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Autore: jiujiu    05/02/2007    0 recensioni
[Dear Frankie]
[Dear Frankie] "..ed io percorrerò la via alta..e tu percorrerai la via bassa...ed io sarò in Scozia prima di te...ma io e il mio amore non ci rivedremo mai più..."
Una fanfiction ispirata ad uno dei film che più ho amato, Dear frankie. E' la prima ff che posto qui e spero che vi piaccia! :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6- Ritratto di un uomo

6- Ritratto di un uomo

 

Elisabeth sorrise.

Era stata fortunata.

Per la prima volta da quando era sta ricoverata, finalmente assaporò per un attimo il profumo di quella libertà di cui era stata privata, e che avrebbe gustato appieno nei giorni seguenti.

 

- Parlami di tuo padre, ora...gli somiglio, almeno un po’?- finalmente l'uomo si era rilassato, in quel momento in cui aveva deciso di restare, assumendo un'espressione riflessiva.

- No, affatto!- rise Elisabeth, ordinando un tè e permettendo all'estraneo che sedeva con lei di prendere qualcos'altro di suo gradimento.

Non volle nulla.

- Ah, bene!- sussurrò lui rassegnato e irriverente, voltando il capo dall'altro lato per un momento.

- Tranne gli occhi...- fece lei, attirando nuovamente la sua attenzione.

- Mia madre diceva che gli occhi di mio papà erano verdi come l'oceano in primavera...io li ricordo..e i tuoi sono pure così...-

- Poetica, tua madre..- osservò sarcastico, accendendosi un'altra sigaretta e portandosela alle labbra con un movimento lento.

- Era una artista...la mia mamma dipingeva ed era pure bravissima...riusciva a disegnare il cielo e rinchiuderlo in una cornice...ma a me piacevano di più i ritratti!Erano uguali alle persone vere!-

Sembrava parlargli di cose lontane...di cose perdute, come se invece le avesse davanti agli occhi, con uno sguardo per la prima volta brillante e bruciante di energia.

Si esprimeva con una semplicità e una naturalezza coinvolgenti.

- Comunque- riprese il discorso precedente con una smorfia disinteressata, come se tutto ciò che avesse detto un attimo prima fosse caduto in un dimenticatoio vacuo, carta straccia dopo un disegno che non recava soddisfazione,- mio padre, cioè tu, vivi a Dublino con la tua fidanzata francese Monique, che forse non sposerai mai perchè non ti piacciono i legami; sei il proprietario di una casa d'aste molto importante e guadagni tanti soldi-

- Oh, sono un uomo felice, allora-

ironizzò lo straniero, eliminando un poco di cenere dalla sigaretta che si consumava tra le dita.

 

- Penso di si. Con la mamma non eri felice e quando avevo sei anni avete divorziato e tu te ne sei andato. La mamma è morta un anno dopo e la zia mi ha messo in collegio perchè non poteva occuparsi di me e d suo figlio insieme...-

 

...Tu te ne sei andato...

 

L'uomo realizzò che avrebbe potuto pronunciare quelle parole egli stesso, anni prima...e forse lo aveva fatto, in quei deliri provocati dalle sostanze che assumeva per dimenticare la rabbia, il dolore, la debolezza che aveva fiaccato la sua gioventù.

 

- Non sembra una gran bella persona, quella che vuoi che io sia...-

- E' mio padre...non pretendo che tu sia qualcun altro...voglio che tu sia mio padre-

ribatté lei indignata da quell' offesa ai danni di qualcuno che non era presente...che non era mai stato presente; poi gli sorrise brevemente.

- Scusa-

- Non preoccuparti-

- Mio papà è sempre stato impegnato...ma quando ho avuto bisogno di lui, mi ha aiutato...quando sono stata male, mia zia gli ha chiamato e lui le ha mandato i soldi per curarmi, e li manda ancora, ogni mese!- la sua voce si era accesa di allegria ed orgoglio a parlare di quel padre che non vedeva da una vita ma che occupava gran parte del suo cuore.

Era così che si sarebbe dovuto sentire, quando Marie e lui si erano visti abbandonati da quell'uomo?

Troppo grandi per essere adottati, troppo piccoli per vivere soli, senza una guida...

Era così che Frankie avrebbe dovuto pensare a suo padre, nonostante tutto il male arrecato a lui e a Lizzie?

 

Questo, l'amore mai provato...ma lungamente desiderato?

Quelle carezze gentili che non ricordava di aver mai ricevuto ma che aveva saputo regalare ad un estraneo?

 

Essere padre senza mai essere stato figlio...

 

Possibile?

Accettabile?

