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Autore: Kia85    21/07/2012    8 recensioni
Niente trecce quel giorno.
O meglio, ne aveva solo una e le ricadeva di lato.
Le aveva sentito dire che l'aveva fatto per il suo compleanno, perché dopotutto “Non si compiono tutti i giorni undici anni”.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The right words



Niente trecce quel giorno.
O meglio, ne aveva solo una e le ricadeva di lato.
Le aveva sentito dire che l'aveva fatto per il suo compleanno, perché dopotutto “Non si compiono tutti i giorni undici anni”. Ora era più grande e le due trecce non erano adatte a una signorina come lei. Katniss era sembrata molto orgogliosa mentre ne parlava con alcune compagne di scuola.
Lo sguardo di Peeta si era posato su di lei e, quando la bambina aveva sorriso, aveva provato un lieve morsa alla bocca dello stomaco.
Ah, conosceva bene quella sensazione. Era la sensazione da “Katniss nelle vicinanze”. Era piacevole e allo stesso tempo dolorosa, ma Peeta amava sentirsi così. Perché quell' emozione riusciva a rendere interessanti i momenti trascorsi a scuola così come la sua stessa esistenza. Era quella bambina, Katniss, il motivo per cui si alzava dal letto ogni mattina.
Non si stancava mai di osservare ogni suo movimento. Fin dal primo giorno di scuola, il giorno in cui Katniss aveva cantato davanti a tutti la canzone della valle, Peeta non aveva perso nessun movimento di quella bambina: l'attenzione con cui seguiva la maestra, la cura con cui riponeva i suoi quaderni nella cartella, il sorriso sulle sue labbra quando giocava con gli altri bambini.
Anche ora i suoi occhi la seguivano mentre si allontanava da scuola.
Tutto di Katniss stuzzicava il suo interesse, anche se non le aveva mai rivolto la parola, neanche un misero “Ciao”. Non aveva mai trovato il coraggio né l'occasione giusta, e per questo motivo non poteva fare altro che restare in disparte e limitarsi a guardarla.
Erano comunque dei momenti unici, perché ogni giorno riusciva a cogliere le diverse sfumature del suo sorriso e di quello sguardo dal colore così particolare.
Se solo avesse potuto, l'avrebbe osservata per sempre. Forse era per questo che non sopportava la fine della scuola: il suono di quell'ultima campanella gli portava via anche Katniss.
Spesso capitavano giorni in cui lui, preda d'un istinto che compariva improvvisamente nel suo cuore, decideva di seguirla. Quello era uno di quei giorni, anche se il tempo minacciava un acquazzone da un momento all'altro. Ma ormai Peeta era più che deciso.
Il ragazzo si guardò intorno:sicuramente i suoi genitori non sarebbero andati a prenderlo, troppo impegnati al negozio, i suoi fratelli di certo non si curavano di assicurarsi che lui tornasse da scuola sano e salvo e Katniss non sembrava aver fretta di ritornare a casa, considerato che si era allontanata solo di pochi metri. Peeta si sistemò lo zaino sulle spalle e cominciò a camminare dietro di lei. La seguì da lontano, facendo attenzione a non farsi scoprire.
Katniss abitava nel Giacimento, Peeta lo sapeva, ma conosceva bene la stradae non avrebbe avuto problemi a ritornare a casa.
Arrivata al Prato però Katniss non imboccò la strada verso casa sua, ma si diresse verso i boschi. Peeta si lasciò scappare un sorriso. Era la cosa che preferiva in assoluto, perché gli consentiva di guardarla per più tempo. Quando Katniss si dirigeva verso i boschi era sempre per incontrare suo padre. Da quanto aveva potuto osservare, il signor Everdeen insegnava alla figlia molte cose, come per esempio quali piante fossero commestibili e quali no.
Tuttavia Peeta non si addentrava mai nei boschi, ma aspettava Katniss fuori dalla recinzione perché sicuramente se l'avesse persa di vista non avrebbe più trovato la strada verso casa.  
Arrivati alla recinzione la vide scavalcare con agilità il filo spinato persparire poi in mezzo agli alberi. Le aveva sempre invidiato quell'agilità innata, quel senso dell'orientamento che le permetteva di non perdersi mai. Sicuramente erano qualità che aveva appreso da suo padre.
