito tutto: ho cominciato a scrivere per il giornalino della scuola e non ho più smesso. L’unico lato positivo del liceo è stato il mio lavoro per il giornalino scolastico.
Mi elessero direttrice tre volte di fila gli ultimi anni e devo dire che in molti hanno apprezzato il mio lavoro.-ammisi soddisfatta con un sorriso.
Annui serio, pensieroso, incrociando le braccia e guardando dritto avanti a sé, poi voltò la testa verso di me.
-E così … volevi fare la cantante?-chiese scoppiando a ridere.
Roteai gli occhi, ma riuscì a strapparmi un sorriso.
-Avevo sette anni!-esclamai alzando le braccia.
-Scommetto che sei brava ..-aggiunse sfidandomi e urtandomi il braccio con il gomito.
Scossi la testa.
-Oh no, non ci provare. Ho smesso di cantare a sedici anni e credimi, è stato un bene.-commentai sollevata.
La serata si era rivelata particolarmente piacevole e anche il caldo sembrava essere svanito.
Osservavo la gente passare, scrutando i loro volti, esaminando le loro espressioni.
Quando ero bambina e accompagnavo mia madre a fare la spesa, mi appoggiavo al carrello mentre lei prendeva la frutta e la verdura e osservavo tutte le persone che mi passavano davanti: uomini donne, vecchi e bambini e mi chiedevo come fosse la loro vita, che cosa li aspettasse una volta tornati a casa.
Mi divertivo a tentare di indovinare la loro vita professionale e quella privata.
Per un attimo, mentre osservavo una donna che spingeva un passeggino, ritornavo ad essere bambina e mi chiesi quale fosse la storia di quella persona.
Era una donna giovane, dai lineamenti dolci e la pelle fresca, sorridente e radiosa. Ogni tanto buttò un occhio al bambino che stava nel passeggino e gli sorrideva.
Il bambino avrà avuto più o meno quattro e anni e la donna una ventina … una ragazza madre.
Mentre ancora viaggiavo con la fantasia, pronta ad indovinare il suo lavoro, mi resi conto che la donna si era dissolta, mescolandosi tra la folla ed io l’avevo persa.
A volte era proprio osservando le altre persone che tiravo fuori nuove trame e, tutto sommato, la storia che mi ero creata in testa su quella giovane madre, mi diede qualche piccolo spunto.
-Senti … ti va di andare a prendere un gelato?-mi chiese ad un tratto il ragazzo che camminava al mio fianco.
La nuvola fitta di pensieri che mi si era formata in testa si schiarì e poi scomparve in pochi secondi.
Mi girai a guardarlo ed annuii sorridendo.
Per la prima volta in quindici anni mi ritrovai a pensare a me, senza curarmi di Joseph.
Svoltammo a destra, tagliando tra le stradine che si snodavano agili e strette in mezzo al  centro.
Gli edifici alti ci sovrastavano ed io alzai gli occhi al cielo, per poter osservare il manto stellato che ci osservava.
Le stelle brillavano, limpide, accompagnando la luna.
La città splendeva allegramente di colori propri e, nonostante l’ora, gruppi di turisti si aggiravano affascinati per le piazze.
Ci fermammo in una delle migliori gelaterie e ci mettemmo in coda; c’era una varietà di gusti tali che, prima di decidere, impiegammo alcuni minuti.
-Una coppetta con una pallina di cocco ed una pallina di stracciatella.-decisi infine.
Poi arrivò il turno di Christopher.
-Un cono con due palline di malaga.-disse poggiando il dito sul vetro, a indicare il gusto che aveva scelto.
Uscimmo dalla gelateria, assaporando la freschezza sulle nostre lingue.
-Ti devo ridare i soldi.-gli ricordai piantando il cucchiaino di plastica blu nel gelato ed alzando l’indice.
Lui alzò la testa al cielo e sospirò.
-Sì sì, come no.-commentò esasperato.
-Me lo avrai detto già una decina di volte e siamo appena usciti dalla gelateria!-esclamò ridendo.
-Beh non mi interessa, io non voglio debiti.-ribattei ridendo a mia volta.
-Teoricamente è così che funziona … un appuntamento.-esitò sull’ultima parola.
Un appuntamento. Se me lo avesse detto all’inizio della serata probabilmente avrei storto il naso e lo avrei corretto, ma adesso … non mi dispiaceva vederlo come un appuntamento a tutti gli effetti, così sorrisi ed arrossii leggermente in viso.
