Standing in a Line.
Come
poteva un secondo cambiare ogni cosa?
Come
poteva cambiare l’esistenza di milioni di persone,
lasciandole appese a un
filo?
Possibile
che bastasse un misero attimo, un battito di ciglia, per far si che
tutte
quelle anime si unissero in un’unica, enorme massa carica di
ansia e
preoccupazione?
Poteva,
eccome.
Sarebbe
bastato un secondo.
Era
bastato un secondo.
Era
bastato uno schianto.
Il
rumore di un passo
deciso e veloce avvisò tutti dell’imminente arrivo
di qualcuno. Lea Michele
irruppe nella sala, il respiro affannato, i vestiti di scena ancora
addosso, il
volto totalmente sconvolto e le chiavi della macchina ancora in mano. Prima che potesse anche
solo riuscire a
scorgere gli sguardi scioccati dei suoi colleghi e amici, una sconvolta
ragazza
bionda le saltò addosso tra le lacrime, e lei, sorpresa, la
strinse di rimando,
mentre questa piangeva tra le sue braccia.
-Sei
arrivata!- Molte
delle persone sedute sulle poltroncine si
alzarono in piedi per salutarla, o anche solo per fare
qualcosa. Stare
seduti era una vera e propria tortura.
Dianna,
tra le braccia
della sua migliore amica, prese a singhiozzare. Lea le
accarezzò i capelli,
trattenendo a sua volta una lacrima. Era abbastanza forte da
trattenersi fin
quando non sarebbe stata sola. Sapeva che gli altri avevano bisogno di
lei,
della sua forza. Perché Lea era forte, lo era sempre stata.
Poteva farlo.
Poteva essere vicina a tutti gli altri, perché sapeva quanto
loro ne avessero
bisogno. Lei sarebbe venuta dopo.
E,
più di tutti, doveva
parlare con una persona.
Ma,
prima, doveva
informarsi.
-Come
sta?- chiese, la
voce rotta. Per un secondo, pensò di non riuscirci. Non
aveva mai avuto tanta
paura in vita sua. Non voleva saperlo. Aveva paura che ci fossero solo
pessime
notizie. Non poteva nemmeno pensare al peggio. Sarebbe crollata,
crollata sul
serio. Cercò
gli occhi di qualcuno che
non fosse troppo sconvolto.
Quasi
tutte le ragazze
piangevano, e anche un paio di ragazzi. Gli altri avevano sguardi
terribilmente
vuoti. Questo la spaventò tantissimo. Quando
trovò lo sguardo di Cory, questo
sospirò. Si era alzato in piedi, e le era andato incontro.
Lui sapeva che
qualcuno avrebbe dovuto spiegarle, e sembrava essere l’unico
che potesse farlo
sul serio. Era il più grande.
-Noi..
non lo sappiamo,
Lea. Non sappiamo niente. Solo.. un’infermiera ci ha detto
che l’incidente non
è stato provocato da lui, ma da un pirata della strada.
E’ scappato, a quanto
pare, e non sono riusciti a rintracciarlo, ma ci sono un sacco di
testimoni.
Sperano in un colpo di fortuna. Che qualcuno ricordi.. qualcosa.
– Mormorò in
risposta, stringendo una spalla di Dianna, terribilmente affranto.
Questa
singhiozzò ancora più forte.
Lea
chiuse gli occhi per
alcuni secondi, tentando di mantenere la calma e non andare nel panico
più
totale. Lei lo conosceva forse più di chiunque altro in
quella stanza,
-Avete
chiamato la sua
famiglia? Hannah sarà sconvolta.-
Tentò
di mantenere un tono di voce normale. Era un’attrice. Doveva
riuscirci.
-Sono
partiti da Clovis
pochi minuti fa.- Mormorò Kevin, intento a consolare Amber,
sommersa dai
fazzoletti.
Ashley,
al loro fianco,
si torceva le mani, gli occhi gonfi, la pelle del viso tirata. Naya
vagava per
la stanza, la mano che le copriva la fronte, il passo leggero, ma
insicuro.
Heather e Chord continuavano a spostare lo sguardo dalla porta della
stanza a
Naya. Jenna era raggomitolata sul pavimento, davanti ad Amber, e
tentava di
trattenere i singhiozzi, mentre Harry, nell’angolo, si
appoggiava al muro, gli
occhi fissi al pavimento, in attesa di un segnale.
Lea
sospirò, passandosi
una mano nei capelli, mentre si sedeva su una delle scomode poltroncine
blu,
portando con se Dianna. Si guardò intorno. La stanza
sembrava troppo
silenziosa. Tutti erano talmente tristi da non riuscire a dire
più parole del
necessario. La ragazza fu presa dallo sconforto.
Nessuno di loro era un parente stretto.
Nessuno di loro era autorizzato a sapere più del necessario,
nessuno di loro
poteva sperare di vederlo al più presto. Chris era in sala
operatoria, la sua
vita appesa a un filo.
