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Autore: dahlia variabilis    21/07/2012    3 recensioni
"Sai Sergej, io ti ho amato davvero, aldilà di ogni limite umano.
Ti ho amato nel silenzio di una camera d’albergo, sotto la pioggia di Dublino, in una classe, in un pullman all’ora di punta, in un altro pullman che poi mi ha portato in un’altra parte della città, su quel marciapiede dove tu hai fermato il taxi, dopo essermi persa, nell’aeroporto di Dublino, e in quello di Milano, e in quello di Zurigo. Ti ho amato in un pub irlandese, quando mi hai offerto una birra, su un ponte sul Liffey al tramonto, mentre i gabbiani volavano. Ti ho amato sulle scale di una discoteca, per le strade di Dublino, da Carrolls, da Penneys, a Glendalough, a Kilkenny. Ti ho amato davanti al GPO, ogni sera, per tre settimane, e dentro, quando mi hai accompagnato a comprare i francobolli, e anche quando mi hai imbucato le cartoline. Ti ho amato in un sottopassaggio, mentre mi raccontavi la tua passione per le filosofie orientali. Ti ho amato quando parlavi di anime e manga con Carol, e quando mi hai fatto la foto mentre dormivo."
OS.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A te, che mi hai sconvolto la vita con un'occhiata buttata là.
A te, che hai reso indimenticabili queste tre settimane a Dublino.
A te, che mi hai fatto sentire viva.
E ancora a te, che se un giorno ci rincontreremo, non ti lascerò più andar via.

Ti amo.








Ciao Sergej.
Spero che tu stia almeno un pochino meglio di me. Lo spero davvero nonostante quello che (non) è successo.  È inutile continuare a girarci attorno: mi manchi. Oppure mi manca ciò che abbiamo vissuto quella notte.
Sinceramente, non lo so.

Sei andato via come un ladro l’altra mattina.
Mi hai rubato la voglia di vivere senza di te.
Avrei voglia di dirti “Torna, che senza di te non ci so stare!”. Ma sarebbe inutile. So già che non mi cercherai.  So già che non tornerai.
E tutto quello che mi resta di te è una penna, un pacchetto di caramelle vuoto, e una foto in cui mangi il mio yoghurt sul pullman. Ah, e i ricordi dell’altra notte, che prima o poi svaniranno, lasciandomi con il dubbio se sia accaduto davvero, oppure no.


Sai Sergej, stanotte ti ho sognato.
Ero nell’atrio della tua scuola, l’Alvise Cornaro di Padova, circondata dai tuoi compagni che spingevano e urlavano, impazienti di vedere i risultati degli scrutini finali. E io, che in punta di piedi per cercarti, quasi non mi accorgevo che stavi scendendo le scale e che mi correvi in contro. Mi stritolavi in uno dei tuoi abbracci migliori –quelli che, quando eravamo a Dublino, ti avevano fatto guadagnare il soprannome di “Orso abbraccia tutti”– e mi sussurravi all’orecchio “novantaquattro”. Ti baciavo entusiasta, ma con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Perché i voti degli esami finali, erano insieme a quelli degli scrutini delle altre classi?

È stato strano.
È durato una notte sola.
Ma è stato bellissimo.


Sai Sergej, ultimamente ti penso spesso. Più di quanto dovrei, in effetti. E anche se per te non sarò altro che un’ombra  –il ricordo di un ricordo,  una risata sbiadita, un ciuffo di capelli rossi corredato da un paio di occhi verdognoli– per me sarai tutto.
Vorrei essere ancora lì tra le tue braccia magrissime, in quel letto singolo, nella camera 305 dell’albergo Marconi di Milano. Vorrei ancora quei baci sul collo alle cinque del mattino. Vorrei ancora sentire l’odore della tua schiena, giocare col tuo orecchino, baciarti tra gli occhi, scompigliarti i capelli, tirarti per la maglia perché non voglio che te ne vada, infilarmi la tua felpa verde quando ho freddo.
Quella che ti ho scelto io da Carrolls, a Dublino, quando tutti pensavano che tra noi non ci sarebbe mai potuto essere niente, perché tre settimane passano in fretta, e a noi restavano solo quattro giorni. Alla faccia loro,  ce l’ho fatta. L’ultima notte, è vero. Ma ce l’ho comunque fatta.
Sono riuscita a farti sentire mio fino al midollo osseo.


Sai Sergej, ogni tanto ripercorro ancora quella notte col pensiero, e c’infilo dentro frasi che in realtà non ti ho mai detto, baci che non ti ho mai dato, confessioni e segreti che non saprai mai.


Sai Sergej, io ti ho amato davvero, aldilà di ogni limite umano.
Ti ho amato nel silenzio di una camera d’albergo, sotto la pioggia di Dublino, in una classe, in un pullman all’ora di punta, in un altro pullman che poi mi ha portato in un’altra parte della città, su quel marciapiede dove tu hai fermato il taxi, dopo essermi persa, nell’aeroporto di Dublino, e in quello di Milano, e in quello di Zurigo. Ti ho amato in un pub irlandese, quando mi hai offerto una birra, su un ponte sul Liffey al tramonto, mentre i gabbiani volavano. Ti ho amato sulle scale di una discoteca, per le strade di Dublino, da Carrolls, da Penneys, a Glendalough, a Kilkenny.  Ti ho amato davanti al GPO, ogni sera, per tre settimane, e dentro, quando mi hai accompagnato a comprare i francobolli, e anche quando mi hai imbucato le cartoline. Ti ho amato in un sottopassaggio, mentre mi raccontavi la tua passione per le filosofie orientali. Ti ho amato quando parlavi di anime e manga con Carol, e quando mi hai fatto la foto mentre dormivo.


Sai Sergej, io ti ho amato davvero, aldilà di ogni limite umano. Anche quando c’era Flavia, o Silvia, o chiunque altra. Io c’ero sempre, le ho viste tutte, quelle che ti sei girato.
Ogni tanto mi chiedo ancora come tu abbia fatto.
Oggettivamente, non sei quello che definirei un bel ragazzo se t’incontrassi per strada. Troppo magro, i muscoli non li hai mai visti neanche da lontano, con un viso particolare, che non si dimentica facilmente, e una risata che sembra quasi un singhiozzo.
Soggettivamente, sei il ragazzo più bello del mondo.


Sai Sergej, sei stato il mio tutto, anche se io,  per te, non sono stata niente.
   
 
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