-Ok. Ma un giorno mi sdebiterò.-decisi così di arrendermi e godermi la serata per una volta.
Nonostante le ore ormai di cammino che avevo accumulato in quella giornata, i miei piedi non si erano mai lamentati.
-Allora, oltre a scrivere cosa ti piace fare?-mi domandò dando una leccata al suo gelato.
Ci riflettei un secondo, mandando giù il cucchiaino di gelato che mi ero messa in bocca qualche secondo fa.
-Beh … qualche anno fa ho frequentato un corso di recitazione. Devo ammettere che mi è piaciuto. Probabilmente se mi dovesse andare male con la scrittura tenterei di fare l’attrice.-
Piano piano stavamo imparando a conoscerci entrambi, scoprendo piccoli particolari l’uno dell’altra che caratterizzavano la nostra vita.
-Allora un giorno dovrai recitare per me.-azzardò alzando le sopracciglia.
Lo guardai, aggrottando la fronte.
-No guarda non se ne parla.-declinai ridendo.
Passeggiammo ancora un po’, dopodiché concordammo che si era fatto tardi e che forse avremmo fatto meglio a tornare a casa.
Gli proposi di accompagnarmi, dicendogli che abitavo lì vicino e lui accettò.
-Tu invece, che mi dici? Cos’altro ti piace fare?-dissi fermandomi davanti ad un cestino e buttando la coppetta vuota ed il cucchiaino.
-Ho una band.-rispose guardandomi.
Ricambiai lo sguardo, sorpresa.
-Ah sì?-
-Sì, suono la chitarra.-
Più lo conoscevo e più capivo che eravamo estremamente simili, molto più di quanto lo fossimo io e Joseph.
Stessi interessi, stesse passioni; lui sembrava essere il ragazzo perfetto: dolce, timido, simpatico ed intelligente.
Decisi da subito che non me lo sarei fatto scappare, che non mi sarei più comportata da zitella acida solamente perché il ragazzo che amavo se ne portava a letto una diversa ogni sera. Non avrei respinto Christopher, lo avrei lasciato avvicinarsi piano piano, fino a diventare inseparabili, un’unica cosa … e Joseph sarebbe sparito dalla mia vita per sempre.
-Ecco, io abito qui.-annunciai aprendo la mia borsa e rovistando al suo interno per cercare le chiavi di casa.
Il portone del mio condominio era di legno, consumato e scolorito, vecchio di non so quanto che sembrava a mala pena reggersi in piedi e che sembrava sul punto di accasciarsi atterra con un tonfo sordo.
Infilai la chiave nella serratura arrugginita e le feci compiere alla quattro giri in senso antiorario, poi, con la spalla destra diedi un colpo secco alla superficie e riuscii ad aprire.
Mi girai verso Christopher e gli lanciai un sorriso.
Speravo che mi chiedesse di uscire un’altra volta, e quella volta lo speravo davvero, perché avevo davvero voglia di rivederlo.
-Allora …- disse grattandosi la testa e sorridendo.
-Ti andrebbe di venire a pranzare con me uno di questi giorni?-buttò lì allargando le braccia.
Io sorrisi, sinceramente felice e accettai.
-Ti lascio il mio numero, così mi chiami e ci mettiamo d’accordo.-
Aprii di nuovo la borsa, in cerca della penna e, una volta afferrata, le levai il cappuccio e scrissi il mio numero di telefono sulla sua mano, tre volte più grande della mia.
Christopher è alto e slanciato, con i capelli castani e le labbra carnose.
Mi sorrise, radioso e poi si sporse per posarmi un delicato bacio sulla guancia.
Quando la pelle del mio viso entrò a contatto con le sue labbra morbide mi dovetti quasi piegare in due per i crampi allo stomaco. Era una sensazione che non avevo mai provato, nemmeno con Joseph; quando stavo con lui il mio cuore batteva all’impazzata ed il mio corpo tremava, ma queste fitte allo stomaco non le avevo mai sentite.
Mi poggiai una mano sullo stomaco mentre lo guardavo svanire nella notte e sentii che qualcosa sarebbe cambiato, che la mia vita sarebbe cambiata per sempre.
Le farfalle che svolazzavano dentro al mio stomaco e mi colpivano mi stavano mandando un messaggio: svegliati e cogli questa occasione.