Ma
Lea sapeva bene che i
ragazzi che si trovavano in quella stanza, insieme alla sua famiglia,
erano
tutta la sua vita.
Lea
Sapeva,
semplicemente.
Era
la migliore amica, la
confidente di Chris, lo era sempre stata.
La
sua prima vera amica,
aveva detto lui, subito dopo la cugina.
Cory
le seguì,
sfregandosi il collo, senza sapere bene cosa fare. Rimase in piedi,
guardandole. Tutti erano in attesa. Era orribile.
Lea
alzò lo sguardo verso
di lui, tentando di trattenere le lacrime. Non era il momento. Non
ancora.
E,
miracolosamente, ci
riuscì.
C’era
una cosa che le
premeva chiedere. Lei sapeva che Chris, quella sera, non avrebbe dovuto
essere
solo. Non avrebbe dovuto essere in macchina.
Lei
sapeva. Deglutì, ed
il suo sguardo vagò di nuovo per la stanza per alcuni
secondi. Aveva paura di
sapere perché qualcuno mancava all’appello.
-Cory,
avete avvisato
Ryan e Brad?- Chiese, cercando di nuovo lo sguardo
dell’altro. Lui annuì
impercettibilmente.
-Non
possono muoversi
prima di domani mattina, sono a New York, in questo momento. Comunque
non
potrebbero fare molto, adesso.- Cory distolse lo sguardo per un
secondo, per
osservare la porta azzurrina. Odiava quel colore. Lo odiavano tutti.
Lea,
a quel punto, prese
un respiro, e parlò di nuovo.
-Non
siamo tutti.-
Sussurrò, la voce rotta. Ma si ricompose subito. Quando Cory
puntò di nuovo lo
sguardo su di lei, sorpreso che le avesse rivolto di nuovo la parola,
il suo
sguardo era tornato impenetrabile. Lei doveva essere forte.
Prima
che il moro potesse
risponderle, Dianna mormorò qualcosa, che venne soffocato
dai singhiozzi, e dal
suo cappotto, sul quale l’altra stava piangendo. Lea si
allontanò lentamente da lei, per
poterla guardare negli occhi. Dianna mugolò, poi
spostò il viso verso l’alto, e
tentò di accennare ad un sorriso, senza molto successo.
-Siamo
tutti. Mark e
Darren sono fuori.- Mormorò, tentando di non scoppiare di
nuovo a piangere.
Cory la guardò, poi si sedette al suo fianco, sospirando.
-Darren
era.. Non l’ho
mai visto così, Lea. Io..
– Cory tentò,
tentò sul serio di trovare le parole per descriverlo. A
tutti in quella stanza
sapevano perfettamente che non c’era niente che avrebbe
potuto dire per rendere
l’idea. Guardò gli altri, in cerca di una mano.
-E’
stata la cosa più
straziante che io abbia mai visto. Guardare Darren negli occhi.- Tutti
alzarono
lo sguardo verso Heather. Naya ed Harry annuirono.
-Sembrava..
quando è
entrato nella stanza, e si è guardato intorno.. Lea, lo
stava cercando, lo stava
cercando perché non riusciva a
crederci. E quando non lo ha visto, il mondo gli è
letteralmente crollato
addosso. Ho visto il suo sguardo cambiare. Continuava a sussurrare
“non è vero”
a bassa voce, sembrava un mantra. – Continuò Cory,
le ciglia aggrottate.
-Non
ho mai avuto così
tanta paura in tutta la mia vita. Ma non ne avevo per me, ne avevo per
lui. Si
è lasciato cadere a terra, ed ha pianto. Proprio
lì, dove ti eri fermata tu.
Continuava a sussurrare che non poteva essere. Mi sono avvicinata per
convincerlo a sedersi, lui mi ha spinto via, ed ha pianto
più forte, e poi si è
alzato. E.. e voleva urlare. Stava urlando, dentro stava urlando. E
quando ha
parlato, ed ha detto che doveva vederlo, e si è portato le
mani nei capelli.. è
stato orribile per tutti. Mark si è avvicinato a lui. E lui
ha provato a
respingerlo, davvero. Lo ha preso a pugni. E poi, dal nulla, lo ha
abbracciato.
Ed ha pianto
più forte. – Harry parlò,
la voce tremante. Poi guardò Cory, mordendosi un labbro.
-E
poi, - riprese Cory, -
Mark lo ha trascinato fuori, dicendo che avevano bisogno di una boccata
d’aria.
Non so dove sono, ma sono usciti da una decina di minuti.- Il ragazzo
si
strinse nelle spalle, colto da un brivido di freddo. Lea
deglutì. Guardando gli
altri per l’ennesima volta, si rese conto che sembravano come
pietrificati.
Loro non erano colleghi, erano fratelli.
Scostò
delicatamente
Dianna dalla sua spalla, e si alzò in piedi. Aveva bisogno
di parlare con
Darren. Subito.
Tutti
la guardarono
andare via, senza dire niente. Lea era.. beh, era Lea.
