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Autore: MoonLilith    25/07/2012    8 recensioni
[...]
I miei occhi verdi si spalancano, e le parole mi muoiono in gola.
Davanti a me, c'è un ragazzo. Un ragazzo con la pelle ambrata, proprio come Makena. Ha i capelli scuri, corti e scompigliati. È un bel po' più alto di me, e i lineamenti sono squadrati, eppure non riescono ad essere duri, aggressivi. Gli occhi hanno un taglio a mandorla, anch'essi sono scuri e profondamente, terribilmente penetranti.
Mi sta guardando, e mi sento sotto inquisizione.
Io resto ormai a boccheggiare in silenzio, non so che dire.
Temo di aver fatto un errore. Forse Makena non ha un fratellino, ma un fratellone. Un fratellone che mi è decisamente familiare. E mi basta fare due più due: sapevo che il cognome di Makena fosse Lautner... Ma io non avrei mai pensato a quella famiglia Lautner.
È la prima volta che il mio sguardo incrocia il suo, e se ho avuto fatica a scostarlo dalla sua foto da bambino, mi è totalmente impossibile farlo ora, che ce l'ho a meno di un metro di distanza.
[...]
« Che razza di faccia di... » inizio a dire io, poi mi blocco. Lo sorpasso, scalpitando con gli anfibi sulla moquette. Makena inizia a seguirmi, da parte di lui mi pare solo di sentire una risata divertita, il che mi fa innervosire ancora di più. Entro in camera, raccolgo la borsa, ritorno verso il corridoio. Non do retta alla ragazzina che cerca di fermarmi.
« Che poi, a me Twilight fa pure cagare! »
[...]
Io gliel'avevo detto a mia mamma che tutto questo non era una buona idea.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Taylor Lautner
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IX - Punk Rock Princess

Ho fatto un sogno.

Un sogno fastidioso e tormentoso.

Vedo il volto di Taylor in mezzo ad una nebbia densa, violacea, fredda.

L'umidità della nebbia mi entra in gola, appena schiudo le labbra per chiamarlo.

La mia pelle è imperlata di bruma gelida.

La mia voce non viene fuori, la condensa pizzica le mie corde vocali e io riesco solo a tossire, infastidita.

Tossisco e tossisco.

Sento il viso che mi diventa rosso per lo sforzo, non riesco a respirare.

Lui mi guarda, con uno sguardo triste.

Uno sguardo che sembra urlare “Non posso”. Sembra proprio che mi stia dicendo che non può.

Non che non vuole, non che non ci riesce, ma che non può.

E io non capisco a cosa possa mai riferirsi. Ci provo ancora, a parlarci.

Una, due, tre volte.

Ma quella nebbia con le sue particelle di vapore acqueo orticanti e pungenti mi impedisce totalmente di parlare, di emettere qualsiasi tipo di suono.

Ho i polmoni pieni di questa roba schifosa.

In pochi istanti, velocemente, le mie palpebre infastidite si chiudono sugli occhi velati da lacrime d'impotenza.

E quando li riapro, pochi istanti dopo, mentre la tosse pare calmarsi, al posto di Taylor vedo un'altra figura.

Ha i capelli biondini, gli occhi azzurri, liquidi, brillanti.

Uno sguardo dolce, leggermente virato all'ingiù.

Improvvisamente la nebbia si dissolve, al suo posto scorgo un cielo azzurro che va tingendosi dei colori rosati e dorati del tramonto di Grand Rapids. O è quello di San Francisco?

Sento montarmi la rabbia in petto.

Nate mi sorride amorevolmente, ma io conosco quel sorriso.

È lo stesso sorriso che mi rivolgeva il giorno in cui mi ha rivelato di avermi tradita.

Dov'è Taylor?

Dov'è andato?

Cosa ne hai fatto?

« VATTENE! » tuono io, improvvisamente, ricolma di rabbia velenosa.

E di ansia. Di paura.

Mi guardo intorno, e Taylor non c'è.

Perchè non sono riuscita a parlargli?

Perchè sono riuscita a gridare, urlare con tutta me stessa e con tutta la mia rabbia verso Nate, ma non ce l'ho fatta a dire mezza parola a Taylor?

Nate mi si avvicina sempre di più, tendendomi le braccia, per stringermi a sé.

L'ultima cosa che faccio è chiudere gli occhi, stretti, e urlare quel nome, quel nome che ormai sembra essere inciso nella mia mente, ma che dovrei solo dimenticare con tutta me stessa.


Inciso.


E' la parola giusta.

È come se un taglierino affilato avesse scritto quel nome nella mia mente, dolorosamente, affondando la lama nella mia carne e nella mia anima.

E ora non va più via.

È inciso a fondo.

Non riesco a togliermelo dalla mente, non lo posso cancellare, non posso non pensarci.

L'incisione non si rimarginerà. E se lo farà, resterà la cicatrice.

I miei occhi verdi fissano il soffitto della stanza in cui dormo da ormai un bel po' di giorni. Ho perso il conto. Mentre cerco il coraggio di alzarmi, dopo un sogno del genere, passo la mano sul viso continuando a ripetermi che io sono qui per Makena. Solo per Makena. Il resto non mi interessa.

Mi alzo lentamente, guardandomi un attimo allo specchio per cercare di mettere in ordine i capelli, prima di dirigermi verso il bagno e lavarmi.

Da quand'è tornato, non mi ha davvero parlato più.

Ogni sguardo fugace che per un motivo o per un altro proprio non riesce ad evitare o a controllare mi schiaccia come un macigno.

In questi giorni mi sembra di aver dimenticato cosa significa respirare umanamente.

È come se il mio cuore fosse avvolto da un sacchetto di plastica, chiuso ermeticamente, e man mano l'ossigeno va a consumarsi. Ad ogni respiro. Lento ed inesorabile. La plastica si gonfia d'ossigeno, poi appassisce, sempre più flebilmente.

Quella che era diventata quasi una bella sensazione, stare in questa casa, ora mi sembra una tortura, una prigione.

Non è la casa. Non è il mio letto. Non è Makena.

È dover distogliere lo sguardo quando gli passo di fianco, per non rischiare che quella busta che avvolge il mio cuore vada a stringersi, soffocandolo.

È dover sentire il suo profumo, quel diavolo di meraviglioso profumo, rubandolo fino all'ultima, piccola scia, come una ladra, quando mi passa accanto.

È vedere esplodere il suo sorriso, a tavola, ma che non è mai rivolto a me.

Vorrei che quel sorriso fosse mio.

Mi riscopro egoista, infantile, capricciosa.

Guardami.

Sorridimi.

Parlami.

Urla rabbiose, nervose, deliranti.

Silenziose.

Interne.

Niente di tutto questo.

Io e Taylor non parliamo più.

Non scherziamo più.

Makena l'ha notato, lui non entra nella sua stanza quando ci sono io.

Quando siamo tutti insieme a pranzo o a cena sento lo sguardo della ragazza su di me, studia il nuovo non-rapporto tra me e Taylor.

Oltre al divertentissimo non-rapporto poi, quello che m'innervosisce più di tutto in questi giorni è sicuramente la fastidiosa e petulante presenza di Nate.

Che miscelata al nervoso e al dolore provocato dalle imminenti mestruazioni, crea un cocktail altamente pericoloso. Basta una scintilla, e tutto esplode. Sudo, ho sbalzi d'umore incredibili, oggi ho un mal di testa allucinante.

È per questo che quando sento, durante la cena, che Taylor domattina sul presto partirà di nuovo, per il Comicon di San Diego, mi sento quasi sollevata.

Sono confusa, la mia mente è una matassa aggrovigliata, di pensieri che sono fili di lana colorati. Un ammasso allucinante, che io provo di tanto in tanto a sbrogliare. Ma se cerco di liberare un filo, dall'altra parte la matassa si comprime ancora di più, e tutto diventa più stretto, più confuso, e mi fa male la pancia, e la testa, e mi...

« Lily? »

Sussulto.

Makena è in piedi, china su di me, coi capelli biondi che scendono morbidi oltre le spalle, gli occhi cioccolato sgranati a fissarmi, lievemente preoccupati parrebbe.

« Sì? » chiedo io, a bassa voce.

« Hai finito la cena? Hai fissato il tuo piatto tutto il tempo... » borbotta lei, la fronte corrugata.

« Ah, sì sì. » mormoro, allontanando il piatto, mentre mi alzo. Il mio sguardo si solleva, e improvvisamente mi accorgo della presenza di Taylor, poggiato col bacino contro il bancone della cucina a mangiare una pesca, le gambe incrociate e il braccio sinistro piegato sul torace, il destro a portare il frutto alle labbra. Istintivamente lui nota il mio sguardo, e i suoi occhi guizzano verso di me. Trasalisco, sgranando appena i miei e scostandoli velocemente.