**** 


Mi svegliai di soprassalto, con la testa che girava e mi faceva tremendamente male.
Il pigiama estivo che portavo mi si era incollato alla pelle e la mia fronte era imperlata di goccioline di sudore che rotolavano lungo il viso.
Qualcuno stava bussando, alle due del mattino:no, non stava bussando, era intenzionato a buttarmi giù la porta.
Mi alzai di corsa dal letto, scaraventando via le lenzuola e mi precipitai davanti alla porta.
Esitai un attimo, con la mano tremante tesa verso la maniglia.
Chiusi gli occhi e presi un bel respiro, dopodiché spinsi la maniglia in giù e spalancai la porta.
Davanti a me c’era Joseph, con un paio di pantaloni della tuta e una maglietta blu a mezze maniche scollata a V.
Aggrottai la fronte e guardai l’orologio che c’era in entrata, per essere sicura dell’ora.
-E tu cosa diavolo ci fai qui alle due del mattino?!-esclamai sorpresa ed irritata allo stesso tempo, scrutando la sua espressione: non lo avevo mai visto così agitato.
Entrò in casa e puntò le mani sui fianchi, guardandomi, adesso furioso.
Richiusi la porta e lo raggiungi in salone.
-Dimmi che è uno scherzo.-sentenziò sorridendo amaramente.
-Prego?-chiesi incredula e assolutamente confusa.
Avevo gli occhi che si chiudevano e avrei voluto ucciderlo per lo spavento che mi aveva fatto prendere.
Nella confusione non mi ero nemmeno resa conto di essere andata ad aprirgli con indosso un paio di pantaloncini scandalosamente corti ed una canottiera.
Feci finta di niente e continuai a guardarlo in quei suoi occhi color nocciola.
-Joseph mi vuoi spiegare?-lo incalzai vedendo che non parlava.
Aveva il fiatone e non riusciva a stare fermo un secondo.
-Tu ti sposi!-esclamò puntandomi l’indice al petto.
Era a dir poco furioso.
-E quindi? Credevo che Christopher te lo avesse detto, che mi avrebbe chiesto di sposarlo.-risposi scioccata.
-Si ma non pensavo che tu avresti accettato! Vi conoscete da neanche due mesi!-continuò alzando sempre di più la voce.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
-Ci conosciamo da due anni Joseph!!-urlai alzando le braccia in aria.
Mi feriva sentire che il mio migliore amico, la persona di cui mi fidavo di più al mondo, non ricordasse praticamente nulla della mia vita.
-Non mi interessa! Che bisogno c’è di sposarlo!-ribatté voltandosi e posandosi la mano destra sulla fronte sudata.
Quella conversazione per me non aveva il minimo senso e lui non aveva motivo di stare a casa mia, a sbraitare frasi senza senso.
Eravamo uno davanti all’altro ed il tempo sembrava essersi fermato.
Nessuno dei due si muoveva, nessuno dei due aveva il coraggio di dire una sola parola e nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare o a scusarsi.
Pregai con tutto il cuore che i vicini non avessero sentito nulla e maledissi Joseph in tutte le lingue che conoscevo, per avermi svegliata, per avermi fatta rotolare giù dal letto senza un valido motivo.
Lo guardavo e ancora non riuscivo a crederci: era quello che voleva, no? Non mi aveva forse presentato Christopher per colmare la mia solitudine e sbarazzarsi di me?
Sbuffai pesantemente e andai in cucina.
Tirai fuori dalla credenza un bicchiere e lo riempii d’acqua, poi trangugiai tutto.
Avevo tremendamente caldo e stavo ancora sudando parecchio.
Posai il bicchiere nel lavello e mi fermai a pensare: tutta quella situazione non aveva il minimo senso.
Erano mesi che non lo vedevo, che non gli parlavo e lui non si era mai lamentato di questo … e adesso?
Era cambiato qualcosa adesso?  Per me no. Lui doveva uscire dalla mia vita, in un modo o nell’altro.
Ritornai in salone, e lo guardai: era nella stessa posizione di qualche minuto fa, non si era mosso nemmeno di un centimetro.
-Mi spieghi qual è il tuo problema?-chiesi calma, puntando le mani sui fianchi e guardandolo negli occhi.
-Un matrimonio è per sempre.-sussurrò serio.
-Beh questo non lo si può sapere, chiunque spera che sia per sempre.- risposi.
-E tu speri che sia per sempre?-
Quella domanda rimbombò nella mia testa per tutta la notte, la sua voce entrò nelle mie orecchie e si insinuò nel mio cuore, come l’acqua di un torrente che scava per trovare il suo sbocco.
-Sì.-risposi senza pensarci troppo.
-Amo Christopher, per questo voglio sposarlo.-
Sembrò essere troppo da sopportare per lui, il suo corpo sembrava essere teso, troppo teso e dopo quelle parole, che furono le ultime di quelle sera, crollò.
Si voltò senza dire più niente e si richiuse la porta alle spalle.
La notte trascorse in bianco, non riuscii a chiudere gli occhi, perché la mia testa veniva bombardata da immagini che si susseguivano troppo velocemente.
Prima c’era Joseph, poi Christopher, poi ancora Joseph, poi di nuovo Christopher.
Una dopo l’altra mi gettavano addosso massi pesanti, che schiacciarono il mio corpo molto lentamente, impedendomi perfino di respirare.
Alle sei, quando mi alzai, accesi il computer e cominciai a scrivere.
Le dita si muovevano veloci sulla tastiera e le parole sembravano essere già tutte stampate in mente.
Non mi fermai prima delle dieci, dopo aver messo un punto fermo a tutta quella storia.
 