Loro
sapevano che aveva
in mano la situazione. Tutti.
***
Darren
si alzò per
l’ennesima volta dalla sedia su cui si era seduto, portandosi
le mani tra i
ricci spettinati. La sala delle macchinette era completamente vuota,
fatta
eccezione per lui e il suo amico. Ma erano le tre di notte, dopo tutto,
sembrava una cosa abbastanza logica che la sala fosse vuota.
Mark,
seduto dalla parte
opposta del tavolino rotondo, lo osservò avvicinarsi di
nuovo alla macchinetta
del caffè, per poi alzare una mano, con un scatto, e
lasciarla scivolare con
lentezza sul lato di quell’ammasso di ferro, mordendosi le
labbra, e deglutendo
pesantemente. Si trattenne dall’accennare un sorriso amaro,
pensando che, se
Chris avesse potuto vederlo mentre si tratteneva dal dare un pugno alla
macchinetta
del caffè, lo avrebbe preso in giro a vita. Darren, diceva,
era molto poco
credibile quando si atteggiava da duro, perché era la cosa
più simile ad un
bambino di cinque anni che avesse mai visto in tutta la sua esistenza.
Darren
appoggiò anche
l’altra mano alla macchina, spostando lo sguardo a terra. Si
sentiva proprio un
bambino, in quel momento. UN bambino che aveva perso ogni punto di
riferimento.
Inevitabilmente,
altre
lacrime scivolarono lungo il suo viso, senza che lui riuscisse a fare
niente
per trattenerle.
Con
un sospiro, anche
Mark si alzò dalla sedia, e lo raggiunse. Posandogli un mano
sulla spalla. A
quel tocco, Darren si voltò, e lo guardò negli
occhi. Mark non aveva mai, mai
visto uno sguardo così. Ma sapeva cosa doveva voler dire.
Annuì, poi tirò fuori
degli spiccioli dalla tasca.
Darren
appoggiò a schiena
contro il macchinario, e si lasciò scivolare a sedere,
tenendosi le ginocchia
con le mani, e lasciando andare indietro la testa. Fece di tutto per
concentrarsi
sul rumore del caffè che scendeva, della macchina che
vibrava contro la sua
schiena.
Fece
di tutto, eppure,
quando chiuse gli occhi, sprofondò in due pozze chiare come
l’acqua, e
sussultò. Il viso di Chris, era sempre lì,
perfetto.
Lui era così
vicino.
Già.
Così
lontano.
Così
lontano, e Darren
non riusciva a
respirare.
Riaprì
gli occhi, trattenendo
il respiro. E, stavolta, li tenne più aperti che poteva,
tentando di non far
vagare la mente alla sala operatoria. Ma ci stava pensando. E
più provava ad
allontanare la mente, e meno ci riusciva.
Mark
aspettò che anche il
secondo caffè scendesse, e poi si sedette al fianco
dell’amico, porgendogli un
bicchierino di plastica. ‘altro lo prese senza nemmeno
guardarlo. Il caffè era
bollente, tra le sue dita. Bollente. Bruciava, Bruciava ogni cosa, come
stava
accadendo dentro di lui. Si stava scottando. Strinse leggermente il
bicchiere,
osservando il liquido scuro, ricoperto da un leggerissimo strato di
schiuma, e
se lo rigirò tra le mani, troppo caldo per essere bevuto.
Allargò leggermente
le ginocchia, respirando profondamente. Poteva sentire i battiti del
suo cuore
scandire il tempo. Ogni battito era una lama, e scendeva
giù, sempre più a
fondo, sempre più all’interno. Troppo veloce.
Tutto
era troppo veloce.
Per
qualche secondo, le
sue palpebre si fecero più pesanti, e coì le
chiuse.
Il
suo viso era ancora
lì.
Si
convinse a bere il
primo sorso di caffè.
Era
amaro, molto,
nonostante lo zucchero che Mark aveva già girato per lui,
mentre aspettava che
l’altro caffè fosse pronto.
Ma
andava bene così.
Mark
lo stava guardando,
Darren lo sapeva. Nonostante questo, continuò ad evitare lo
sguardo dell’amico.
Sapeva cosa avrebbe visto.
-Darren,
perché non ce lo
avete detto?- Mormorò il ragazzo, sporgendosi un
po’ verso il ricciolo.
Darren
si aspettava di
tutto. Ma non questo. Spalancò leggermente le labbra,
voltandosi verso Mark.
-Noi..
Non vi abbiamo
detto cosa?- Chiese, la gola secca.
-Oh,
Darren.- Mark
sospirò, portandogli una mano sulle ginocchia.- Noi
sapevamo. Vi vedevamo
guardarvi in quel modo, così intenso, così
diverso. Voi due siete sempre stati
diversi, in tutto. Anche quando eravate davvero solo amici, noi
già
scommettevamo su quanto ci avreste messo a finire a letto insieme. Per
Cory ed
Amber non è stato facile ammetterlo,
in
realtà, all’inizio. Sai come funziona. Chris, beh,
era il fratellino minore che
tutti avremmo voluto. Lo è ancora, per tutti. Loro volevano
convincersi che lo
fosse anche per te. Solo un fratello. Io e Lea abbiamo capito subito,
invece.