È così. È sempre così.

È un continuo guardarci, trattenere il fiato, costringerci a distogliere lo sguardo.

Dio, è stressante.

« Non ho più fame, Makie. Vado a letto. » le dico, accennando un sorrisino, e quasi non finisco la frase prima di girarmi verso la porta della cucina.

« Lily, aspetta! Non ti andrebbe di vedere un film con noi? » mi chiede Makena, in uno slancio di entusiasmo.

Mi volto a guardarla, e mi pare di scorgere un impercettibile movimento del capino, mentre mi guarda a labbra strette. Cosa sta cercando di fare?

Che si sia accorta che c'è qualcosa che non va è ovvio.

Se ne saranno accorti tutti.

Tra me e lui era un punzecchiarsi continuo, e ora a stenti ci guardiamo.

Sta cercando forse di riavvicinarci? Di fare qualcosa per risolvere la situazione?

La guardo, guardo il suo visino in cui rivedo gli occhi di Taylor.

Almeno i suoi occhi posso guardarli senza dover fuggire, come se fosse proibito.

Sospiro, scrollando le spalle, quindi mi trascino verso il divano.

Non so con quale coraggio Makena abbia voglia di stare con due soggetti che si lanciano saette di tensione ogni momento.

« Cosa vediamo? » chiedo, andando a sedermi sul divano, accanto al bracciolo.

« Che ne pensate di Kill Bill? » chiede Makie, voltandosi prima verso di me e poi verso Taylor, che anche lui sembra trascinarsi controvoglia verso di noi.

« Bello! » esclamiamo all'improvviso in coro, nello stesso istante, io e Taylor.

Inevitabilmente i nostri sguardi s'incontrano un attimo, prima che ognuno di noi vada a cercare disperatamente una qualsiasi minima distrazione, che possa attirare tutto il nostro interesse.

Basta, Lily.

Adesso non lo guardi più.

Altrimenti stasera su sto divano ci rimani secca.

Makena sorride beffarda, con un'espressione troppo eloquente per i miei gusti, prima di andare a inserire il DVD nel lettore della grande TV fissa al muro, a pochi passi dal divano bianco.

Io resto rintanata nell'angolino vicino al bracciolo, e così sembra avere intenzione di fare anche Taylor dalla parte opposta, visto che Makena va a sedersi tra di noi comodamente, dopo aver spento le luci del salotto e aver riempito una coppa di popcorn.

Dan e Deborah sono già saliti su a dormire.

Restiamo in silenzio mentre la famosa colonna sonora di Kill Bill riempie la stanza, e la TV illumina i nostri volti immersi nella sua contemplazione.

Con questo schermo così grande, la casa buia e il silenzio totale al di fuori del film, praticamente mi dimentico di essere in compagnia, in sua compagnia, e inizio lentamente a rilassarmi.

Sprofondo nel divano tanto che ormai sembro una macchia nera – dovuta al vestito che indosso – spiaccicata sull'angolo, una macchiolina fastidiosa e ostinata.

Il film va avanti tranquillo, mentre Makie di tanto in tanto si lancia insieme a Taylor in qualche commento su questa o quella scena, o sulla recitazione dei protagonisti.

Io me ne resto buona in silenzio, anche perchè sono completamente all'oscuro delle tecniche recitative che sembrano conoscere i due, non saprei cosa dire o come intervenire.

Ad un certo punto però i commenti di Makena cessano lentamente. Mi volto a guardarla, e mi accorgo che è sprofondata in un placido sonnellino sul divano.

Questa ragazza non regge una serata film, non me la immagino in una discoteca.

Sospiro, cautamente, e senza neanche guardare se Taylor sia sveglio o meno mi alzo per allontanarmi verso la cucina e il frigo, alla ricerca di qualcosina da buttar giù nello stomaco prima di defilarmi e andare a dormire.

Con i piedi scalzi cammino quatta quatta verso il frigorifero, cercando di non fare eccessivamente rumore col rischio di risvegliare la biondina ed essere costretta a rimanere seduta sul divano fino alla fine del film, nonostante ammetto che mi stesse anche piacendo.

Ma il pericolo di venire a stretto contatto con Taylor è fin troppo alto, e al solo pensiero io mi innervosisco, quindi è il caso che mi eclissi.

Afferro una pesca da dentro una coppa colorata in frigo, lanciandola leggermente in aria un paio di volte. Quindi lo chiudo e l'avvicino alle labbra, per addentarla, mentre mi volto per potermi allontanare.

Ma un sussulto improvviso mi scuote.

La pesca cade a terra, a causa dell'eccessivo tremore delle mie mani.

Taylor è poggiato contro il bancone, come al suo solito quando passa dalla cucina per mangiare qualcosa.

Ma questa volta non addenta nulla.

È fermo, le braccia incrociate al petto. E mi guarda.

Anch'io lo guardo.

Con gli occhi fatti enormi dallo stupore e la paura, le labbra schiuse, il cuore che galoppa.

La t-shirt nera è aderente sui suoi pantaloni neri, da tuta, che usa per dormire. Sono a vita bassa, e io mi ritrovo ad osservare come scendono a posarsi sui suoi muscoli color caramello, esattamente come il cotone della maglia mentre va tendendosi sui pettorali e sui bicipiti.

Ritorno con lo sguardo su di lui, restando in silenzio.

« Te ne stavi andando? » mi chiede, schiudendo appena le labbra per parlare. Quelle labbra carnose che non troppo tempo fa hanno avuto il coraggio di suggellare un lembo della mia pelle, bramose, prima di ritrarsi e diventarmi proibite.

« Che t'importa? » sibilo io, socchiudendo le palpebre, infastidita.

Sì, sono molto infastidita.

Perchè mi rivolge la parola in questo momento, per chiedermi una cosa così stupida.

Perchè mi guarda e mi emoziono.

Perchè vorrei fuggire da qui eppure i miei piedi non riescono a staccarsi da questa dannata mattonella.

« M'importa perchè aspetto che ti levi dal frigo, anch'io ho fame. » risponde, biascicando le parole a bassa voce, distogliendo poi lo sguardo altrove.

Io sgrano di più gli occhi, corrugando le sopracciglia, amareggiata e stupita.

« Dobbiamo parlare. » incalzo allora io « E visto che sei qui di tua spontanea volontà, mi sembra il momento ideale per... »

« Ho capito, me ne vado. Buona notte. » risponde subito lui, sollevando il sedere dal bancone e voltandomi le spalle per andare via.

« Taylor, asp-- » inizio a dire io, compiendo velocemente, tremante, due passi verso di lui.

Col mio già instabile equilibrio vado a mettere i piedi proprio sulla pesca che mi è caduta poco prima, perdo il controllo dei piedi che cerco di controllare all'inizio, ma che contribuisco solo a intrecciare ancora di più. Trattengo il fiato con un sussulto rumoroso, andando a cadere in avanti.

Chiudo gli occhi, e subito dopo sento un brutto tonfo a terra.

Ma non è il mio corpo.

Apro gli occhi, e realizzo che Taylor si è voltato nell'ultimo momento in cui gli stavo arrivando addosso, e pensando ad afferrarmi per non farmi cadere non ha controllato neanche i suoi, di piedi, capitolando a terra.

Lo guardo, in silenzio, mentre lui digrigna i denti infastidito dalla caduta, portando la mano destra a massaggiare la testa... e io non faccio che diventare sempre più terribilmente paonazza.

Quando anche lui si rende conto della posizione in cui ci troviamo spalanca gli occhi, che vanno lesti a cercare i miei.

Resto ferma, a cavalcioni su di lui, le mani poggiate sul suo petto. Le gambe aperte sui suoi fianchi.

Lui fa per alzarsi a sedere, ma resta mezzo sollevato, impuntandosi sui gomiti.

Ho il corpo in fiamme.

Ho il cuore che sta esplodendo.

Mi mordicchio nervosamente il labbro inferiore, mentre il mio torace si alza e si abbassa, veloce.

Il livello di calore che sta raggiungendo la mia pelle è così alto che mi sembra di avvertire come milioni di minuscole punture di spillo nella zona delle guance.

Il suo sguardo, da attonito che era all'inizio, sembra diventare assorto, con una nota di sofferenza, mentre mi guarda.

Lo interpreto come un'esternazione di disagio, quindi abbasso gli occhi e faccio per scostarmi da lui.

Ma è la presa salda e improvvisa e terribilmente calda della sua mano sul mio braccio che mi impedisce di allontanarmi. Sgrano gli occhi, torno a guardarlo.

Il fiato è corto, il cuore mi muore in gola.

Guardo alla mia destra, verso il salotto, ma la penisola della cucina oscura completamente le nostre figure. Dovrebbero fare il giro per avvicinarsi al frigo, per vederci.

Intanto la sua mano sale, lungo il mio braccio, verso il collo.