 

- Mi sembra facile...-

Disse lui alla ragazzina che gli strizzò l'occhio, complice.

- Vieni alla clinica con me, oggi...e domani mattina vienimi a prendere...avevo già prenotato una stanza per il mio papà nella pensione vicino alla clinica-

- Ci sono strutture simili vicino agli ospedali?-

si chiese e domandò alla sua giovane interlocutrice che ne parlava con una sicurezza affidabile.

- Certo! Quando hai dei parenti malati, e vuoi star loro accanto, affitti una di quelle stanze e sai sempre come sta, se ha bisogno di qualcosa e-

- E nessuno dei tuoi parenti ha mai " affittato" una di quelle stanze?-

Le lanciò un occhiata senza espressione, riflettendo appena.

- No, nessuno- ed Elisabeth parve rabbuiarsi, ma fu solo un attimo, in cui l'uomo vide incrinarsi una dura barriera creata da quella bambina ingenua ma non stupida,

- ma ora ci sei tu, giusto?- e gli sorrise nuovamente, indossando il berretto scuro e alzandosi con calma innaturale in piedi.

 

- Andiamo-

- Non hai finito il tuo té...- gli indicò con un cenno la tazza ancora fumante.

- Non lo finisco mai...-

gli fece un cenno birbante prima di posare una banconota da dieci sterline sul piatto, restituendo quella di taglio più piccolo all'uomo che l'aveva posata quando pensava di lasciarla, disinteressandosi al suo destino.

- Hai lasciato troppo-

- E' la mancia-

- Non credi che sia troppo?- si meravigliò lui, vedendo il cameriere esultare silenziosamente per la gradita sorpresa.

Lo straniero non aveva mai lasciato una mancia così ricca, ovunque fosse stato, qualunque fosse stata la qualità del servizio.

Marie sarebbe saltata in aria dalla contentezza se un cliente avesse pagato il doppio del conto per lasciarle metà della cifra come mancia.

- Io sarei contenta di avere una buona mancia, se fossi una cameriera...-

- Non eri tu quella brava a risparmiare?- la rimbeccò lui senza dare a vedere l'intenzionale ironia che invece Elisabeth colse subito.

- I soldi sono fatti per essere spesi, dopotutto...-

Prese la sua mano e lo trascinò con fare moderato verso l'uscita, incamminandosi senza fretta verso il molo in cui aveva promesso di farsi trovare alla signora Parker.

 

****

 

- Non so neanche come ti chiami...- realizzò la bambina seduta su una panchina, mentre lui fumava l'ennesima sigaretta.

Nessuno dei due incrociò lo sguardo con l'altro, perdendolo consapevolmente nel verde sfumato del mare di inverno...era tutto immobile, silenzioso...solo qualche voce, ogni tanto, faceva la sua intrusione dal molo vicino o dalle navi ancorate su cui si caricavano e scaricavano merci senza distinzione di peso o prezzo.

- Come si chiama tuo padre?- chiese lui, senza guardarla in volto, sentendola respirare più profondamente.

Inalò anche lui una boccata d'aria, accorgendosi con meraviglia che sembrava più pulita, più leggera rispetto a quando era sbarcato.

Sentiva meno freddo, adesso.

Elisabeth dondolò il capo, chiudendo gli occhi e riaprendoli un attimo dopo.

- Peter. Peter Sullivan-

- Allora Peter Sullivan sia...-

 e non parlarono più, evitando di scambiarsi anche un'occhiata fugace, fino all'arrivo del taxi giallo, sempre troppo vecchio e accartocciato, che li condusse placidamente alla clinica, attraversando con lenta sicurezza i viali poco abitati del paese.

 

****

- Papà?-

Non rispose.

- Papà- ripeté Elisabeth pizzicandogli la giacca di pelle, incerta di aver raggiunto il suo braccio sotto quel materiale così resistente.

Era seduta accanto a lui in taxi, occupando i sedili posteriori di quel catorcio giallo.

- Ah?- borbottò in risposta, guardandola appena.

 

Era distaccato, notò quasi subito la signora Parker, osservando quella scena dallo specchietto retrovisore, lei, seduta davanti accanto ad un autista taciturno.

Elisabeth poggiò delicatamente la testa sulla spalla dell'uomo che la accettava senza alcuna visibile emozione.

Un sorrisetto lieve e grato modellò le labbra rosa e sottili della ragazzina.

 

- Grazie per essere venuto...-

 

e rimase immobile, mentre il mondo si muoveva ancora attorno a lei che teneva gli occhi chiusi, assorbendo quel calore di cui aveva ormai solo un vago sentore, un pallido ricordo.

 

  
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