Non poteva non esserci niente. E’ diventato così
palese che sembrava quasi far
male, anche all’esterno. Ma non abbiamo
infierito. E cose si sono risolte da sole. Entrambi eravate
più felici,
arrivavate sul set insieme fin troppo spesso, e tutte quelle sciarpe la
dicevano lunghissima. Abbiamo pensato che non foste pronti. Noi siamo
la vostra
famiglia, pensavamo che ce ne avreste parlato appena foste stati sicuri
di
quello che provavate. Non abbiamo detto niente. Ma noi sapevamo. I
vostri
sguardi parlavano da soli, Darren. Prima, quando sei entrato..
è stato come se
ti avessero spezzato qualcosa.
Abbiamo sentito il tuo dolore, tutti. E non hai fatto niente per
nasconderlo.
Quella non è la reazione di un migliore amico. Nemmeno
quella di un fidanzato.
Si avvicina molto di più a qualcosa che rasenta la
parentela. E’ viscerale. –
Darren rimase lì, impietrito, ad ascoltare l’amico
che parlava, mentre nella
sua mente la sua relazione con Chris scorreva, senza che lui potesse
scacciarla.
Non voleva scacciarla. Darren cercò qualcosa da dire, ma le
parole morirono in
gola.
-Senti-
continuò Mark,-
io ho.. ho visto una reazione simile una volta sola nella mia vita.
L’anno
scorso, quando mia nonna era in ospedale, mio nonno era
sempre al suo fianco. Quando lei non ce l’ha
fatta, lui è crollato. Aveva il tuo sguardo, Darr. Tutto era
vuoto. So com’è. E
si vede, Darren, si vede terribilmente. Quello è lo sguardo
che hai quando
perdi la persona che sei destinato ad amare per tutta la vita. Io lo so
che
magari sono troppo romantico, che Chris mi prenderebbe in giro per una
giornata
intera. Ma so anche che sai essere più romantico di me. Io
non so cosa vi lega,
perché voi non ne parlate. Ma è palpabile,
Darren. È nell’aria, in tutto quello
che fate. Non so come andrà tra di voi, non so nemmeno se
Chris uscirà vivo da
quella sala operatoria, Dannazione, ma so che tu sei qui, ora, e fai
parte
della mia famiglia almeno quanto lui. E lo sai anche tu, la vita
è troppo Breve. Non
farlo soffrire, se puoi, ma
non far soffrire nemmeno te stesso. Noi ci saremo. Noi vi amiamo. Siete
la
nostra famiglia. Non distruggerti ora. Non ancora. Abbiamo bisogno di
te. Lui ha bisogno di te.- Mark lo
stava
guardando negli occhi, terribilmente serio, sull’orlo delle
lacrime. Darren
sapeva che anche lui aveva paura, che la stava tenendo a freno per
aiutare lui.
Si portò di nuovo le mani tra i capelli, gemendo.
-Ho
paura. Ho una fottuta
paura di tutto questo.- Mormorò, le labbra tremanti,
abbassando lo sguardo sul
caffè, per poi finire di berlo, tutto d’un sorso,
mentre l’altro rispondeva.
-Lo
so. Ne abbiamo
tutti.- Mark gli scompigliò i ricci, mentre si alzava in
piedi, tendendogli la
mano per aiutarlo ad alzarsi.
Darren
l’afferrò, e lo
abbracciò di nuovo, deglutendo.
-Forza,
andiamo da lui-.
***
Lea
camminava a passo
svelto lungo i corridoi dell’ospedale, a vuoto. Non sapeva
bene dove cercare.
Aveva chiesto a qualche infermiera, ma non avevano saputo rispondere, e
faceva
decisamente troppo freddo perché si fossero avventurati
fuori. Aveva provato
vicino alle porte delle scale antincendio, nelle sale
d’aspetto di parecchi
altri reparti. Aveva visto un uomo piuttosto anziano chiedere del
reparto di
oncologia, e lo aveva seguito con lo sguardo mentre si allontanava.
Con
un sospiro, tornò sui
suoi passi. Li cercava da un po’, ormai, e
l’ospedale era enorme. Non sarebbe
riuscita a trovarli, da sola.
Avanzò
verso gli
ascensori, demoralizzata, e premette il pulsante rosso.
Mentre
aspettava, si
guardò intorno. Tutto era terribilmente vuoto. Quel posto,
pensava lei, non
aveva un’anima. O forse ne aveva più di una. Aveva
l’anima di tutte le persone
che erano rimaste, che avevano lasciato il segno sparendo in quel
posto, le
loro storie che si cancellavano l’una con l’altra,
come tante fotografie di un
album a cui si voltava pagina. Era così per tutto.