Dio, fa che quest'attimo duri il più possibile.

Cosa sto pensando?

Cosa diavolo sto pensando?!

« Tornerai a San Francisco? » mormora lui, all'improvviso, con una voce flebile, discreta, roca.

Mentre la sua mano va a sfiorarmi il viso, prima di intrecciare una ciocca di capelli rossi tra le dita, e portarla dietro l'orecchio, lentamente.

« No. » mormoro piano, guardandolo. Stranamente la mia voce è ferma.

Non sono mai stata così poco loquace.

E io non sono già una che parla tanto, di certo.

Resta in silenzio, a giocare qualche istante coi miei capelli, prima che la mano torni a sollevarsi, e poggiarsi sulla mia nuca.

Sento una pressione leggera, che m'invoglia ad avvicinarmi a lui.

« Ti piace quel tipo? » mi chiede ancora, mentre io osservo un paio di labbra invitanti e carnose che si fanno sempre più vicine, lente.

Scuoto semplicemente il capo, chinando poi lo sguardo, in segno di risposta negativa.

Ovviamente lui non sa chi sia Nate per me.

Non ne ha idea.

Ed effettivamente non gli ho detto una balla, Nate non mi piace.

Ma l'ho amato con tutta me stessa, fino a non troppo tempo fa.

Le mie mani si aprono sui suoi pettorali, accarezzandoli appena.

Quando lui è ormai vicinissimo, queste vanno a stringere lievi due lembi di stoffa nera.

Intanto si mette completamente a sedere, e io indietreggio appena per permettergli di star seduto comodamente, mentre l'altro braccio con cui faceva perno a terra si solleva. Dopo poco sento il tocco della sua mano sulla mia coscia, scoperta a causa del vestito che in quella posizione è andato inevitabilmente a sollevarsi.

Sento i suoi polpastrelli affondare appena nella mia pelle, mentre lenti ne percorrono la lunghezza, infiltrandosi al di sotto della stoffa in cotone nero e risalendo, puntando ai fianchi.

Non respiro più.

Non mi ricordo cosa significa respirare.

Morirò qui, adesso, di apnea.

O di troppo batticuore.

Perchè le sue dita mi sembrano roventi, e il mio cuore reagisce impazzendo ad ogni tocco, che sembra procurarmi come tante piccole scariche elettriche, mentre lo guardo e mi perdo drogata da quegli occhi.

Schiudo le labbra, in un gesto naturale e involontario, nonostante lui nel momento in cui è più vicino vada a deviare il suo percorso, chinando appena lateralmente il capo e sfiorandomi la pelle con la punta del naso.

Quando questo arriva a toccarmi i capelli, vicino al collo, lui ispira a fondo, e io sento i suoi polmoni gonfiarsi del profumo della mia pelle e dei miei ciuffi color fragola, e le sue ciglia sfiorarmi la pelle come la carezza di ali di una farfalla.

« Ti prego Lily, allontanati. » mormora in un soffio, quasi strozzato, e il suo fiato è caldo e piacevole sul mio collo, come se avesse anche paura di pronunciare quelle parole, come se gli costassero un sacrificio immane.

Come se io potessi allontanarmi.

Non voglio.

Non posso.

Mi tiene stretta, non posso muovermi.

Quelle parole mi colpiscono come una saetta.

Mi colpiscono e mi confondono perchè quel tono di voce, quella che è una richiesta più che un ordine, mi fanno sobbalzare il cuore, già di per sé agitato vista la vicinanza dei nostri corpi.

Il suo sguardo sembrava quello di un cucciolo. Per un attimo, mentre lo guardavo, la sua espressione sofferente mi è sembrata solo terribilmente indifesa. Come quella di un ragazzino spaesato e confuso da una situazione del genere.

Spalanco appena gli occhi, sollevando la destra a poggiarla sul suo viso, reso ispido da un filo di barba incolta.

È la prima volta che gli tocco il volto.

La sua pelle è più morbida di quanto pensassi, a parte la barba.

« Taylor, io... » inizio a dire, in un soffio tremante, cercando di ritrovare il suo viso di fronte al mio.

Lui si volta verso di me, sgranando appena gli occhi, come se avesse paura di sentire quello che ho da dirgli. Come se avesse paura che la situazione possa sfuggirgli di mano.

« Ragazzi? Siete qui? Va tutto bene? Ho sentito un tonfo... » la voce di Makena va a spezzare il silenzio nella stanza, e la mia frase, con aria strascicata e arrochita dal sonno.

Con un sobbalzo improvviso entrambi ci allontaniamo l'uno dall'altro, velocemente, guardandoci stralunati, come se fino ad un attimo prima fossimo drogati.

Mi sento il viso bruciare.

Sento che sto per evaporare.

Taylor si alza in piedi, schiarendosi prima la voce e poi andando a sospirare.

« Ah, Makie, ti abbiamo svegliata? Scusaci, ci era caduta una pesca sotto il mobile e... » inizia a dire lui, farfugliando nel modo più convincente possibile – e grazie al cielo gli riesce anche bene – la prima cosa che gli viene in mente.

Quindi io afferro la pesca, la pesca galeotta a terra, andando a rialzarmi lentamente.

« Ah, eccola, l'ho trovata. Scusa se ti ho rotto le scatole per cercarla. » aggiungo io, ma in modo abbastanza macchinoso e nervoso. Mi volto immediatamente a raggiungere il lavandino e lavarla, per impedire a Makena di guardarmi negli occhi, con una probabilità certa di comprendere il mio stato d'animo attuale.

La ragazzina va a posarsi sulla penisola, la stessa penisola che per qualche istante ci ha celati e isolati dal mondo.

Mentre lavo la pesca, scuoto impercettibilmente il capo.

Cos'era quello?

Cos'era quello sguardo?

Cos'erano quelle parole?

Perchè mi ha toccata?

Perchè mi ha detto delle cose del genere, perchè mi ha fatto quelle domande?

Si diverte a prendermi in giro?

Forse si diverte davvero a mettermi in difficoltà?!

Le mie mani continuano a strofinare velocemente la buccia liscia della pesca, che ormai è perfettamente lavata.

Ma lo scorrere dell'acqua sulle mie mani se non altro sembra calmare i bollori provocati dal tocco di Taylor.

Dio, lo odio.

Si diverte.

Ci prova un malsano divertimento a farmi stare così male.

« Tay, a che ora è la partenza domani? » sento chiedergli Makie. Lui è ritornato a posarsi sul bancone vicino alla cucina.

« Presto, verso le otto devo essere già per strada verso l'aeroporto. » risponde lui, con voce sommessa.

« Oh, allora è il caso che ci salutiamo ora? » chiede lei, con una palese incrinazione triste nella voce.

Lo sento sorridere, e trattenere poi una risatina.

« Ovviamente no, verrò a disturbarti nel sonno! » esclama lui, allegramente.

Io stringo le labbra, livide.

Domani se ne va di nuovo.

Ovviamente non verrà a svegliare me per salutarmi, come invece farà con sua sorella.

Sento gli occhi pizzicare, infastiditi, e un groppo in gola.

Cazzo, no.

Che rabbia.

« Beh, è ora che io vada a dormire. Buona notte. » dice lui, in un modo un po' generico, sia verso di me che verso sua sorella, scostandosi dal bancone.

Non ho intenzione di aspettare che lui torni nella sua camera, per salire nella mia.

Non ho intenzione di guardargli la schiena e vederlo allontanarsi di nuovo.

E non ho intenzione di restare qui alla mercè della curiosità di Makena.

Voglio stare da sola.

Chiudo con uno scatto furente il lavandino, scrollo l'acqua in eccesso dalla pesca, e velocemente mi volto, accennando un “'Notte” e passo davanti ad entrambi, con un passo così svelto che sfiora la corsa, diretta in camera mia.

Passo accanto a Taylor, sento il suo profumo.

O le mie narici e la mia mente sono rimaste impregnate di lui sin da prima?

So solo che fa male.

Questi sbalzi umorali, fanno male.

Lui viene, va via. Mi tratta male, mi dice che non vuole parlarmi, mi guarda con uno sguardo gelido.

Poi mi accarezza, e i suoi occhi sembrano quelli indifesi di un bambino, e mi prega di allontanarmi da lui con una voce così terribilmente dolce che...

« Basta! » grugno a me stessa a denti stretti, chiudendomi la porta della mia camera alle mie spalle.

Cerco di bloccare quel flusso incessante di pensieri.

Non posso continuare così.

Non posso.


*


Taylor è ovviamente partito senza salutarmi.

Io non l'ho neanche visto.

È sgattaiolato via in silenzio, passando proprio davanti alla mia porta, proprio ad un'ora in cui, dopo una notte insonne, io devo essere piombata in un sonno infastidito.