Peeta sospirò e si sedette per terra, in mezzo ad alcuni cespugli con delle strane bacche violacee.
Conosceva il padre di Katniss, era un uomo buono e gentile. Quando li vedeva insieme provava una sensazione di felicità che si irradiava dal petto, perché l'espressione che aveva il signor Everdeen quando era in compagnia di sua figlia era qualcosa di unico. Sembrava davvero che fosse l'uomo più felice della Terra. Peeta non aveva mai visto tanta dolcezza sul viso di un unico uomo. Neanche suo padre lo aveva mai guardato in quel modo.
Ma c'era una cosa che rendeva davvero speciale il signor Everdeen: la sua voce era in grado di incantare qualunque essere vivente. La prima volta che lo aveva ascoltato ne era rimasto molto sorpreso fu una vera sorpresa per Peeta. Il padre di Katniss era nella panetteria e Peeta ricordava bene quando aveva cominciato a cantare “L'albero degli impiccati”. Gli uccellini che cinguettavano allegramente dagli alberi dietro il negozio si erano improvvisamente ammutoliti. Fino ad allora Peeta non aveva ancora avuto la conferma di quanto gli aveva detto suo padre il suo primo giorno di scuola: “Quando canta si fermano ad ascoltare persino gli uccelli”. Tuttavia credeva più che mai a quell'affermazione perché quello stesso giorno aveva sentito Katniss cantare ed era accaduta la stessa cosa: gli uccellini fra gli alberi avevano smesso di cinguettare.
Alla fine della canzone di Katniss, Peeta aveva già compreso per quale motivo la madre della bambina avesse preferito il signor Everdeen a suo padre: era stata attirata dall'innocenza, l'innocenza di un animo gentile che restava puro in un mondo ingiusto come quello in cui erano costretti a vivere. La speranza che trasmettevano Katniss e suo padre era ciò di cui avevano più bisogno, soprattutto Peeta, ora che troppo velocemente si avvicinava al suo dodicesimo compleanno e avrebbe dovuto cominciare a partecipare al terribile rito della Mietitura.
Un movimento accanto a lui lo fece spaventare, ridestandolo bruscamente dalle sue riflessioni tanto che il suo cuore aveva cominciato a battergli forte nel petto.
Il rumore, forte e secco, era stato causato da un cagnolino dal pelo bianco e arruffato: era appeso per le zampe posteriori al ramo di un arbusto spoglio con quella che era evidentemente una trappola. Peeta lo osservò, tranquillizzandosi, e il battito cardiaco tornò subito regolare. A giudicare dalle dimensioni, doveva essere ancora molto piccolo.
Il cucciolo guaiva e si dimenava, cercando di liberarsi con tutte le sue forze, ma ogni suo tentativo era sicuramente vano anche agli occhi di una persona non esperta come Peeta.
Il ragazzino si guardò intorno dubbioso. Se qualcuno aveva messo quella trappola sarebbe sicuramente passato a controllare che avesse avuto buon esito, anche se si trattava solo di un bastardino. Ma d'altro canto cacciare di frodo non era legale e chiunque avesse sistemato una simile trappola correva guai molto seri. Peeta aveva spesso sentito di povera gente disperata che cercava qualcosa da mangiare nei boschi e che quasi sempre veniva smascherata. Il trattamento che subivano era totalmente barbaro.
Senza più alcun dubbio si avvicinò al cucciolo e cominciò a liberarlo dai lacci che lo tenevano appeso. Impiegò non poco tempo a liberarlo: i nodi erano stretti e difficili da sciogliere, ma alla fine ci riuscì. Peeta afferrò il piccolo animale tra le mani e lo appoggiò a terra.
“Vai, sei libero.” gli disse, dandogli una spinta.
Il cagnolino provò a camminare, ma una delle due zampe posteriori non si appoggiava a terra. E quando alla fine il cucciolo guaì, Peeta comprese che non era in grado di camminare. Lo prese in braccio per evitargli ulteriori sofferenze: il morbido pelo era caldo e gli solleticava le braccia. Per di più l'animale era spaventato a morte. Il battito del suo cuore pulsava velocemente contro la pelle di Peeta, ma lui non aveva la minima idea di cosa fare per guarirlo.
“Ehi!” esclamò una voce alle sue spalle.
Peeta si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con....