Le
porte di metallo si
aprirono lentamente, e la ragazza entrò dentro
tenendo lo sguardo basso. Quando, però, una
voce la riscosse, tanto da
spaventarla, guardò dritta negli occhi la persona che le
stava di fronte, e
sussultò.
-Lea!-
Darren e Mark
trattennero il respiro. Non sapevano da dove venisse Lea, poteva essere
appena
arrivata, oppure poteva averli cercati. Magari c’erano delle
notizie. Magari
erano positive. Magari no.
Darren
si fece piccolo,
appoggiandosi di più al freddo specchio della parete mobile,
mentre Mark
sfiorava un braccio della ragazza, avvicinandosi piano.
-Ragazzi..
vi stavo
cercando.- Lea lasciò vagare lo sguardo su Darren,
deglutendo. Lui alzò il suo,
e la fissò.
E
lei lo vide. Quello di
cui parlavano gli altri. E boccheggiò per alcuni secondi,
incapace di reggere a
tutto quel peso.
Lo
sguardo di Darren era
pesante. Carico.
Lea
lo sapeva, non poteva
fare niente per alleggerirlo. Si fiondò contro di lui,
abbracciandolo.
Lui
sembrò sorpreso,
all’inizio. Poi, però, la strinse di rimando. E
seppe che non sapeva ancora
niente. Semplicemente, lo sentiva da come lo stava abbracciando. Non
era
crollata. Non era tranquilla. Era appesa ad un filo, come tutti gli
altri.
-Mi
dispiace,
Darren. Mi dispiace
così tanto. Tu.. Oh,
Dio. Pensavo che avessi fatto qualche sciocchezza. Sei stato
bravissimo.-
Sussurrò, mentre lo stringeva. Lui chiuse piano gli occhi,
accennando un
sorriso.
-Continuerete
a trattarmi
come se avessi cinque anni per tutta la vita, vero?-
Sospirò, allontanandosi da
lei. Il suo sguardo non era cambiato. Ma lui doveva essere forte. Non
poteva
lasciare che gli altri portassero tutto il peso, non da soli, non
quando lui
avrebbe dovuto essere una delle colonne portanti. Lui era forte.
Invulnerabile,
come Harry Potter. Così diceva, Chris. Era il suo
Harry. Harry Freakin’ Potter. Prese un respiro, e, quando
l’ascensore si fermò, Mark prese per mano Lea, e
lui li seguì verso la sala
d’aspetto.
***
Un
passo dopo l’altro.
Perché camminare sembrava così difficile?
Eccola,
la sala
d’aspetto. Harry ed Ashley si alzarono in piedi, mentre loro
si avvicinavano.
Tutti sembravano terribilmente afflitti.
Darren
aveva paura. Una
terribile paura di sapere.
Lea
e Mark si
avvicinarono ad Harry, che sospirò.
-Si
sa qualcosa?- Chiese
Lea, stringendo la mano dell’altro. Mark lasciò
cadere lo sguardo su Darren.
Incurante degli sguardi di
tutti puntati
addosso, si stava avvicinando, tremante, alla porta della sala
operatoria. Non
vedeva niente. Non sentiva niente. Ma voleva essergli vicino, voleva
fargli
sentire che era con lui.
Ci
sono, Christopher. Sono qui con te.
Ascoltava
gli altri, ma
era lontano, terribilmente lontano da tutto.
Intanto, Harry
dissentì, scuotendo piano la
testa.
-Non
siamo parenti, non
vogliono dirci niente.- Esclamò, sconfitto.
Darren
si morse un
labbro, posando la mano sulla superficie fredda ed anonima della porta.
L’odore
di disinfettante gli faceva girare la testa, e la voglia di piangere
non se
n’era andata. Tutta quella situazione era incredibilmente
assurda.
Di
nuovo, si lasciò
vincere. Chiuse gli occhi, lasciando che la mente vagasse. Ed,
improvvisamente,
Chris era con lui. E poteva sentire le sue labbra sul collo, sulla
schiena.
Poteva sentirlo mentre lo massaggiava, perché diceva sempre
che era
incredibilmente teso, per essere sempre così allegro e
saltellante. Mentre gli
diceva che non lo avrebbe mai lasciato, in una notte di pioggia,
stretti in
quel letto troppo piccolo, o forse troppo grande, perché
meno spazio avevano a
disposizione, e più vicini potevano stare.
Non
portarmelo via. Ti prego. E’ la
cosa migliore che ho.
E
Darren si odiò. Si
odiò, perché in quel momento si rese conto che
avrebbe voluto che tutti si
rendessero conto di quanto era speciale tutto quello che avevano.
Darren
voleva poter
andare dal medico e dirgli di essere il marito
di Chris, desiderò di poter sapere.
Eppure doveva
aspettare, doveva aspettare,
proprio come stavano facendo i loro amici.
Me
lo ha promesso. Mi ha promesso che
non mi lascerà.