Mi sono imposta di non andare a cercare nulla su di lui su internet, anche se la voglia inizia a farsi così forte da essere incontrollabile.

Le mie mani vorrebbero digitare il suo nome e saziare la traboccante curiosità che a volte mi fa sentire davvero un idiota.

Cosa mi sta succedendo? Non sono mai stata così.

Non voglio diventare una stalker.

Non voglio diventare come Barbara.

È per questo che finora avevo deciso di non dire nulla a Taylor, di lasciare le cose com'erano. Per non passare per la pazza scatenata che s'era illusa di poter costruire un minimo rapporto con un tipo come lui. Con una creatura splendente.

Se fossi più petulante nei suoi confronti, io lo so, lo spaventerei.

Avrebbe paura di avere una pazza isterica come quelle che lo seguono ovunque proprio in casa sua, a due camere di distanza.

Perciò non ho parlato, e ho pensato mi stesse bene.

Ho pensato che mi sarei abituata alla cosa.

Non mi sono abituata.

Va sempre peggio.

« Vieni, Lily! Sta per iniziare! » esclama giuliva Makena, mentre dal tavolo in cucina mi trascina per il braccio verso il salotto. Deborah è seduta sul divano, davanti alla TV, dove va a sedersi anche Makena. Io preferisco restare poggiata sul mobile dietro al divano, alle loro spalle, per sgattaiolare al primo momento utile.

So bene che giorno è oggi.

Makena non ha fatto che parlarmene da quando Taylor è andato via.

Conosco il Comic-con di San Diego da anni, e ci sono anche stata, viste le mie grandi passioni da nerd come i giochi di ruolo online e i fumetti.

Ma quest'anno è diverso, perchè avrò l'onore di osservare l'evento dal punto di vista della mammina e della sorellina di Jacob Black, il licantropo sfigato di Twilight, visto che ci sarà la presentazione di Breaking Dawn – Parte 2. E che culo!

Assottiglio le palpebre, pronunciando appena le labbra in avanti, mentre in TV iniziano ad essere trasmesse le prime immagini in diretta dell'evento.

Come se m'importasse.

Onestamente, cosa me ne frega?

Resto poggiata coi gomiti sul mobile, mentre Makie e Deb iniziano a lasciarsi andare in commenti divertiti sulle fan in calore che aspettano come tante pazze Taylor, agitando convulsamente striscioni, cartelli, bandiere, cellulari, tette.

Magari qualcuno pensa di poter fare colpo su di lui con le tette.

Poggio il capo sul palmo della mano destra, annoiata.

Intanto i tre arrivano, e inizia la serie di immagini della folla in visibilio, gente che urla, che si strappa i capelli, che piange, che cerca di afferrarli.

Poi dicono che io sono strana perchè leggo Edgar Allan Poe.

Il mio sguardo si posa su Taylor, sul suo sorriso smagliante, sulla camicia che – Dio, avrebbe potuto comprarla di una taglia più grande!

Porto un attimo la mano destra a coprire gli occhi, sospirando in silenzio.

« Guarda che bello che è Tay! » esclama Deb, ridacchiando.

« Perchè, Rob ti sembra brutto?! » mormora Makena, in palese contemplazione di Robert.

« Makie, lo sai che Robert e Kristen stanno insieme, non fare la furbetta, lei è una così brava ragazza! » esclama Deborah con fare perentorio.

Io le guardo, da dietro le loro spalle, con le sopracciglia inarcate.

Parlano di attori di fama mondiale come io potrei parlare del mio vicino di casa camionista.

Tutto ciò ha un non so che di tragicomico.

« Ahh! Ecco l'intervista di MTV! » esclama Makie, alzando il volume.

Sollevo di nuovo lo sguardo verso la TV, dove ci sono i tre protagonisti seduti, a destra dello schermo rispetto all'intervistatore.

Ascolto con poca attenzione le domande che vengono poste ai tre, anche perchè del film me ne importa meno di niente, ma piuttosto concentro il mio sguardo su Taylor.

Resto in silenzio, ascolto le domande dell'intervistatore.

Oh, adesso muove il piede destro su e giù. È in ansia.

Si sta mordicchiando appena il labbro inferiore. Sta pensando a cosa dire.

Adesso inizierà anche a tormentare le pellicine alle unghie, perchè lo fa sempre quand'è nervoso o quand'è costretto a rimanere fermo, senza la possibilità di alzarsi e occupare le mani e il tempo in qualcosa.

Assottiglio le palpebre.

Vedo i suoi indici iniziare a tormentare la matrice delle unghie dei pollici, distrattamente.

Eccolo lì.

Le mie labbra s'arricciano in un sorrisino enigmatico, soddisfatto.

Mi fa ridere riuscire a identificare ogni suo gesto, ogni sua espressione. Addirittura prevederle.

E io lo vedo, quel sorriso.

Quello non è il suo vero sorriso.

Quelle labbra che larghe scoprono i suoi denti bianchi, solari e allegre, sono solo una minima parte dell'espressione che è in grado di regalare Taylor, quand'è realmente genuina.

Io l'ho visto, il suo vero sorriso.

Ed è così forte che sembra un raggio di sole che vuole squarciarti il torace, e rubarti il cuore, e farlo suo, facendolo diventare dorato e scintillante.

Chino lo sguardo; il mio, di sorriso, è sparito.

Lentamente, silenziosamente, mi stacco dal bancone, avviandomi verso le scale che portano al primo piano.

Credo di non essermi mai sentita così lontana da lui.


*


« Una cena?! » esclamo, sgranando gli occhi, verso Makena.

Siamo nella sua camera, intente a studiare i movimenti e i cambiamenti della crosta terreste, con conseguenti modifiche al globo.

Lei, ad un tratto, se ne vien fuori con sta storia della cena.

Sono passati due giorni dalle interviste al Comic-con di San Diego, e ancora non so come non ho ceduto ad andare a cercare info su Taylor tramite Google.

Non voglio diventare così idiota.

E poi, perchè dovrei cercarle?

A me non me ne importa un fico secco di lui!

« Sì! Questa sera. Taylor torna a casa, e mia mamma ha organizzato una cena per festeggiare l'uscita del primo sneak-peek di Breaking Dawn. Mia mamma organizza davvero delle belle feste! » mi spiega la ragazzina, passando distrattamente le dita tra i lunghi ciuffi di capelli morbidi. « Ci sarà gente importante, amici di papà e di Taylor! » aggiunge poi con fare emozionato.

Io inarco un sopracciglio.

« Beh, allora io torno a casa mia per stanotte. » sbotto con una scrollata di spalle noncurante.

« Ma che dici, Lily?! Ne devi approfittare! È la tua occasione! » esclama lei, alzandosi entusiasta e saltellando verso l'armadio. « Ti farò diventare un sacco glamour... e vedrai Taylor come resterà di stucco! » esclama ancora, maliziosa, aprendo due delle quattro grandi ante e iniziando a rovistare all'interno.

Io la guardo annoiata.

« Glamour? E che vuol dire? » borbotto, sospirando.

Poi spalanco improvvisamente gli occhi, realizzando la sua battutina su Taylor.

« COSA?! » sbotto, alzandomi nervosamente in piedi. « No no no no no, Makena, no! Non se ne parla! E che c'entra Taylor? Qualsiasi cosa c'entri con Taylor non va bene! » esclamo, scuotendo il capo rosso. « Preparo la roba per andarmene! » aggiungo subito, voltandomi verso la porta.

Makena mi corre dietro, e mi afferra per un braccio.

Mi volto verso di lei, che mi piazza davanti agli occhi un vestito.

« Lily, fidati di me, e ti farò diventare una principessa! Rimarranno tutti estasiati... soprattutto mio fratello! E magari riuscirai a parlarci! » esclama Makie, con tono convincente.

Io la guardo, alternando lo sguardo tra lei e il vestito, con aria affranta.

Non voglio deludere Makena.

Ma non me la sento.

E poi quel vestito è... è...

« Ma Makie, questo vestito è verde! » esclamo, lagnosamente.

« Esatto, è verde petrolio, un colore che si sposa alla perfezione con te e i tuoi capelli! A me non sta tanto bene e non lo metto mai, ma tu sarai bellissima! Ti prego, Lily! » continua a dire lei, accennando un saltello impaziente.

Dopo averla guardata ancora, insicura, alla fine annuisco.

Lei lancia un urletto di gioia, e mi abbraccia.

Credo che sia entusiasta soprattutto del fatto che sarò totalmente alla sua mercè nelle prossime ore, fino a stasera, e si divertirà a conciarmi come vuole.

Tanto peggio di così come potrebbe andare?

« Vado a fare la doccia, allora. » borbotto, voltandomi e uscendo dalla stanza, verso il bagno.

Cammino lenta, come se volessi perdere tempo.

Mi soffermo particolarmente sulla porta della camera di Taylor.

