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Autore: Minority    24/07/2012    2 recensioni
-Shh,- lo riprese l’altro –le parole rovinano tutto.-, e corse a nascondere il volto tra i suoi folti riccioli neri.
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Uno dei fratelli Armstrong disse che, una volta, Billie passò una mattinata ad insegnare a Mike a suonare: la mia testa ha razionalizzato la cosa ed ha partorito questa cacca c:
P.S.: mi scuso perché ieri sera ho erroneamente pubblicato questa fanfic senza il testo. Perdonatemi ç__ç
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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From the first day you came into my life
My time ticks around you.

 
Scivolò con le dita sicure sulle corde della chitarra, il volto corrugato per la concentrazione, e il biondino seduto sul letto davanti a lui tentò invano di concentrarsi sulla sua mano invece che sul suo volto, immensamente bello.
 
Gli faceva quello strano effetto dalla prima volta che lo aveva visto, nella caffetteria della scuola, mentre si sedeva al suo stesso tavolo, solitario e con un’espressione indecifrabile sul volto.
 -Ciao, sono Billie Joe- gli aveva detto, e poi aveva estratto il suo panino dalla valigetta di metallo verde (evidentemente di seconda mano) e lo aveva azzannato.
Mike aveva alzato gli occhi dal suo succo all’albicocca per qualche istante per osservare il bambino che gli s’era parato davanti: un cespuglio di riccioli neri e due grandi occhi color smeraldo. Poi non era più riuscito a riabbassarli, i suoi occhi.
 -Io sono Mike- aveva mormorato con un filo di voce.
Aveva sentito la mamma parlare con sua sorella del primo grande amore una volta, loro erano sedute sul letto e lui origliava da dietro la porta, gettando uno sguardo dentro di tanto in tanto per controllare che non si accorgessero di lui: “oppure amore è quando incontri qualcuno, qualcuno di cui non sai nulla, e, d’improvviso, ti pare di sapere tutto. Ti pare di aver appena scoperto il più grande segreto mai svelato”. Mike deglutì, imbarazzato perché gli pareva di aver trovato un riscontro delle parole di sua madre, imbarazzato perché la mamma, che era una femmina, amava il papà, che invece era un maschio; eppure a lui sembrava così ovvio che tutte le risposte del mondo fossero nascoste da quelle iridi così verdi!
 -E che fai, Mike?-
Il biondo si era obbligato ad inchiodare lo sguardo sul succo di frutta e si era messo a succhiare energicamente dalla cannuccia.
 -Bevo- aveva tagliato corto.
 -Lo vedo- e Billie Joe aveva azzannato il suo panino, mentre Mike continuava a trovare estremamente interessante la plastica colorata del succo.
 –Ti piace la musica, Mike?-
L’aveva interrotto di nuovo, ed era così carino per parlare con uno sfigato come lui: uno che vive con una famiglia adottiva perché non ne ha mai avuta una sua, uno che non è nessuno.
 -Si, mi piace. A te?-
 -Io suono la chitarra, Mike- aveva esordito il ragazzino.
Mike, quanto diavolo suonava bene il suo nome detto da quell’ammasso di riccioli?
 
Billie Joe alzò gli occhi dalla chitarra e sorrise all’amico, continuava a muovere le dita sulle corde, suonando note appena accennate.
 -Devi fare così, ok?- e cercò gli occhi di Mike per assicurarsi che avesse capito. Gli piacevano, quegli occhi dello stesso colore del cielo.
L’altro lo fissava trasognante, tra l’assorto e l’incredulo.
 –Chiaro, Mike?- lo richiamò sollevandolo dallo stato di trance in cui sembrava essere caduto. L’amico lo fissò imbarazzato per qualche istante e poi iniziò a suonare note a caso, torturando le povere corde.
 -Ehi, aspetta: è scordata- lo richiamo all’ordine Billie Joe. Mike sollevò gli occhi dallo strumento e si morse imbarazzato il labbro: non aveva ben capito cosa aveva detto quell’ammasso di riccioli con gli occhi da cerbiatto, ed una parte di lui aveva il terrore di aver sbagliato qualcosa; no, non poteva, non ora: davanti a lui doveva essere perfetto
 -Cosa hai detto?-
 -Si è scordata.- ripeté, e poi spiegò: -La chitarra, Mike:- e la indicò con un cenno del mento –la chitarra si è scordata.- Il biondo lo guardò preoccupato per una frazione di secondo, il tempo di permettere a Billie di riprendere a parlare.
 -Ma non è un problema, s’accorda.- lo tranquillizzò sorridendo.
Mike lo osservò, smarrito: eccoci, aveva fatto la figura dello sfigato. Non era giusto, non poteva, non voleva, lui…nel preciso istante in cui Billie Joe si sporse in avanti, verso di lui, per armeggiare con le chiavi della chitarra, il ragazzino perse ogni forma di facoltà mentale.
Sentiva il profumo pulito di Billie nelle sue narici, iniettato come lo spray per il raffreddore della mamma; sentiva quel profumo e qualcosa nel suo petto iniziava a galoppare all’impazzata, come il più imbizzarrito dei cavalli. Aveva la testa piena di pensieri confusi, si mischiavano alla rinfusa ed urlavano “BILLIE JOE!” da far venire il mal di testa.
Mike si mangiò le labbra per evitare di lasciare sfuggire fuori, in qualche strana forma, il contorto filo di pensieri nella sua testa che iniziava e finiva con il nome del tesoro che gli stava accordando la chitarra.
 