Katniss!
Senza accorgersene, il ragazzino spalancò occhi e bocca e il cuore prese a martellare come una furia nel suo petto. O forse si confondeva con il battito cardiaco del cagnolino? Sì, doveva essere così, perché il suo cuore si era fermato definitivamente. Altrimenti come spiegava quella sensazione di paralisi che l'aveva colpito alla semplice vista della bambina?
“Che ci fai tu qui?” gli chiese lei, incurante della sua espressione allibita.
Katniss lo guardava incuriosita, passando dal suo viso al cucciolo che sorreggeva tra le braccia. Peeta provò ad aprire la bocca, ma la sentì asciutta e totalmente incapace di emettere alcun suono, ad eccezione di un gracchiante “Ah...” .
Katniss lo fissò, socchiudendo gli occhi: “Non sei del Giacimento, vero?”
Peeta scosse il capo.
D'accordo, il fatto che proprio lei stesse parlando a lui era un evento più unico che raro, ma non poteva continuare a starsene lì, impalato. Doveva darsi una mossa e rispondere con qualcosa di più di un semplice monosillabo. Non poteva permettersi di fare la figura del perfetto idiota proprio durante la loro prima conversazione.
Katniss corrugò la fronte e lo guardò perplessa.
“Per caso ti chiami Peeta?”
Il ragazzino annuì: la morsa alla bocca dello stomaco che compariva ogni volta che la vedeva era più dolorosa e piacevole che mai.
“Sai anche parlare?”
Era decisamente a un passo dal rovinare quella splendida occasione che gli era capitata fra capo e collo. E non poteva permetterlo.
Perciò si schiarì la gola: “Sì.”
“Allora cosa ci fai qui?”
“Io...ecco...stavo solo c-cercando... ehm... il Prato.”
“Il Prato? È più indietro.- rispose Katniss, indicando un punto oltre la spalla di Peeta- Come hai fatto a non vederlo?”
“Beh...forse perché non vengo molto spesso da queste parti.” si giustificò lui, facendo spallucce.
Non avrebbe resistito ancora per molto: le mani gli sudavano abbondantemente e anche se era riuscito a pronunciare qualche parola aveva una strana sensazione nella bocca, come se avesse mangiato una caramella mou stantia che gli aveva impastato lingua e denti. E per non peggiorare la sua immagine, già così deteriorata, decise di andarsene, anche perché in lontananza risuonarono preoccupanti tuoni. Di lì a poco avrebbe cominciato a piovere.
“Sarà... - disse Peeta, distogliendo lo sguardo da Katniss- ...sarà meglio che vada. Grazie per l'indicazione.”
Peeta fece per andarsene, ma Katniss gli afferrò un braccio.
“Aspetta.”
Peeta si voltò nuovamente verso di lei e la guardò sorpreso e preoccupato nello stesso momento: “Cosa c'è?”
“Dove hai preso quel cagnolino?”
“Oh, questo? - esclamò lui, più rilassato- Ehm... ho visto che era caduto in una trappola e beh... l'ho liberato. Ma credo che abbia una zampa rotta.”
“Fa' vedere!”
Katniss prese il cucciolo fra le sue braccia e nel momento in cui le sue mani sfiorarono quelle di Peeta, il ragazzino si sentì arrossire vistosamente in viso: un fremito gli percorse la schiena e il respiro gli si mozzò in gola, ma fortunatamente lei non se ne accorse. Sembrava molto interessata al cucciolo, ma non era poi così strano. Peeta sapeva bene quanto le piacessero gli animali. Nell'ora di disegno Katniss si cimentava sempre in riproduzioni di piccoli animali, come scoiattoli, uccellini e cerbiatti, tutti animali che quasi certamente aveva visto nella foresta insieme a suo padre. Probabilmente non era la più brava a disegnare a scuola, ma a Peeta piacevano molto i suoi disegni perché sapeva cosa c'era dietro, sapeva che erano immagini che lei aveva visto davvero.
Peeta osservò meglio la bambina mentre con attenzione controllava le zampe posteriori del cucciolo. Ancora non riusciva a credere che proprio lei fosse lì davanti a lui, che gli avesse parlato e lo avesse addirittura sfiorato. Non le era mai stato così vicino e in questo modo poté apprezzare particolari del suo viso di cui non si era mai accorto: le lunghe ciglia, scure come il colore dei suoi capelli, e la piccola fossetta sopra il labbro superiore, che conferiva al suo sorriso quell'espressione accattivante.