Sospiro, mi avvicino a leggere gli stickers. Alcuni sono così vecchi che sono scoloriti, in parte strappati, coi colori alterati.

Chissà come sarà, la sua camera?

Sarà un tipo disordinato? O magari un perfezionista?

Piuttosto che cercarlo su Google, preferisco scoprirlo da me.

Sollevo la mano destra, a sfiorare gli stickers che chissà quando avrà incollato su quella porta.

Poggiando la mano, però, mi rendo conto che questa si muove sotto al mio tocco. Osservo la serratura, e realizzo che la porta è aperta.

Trattengo il fiato, sgranando appena gli occhi.

È un segno del destino?

Taylor potrebbe tornare da un momento all'altro, ma quello spiraglio misterioso è troppo, troppo invitante perchè io lo ignori.

È come se emanasse una luce particolare.

Sono fuori, lo so.

Con la mano sulla maniglia, vado a spingere la porta, lentamente, ed entro non appena il mio corpo è in grado di passare.

Mi guardo intorno, nella sua camera, con curiosità.

Mi sento una ladra.

Un'invadente.

Una molestatrice di camere da letto.

La moquette è blu scuro, le pareti sono beige, illuminate dalla luce solare che penetra dalla finestra.

Mi avvicino subito ad una libreria, con due ripiani completamente dedicati a coppe e trofei di ogni tipo. Le osservo bene, ne leggo le targhe, tutte riconducenti a tornei di Karate, Arti Marziali mai sentite, o gare sportive del Liceo.

Vedo anche degli awards ricevuti dopo l'uscita dei film della saga di Twilight. Lentamente avanzo, con la libreria alla mia sinistra, verso il letto.

Sul comodino vi è poggiato un orologio, l'abat-jour blu e un libro di Chuck Palahniuk. Non posso fare a meno di commentare la cosa tra me e me, in silenzio, con una smorfietta compiaciuta.

Sulla destra della stanza, vicino alla finestra, vedo la scrivania, piena di libri, quaderni e CD sparsi, con il portatile di Taylor chiuso, spento.

Cammino accanto alle sue cose, al suo Kimono appeso, e lo sfioro con la punta delle dita. Alla scrivania, delle foto in vari portafoto diversi colpiscono la mia attenzione.

In una è piccolino, con Makena, e dietro di loro un albero di Natale. In un'altra è insieme a Kristen Stewart e Robert Pattinson, sul set di Twilight.

In un'altra ancora...

Chi è questa ragazza?

Prendo tra le mani la foto, l'osservo bene.

Lei ha un viso minuto, lo sguardo chiaro, vispo, le sopracciglia forte e ben delineate, dei capelli lunghissimi, lievemente mossi naturalmente, più chiari sulle punte. Sembrano morbidissimi.

Il vestito aderente le fascia il corpo snello e allenato, mettendo in evidenza le sue curve, che non sono comunque eccessive.

Lui è vestito in giacca e cravatta, la guarda e sorride.

Credo si stiano tenendo per mano, ma non riesco a capirlo, essendo le mani celate dietro al corpo di lei.

È bellissima.

È così... Makena ha detto “glamour”, se non sbaglio.

Non so cosa voglia dire esattamente nel loro mondo da creature splendenti, ma mi sembra si addica perfettamente a lei.

A loro.

Mi mordicchio il labbro inferiore, tormentandolo coi canini, continuamente.

Stringo la foto tra le mani qualche istante, osservo ancora la ragazza, nella sua splendida disinvoltura in quell'abitino striminzito.

Io non so neanche andare sui tacchi.

Ma dove voglio arrivare?

Cosa sto cercando di fare?

« Fai pure con comodo. » sento improvvisamente spezzare il silenzio da una voce ben familiare.

Grazie al cielo riesco a posare la foto sulla scrivania, tremante, senza farla cadere rovinosamente a terra.

Mi volto verso la porta alle mie spalle, e Taylor è poggiato contro lo stipite, le braccia incrociate al petto, che mi guarda irritato.

Deglutisco, mi schiarisco la voce.

« Scusami. » mi limito a dire, senza riuscire a guardarlo.

Sento il mio viso diventare paonazzo.

« Questa sera tornerai a casa, vero? » mi chiede lui, accennando qualche passo in camera, come a voler controllare che sia tutto in ordine.

Mi sta invitando gentilmente ad abbandonare la sua dimora?

Dio, lo odio.

Lo odio lo odio lo odio!

« No. » sbotto acidamente, sollevando lo sguardo verso di lui, furente. Improvvisamente ho un sacco di voglia di andare a questa cena del cazzo. « Mi dispiace deluderti, ma dovrai sorbirti la mia presenza anche questa sera. Evidentemente in questa casa c'è qualcuno che trova piacevole la mia compagnia. » aggiungo, velocemente, puntandogli contro l'indice della mano destra, minaccioso. « E ricordati, Taylor Lautner, che qui, con me, non siamo nel tuo mondo. Tu non detti le regole, e tu non decidi cosa io debba fare o meno. Se io ho deciso di assecondare i tuoi capricci e non ti parlo più, è solo perchè io stessa ho deciso che era meglio così. Visto che oltretutto mi sei antipatico. » aggiungo, forse esagerando anche un po'. Ma ho bisogno di dare coraggio e sicurezza a me stessa, e l'unico modo per farlo è convincermi che lui mi sia profondamente antipatico. È vomitare un sacco di parole a caso. A volte sono tremendamente infantile, me ne rendo conto. « Spero di essermi spiegata » concludo, dirigendomi verso la porta.

« Tu non hai proprio capito niente di tutto questo, vero? » mormora lui, restando fermo, in piedi, al centro della sua stanza, e voltandosi a guardarmi.

« No, non lo capisco. » rispondo io, immediatamente, mentre la mano va a posarsi sulla maniglia della porta. « Un ragazzo che da un giorno all'altro decide di evitarmi in ogni modo possibile e poi non è in grado di restare coerente verso se stesso... no, proprio non lo capisco! » esclamo irata infine, a voce più alta, più dura, guardandolo dritto negli occhi.

Prima di sbattere la porta della sua camera alle mie spalle, e dirigermi verso la mia camera prima, per prendere il cambio, e verso il bagno poi.

Che mi assicuro di chiudere per bene a chiave.

Perchè stavolta non voglio irruzioni clandestine nel bagno, mentre faccio la doccia.

Perchè stavolta voglio lavarmi in piace.

Sbattere il bagnoschiuma sulla mensolina in pace.

Frizionare con poca cura i capelli in pace.

Trattenere le lacrime in pace.


*


« Makena, ti ci vorrà ancora tanto? » borbotto con le braccia conserte e le gambe accavallate, seduta in camera sua, mentre lei dietro di me armeggia coi miei capelli e un ferro per arricciarli di un diametro inquietante.

« Lily, sta' buona, dai. » risponde la ragazza, visibilmente divertita dalla mia impazienza.

« Ma ti ci vuole sul serio così tanto per prepararti ogni volta? È pazzesco! » sbotto facendo ondeggiare la gamba accavallata sull'altra, col piede ancora ostinatamente scalzo.

Lancio uno sguardo al vestito sul letto e ai tacchi vertiginosi ai suoi piedi che aspettano solo me e mi sento cascare il cuore nello stomaco.

Non ce la farò mai.

« Se tu facessi la manicure e la pulizia del viso almeno una volta ogni due settimane ci vorrebbe molto meno tempo. » risponde agitando il ferro ardente vicino al mio orecchio.

« Tu sei pazza. E occhio a quel ferro! » esclamo, sgranando gli occhi e allontanandomi istintivamente.

Non mi sono neanche guardata allo specchio, non so cosa mi abbia fatto Makena tra kajal e lucidalabbra, ma già ho paura. Già mi sento ridicola.

Non sono abituata a tutto questo. Mi sento davvero un pesce fuor d'acqua.

E tutto perchè?

Per Taylor?

Per attirare la sua attenzione?

Ma stiamo scherzando?!

Mi sono bruciata i neuroni, e non so neanche come.

Quando finisce di arricciarmi leggermente i capelli rossi sulle punte, Makena mi fa mettere in piedi e prende tra le mani il vestito verde, agitandolo allegramente verso di me.

Arriccio le labbra in una smorfia poco convinta.

« Makie, stai affidando un vestito che costerà una fortuna tra le mani di un'imbranata cronica che non ha mai indossato niente del genere e potrebbe versarci sopra del vino nell'arco di cinque minuti. » l'avverto, ci provo, per l'ultima volta.

« Ma va' Lily, questo vestito non costerà più di cento dollari. » mi confessa lei, con noncuranza.

Come se fosse poco.

Io che con cento dollari ci compro almeno venti libri.

Ma è meno di quello che mi aspettavo, lo ammetto.