****

 
-Quindi cosa farai per il tuo addio al nubilato?-mi chiese abbracciandomi da dietro e posandomi le labbra calde sul collo.
Sorrisi e gli accarezzai le braccia.
-Seratina davvero molto tranquilla. Un film, un bel gelato e se riesco voglio scrivere.-risposi chiudendo gli occhi e assaporando la sensazione di assuefazione che le sue labbra mi davano sulla pelle.
-Cosa? Dovresti uscire, divertirti con le amiche.-commentò sorridendo.
-Dovresti essere contento che io non vada in giro per locali fino a tardi, come farai tu.-replicai girandomi e puntandogli l’indice al petto.
Mi bloccò e mi diede un bacio, impedendomi di parlare ancora.
-Conoscendo Joseph ci sarà da preoccuparsi.-rifletté ridendo.
Già, erano mesi che non lo sentivo. Dopo quella notte non lo avevo più visto, né chiamato, né ci avevo parlato.
Il mio corpo si irrigidì subito e d’un tratto la bella giornata passata con Christopher si dissolse completamente, mentre mi tornava in mente quella sera.
Il mio futuro sposo mi guardava, confuso, mentre mi prendeva per i fianchi e mi attirava a sé con dolcezza.
Lentamente il contatto con il suo corpo mi riportò alla realtà e sciolse i miei muscoli.
-E’ un po’ che non lo senti, vero?-mi domandò abbassando lo sguardo.
Forse l’aveva già capito, forse fin dal nostro primo incontro aveva capito che io non volevo stare con lui, ma con Joseph.
Ma gli ultimi due anni erano stati importanti per me, per noi, perché eravamo cresciuti come coppia ed il nostro amore era esploso come un fuoco d’artificio in cielo e quando lui mi aveva chiesto di sposarlo io avevo accettato sinceramente, senza pensare a Joseph, senza l’intenzione di usare qualcun altro per togliermelo dalla testa.
Ma adesso … mi sembrava tutto senza senso.
Non avevo più dato peso alle parole dette due mesi fa e non mi ero nemmeno soffermata a pensare ai motivi che avevano spinto il mio migliore amico a dirmi tutte quelle cose senza senso.
Però, riflettendoci …
-Perché non lo chiami?-mi propose Christopher sorridendomi.
Eppure, più lo conoscevo giorno dopo giorno e più lo amavo.
Sa essere così altruista, buono, generoso, così pieno di risorse, Joseph invece era così egoista e pieno di difetti.
-Anzi sai cosa ti dico, perché non stai con lui questa sera? Parlate, vi chiarite? In fondo sarà sempre meglio che starsene a casa davanti alla tv.-mi chiese sorridendo.
-Ma voi due dovete passare la serata insieme.-mi opposi guardandolo negli occhi.
Sorrise e mi diede un bacio delicato sulla fronte.
-Ho altri amici … Hai bisogno di lui, molto più di quanto ne abbia io. Quindi ... chiamalo.- disse afferrando il cordless e porgendomelo.
Mi sporsi per baciarlo e decisi di accettare.
Mi avrebbe fatto davvero bene.
 

****

 
 