Non
aveva idea di quanto
tempo fosse passato, quando le sue palpebre si aprirono di nuovo, ma
sapeva che
la luce che proveniva dalle finestre stava cambiando. L’alba
si avvicinava,
ormai. Chris era dentro da ore.
Darren
si voltò verso gli
altri, gli occhi bassi. Tutti lo fissarono, in attesa. Sapevano che
stava per
dire qualcosa, lo sapevano tutti quanti. Alzò lentamente la
testa, e poi li
guardò tutti negli occhi. Vide riflessa la sua espressione
nei loro volti, ed
ebbe paura, ne ebbe tantissima. Mosse un passo in avanti. E poi un
altro
ancora. Ma, prima che potesse dire qualsiasi cosa, la porta alle sue
spalle si
aprì.
Darren
trattenne il
fiato, e così tutti gli altri. Si voltò di scatto
verso la porta. Un uomo dalla
carnagione scura, sulla cinquantina, si chiuse la porta alle spalle, e
Darren
fece un passo nella sua direzione, sperando di sapere qualcosa.
L’uomo,
interdetto, strinse i guanti che doveva appena essersi tolto, e lo
guardò negli
occhi, lo sguardo indecifrabile.
-Qualcuno
di voi è un parente
del signor Colfer?- Darren lanciò un’occhiata
nervosa agli altri. Nessuno disse
di no. Nessuno disse niente. Erano in attesa. Avrebbe dovuto parlare
lui.
Si
schiarì la voce,
mentre stringeva i pugni contro le bambe, torturandosi i pantaloni.
-I
suoi genitori saranno
qui a momenti, ma può parlare a me. Sono il suo fidanzato,
Darren Criss.- E,
si, lo aveva detto ad alta voce. Ad alta voce, ad un completo
sconosciuto. E di
fronte a tutti i suoi amici, a cui non aveva nemmeno accennato la
faccenda.
Fantastico.
Ma
era troppo, troppo
importante, per tirarsi indietro. Trattenne ancora il fiato, mentre il
medico
sospirava.
Era
pronto al peggio.
Ma
il peggio non arrivò.
Il
volto teso dell’uomo
si distese in un sorriso consapevole e stanco, ed il cuore di Darren
riprese a
pompare alla velocità della luce. Ma avrebbe giurato che,
per qualche secondo –
o forse più di qualche- si fosse fermato.
-Signor
Criss,
l’operazione è andata bene, fortunatamente. Il suo
ragazzo ha rischiato grosso,
ma è fuori pericolo. Consiglierei a lei ed ai suoi amici di
dormire un po’. Appena
in signor Colfer potrà ricevere visite, sarà il
primo a saperlo, e sembrate
tutti esausti. – Detto questo, l’uomo sorrise agli
altri, fece un cenno di
saluto e si allontanò lungo il corridoio.
Darren
si sentiva
leggero. Leggero come non era mai stato. Si voltò verso Lea,
e la ragazza
scoppiò a piangere. Perché, lo sapeva, tutto
questo era troppo, da reggere, per
lei, anche se era forte, anche se era stata l’unica a non
lasciarsi crollare. E
anche lui scoppiò a piangere, di nuovo.
Per
la gioia.
Chris
era salvo. Era
salvo sul serio.
Ci
fu un attimo di
silenzio.
Poi,
i ragazzi del cast
di Glee si alzarono dalle loro sedie, e fu pura confusione.
Kevin,
Mark, Lea e Naya
piangevano. Dianna, Cory, Amber, Ashley e Jenna si abbracciavano.
Harry,
Heather e Chord si avventarono su di lui, facendo entrambe le cose
insieme.
Quando
un’infermiera li
rimproverò, pochi secondi dopo, Lea sospirò, e
tutti si trascinarono verso la
zona delle macchinette del caffè.
E
Darren volava. Volava
davvero.
***
Tutti
stavano parlando
tranquillamente tra loro. Lea aveva chiamato i genitori di Chris,
tranquillizzandoli, e loro avevano avvisato che sarebbero arrivati
appena
avrebbero potuto, per un ritardo dell’aereo che avrebbe
dovuto portarli lì. Intanto,
Cory aveva messo al corrente Ryan e Brad.
Le
acque si erano
calmate.
Darren
osservò i suoi
amici, i suoi splendidi, meravigliosi amici, e pensò che era
stato uno stupido.
Si
sentiva in debito con
loro come con nessun altro. Avevano fatto così tanto, per
lui. Lo avevano
accettato senza dire una parola, lo avevano aiutato e supportato,
avevano
ascoltato i suoi scleri ed i suoi momenti deprimenti. C’erano
sempre stati, per
lui, sapendo tutto, senza bisogno di dire niente. Per questo, si
spostò
dall’angolino in cui era premuto, lontano dagli altri, e si
schiarì la voce,
titubante.
Tutti
lo guardarono
immediatamente, e lui si sentì arrossire.
Non
era da lui
vergognarsi di quello che provava, ma si sentiva in colpa.
Sospirando,
cominciò a
parlare.