« Ah, quindi posso indossare tutto a cuor leggero. » commento, ironicamente, mentre prendo il vestito a cui Makena ha abbassato la cerniera, dietro la schiena, e ci infilo le gambe pallide, andando a tirarlo poi su.

« Beh, le scarpe son di Valentino, fai un po' te. » aggiunge, con una scrollata di spalle.

Io mi volto di scatto a guardarla mentre quel briciolo di sicurezza che avevo appena guadagnato va a farsi benedire insieme al mio fiato, nel momento in cui lei solleva la cerniera a chiudere il vestitino.

Io di moda non ne capisco un fico secco, ma Valentino è Valentino ovunque. Anche nel mondo delle creature non splendenti.

Il dramma arriva, appunto, al momento d'indossare le scarpe.

Makena s'inginocchia di fronte a me, tacchi alle mani.

E parte la lotta.

Tra i consigli di Makie su come stendere il piede senza farmi venire il crampo del secolo mentre lo afferra con poca gentilezza e le mie preoccupazioni riguardo il numero dei décolleté, iniziamo a punzecchiarci e a fare un bel po' di baccano.

Ad un certo punto, il bussare alla porta ci zittisce di colpo.

« Ma si può sapere che diavolo state facendo?! » la voce di Taylor giunge ovattata aldilà della porta.

Conoscendolo, avrebbe aperto senza troppi preamboli.

E invece resta fuori.

« Gli ospiti sono arrivati già da un po'. Sbrigatevi a scendere. » aggiunge, accennando una risatina.

Ed è come se lo vedessi, aldilà della porta, appoggiato contro lo stipite a sollevare l'angolo destro delle sue labbra, scoprendo appena i denti bianchi in un ghigno divertito.

Non aspetta la nostra risposta, che si allontana lasciandoci solo con l'eco dei suoi passi ovattati sulla moquette.

Cinque minuti e varie imprecazioni dopo, riesco finalmente ad erigermi in quel meraviglioso, precario equilibrio sui trampoli delle Valentino di Makena.

Vado a guardarmi allo specchio, camminando lentamente, visto che acquistare velocità farebbe spiccare le possibilità di capitombolare al mille percento.

Mi guardo, e non so chi vedo.

È una ragazza coi capelli color fragola, lunghi fin sotto al seno, arricciati in morbidi e ampi boccoli lucenti.

È una ragazza con gli occhi verdi, messi in risalto e resi ancor più brillanti da un trucco scuro, che richiama in alcune sfumature quello stesso verde e anche quello del vestito. Il rossetto rosa pesca l'aiuta a valorizzare le labbra, il blush dello stesso colore le da un colorito lievemente più sano.

Vedo una ragazza in un abitino striminzito, verde petrolio brillante, senza maniche né spalline, a lasciare bene in vista la pelle bianca, diafana, e il tattoo sulla scapola, a mettere in risalto la vita stretta e il seno davvero poco prosperoso, impreziosito da ricami dello stesso colore e una fascia in pizzo nero, a circondare la vita, con un fiocco anch'esso nero, sulla destra, in netto contrasto col colore brillante dell'abito. Questo arriva poco al di sopra delle ginocchia.

Questa ragazza indossa anche delle scarpe assurde, dal valore imbarazzante, in cui i suoi piedi solitamente spanciati negli anfibi si sentono stretti e scomodi.

Sono di base beige, ma completamente ricoperte da del pizzo nero in trasparenza, che col suo fiocco sul davanti richiama i dettagli del vestito. Il tacco è lungo, sfilato, slanciato. Tutto quello che io non sono mai stata.

Ma lo è adesso la ragazza allo specchio.

Che indossa un bel bracciale con delle pietre verdi, e un grande anello uguale, splendidi ma tuttavia con una forte personalità, e una pochette anch'essa in pizzo nero, con dei teschi.

« Lily, sei una principessa! » esclama Makena, saltellando con in mano la piastra con cui sta stirando i propri capelli.

Mi volto a guardarla, le sorrido appena.

Lily?

Dov'è Lily?

Quella nello specchio non è Lily.

In un attimo, un'angoscia tremenda piomba su di me come un macigno.

Che diavolo sto facendo?

Mi sembra di vendere la mia personalità.

Mi sembra di essere un'ipocrita, e tutto per cosa?

Per poter attirare l'attenzione di Taylor?

Che di gente così ne vede a milioni ogni giorno della sua vita?

Sei triste, Lily.

Sei diventata triste.

« Dai, andiamo! » esclama Makena, eccitatissima, mentre mi prende per mano – anche per aiutarmi a non cadere coi primi passi – e mi trascina verso il corridoio e le scale.

La festa si svolge nell'ampio salotto della casa ma anche e soprattutto in giardino, sul grande spiazzo con la pavimentazione in porfido grigio, che conduce direttamente al frutteto, completamente illuminato e agghindato di tavolini e sedie in ferro battuto dipinte di bianco, dove già siedono e chiacchierano gli invitati.

Che sono più di quanto m'aspettassi mai.

Gli alberi sono illuminati da tante luci dall'aura gialla, che sembra magica.

Sembrano lucciole.

Inspiro a fondo, guardo un attimo in tralice Makena, che mi sorride rassicurante prima di allontanarsi a salutare degli amici di famiglia.

Eccomi qui.

Impuntata sulla grande porta ad arco che dal salotto conduce all'esterno, ferma come una deficiente.

Rigiro tra le mani la pochette che mi ha dato Makena, che a stenti è in grado di contenere il mio cellulare.

Sul serio bisogna fare tutto questo per essere “glam”?

Allora io non voglio essere “glam”.

Allora io odio essere “glam”.

Sollevo le dita della mano sinistra, laccate di nero – nero Chanel, ci ha tenuto a precisare Makena – a giocare distrattamente con uno dei lunghi boccoli color fragola.

Che diavolo mi è venuto in mente?

Gliel'ho detto a Taylor, l'ho sempre ripetuto a me stessa: questo non è il mio mondo.

Sospiro, affranta, poi sollevo lo sguardo, distrattamente.

E lo vedo.

Insieme a due uomini sulla cinquantina, uno stempiato coi capelli brizzolati, l'altro più bassino, con ancora una barba scura lievemente striata d'argento.

Tutti e tre coi bicchieri di prosecco in mano.

Ride, sorride, ed è raggiante.

Indossa una camicia nera, che va a finire in dei jeans scuri, che comodi scendono sulle sue gambe, e ai piedi dei mocassini eleganti, anch'essi neri. Le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti.

È semplice, è vestito in modo fottutamente semplice. Perchè allora deve catturare la mia attenzione in questo modo allucinante?!

Anche lui, ad un tratto, solleva lo sguardo.

E incontra il mio.

Ecco, lo sento, proprio all'altezza della bocca dello stomaco.

Un BOOM, poi un altro, e un altro ancora. Forti e veloci. Sembrano fuochi d'artificio.

Il sorriso cordiale sul volto di lui scompare per qualche istante, come se stesse cercando di mettermi a fuoco, come se non mi stesse riconoscendo.

Lo reggo, quello sguardo di cioccolato.

Lo guardo ed è come se il mio cuore fosse avvolto da cioccolato puro, fluido e avvolgente, zuccheroso ma con una nota amara. Caldo.

Stringo convulsamente la pochette, resto immobile con le gambe lievemente incrociate, trattenendo il respiro, quasi avessi paura di muovermi e perdere l'equilibrio.

Per quegli attimi vedo sul suo viso di nuovo quell'espressione da bimbo sperduto.

Ecco come potrei chiamarti, Taylor.

Bimbo sperduto, in un mondo meraviglioso che ti affascina e ti spaventa, e non ti assicura neanche d'esistere davvero.

Lo guardo, le labbra schiuse, gli occhi appena sgranati. Poi inizio a tormentarle coi denti, le labbra.

E lui guarda me, con la stessa stramaledettissima espressione.

Sento il mio cuore galoppare all'improvviso, vorrebbe squarciarmi il torace e piombare arrendevole dritto tra le sue mani.

Dio, se sei bello.

E quanto ti vorrei per un attimo esattamente com'eri neanche un mese fa.

Sorridimi.

Solo un attimo.

Ti prego.

« Lily! » sento esclamare all'improvviso, mentre sento una mano posarsi amichevolmente sulla mia spalla.

Inutile dire che balzo come una faina, trattenendo il fiato con un'esclamazione di paura.

Mi volto e Deborah è accanto a me, che scoppia a ridere divertita dalla mia reazione.

No, davvero Deb, sono contenta di farti divertire.

Ma non farmi mai più una stronzata del genere, okay? Eh, Deb?

« Lily, sei splendida questa sera. Makena ha fatto un ottimo lavoro. » dice lei, accarezzandomi la spalla.

Smettetela di fare i complimenti a Lily.

Questa ragazza in questo vestito verde non è Lily!