Mi spogliai e mi infilai sotto il getto dell’acqua calda, pronta a far scivolare via dubbi e paura.
L’acqua che cadeva sul mio corpo e si infrangeva sulla mia pelle mi diede la forza per poter affrontare lui e quella serata.
Buttai la testa indietro e chiusi gli occhi.
Mentre ripensavo a lui riportavo inconsciamente a galla ricordi che ormai avevo sepolto, come per esempio il nostro primo incontro.
Avevo sette anni, ed era il mio primo giorno in una nuova scuola.
Dopo avermi presentata alla classe, la maestra mi sorrise e mi indicò il mio posto: un banco vuoto, accanto ad un ragazzo dai capelli riccioluti, che aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Quando mi sedetti mi porse la mano e si presentò, come se fosse stato un adulto.
Quel giorno condividemmo perfino la merenda e, dato che sembrava l’unico a voler stare con me, facemmo amicizia molto presto.
Fu il mio unico amico per anni, anche al liceo, fino alla maturità.
Poi l’università ci aveva leggermente allontanato, ma abbiamo continuato a sentirci frequentemente e a vederci ogni giorno possibile.
Il più delle volte finivo per essere ‘ il terzo incomodo ‘ visto che lui si portava sempre dietro una ragazza, ma non me la prendevo più di tanto, perché sapevo che non sarebbe mai cambiato e che per quanto mi volesse bene non avrebbe mai rinunciato al suo essere libertino.
Quando uscii dalla doccia mi avvolsi con un asciugamano e controllai l’ora: erano ancora le nove.
Joseph sarebbe arrivato alle dieci, per cui avevo tutto il tempo.
Strofinai i capelli con un asciugamano e me li asciugai energicamente.
Quando alzai la testa e guardai il mio riflesso nello specchio, mi resi conto di quanto fossi cambiata negli ultimi anni. Non me ne ero mai accorta ma non ero cresciuta solo caratterialmente, ma anche esteticamente parlando. Al liceo ero bassina, con la pelle secca e i brufoli. Adesso la mia pelle sembrava essere rinata, niente più brufoli, liscia al tatto … sembrava essere totalmente guarita.
Mi carezzai la guancia con il dorso della mano e sorrisi, quasi soddisfatta.
Ero contenta di essere cresciuta sotto molti aspetti ed era solamente merito mio.
Mi infilai un paio di pantaloncini corti in jeans ed una canottiera blu, poi mi sedetti sul divano con i capelli ancora bagnati.
Le goccioline percorrevano i miei capelli lunghi e sottili, fino a cadere sulle mie spalle, infrangendosi silenziosamente sulla pelle.
Afferrai il telecomando e accesi la televisione. Cominciai a fare zapping, annoiata, per cercare qualcosa di interessante da vedere per ingannare l’attesa, ma non riuscii a trovare niente, così mi arresi e, dopo aver spento, sistemai il telecomando dov’era.
Le lancette dell’orologio sembravano non voler collaborare e non era passato molto tempo dall’ultima volta che avevo controllato l’ora.
Odiavo non aver niente da fare, nemmeno un allegro passatempo che mi potesse aiutare.
Mi ricordai della storia che avevo cominciato due mesi fa e così optai per rileggerla e rivederla.
Accesi il portatile e attesi.
L’avevo finita in pochissimo tempo e ne ero orgogliosa: era decente tutto sommato e quando Christopher l’aveva letta ne era rimasto letteralmente entusiasta.
Le mie dita stavano ferme sulla tastiera, in attesa di qualcosa da correggere, ma stranamente sembrava essere tutto perfetto, forse anche troppo …
Sussultai quasi quando sentì bussare alla porta.
Mi alzai perplessa, dimenticando il computer acceso.
Quando aprii la porta il mio migliore amico mi si materializzò davanti: portava un paio di jeans scuri ed una maglietta bianca forse troppo leggera e se ne stava appoggiato allo stipite della porta con una spalla.
-Joseph?-chiesi sorpresa.
Mi ero preparata al peggio. Pensavo che sarebbe entrato in casa mia e avrebbe cominciato ad urlare come quella notte oppure che, una volta entrato in casa, se ne sarebbe andato dopo pochi minuti … o addirittura pensavo che non sarebbe direttamente venuto.
E invece se ne stava lì, davanti a me, sorridente, pronto a festeggiare.
-Chi pensavi che fosse?-chiese alzando le sopracciglia ed entrando in casa.
-Ma, ma sei in anticipo.-puntualizzai indicandogli l’orologio della cucina.
Non mi rispose nemmeno, se ne andò in cucina e svuotò la busta che aveva portato: una bottiglia di vino, una vaschetta di gelato e dei biscotti.
Presi in mano il pacchetto di biscotti e gli sorrisi, radiosa.
-Sono i miei preferiti.-
-Lo so, li ho presi apposta.-rispose guardandomi e ricambiando il sorriso.
Mise la bottiglia in frigo e la vaschetta di gelato in freezer, dopodiché si mise a sedere a tavola.
-Allora cosa mangiamo? –chiese guardandosi intorno.
Non avevo preparato niente, né avevo intenzione di farlo.
-Vado a prendere il menù del cinese.-dissi scomparendo.
Tornai in entrata e cercai i listini nello scrittoio accanto alla porta d’ingresso.
Rovistai fra le carte, i carica batteria e gli occhiali da sole, poi finalmente riuscii a trovarlo.
Lo strinsi tra le mani e cominciai a consultarlo mentre ritornavo in cucina.
-Beh io prenderò il solito.-sentenziai passando il foglio al ragazzo che avevo di fronte.