“Credo abbia solo la zampa posteriore destra rotta.” disse infine Katniss.
La bambina tornò a guardarlo con un movimento tanto improvviso che Peeta fu colto di sorpresa e arrossì: chissà se aveva capito che lui la stava fissando.
“Oh....”
“Potremmo fasciargli la zampetta.”
“Tu sai come si fa?” le domandò Peeta.
Katniss si inginocchiò per terra: “Sì, l'ho visto fare a mia madre. Sai, lei guarisce le persone malate e poi mia sorella le porta sempre piccoli animali feriti per farglieli curare.”
“La tua mamma fa un bellissimo lavoro!” affermò Peeta, inginocchiandosi accanto a lei.
Katniss si voltò verso di lui e gli sorrise dolcemente. Forse per una volta Peeta era riuscito  a dire le parole giuste e il fatto che fossero giunte così spontaneamente gli fece capire che non aveva bisogno di pensare troppo su come comportarsi con lei, doveva semplicemente cercare di essere se stesso.
Nel frattempo Katniss afferrò un rametto lungo quanto la zampa del cagnolino, strappò una striscia dal suo fazzoletto e fasciò il ramo attorno alla zampa.
“Ecco fatto, così dovrebbe andare bene!” esclamò Katniss, osservando il lavoro appena compiuto.
“Oh, wow, non avevo mai visto niente di simile.” disse Peeta entusiasta.
“Non è granché, però così lo puoi portare a casa se vuoi.” affermò lei, porgendogli l'animale.
Peeta scosse il capo energicamente: “No. Scusa, ma non saprei proprio come prendermi cura di lui. E poi i miei genitori non vogliono animali in casa.”
“Allora... - continuò la bambina, alzandosi in piedi - ...se non ti dispiace, ci penso io. Ci prenderemo cura di lui.”
“No che non mi dispiace, sono sicuro che con la tua fasciatura guarirà in pochi giorni.”
Katniss sorrise nuovamente, ma stavolta c'era una timidezza inaspettata nel suo sguardo e Peeta non mancò di notarlo. Non le aveva mai visto quell'espressione sul viso ed essere stato proprio lui a causarla era una sensazione così piacevole che lo lasciò stordito per qualche istante.
“Adesso devo proprio andare.” disse poi la bambina.
“Oh, sì, hai ragione. È meglio andare a casa, credo che tra poco comincerà a piovere.”
“Lo credo anche io, ma prima devo andare alla miniera.”
“Come mai?” le domandò Peeta, anche se sapeva già che aveva a che fare con il padre.
“Beh... pensavo di trovare mio padre nel bosco, ma non c'è. In questi casi vado sempre alla miniera per controllare che sia tutto a posto.”
“Capisco. È un lavoro molto pericoloso quello del tuo papà.”
Katniss strinse il cagnolino tra le braccia, distogliendo lo sguardo da Peeta.
“Sì. Ho sempre paura che prima o poi gli possa accadere qualcosa giù in quella miniera e che non torni più su da noi.”
Peeta la osservò e capì, da quegli occhi che conosceva ormai molto bene, quanto terrore si nascondesse in quella bambina. Avrebbe fatto qualunque cosa per tranquillizzarla, considerato che se Katniss era in quello stato era colpa sua. E prima che lui se ne potesse accorgere, la sua mano si mosse a si appoggiò su quella di Katniss.
“Sono sicuro che non gli accadrà nulla di male, perché il tuo papà è così forte e non permetterà che niente lo separi dalla sua famiglia.”
Katniss tornò a guardarlo e gli sorrise: “Sei molto gentile, Peeta Mellark!”
Il ragazzino distolse lo sguardo, imbarazzato e incredulo per il gesto che aveva compiuto. Non riusciva a credere di aver avuto il coraggio di toccarle la mano di sua spontanea volontà. E si costrinse a restare con lo sguardo inchiodato a terra, mentre percepiva ancora su di sé quello dolce di Katniss.