-Io
devo parlare con voi.
Con tutti voi.- Cominciò, abbassando lo sguardo. Mark gli
sorrise,
incoraggiante. Lea scosse la testa, divertita.
-Darr,
lo sappiamo. Non
importa.-
-No.
Ascoltatemi. Non
rimpiango di non avervi detto niente. E’ stata una decisione
che io e Chris
avevamo preso insieme, pensando che sarebbe stato più
semplice. Infondo, la
nostra amicizia è rimasta immutata. Ci lega anche questo, ci
ha sempre legati,
o forse è sempre stato qualcosa di diverso.
L’importante è che quello che
proviamo non è mai cambiato, è semplicemente
cresciuto. E’ naturale. E
spiegarlo lo rende riduttivo. Per questo non ne abbiamo mai parlato con
voi a
tavolino. Ma sapevamo che lo sapevate, lo sapevamo perfettamente. Io
non so
cosa ne penserà, quando entrerò in quella stanza
ed ammetterò di aver detto
tutto questo, ma avevo bisogno di parlarvene. Ne avevo bisogno, in
primo luogo
perché voi siete davvero, davvero tutto, per me e per lui,
soprattutto per lui.
Siamo una famiglia. E poi, avevo bisogno di parlarvi, perché
stanotte ho capito
che quel dottore.. io avrei voluto dichiararmi come suo marito. Non
come suo
fidanzato. Mi rendo conto che è assurdo. Che è
presto. Che Chris ha ventidue
anni, che deve fare le sue esperienze, e, soprattutto potrebbe dire di
no.
Potrebbe non volerlo fare. Io non intendo sposarlo domani. Voglio solo
che
sappiate che quel giorno potrebbe arrivare. Ed io ho bisogno che voi mi
diciate
che siete felici per me, prima di dirlo a lui.- Non parlò
tutto d’un fiato.
Misurò le parole, una ad una, cercando le più
adatte, scandendo le parole. E
tutti lo ascoltarono.
Darren
si torse le mani,
alla fine del suo discorso, mentre Mark ed Ashley scoppiavano a
piangere. Lea,
Amber e Cory si alzarono all’unisono, e corsero ad
abbracciarlo. E sorrise,
mentre i rimanenti applaudivano, perché sapere che loro
erano felici per lui,
in quel momento, era la cosa più importante del mondo. Cory
lo strinse
particolarmente forte, poi gli diede una pacca sulla pacca, sorridendo.
-Se
tratti male il mio
bambino ti verrò a cercare, nanetto, sappilo-.
Darren
sorrise,
sospirando. Tremava ancora per lo spavento, ma tutto
era passato. Tutto. E lui era lì. Chris era
vivo.
Chris
manteneva sempre le
promesse.
Un’infermiera
entrò nella
stanza, e chiese del ricciolo.
-Lei
è il signor Criss?
Il Dottor Robinson mi ha detto di dirle che può far visita
al signor Colfer,
adesso. Ma stia attento a non svegliarlo, deve riposare. Mi segua, le
faccio
strada.- Darren lanciò uno sguardo a Lea, e lei gli sorrise,
alzandosi in
piedi, e stringendogli la mano per alcuni secondi.
-Vai.
Ti Aspetta-.
***
Darren
mosse un passo
incerto verso il letto. Sotto una coperta blu, steso di schiena,
c’era l’essere
più bello che avesse mai visto.
I
suoi occhi si
illuminarono di nuovo, dopo ore. Per la prima volta da quella che
sembrava una
vita, sembrò di nuovo qualcosa che somigliasse vagamente ad
un essere umano.
Niente linee immaginarie su cui doveva camminare, nessun burrone,
nessun intoppo.
Solo lui e l’angelo addormentato davanti a lui.
Era
perfetto. Era
perfetto, anche con un livido enorme sulla guancia, gli occhi cerchiati
da
profonde occhiaie scure e la testa fasciata, i capelli disordinati e
quella
piccola smorfia sulle labbra. Darren si avvicinò lentamente,
tentando di non
fare rumore, e si accucciò al lato del letto, posando il
mento sul bordo del
letto, per poterlo
guardare bene.
Allungò
la mano verso la
sua, accarezzandola delicatamente, senza quasi toccarla.
Aveva
le ciglia
estremamente Chiare e bionde, la testa leggermente piegata nella sua
direzione,
le labbra schiuse nella loro smorfia di dolore. Una ciocca chiara
copriva l’occhio
destro.
Sembrava
un po’ un
bambino, con quella pelle così chiara e delicata, segnata
dall’incidente.
Riusciva
ad essere
stupendo Sempre.
Darren
avrebbe dato tutto
per sapere come facesse ad essere così.
Chris
splendeva, ovunque.
In qualunque situazione.
Riusciva
ad emergere
sempre. In tutto.
Darren
era abbagliato da
lui, ogni volta. Lo lasciava senza fiato.
Le
sue palpebre
tremolarono lentamente. Ed i suoi occhi, finalmente, si aprirono, alla
ricerca
di luce.