-Perfetto, io prendo quello che prendi tu.-
Dopo aver dettato le ordinazioni, il cameriere ci disse che avremmo dovuto attendere venti minuti prima che la nostra cena fosse arrivata.
-Allora … è un po’ che non parliamo …-buttò lì lui, tamburellando le dita sulla superficie di legno del tavolo.
Annuii.
-Già … Novità?-
-Le solite cose.-sbuffò annoiato.
Le nostre conversazioni non erano mai state così noiose, così monotone, eravamo sempre riusciti a mantenere vivi i nostri discorsi, qualunque fosse stato l’argomento, sempre, fin da bambini … forse stavamo crescendo senza nemmeno rendercene conto.
Quando suonarono alla porta, ritirai il cibo e mangiammo in silenzio, senza nemmeno dire una parola.
Una volta terminata la cena e lavati i piatti, Joseph aprì il frigo e tirò fuori il vino; io presi due bicchieri e li appoggiai sul tavolo, lasciando che lui li riempisse praticamente fino all’orlo.
Alzò il suo in aria e io feci lo stessi, imitando il suo movimento.
-Alla futura sposa.-disse facendo tintinnare il suo bicchiere contro il mio.
Sorrisi ed abbassai lo sguardo.
Non lo avevo mai sentito così distante come quella sera.
Sembrava essere su un altro stato, in un altro posto, quello non era più il mio migliore amico, quel ragazzo che mi avrebbe strappato un sorriso anche a costo di farsi male, quel ragazzo che avrebbe asciugato le lacrime dal mio viso con le sue stesse mani, quel ragazzo con cui non smettevo mai di ridere, nemmeno per un secondo … a parte quando stavamo separati.
I bicchieri di vino si susseguirono l’uno dopo l’altro, sempre più veloci e nessuno dei due sembrava intenzionato a tenere il conto.
Il mio cuore sembrava essersi assopito e forse era anche merito dell’alcool.
Il pensiero di Christopher non mi sfiorò nemmeno per tutto il corso della serata, pensavo solo a lui, cercavo di capire il momento esatto in cui la nostra amicizia era morta.
Forse dopo quella notte, forse dopo quelle parole … quelle parole senza senso, inutili.
-Perché eri così arrabbiato quella sera?-chiesi ritornando improvvisamente alla realtà.
Eravamo seduti sul divano e non mi ero nemmeno accorta di essere arrivata a posare la testa sul suo petto, come facevo quando stavo male.
Sentire il suo cuore battere mi faceva sentire più vicino a lui ed il calore del suo corpo contro il mio mi cullava.
Abbassò lo sguardo sul mio volto e mi scostò una ciocca di capelli ancora umida.
Sorrise. I suoi occhi luccicavano e credo di non averli mai visti brillare come quella sera.
Fissai il mio sguardo sul suo, perdendomi completamente.
-Pensavo lo avessi capito ormai …-sussurrò spostando lo sguardo sulle mie labbra.
-Non ti sposare …-sussurrò avvicinandosi al mio viso.
-Non ti sposare.-ripeté sulle mie labbra
Non so precisamente come avvenne o perché avvenne, ma quando le sue labbra assaporarono calde le mie, il mio cuore riprese a battere veramente, svegliandosi di colpo.
Lo sentivo finalmente parte di me, lo sentivo finalmente vicino, come mai era stato.
Mi fece stendere sul divano mentre con la massima delicatezza si posava su di me e spostava le sue labbra sul mio collo, lasciando una scia rovente di baci.
Il mio corpo tremava al suo tocco, come una corda troppo tesa che viene sfiorata anche solo di poco e mentre le sue dita scivolavano mi convincevo che era tutta colpa del vino, che non eravamo consapevoli di quello che stavamo per fare, perché la nostra mente era totalmente annebbiata.
Con un sol tocco leggero i miei pantaloncini corti e la mia canottiera finirono sul tappeto. Con un colpo veloce di reni ribaltai la situazione e mi posai sopra il suo corpo.
Quando la mia cassa toracica si posò sulla sua mi sembrò di poter sentire perfettamente il battito del suo cuore crescere sempre di più, come se fosse stata una bomba sul punto di esplodere.
Non riuscivo a staccare le labbra dalle sue. Mi ero sempre chiesta che sapore avessero … nonostante il retrogusto di vino non riuscivo a smettere di assaggiarle: erano calde, morbide e il mio corpo sembrava volerne sempre di più.
Infilai le mani sotto la sua maglietta e, per un attimo, mi sembrò di sentirlo rabbrividire a quel tocco, come se un cubetto di ghiaccio gli stesse scivolando sul torace.
Senza che io potessi fare altro si sfilò la maglia da sé e ritornò a sdraiarsi su di me.
La passione che ci stava travolgendo cresceva sempre di più, come un onda silenziosa che si abbatte sugli scogli; solo che noi non eravamo scogli, eravamo due persone che avevano il disperato bisogno l’uno dell’altra e, in quel momento, solamente i nostri corpi sembravano rendersene conto.
In quel momento i vestiti sembravano inutili, come anche i pensieri, gli sguardi, le parole e le telefonate mancate, niente aveva più senso.
Scordai ogni cosa: tutte le donne che avevo visto baciarlo, tutte le lacrime che avevo versato a causa sua, di cui lui non fu mai al corrente e che non fu in grado di guarire. Scordai anche Christopher ed il mio matrimonio.
Riuscii a sentirlo veramente vicino, dopo tutto quel tempo, solamente in quel momento, solamente quando i nostri corpi diventarono un’unica cosa.
 