Fu un lampo a richiamare la loro attenzione: squarciò il cielo, illuminando tutto l'ambiente circostante, e il fragore del tuono che seguì fece sobbalzare i due ragazzini. Katniss e Peeta rivolsero lo sguardo verso l'alto proprio nel momento in cui iniziò a piovere.
“Oh no. - esclamò Katniss con espressione crucciata - Non ci voleva.”
Detto questo la bambina si affrettò a coprire il cagnolino con i lembi della giacca.
“Sai tornare in città?” gli chiese.
“Ah sì, credo di sì.” rispose Peeta, guardandosi attorno.
La pioggia era fitta e rendeva difficile la visuale, ma non avrebbe avuto problemi a ritrovare la strada per la città. Katniss lo fissò perplessa.
“Dai, andiamo, ti accompagno fino al Prato.” esclamò infine.
“Non c'è bisogno, davvero...” si affrettò ad aggiungere Peeta.
Ma Katniss rise: “Senti, domani c'è l'ora di disegno, vero? Non vorrei che la mancassi, tu sei il più bravo della classe a disegnare! La nostra aula è più bella con i tuoi disegni.”
Peeta arrossì lievemente, mentre il cuore compì una piacevole capriola all'indietro per il complimento appena ricevuto: “Grazie.”
Katniss gli tirò una manica, accompagnando il gesto con un cenno del capo.
“Seguimi.”
Cominciarono a correre, più rapidamente che potevano perché la pioggia aumentava sempre di più. Il terreno stava diventando fangoso e i vestiti di entrambi in pochi minuti erano diventati fradici. Peeta aveva qualche difficoltà a guardare dove metteva i piedi: i capelli erano grondanti d'acqua, che gocciolava sugli occhi. Ma non importava, Katniss era accanto a lui e lo guidava sulla retta via. Non aveva bisogno di nient'altro.
Giunsero al Prato troppo presto secondo Peeta.  Aver assaggiato per pochi minuti l'animo puro di Katniss gli aveva fatto desiderare di volerle stare accanto ancora e ancora e ancora... Perché era certo, non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Katniss si fermò e gli indicò la strada a destra: “Ecco, se vai da questa parte arriverai in città.”
“Grazie ancora.” le disse Peeta con un sorriso, ma non accennò ad andare via, anzi continuò a guardarla.
Katniss strinse il cagnolino nella giacca per riscaldarlo.
“Senti, domani possiamo giocare insieme durante l'intervallo, se vuoi. - affermò lei titubante - Così ti faccio sapere come sta il piccolino.”
Peeta non poté credere alle sue orecchie: Katniss, proprio lei, lo stava invitando a giocare insieme il giorno dopo, a parlarle ancora, a godere ancora della sua compagnia.
“Certo che voglio.” rispose lui senza pensarci due volte.
Katniss ridacchiò divertita: “Allora ci vediamo domani a scuola.”
“Sì, a domani!”
Katniss cominciò a correre verso sinistra e Peeta fece per intraprendere la strada a destra, ma si fermò e guardò la ragazzina allontanarsi da lui. Poi lei si voltò ancora una volta verso di lui e gli fece un cenno con la mano, sorridendogli dolcemente. Lui ricambiò il sorriso senza neanche accorgersene.
La pioggia gli aveva ormai inzuppato completamente i vestiti, il fango si era appiccicato alle scarpe e il freddo stava ormai penetrando fino alle ossa. Probabilmente si sarebbe preso un bel raffreddore e la mamma lo avrebbe rimproverato per questo. Ma qualcosa lo tratteneva ancora lì a guardare quella bambina allontanarsi da lui, un calore che si propagava dal più profondo del suo cuore e si irradiava in ogni parte del corpo, questo dolore piacevole che era insopportabilmente pesante quando Katniss non c'era, ma che lo rendeva leggero come una piuma con la sua sola presenza.
In lui nacque un nuovo coraggio. Anche se aveva balbettato all'inizio e si era reso indubbiamente ridicolo ai suoi occhi, alla fine Katniss aveva riso in sua compagnia, aveva scherzato con lui e si era complimentata per una delle poche cose che gli riuscivano bene. Forse Peeta non era un totale disastro, forse aveva qualche possibilità di piacere a Katniss. Per questo motivo il giorno dopo avrebbe provato a parlare con lei e questa volta sarebbe stato lui a iniziare la conversazione. Si sarebbe avvicinato e le avrebbe chiesto notizie sulla salute del cagnolino che insieme avevano soccorso. Poi lei l'avrebbe invitato a giocare insieme durante l'intervallo e magari alla fine della scuola avrebbero percorso un tratto di strada insieme. Sarebbe stato perfetto.