E fu Darren a vederla, la
luce, riflessa in
quegli occhi confusi.
Li
osservò mentre si
facevano curiosi, preoccupati, cupi, ed infine doloranti.
Tutto
era scritto nei
suoi occhi. Quegli
occhi. Specchi.
Darren
deglutì,
avvicinando un po’ il viso, mentre il suo pollice si muoveva
sulla mano dell’altro,
formando piccoli cerchi.
-Cosa
è successo?- Mentre
la mano libera del ragazzo si muoveva verso la gola, la sua voce
uscì in un
sussurro, gli occhi puntati in quelli di Darren. Sembrava
così indifeso e
confuso.
Nella
mente del ricciolo
passarono un’infinità di sensazioni. Dolcezza.
Rabbia nei confronti di chi lo
aveva ridotto così. Tristezza. Preoccupazione. Sollievo.
Gioia.
Tutto
quello che aveva
passato, ripetuto un’altra volta, per un secondo.
Aveva
così tante cose da
dirgli.
-Un
incidente. Un
incidente per niente piacevole.- Posò la mano sulla guancia
di Chris,
avvicinandosi piano.- Non farmi prendere uno spavento simile mai
più. Come
facciamo a sposarci se muoio d’infarto?- Sussurrò,
seriamente preoccupato,
avvicinandosi ancora. Le loro labbra erano così vicine.
-Darren..-
Darren
sbattè piano le
ciglia, e si allontanò velocemente, vedendo
l’espressione perplessa dell’altro.
-Io..
Chris, non devi
preoccuparti, di essere sgamato. Io.. ecco, ho detto al dottore di
essere il
tuo ragazzo. Di fronte a tutti. E.. beh.. – Si
grattò la testa, arrossendo.
Chris
ridacchiò,
facendosi sfuggire un colpo di tosse.
-Non
è.. Hai detto che
vuoi sposarmi, Dare. – La bocca di Darren si aprì
lentamente, fino a formare
una piccola ‘o’. Poi, si concesse di andare nel
panico.
-Io
non intendevo domani.
Cioè, se tu volessi, ti sposerei anche adesso, possiamo non
farlo, nemmeno tra
dieci anni, se non vuoi. Io.. – Chris lo fulminò
con lo sguardo, e Darren si
zittì.
-Avvicinati.-
Sussurrò
Chris. Darren aggrottò le sopracciglia, sporgendosi verso di
lui.
-Più
vicino.- Darren
continuò ad avvicinarsi.
Sembrava
passata una vita
dall’ultima volta che lo erano stati, così vicini,
così uniti, così.. così
loro.
-Stop,
- Mormorò,
bloccando le labbra dell’altro con l’indice, ad un
palmo dalle sue, -Aspettavo solo
che me lo chiedessi.- E tutto era sbagliato, lì, in
quell’ospedale, così freddo
e vuoto.
Ma
avevano tutto il tempo
del mondo, adesso. E, allo stesso tempo, sprecare secondi inutili
sembrava una
perdita di tempo ad entrambi.
Rimanere
in bilico non è
una bella sensazione. Ti lascia quel vuoto terribile nello stomaco, hai
la
sensazione di cadere ogni volta, e più la paura ti assale,
più mantenersi su è
difficile.
Ma
loro avevano trovato
un equilibrio così forte da non sentirsi più sul
filo del rasoio.
Non
erano in bilico, e
non volevano esserlo di nuovo.
Sarebbe sempre stato un sì. Per entrambi.
Angolo di Alis.
Era da un po' che non mi facevo vedere con una One Shot, ma ne ho una marea in programma v.v
Mi rendo conto che la proposta di matrimonio l'ho già scritta in un altro modo, ma amo scriverla in tutte le salse, lo ammetto.
Ovviamente, questa Shot è dedicata al Darren del Mio Chris.♥
So che all'inizio avete pensato di uccidermi, lo so. L'ho pensato pure io. Non è colpa mia, l'Angst prende possesso delle mie mani e della mia tastiera(?)
Per chi non lo sappesse, ho cominciato una Long, quindi, momento pubblicità occulta xD Questa è Breathe Me, dove c'è un Kurt con piercing e capelli verdi che vi aspetta con gli occhioni lucidi: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1134393&i=1
Per qualsiasi cosa, mi trovate su Twitter, Qui: https://twitter.com/GoodCrisser
E Su Facebook, Qui: https://www.facebook.com/Aliceclipseefp?ref=hl
E anche qui: https://www.facebook.com/chris.c.colfer.1
Se voleste farmi sapere cosa pensate della OS, o della long, sapete dove trovarmi. Sono aperta a qualsiasi tipo di parere, potete anche provare a tirarmi una ciabatta in testa tremite i vostri schermi, io sono qui, pronta ad ascoltarvi. E mi fa piacere farlo, sempre che voi ci siate ancora e non site scappati a gambe levate dopo le prime due righe della Shot v.v
Alis. ♥