****

 

Quando mi svegliai la mattina dopo, sul tavolino del salotto c’erano delle brioche che emanavano un profumo buonissimo ed una tazza di caffè fumante pronta per essere bevuta.
Nonostante tutto il vino che avevamo bevuto quella sera eravamo perfettamente coscienti di quello che era successo.
Mi misi a sedere sul divano, reggendomi la testa.
Portai la tazza alle labbra e ve le appoggiai, bevendo un bel sorso, dopodiché mi guardai intorno, in cerca di lui, ma non lo vidi, così pensai che, dopo essersi reso conto di quello che era successo quella notte, se ne fosse andato.
Mi alzai lentamente, raccogliendo i miei vestiti sparsi e infilandomeli velocemente.
Mi avvicinai alla finestra della cucina e guardai fuori: era una giornata particolarmente calda, ma il cielo era ricoperto di nuvole grigie, che minacciavano un temporale in arrivo.
Sbuffai passandomi una mano tra i capelli e mi allontanai.
C’erano così tante cose da fare: il vestito, i capelli, il trucco, ritirare il bouquet … alle undici e mezza sarebbe arrivata mia madre, per aiutarmi con gli ultimi preparativi.
Non volevo pensare a quello che era successo, perché non volevo rendermene conto.
Mi affacciai alla porta della mia camera e lo vidi lì, seduto sul letto, con la testa nascosta tra le mani.
Trasalii e gli andai vicino, sedendomi accanto a lui.
Mi accorsi solamente in quel momento del profumo che emanava, un profumo forte, dolce, irresistibile, di cui il mio corpo e i miei vestiti erano impregnati.
-Quando pensavi di dirmelo?-sussurrò con voce rotta.
Non l’avevo mai visto così giù, in quindici anni di amicizia non l’avevo mai visto stare così male.
Sospirai e mi guardai intorno: la mia camera era invasa dagli scatoloni, le mensole erano vuote, il comodino svuotato, il letto senza lenzuola e senza cuscini.
Abbassai la testa e mi sentii tremendamente in colpa.
-Te l’avrei detto.-dissi piano.
Il mio cuore si stava incrinando, potevo sentirlo creparsi ogni secondo sempre di più … la crepa si ingrandiva e si allungava.
Si alzò di scatto, furioso, forse anche di più di quella notte, e sbatté il pugno destro contro il muro.
-Quindi per te non è significato niente?-mi chiese voltandosi e guardandomi negli occhi.
Aveva gli occhi lucidi e quando si incastrarono nei miei mi sentii morire e fui costretta a girarmi.
-Ti prego.-lo implorai sul punto di piangere.
Sentivo la testa pesante e le mie mani tremavano nel tentativo di sorreggerla.
Lo sentii avvicinarsi sempre di più, fino a posarmi le sue mani calde sui fianchi.
Il mio corpo tremò a quel contatto, proprio come ieri notte.
-Eravamo ubriachi … io …- balbettai tentando di raccogliere le parole, anche se stavo disperatamente annaspando.
-Per favore. Ero perfettamente consapevole di quello che stavo facendo, e lo eri anche tu.-ribatté con voce ferma, poi mi afferrò il polso e mi costrinse a voltarmi.
Non riuscivo a reggere il suo sguardo, non riuscivo a reggere la sua presenza ed il suo corpo così vicino al mio.
-Joseph, io…- non riuscii a finire la frase che le sue labbra furono di nuovo sulle mie.
Fu un bacio lento, un bacio che sapeva d’amore e che mi implorava di restare.
Quando si staccò dalle mie labbra, fissò di nuovo i suoi occhi nei miei.
Era come se potesse leggermi dentro, con un solo sguardo, come se riuscisse a vedere la mia anima, il mio cuore, tutto quello che sono con un semplice fottutissimo sguardo.
-Tu … hai ancora intenzione di sposarlo?- chiese incredulo.
-Dopo quello che è successo ieri notte! Dopo che abbiamo fatto l’amore!-sbraitò staccandosi dal mio corpo.
L’espressione che aveva sul volto fu in grado di uccidermi, mi trafisse il cuore come una freccia dalla punta tremendamente avvelenata.
Non fui in grado di rispondere, mi limitai a rimanere immobile, fino a quando si chiuse la porta alle spalle e sparì da casa mia.
Caddi sulle ginocchia, esausta e scoppiai a piangere.
Sentivo il suo profumo sul mio corpo, la sua voce nelle mie orecchie, il suo sguardo nel mio cuore.
Sentivo che adesso sarebbe stato parte di me per sempre e che sarei sempre stata seguita dalla sua ombra, dal suo ricordo.
Il peso di tutta la sua sofferenza si abbatté su di me in pochissimo tempo, schiacciandomi totalmente, lasciandomi senza respiro.
Lasciai cadere lacrime calde dagli occhi e le lasciai infrangersi sul pavimento della mia camera, mentre il tempo passava, mentre il mio matrimonio si avvicinava.
Mia madre sarebbe arrivata da un momento all’altro, ma a me non importava.
Volevo solo rimanere rannicchiata in quella camera, su quel pavimento, con il suo profumo addosso e le lacrime negli occhi.
Non l’avrei mai dimenticato, ma questa consapevolezza non mi impedì di alzarmi, andarmi a fare una doccia e attendere mia madre in salotto.
 

****

 