Ma, nonostante quella sera stessa Peeta non fece che provare e riprovare il suo approccio, non ebbe l'occasione di utilizzarlo il giorno dopo.
Perché il giorno dopo accadde una tragedia, un'immane tragedia. Mentre erano a scuola un terribile boato scosse la terra e fece vibrare le pareti. Una colonna di fumo si alzò improvvisamente dalla zona delle miniere di carbone e Peeta vide Katniss correre all'impazzata fuori dalla classe.
Ciò che la bambina temeva si era avverato: il suo papà era morto insieme ad altri uomini in quella terribile esplosione. La voce si era sparsa rapidamente a scuola e Peeta non poté non pensare a quanto stesse soffrendo Katniss in quel momento. Per lui era un dolore inimmaginabile. Katniss e il padre erano così uniti, non avrebbe mai potuto comprendere cosa provava, non avrebbe mai potuto dirle quanto gli dispiaceva per ciò che era accaduto senza risultare banale, senza un vero sentimento che muovesse quelle parole.
Cosa avrebbe dovuto fare quando l'avesse rivista? Quali parole erano le più giuste per Katniss e il suo dolore?
Peeta ebbe il tempo di rifletterci a lungo perché Katniss non andò a scuola per molti giorni, e quando finalmente la rivide era incredibilmente diversa dalla bambina spensierata che era solito osservare. Il volto era pallido, lo sguardo assente, il sorriso spento... Katniss Everdeen non sarebbe più tornata a essere la stessa dolce bambina che aveva conosciuto  appena pochi giorni prima, la stessa che aveva cantato senza alcuna esitazione la canzone della valle. Peeta lo intuì quel giorno stesso. Nessuno osò rivolgerle una parola e tuttavia sembrava che lei non vedesse nessuno in quella classe, come se fosse lì, da sola.
Peeta la osservò per tutto il giorno senza mai trovare il coraggio di andarle vicino né tanto meno di parlarle. Perché cosa aveva da offrirle di così speciale da risollevarle il morale? Niente e nessuno avrebbe potuto farla stare meglio.
Nell'ora di disegno Katniss passò tutto il tempo a guardare fuori dalla finestra.  Peeta la guardò per qualche minuto: era certo che avrebbe amato anche quella nuova Katniss e l'avrebbe amata forse ancor di più, perché da qualche parte, dentro di lei, erano rimaste tracce di quell'innocenza che lo aveva tanto ammaliato.
Ma per salutare la bambina che pochi giorni prima gli aveva sorriso così dolcemente, Peeta riportò quell'immagine sul foglio di carta bianco che aveva sul suo banco. E la ritrasse mentre si allontanava con il cagnolino fra le braccia e, sorridendogli, lo salutava con la mano.
Il suo nuovo disegno non finì su una delle pareti della loro classe. Peeta decise di conservarlo nel suo album. In qualche modo era certo che l'avrebbe aiutato. Visto che ora come ora non aveva il coraggio necessario per avvicinarsi a Katniss e parlarle o fare qualunque cosa per confortarla, si ripromise di cambiare, così come stava cambiando anche lei. Allora avrebbe abbandonato la parte di sé così timida e insicura e sarebbe diventato forte e determinato. E l'avrebbe fatto solo per lei, così che un giorno, incontrandola di nuovo, le avrebbe saputo rivolgere le parole giuste.
 
 
 


Per questa storia si ringraziano:
-prima di tutto PotionFang, che mi ha sostenuto nella scrittura, mi ha consigliato e ha corretto il capitolo. Grazie mille davvero! ^_^
-poi Lights, che ha creato questo banner stupendo, quanto lo amo????? *_*
-i film “Un ponte per Terabithia” e “Innamorarsi a Manhattan”, il primo per aver ispirato la storia e il secondo per aver ispirato il piccolo Peeta.

-e Suzanne Collins perché ha creato una saga così affascinante, da colpirmi nel momento in cui ero più vulnerabile, ovvero nella depressione post-fine Harry Potter. xD

kia85 
   
 
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