« Però, tesoro, devi conversare con qualcuno. Lo so che per una ragazza discreta come te è difficile, ma ti assicuro che son tutti qui per attaccare bottone e passare un po' di tempo davanti ad un bicchiere di prosecco o champagne » mi spiega, sottovoce, mentre mi trascina verso il frutteto, prendendo al volo da un cameriere un bicchierino con del liquido color beige chiaro, ricco di allegre bollicine, e porgendomelo. « E magari concludere qualche affare importante, ovviamente. » aggiunge, accennando una risatina. « Ma ti assicuro, in queste occasioni è davvero facilissimo fare amicizia. Per esempio... » borbotta infine, guardandosi attorno.

Io mi limito ad annuire in silenzio, con sguardo confuso.

Tanto mica le do retta.

Io non sono in grado di stabilire dei rapporti umani, fine della storia!

Butto giù mezzo bicchiere di Prosecco in un colpo, mentre lei solleva la mano verso un uomo poco distante.

« Chris! » esclama gioviale, attirando l'attenzione dell'uomo. Quindi lui ricambia il saluto con un ampio sorriso, poi s'avvicina a noi due, principalmente a Deb, alla quale dona due baci cordiali sulle guance.

« Chris, lei è Lily. » dice Deborah verso di lui, indicandomi con un cenno della mano. « Lily, lui è Chris Stevens, un produttore televisivo. » mi dice Deborah, con un impercettibile segno del capo verso di lui, come a volermi dar coraggio per parlargli.

Lui è alto, molto bello, sui trentacinque anni. Ha la pelle abbronzata, i capelli biondi scoloriti dal sole, una barbetta incolta sul viso di circa due giorni.

Vestito in un completo grigio scuro, con una camicia bianca senza cravatta, sbottonata appena sul torace.

Lo guardo stralunata, non sapendo cosa dire.

Dio, non so neanche da dove s'inizia una conversazione. Sono una frana.

Accenno uno dei miei soliti inchini da ritardata mentale.

« Salve. » sbotto, ricordandomi poi di porgergli la mano destra, e trovando in fretta e furia un metodo per reggere pochette e bicchiere mezzo colmo in una sola mano.

Lui sorride, allegramente, e va subito a ricambiare la mia stretta.

Inutile dirlo, è un tipo davvero affascinante.

« Molto piacere, Lily. Sei molto carina, sai? » mi dice subito, con una noncuranza che sfiora l'innocenza. Io avvampo, diventando improvvisamente dello stesso colore dei miei capelli. Quindi si volta verso Deborah, annuendo appena col capo. « Non pensi sia carina, Deb? Sembra una ragazza discreta e posata. Ormai sono davvero rare, soprattutto nel nostro campo. »

« Sono d'accordo, Chris. » risponde Deb, riportando una mano sulle mie spalle. « Oltre ad essere discreta e riservata, è anche intelligentissima. Non per nulla frequenta Yale. Sta aiutando tantissimo Makena con il recupero dei debiti scolastici, è la nostra salvezza! » esclama la donna, che mi vanta neanche fossi sua figlia.

Io chino lo sguardo, completamente paonazza.

Non so che dire.

Sul serio, cosa dovrei dire?!

« Ma sul serio, Deb? » chiede Chris, andando poi a cercare il mio sguardo col suo sorriso mozzafiato. « Lily, ti piacerebbe partecipare ad una serie TV? Potrebbe essere il tuo trampolino di lancio! » mi chiede, così, all'improvviso.

A bruciapelo.

Ma è pazzo, sto qui?!

Io boccheggio, guardandolo per qualche istante, allucinata.

« Ah, io, non... »

« Lei non è interessata a queste cose, Chris. » sento sbottare alle mie spalle.

Una voce profonda che conosco sin troppo bene.

Il mio stomaco si accartoccia, come se fosse un foglio scarabocchiato da buttare via.

Mi volto, mentre sento il corpo di Taylor vicino al mio.

Sorride affabile a Chris, senza tuttavia guardarmi neanche un attimo.

« Oltretutto non ha nessuna base di recitazione. Non è davvero il caso. » aggiunge, cordialmente.

Io lo guardo, allibita.

Scioccata.

Sconcertata.

Ma che cavolo vuole adesso?!

Idiota, ti odio!

« Ma Tay, come se la dote recitativa fosse così indispensabile, all'inizio. » sbotta lui, accennando una risata.

È una frecciatina?

Non lo è, vero?

Vedo Taylor assottigliare le palpebre.

« Potrei darle una parte minore, all'inizio. Stiamo giusto pensando ad una serie giovanile universitaria e-- »

« Credimi » sbotta Taylor interrompendolo, con il sorriso ancora lì, persistente, ma stranamente tirato, con un tono troppo fermo per essere gioviale. « Non ne è in grado. Non sa recitare, non le piace farlo, non apprenderebbe. Non è il caso di pensare a lei per i tuoi progetti futuri. » aggiunge, forse scandendo le parole in modo lievemente più lento.

Sorride a Chris con la peggiore faccia da schiaffi che possa esserci.

Mi ha demolita.

Se fossi fatta di ceramica, adesso delle crepe nere come la pece si diramerebbero lungo tutto il mio corpo, fino a farmi frantumare e arrivare a terra in mille, lucenti pezzi.

Vorrei essere di ceramica.

Vorrei cadere a pezzi a terra ed essere spazzata via, dimenticata da tutti.

« Taylor! » esclama perentoria Deborah, con aria da rimprovero. « Ma che linguaggio è questo?! » aggiunge la donna, improvvisamente seria come non l'avevo mai vista.

« Scusatemi. » riesco solo a mormorare io, tremante.

Indietreggio di un passo, poso il bicchiere dove capita, e mi allontano.

Mi chiama, Deborah, ma non le do retta.

Ho gli occhi appannati.

Mi gira la testa.

Mi fa male la pancia.

Mi fa male il cuore.

Mi allontano più veloce che posso su quei maledetti trampoli da millemila dollari, mi allontano e corro via, istintivamente, verso l'uscita della villa.

In realtà il viale principale è completamente pieno di automobili lussuose, e io prendo il sentierino più defilato, portando la mano sulle labbra, come a volerne arrestare il tremore.

All'improvviso, uno dei tacchi va a capitare nella trama composta dalle pietre del viale dalle forme geometriche e simmetriche, e io in un attimo volo a terra con un bel tonfo delle mie ginocchia.

« Fanculo! » sbotto nervosamente, la voce strozzata e tremante, andando a sfilare via quelle scarpe di merda, che mi hanno gonfiato e arrossato i piedi, ora lamentosi di dolore.

Arriccio le labbra, massaggiandoli un attimo, prima di constatare l'ammontare dei danni ottenuto con quella bella caduta serale.

Per fortuna le mie ginocchia sono solo sporche, forse la destra leggermente sbucciata.

Mi rialzo in piedi, e continuo a camminare imperterrita, coi piedi scalzi, verso la panchina più vicina al cancelletto.

Lì mi lascio andare seduta, sollevando i piedi gonfi a mezz'aria, lasciandoli riposare all'aria fresca della sera.

Come fanno certe persone a portarli dalla mattina alla sera?

Sarò durata un'oretta in tutto io, su quei cosi malefici, e già so che non li indosserò mai più.

Mi guardo i piedi.

Le gambe sbucciate.

Il vestito stropicciato dalla caduta.

I miei occhi vanno a velarsi di nuovo, mentre le parole di Taylor sembrano volermi accoltellare ancora e ancora, all'altezza del cuore e dei polmoni, dolorose e lancinanti.

La prima lacrima sgorga dai miei occhi, ma è solo colei che apre la strada a tutte le altre.

Misceliamo lo sbalzo ormonale dovuto alle mestruazioni, lo stress da preparazione ad una cena importante, tutto per un Taylor che sembra un Dio sceso in terra e che non solo non mi parla, ma mi denigra anche davanti a sua madre e a uno sconosciuto... cosa ne viene fuori?

Un'esplosione, ovvio.

Un'esplosione di lacrime.

Che vengon fuori prepotenti e minacciose, una dietro l'altra, come le onde trascinate da un vento di bufera.

Inizia a mancarmi il fiato, a essere irregolare.

Tiro su col naso, cerco di ristabilire una respirazione normale, ma proprio non ce la faccio.

I singhiozzi sgorgano copiosi, lamentosi.

Mesti.

Devo andare via da qui.

Devo allontanarmi da tutto questo.

Devo dimenticarmi di Taylor, togliermi dalla mente il suo viso, la sua voce, la sua risata, le sue mani su di me, il calore delle sue labbra, la sicurezza del suo abbraccio, la dolcezza delle sue carezze.

« Dio! » sbotto esausta, tra le lacrime, andando a posare i gomiti sulle ginocchia, e il viso tra i palmi aperti.