Il giorno del mio matrimonio pioveva, anzi diluviava.
Uscii di casa già vestita, seguita da mia madre che reggeva il bouquet e il lungo strascico che ero costretta a portarmi dietro.
Avevamo deciso di lasciare i capelli al naturale, eccetto qualche boccolo fatto all’ultimo, e che il trucco sarebbe stato leggero.
Non avevo messo mascara, né matita, solamente ombretto ed un po’ di fard. E fu una fortuna, altrimenti sarei sembrata un pagliaccio.
Salii sul taxi in fretta, anche se la chiesa era vicina e c’era poco traffico.
Ero intenzionata a sposarmi, prima di cambiare idea.
Mi immaginavo già il sorriso di Christopher, i suoi occhi grigi che si illuminavano al mio arrivo …
Lui sarebbe stato mio marito.
Mentre osservavo le goccioline di pioggia che venivano scaraventate via dal tergicristallo, nel mio cuore cresceva l’ansia.
Stava succedendo tutto troppo in fretta, tutto troppo concentrato: il matrimonio, il trasloco.
Strizzai gli occhi e cercai di scacciare le immagini di qualche ora fa, i baci, le carezze, tutto quanto.
Mia madre era rimasta a casa mia, per caricare gli ultimi scatoloni che sarebbero stati portati a casa di Christopher.
Le strade erano deserte a causa della pioggia.
Il tassista svoltò a destra e si fermò davanti alla chiesa.
Mi si formò un nodo allo stomaco che mi impedì di respirare per qualche secondo, ma quando mio padre si affacciò per aprirmi la portiera, riuscii a riprendermi in poco tempo.
Scesi, facendo attenzione a non immergere i piedi nell’enorme pozzanghera che avevo davanti, e mi preparai ad entrare in chiesa.
Mi pizzicavano gli occhi, ma cercai di mantenere il controllo delle mie azioni e del mio corpo.
Proseguii, guidata da mio padre, che mi sorrideva come mai aveva fatto.
I miei genitori erano stati contenti della proposta di matrimonio che Christopher mi aveva fatto e per loro non era un problema il fatto che io mi sposassi giovane.
Non vedevano l’ora di diventare nonni, ma avere dei figli per me sarebbe stato troppo.
Le porte della chiesa si spalancarono e proprio in quel momento arrivò anche mia madre.
Mi voltai a guardarla: già stava piangendo.
Anche a me veniva da piangere, ma io non ero di certo commossa, avevo ben altro per la mente.
Quando entrai tutti i presenti si girarono a guardarmi, meravigliati: il vestito che portavo era di mia madre.
Strinsi il bouquet più forte che potevo e accelerai di poco il passo.
Non appena lo vidi lì, con le braccia lungo il corpo, che mi sorrideva radioso, sentii che quello era il mio posto. Non avrei voluto essere da nessun’altra parte, così mi feci coraggio e lasciai scivolare via i dubbi e le preoccupazioni.
Il nodo che avevo allo stomaco peggiorava sempre di più, ma mi dissi che era colpa della tensione.
-Sei bellissima.-mi sussurrò quando ci ritrovammo uno di fronte all’altra.
Sorrisi e arrossii visibilmente, poi ripensai al nostro primo incontro.
A quella sensazione di fiducia che avevo provato fin da subito, alla sua dolcezza e timidezza che mi avevano avvolta.
Pensai al nostro primo bacio, alla prima volta che abbiamo fatto l’amore e tutto scomparve: adesso c’era solo lui.
Così, alla fatidica domanda, risposi ..
-Sì, lo voglio.-
Mi voltai verso gli invitati e notai che il suo posto era vuoto. Guardai più in là, perlustrando la chiesa con lo sguardo e lo vidi in piedi, davanti alle porte della chiesa, che mi guardava, sul punto di crollare.
Spostai lo sguardo su mia madre e la vidi stringere il fazzoletto e piangere, totalmente felice.
Poi, quando lasciai cadere di nuovo i miei occhi sulle ampie porte di legno, notai che Joseph era svanito.
 


****

 

Mi strinsi nel cappotto e affondai il viso nella sciarpa che avevo al collo.
Tenevo la busta stretta fra le mani, con il cuore che batteva a mille.
Alle mie spalle la gente entrava e usciva dalla clinica.
Avrei voluto non esserci mai entrata, avrei voluto non averci mai messo piede, ma fu più forte di me.
La consapevolezza che il bambino che portavo in grembo ormai da più di due mesi fosse di Joseph e non dell’uomo che avevo sposato cresceva ogni giorno di più, tenendomi sveglia la notte, lasciandomi il cuore pieno di ansia.
Mi fermai per un secondo a riflettere, prima di aprire quella stramaledettissima busta e leggere i risultati del test  del DNA.
Non avrei potuto lasciare Christopher, non ce l’avrei mai fatta e, del resto, non potevo nemmeno ritornare da Joseph dicendogli che ero incinta e che il bambino era suo.
Qualsiasi cosa ci fosse stata scritta lì dentro, io sarei tornata a casa, da mio marito e avremmo cresciuto il nostro bambino insieme, felici, costruendo la nostra famiglia.
Diventare madre non era nei miei piani, ma quando avevo fatto il test ne ero rimasta piacevolmente  sorpresa.
Sapere che dentro di me stava crescendo un’altra vita, mi aveva fatto quasi piangere dalla gioia.
Decisi che lo avrei fatto in quel preciso istante, ora o mai più.
Aprii la busta, guardando le mie mani che tremavano mentre lo facevano.
I miei occhi lessero i risultati in pochissimo tempo, leggere il nome del padre di mio figlio mi riempì il cuore di felicità e di paura allo stesso tempo.
Non sapevo se sarei stata una buona madre e se lui sarebbe stato un buon padre, ma quello che contava era che adesso avevamo un’altra cosa in comune, che adesso una parte di noi si sarebbe conservata, sarebbe cresciuta.
Gettai il foglio nel cestino che avevo accanto e infilai le mani in tasca, pronta a ritornare a casa da mio marito, il padre del nostro futuro bambino.
 





Angolo Autrice.

Ecco un'altra os sui Jonas. So che è lunga ee di voi si annoieranno a leggerla ... spero che qualcuno di voi abbia voglia di farmi sapere che cosa ne pensa o di darmi dei consigli per migliorare :)
Fatemi sapere, è importante per me.
Un bacio.


-L.
  
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