Billie si stava sporgendo verso Mike, la testolina ricciola decisamente vicina al suo petto, e doveva ammettere che la situazione gli piaceva: forse il fatto che era uno sfigato tanto almeno quanto lui, forse il fatto che gli piaceva la musica, c’era qualcosa in Michael che lo aveva rapito da subito, ed adesso si sentiva in soggezione, chino verso di lui ad accordargli la chitarra. Avrebbe voluto alzare gli occhi e cercare il suo sguardo, ma era troppo impacciato.
 
 -Ok, ci siamo- gongolò con un sorrisetto beota sulle labbra, un attimo prima di ritrarsi e di rotolare rovinosamente a terra stringendo la mano di Mike, in un pessimo tentativo di fermarsi che trascinò anche il biondino a terra.
 A terra con lui.
 A terra minacciosamente spalmato sopra di lui.
Il pensiero più intelligente che i due riuscivano a formulare era un poco articolato e fine “cazzo. Cazzo, e ora?” che non abbandonava le loro testoline.
Rimasero immobili a scrutarsi, un gioco fatto di occhi che si sfioravano, di azzurri e verdi che si mescolavano, di narici dilatate, di respiri affannosi e di gole che deglutivano spaventante. Spaventate perché, quegli attimi, in fondo, erano quello che volevano entrambi da chissà quanto tempo, quegli attimi che nelle loro menti avevano già vissuto con sicurezza talmente tante volte che trovarsi a viverli davvero li spiazzava.
 
 -Michael, io…io sc…- ma prima che potesse articolare frasi troppo sensate Mike gli tappò la bocca con l’indice destro, perché i pensieri razionali e le frasi che ascoltavano le regole della grammatica non erano adatte a quei momenti.
Il ragazzino rimase un attimo interdetto, l’indice sulla bocca di Billie mentre lui era intendo a mordersi le labbra immensamente fini. Non sarebbe mai stato all’altezza della situazione, all’altezza di Billie; non avrebbe mai fatto la cosa giusta, questo lo sapeva, quindi tanto valeva sbagliare.
Si spalmò ancor di più sul petto dell’amico, gl’infilò una mano nei capelli riccioli –quelli che aveva visto un milione di volte, ma mai così da vicino- ed avvicinò i loro volti fino a far sfiorare le punte dei loro nasi. Aveva il mal di stomaco, le farfalle che volevano disordinate sbattendo contro le pareti, aveva il cuore a mille, che batteva forte ed ansioso, ma più di tutto aveva paura. Tirò un respiro profondo, il più lungo e profondo della sua vita, ed inclinò leggermente il viso, il poco che bastava per far congiungere le loro labbra e far dischiudere quelle di Billie.
Non aveva chiaro come andavano quelle cose, cosa succedeva e cosa non succedeva, non sapeva cosa si provava in quei momenti, ma non riusciva a tenere a bada le sue emozioni e questo gli bastava. Sentì le braccia di Billie cingergli la vita, facendo aderire ancora di più i loro corpi, ed un brivido freddo gli percorse da cima a fondo la spina dorsale.
 Uno qualunque dei numerosi membri di casa Armstrong avrebbe potuto aprire la porta in qualunque momento e trovarli lì, avvinghiati sul pavimento e persi in un lungo bacio, e tutto quello che riuscì a fare fu far scivolare le braccia dietro al collo candido di Billie e tenerlo stretto a se per poi separare le loro bocche.
Cercò gli occhi di lui, alla disperata ricerca di approvazione, e li trovò sorridenti.
 
 -Ti voglio bene, Mikey- soffiò il piccolo Armstrong alitandogli sulle labbra.
 -Shh,- lo riprese l’altro –le parole rovinano tutto.-, e corse a nascondere il volto tra i suoi folti riccioli neri.
 
Minority’s corner (?)
In primis mi scuso molto per il problemino tecnico di ieri sera che ha portato a non pubblicare il testo di questa fanfic. Quando l’ho cancellata ho visto che aveva avuto sette visualizzazioni e mi sono vergognata come una ladra, si ^^
 
Comunque questa ff mi è venuta in mente dopo aver letto una citazioni di uno dei fratelli Armstrong (non la sto più trovando e non mi ricordo chi era, ebbene sì) che diceva che, una mattina,quando erano ancora piccoli, Billie passò tutto il tempo ad insegnare a Mike a suonare, e quando andarono da loro verso l’ora di pranzo Pritchard aveva imparato un paio di canzoni.
Da brava fan girl la cosa non mi è rimasta indifferente ed è uscita questa cosaccia.
Se volete tirarmi i cavoli avariati vi do l’indirizzo di casa mia ;)
 
Questa ff è per la mia migliore amica (che ieri partita per Londra e che già mi manca tantissimo), la ragazza più famelica di bike che io conosca (anche perché è l’unica che legge bike che conosco, ma questi sono dettagli ‘-‘).
Vabè, comunque voglio che si goda questa fanfic (che non è una gran cosa, ma va bene lo stesso), che si diverta a Londra e che sappia che le voglio bene :33
   
 
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