Non posso dimentiarlo.

Non posso.

Non posso perchè io...

« Lily? » sento sussurrare nelle mie vicinanze.

Sobbalzo, mi guardo intorno, andando subito ad asciugare le lacrime.

« Ehi, fiorellino, cos'hai? » sento chiedere, e finalmente riesco ad individuare la fonte di quelle parole.

Un paio di occhi incredibilmente blu mi guardano aldilà delle sbarre verdi del portoncino di casa Lautner.

« Nate...? » mormoro, stanca, stravolta.

E stupita.

Sono stupita perchè vedere il viso di quello stronzo, ora, in questo momento, mi sta regalando un profondo senso di sollievo.

Come se lui fosse piombato per ricordarmi che io fuori da qui ho una vita intera che mi aspetta.

Che non c'entra con loro, con i Lautner, con Taylor, ma c'entra sicuramente con me.

Mi alzo in piedi, mi avvicino a lui di qualche passo.

Devo avere un'espressione terribile.

Il trucco degli occhi e il mascara nero devono essere colati lungo tutto il viso.

Ho le ginocchia sbucciate e sporche.

Ho gli occhi tristi, e gonfi, e rossi.

« Come sei bella, Lily. Sai cosa? Sembri proprio una principessa punk rock. » mi dice lui, con quella che sembra la sua sincerità più estrema.

Mi sorride apertamente.

Io spalanco appena gli occhi, il viso umido di lacrime recenti.

Quindi accenno un sorrisino, istintivo, spontaneo.

Una principessa punk rock, eh?

« Non l'avevo messa sotto quest'aspetto. » mormoro io, ironica, lasciando i tacchi sulla panchina e avvicinandomi al cancello, andando ad aprirlo da dentro.

« Lo sai che hai bisogno di Nate per vedere le cose più belle di te e della tua vita, e per sorridere. » esclama lui, ponendosi di fronte a me, con le mani nelle tasche dei pantaloncini verde militare.

Il mio sorriso va amplificandosi, mentre inarco un sopracciglio.

« Tu mi fai vedere solo quanto sei cretino, Nate, ecco perchè sorrido. » mormoro a mezza voce, divertita, guardandolo.

Lui dapprima mi guarda con la sua solita espressione sorniona, poi solleva la mano, mentre improvvisamente il suo volto lascia spazio ad un'espressione seria, preoccupata.

« Non importa il motivo per cui ridi, l'importante è che non piangi. » sussurra lui, mentre la sua mano si posa sulla mia guancia, e il pollice va ad asciugare e pulire uno dei profondi solchi lasciato dalle lacrime cariche di pigmento nero.

Io non mi ritraggo.

Mi lascio accarezzare.

Chiudo gli occhi, e lo lascio fare.

E lo so, sono un pezzo di merda.

Sono una stronza, un'egoista, una bambina infantile.

Ma immagino che quella mano sia di un'altra persona.

« Lily! Accidenti a te! » sento esclamare alle mie spalle.

Mi volto, sussultando, e spalanco gli occhi quando vedo Taylor arrivare in fretta e furia, con un'espressione davvero poco cordiale.

« Dove cavolo eri?! Il tempo di scollarci di dosso Chris che io e mia mamma ti abbiamo persa. Diavolo, non farmi spaventare! » esclama, avvicinandosi.

Che sta dicendo?

« Spaventarti? » sbotto io, improvvisamente. No, occhietti miei, no. State buoni, niente lacrime. « E di cosa? Della mia assenza?! Ma se a stenti ti accorgi se ci sono o meno! » inizio a sbraitare contro di lui.

« Ma che stronzate vai dicendo?! » mi chiede lui, a voce alta, scontrosa.

Tanto alta e tanto scontrosa. Tuttavia stupito.

Si avvicina, e all'improvviso tende la mano verso la mia, afferrandola.

La stringe, forte, fortissimo. E io resto immobile a guardarlo, gli occhi verdi spalancati, spauriti.

Lui mi guarda qualche istante, i muscoli della mascella tesi, le labbra strette. Noterà lo stato in cui mi trovo. Quindi solleva lo sguardo verso Nate.

« E tu cosa ci fai qui? Siamo nel bel mezzo di una cena, e tu non c'entri niente. Vattene. » sbotta acidamente. « Andiamo, Lily. » aggiunge, voltandosi e facendo per trascinarmi via.

« NO! » urlo io, liberandomi dalla sua presa con uno strattone improvviso. Lui si volta a guardarmi, sorpreso. Come se stesse cadendo dalle nuvole. Come se tutto si aspettasse, tranne che quella reazione.

Inspiro a fondo, cercando di placare il mio battito cardiaco.

« Neanche io. » aggiungo, a mezza voce. « Neanche io c'entro niente con tutto quello che sta avvenendo da quella parte. E la devi smettere di pensare che io sia ai tuoi comandi. » spiego subito dopo, con l'intenzione di mantenere la voce il più ferma possibile.

Lui sgrana gli occhi.

Eccolo lì. Il bimbo sperduto.

Maledetto, maledetto splendido ragazzo.

Non guardarmi così, altrimenti la mia determinazione di sgretola come sabbia al sole.

Se non ti odiassi... ti amerei.

Resta in silenzio qualche istante, quindi china lo sguardo.

Annuisce in silenzio, un ultimo sguardo verso Nate, poi verso di me.

Che arriva dritto dritto come una sprangata al cuore.

Annuisce, semplicemente. Quindi si volta e inizia ad allontanarsi, le mani nelle tasche dei jeans.

D'istinto accenno un passo in sua direzione, ma Nate mi blocca per il braccio.

« Lily, lascia perdere. Lascialo andare. Aspetta ed entra dal portone d'avanti, non ci sarà nessuno nell'ingresso, se la cena è all'esterno. E vattene in camera. Ed esci da questa casa il prima possibile, e torna nel tuo mondo, nella tua città insieme a me. » mi dice, serio.

Mi volto a guardarlo, quindi scuoto energicamente il capino rosso, i boccoli che iniziano a scendere placidamente.

« Non posso. » mormoro tremante.

« Non puoi? O non vuoi? » mi chiede assottigliando le palpebre in due fessure azzurro lucente. « Dammi almeno una possibilità. Ti chiedo solo un appuntamento. Lasciami spiegare, stiamo insieme per un po'. Magari ti renderai conto, come me ne sono reso io, che io e te siamo nati per restare uniti. » aggiunge, accoratamente.

Mi mordo il labbro inferiore, in seria difficoltà.

È uno stronzo.

Ha fatto lo stronzo.

Mi ha tradita.

Ma ora è qui. È qui per me.

Non posso dirgli di no.

Annuisco, lentamente.

Lui sorride, e si avvicina per darmi un bacio sulla fronte.

« Vai, fiorellino. Non farti vedere da nessuno, vai a fare una bella dormita. Buona notte. » mi dice, mentre io rimango impalata a guardarlo.

Da solo si chiude dietro il cancelletto, salutandomi con la mano e un sorriso prima di voltarsi e iniziare a passeggiare distrattamente verso casa mia.

Non mi fido di lui, per niente.

Il suo sorriso, per me, ormai è una maschera.

Non so cosa cela dietro.

Ma sono una bambina egoista, e ora mi posso aggrappare solo a quello.

E io non perdo tempo.

Mi volto, corro a prendere i tacchi abbandonati sulla panchina, quindi di corsa verso l'entrata di casa, poi la mia camera.

Voglio chiudermi nella mia stanza, e pensare.

E riflettere.

Vorrei non aver mai rivolto la parola a Taylor.

Ora non sentirei il mio cuore impazzire ogni giorno, tutto il giorno.

Ora Nate non sarebbe qui a confondermi le idee con quella gentilezza che a volte anche per me è difficile comprendere.

Voglio dormire.

Dormire e non pensarci.

Vorrei dormire e non vedere il suo viso.

Ormai non ci riesco più.

 

*-*-*

Buooongiorno!

Spero che questo capitolo bello lunghetto non vi abbia annoiate.

Ho deciso di implementare in un solo capitolo quelli che sarebbero stati invece due, ma molto più corti. In realtà non vedo l'ora di postare il prossimo, perchè finalmente si arriverà ad una svolta completa!

Quindi spero che questo vi sia piaciuto e attenderete la pubblicazione del prossimo!

Che dire, Lily è sempre più confusa, e si avvicina sempre più al punto dell'esplosione.

Taylor è strano, lunatico, e Nate è una presenza costante che di certo non l'aiuta a ragionare lucidamente.

Vi lascio anche l'outfit di Lily per la cena, creato con Polyvore, per farvi anche capire meglio com'era vestita (per poco, ahah!)

Ci tenevo anche a ringraziarvi per tutte le recensioni che mi lasciate.

Siete veramente splendide!

Al prossimo mercoledì, tesori!

   
 
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