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Autore: TenthLover    25/07/2012    3 recensioni
Dopo aver visto il film 'Sherlock Holmes - Gioco d'ombre, ho subito sentito il bisogno di scrivere una Fan Fiction che raccontasse dei pensieri di Watson quando vide Sherlock gettarsi insieme a Moriarty.
N.B. Slash
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco che, come previsto, un altro misterioso caso fu risolto dal rinomato Sherlock Holmes. Quando vidi il povero René, ingiusta vittima di un veleno somministrato da chissà chi, tra le braccia della sorella Simza che versava lacrime amare supplicandomi di dar cure ad un malato ormai irrecuperabile, provai un gran sollievo accanto al dolore che mi provocò la vista di quella tragedia familiare. Anche se con qualche intoppo, anche quella nuova, oserei dire ‘avventura’, si concluse nel migliore dei modi. Molte vittime, quella sera, furono risparmiate segnando la fine della mia collaborazione col detective che, anche quella volta, non esitò a mettere a rischio la mia vita e quella di mia moglie Mary. Insomma, chi mai getterebbe una donna da un treno in corsa? Ero a conoscenza dell’odio immotivato di Sherlock verso la ragazza ed ero quindi certo, senza ombra di dubbio, che avesse provato un certo piacere nello spingerla fuori dal mezzo. Considerando, poi, che quel giorno interruppe la mia luna di miele. Lo fece per salvarci la vita – in parte - , quello è vero, ma… Accidenti, eravamo in pericolo per colpa sua! Persi il conto di tutte le volte che rischiai la vita da quando lo conoscevo.  Anni fa partecipai alla guerra esponendomi ad un enorme pericolo ma, ne ero certo, con Sherlock rischiai di morire molte più volte e, spesso, per motivi stupidi! E poi… Il mio povero Gladstone! Vittima degli esperimenti pazzi di quel matto! Perché dovrebbe provare su di lui dei veleni? Che senso aveva mettere a repentaglio la sua vita? L’unica volta che questi suoi gesti tornarono utili, fu l’ultima, quando mi diede il mio regalo di nozze. Regalo stupido, pensai. Dopotutto, però, cosa c’era d’aspettarsi da un tipo come Sherlock? Successivamente, però, ringraziai il cielo di aver portato con me quella sostanza. Nel vagone di quel treno, quando Sim mi informò del suo problema respiratorio, ebbi un tuffo al cuore. Poteva davvero morire così? Dopo tutto ciò che era successo, poteva andarsene in quel modo? No, non glielo avrei mai permesso. Sarebbe stato un atto altamente egoistico! Quello… Fu l’unico momento in cui vacillai. Iniziai a pensare di aver fatto delle scelte sbagliate e che forse sarei dovuto rimanere con lui. Io ero il suo unico amico, dopotutto. Supplicai per vederlo riaprire gli occhi e mi sentii quasi responsabile di tutto ciò che stava succedendo. Iniziai anche a dubitare delle mie capacità come dottore. Quando, poi, mi venne in mente il suo ‘regalo’, pregai affinché potesse funzionare e non esitai a somministrarglielo. Fui davvero felice di rivederlo aprire gli occhi. Mai, mai più avrei voluto vederlo in quello stato.

Mi guardai intorno e mi accorsi che intorno a noi si era creata una folla. Sim era ancora in lacrime e stringeva il cadavere del fratello mentre la folla parlottava in sottofondo.

Gettai un ultimo sguardo alla ragazza per poi farmi strada tra la gente in abito da sera che mi sbarrava il cammino. Spalancai la porta dove precedentemente era passato Sherlock per metterlo al corrente – anche se, probabilmente, ne era già a conoscenza – dell’esito. Immaginai di trovarlo seduto a fumare mentre Moriarty giaceva sul pavimento privo di vita. Conoscendolo, il suo posto a sedere poteva benissimo essere lo stesso professore. Successivamente, avrei ricevuto un dettagliato resoconto sull’esito del loro scontro e su come, ogni singolo avvenimento, era stato premeditato e calcolato accuratamente. Avrebbe, poi, detto qualcosa per offendere la mia logica del tutto nella media per poi darsi delle arie sul modo in cui era riuscito a distruggere i piani di uno dei rivali più scaltri che finora avesse avuto. La scena che mi si parò davanti, però, mi spiazzò. Vidi Sherlock che stringeva il collo di Moriarty con le braccia mentre, quest’ultimo, cercava di divincolarsi dalla sua debole presa causata da una ferita alla spalla provocata proprio da lui. Il detective mi guardò con un’espressione che non gli avevo mai visto prima d’ora. Mi sembrò afflitto e… Dispiaciuto. Ebbi l’impressione che fosse uno sguardo di scusa e che i suoi occhi mi urlassero ‘mi dispiace’. Prima che potessi proferire parola, lo vidi spingersi verso il precipizio trascinando con sé il professore e lasciandosi cadere nel vuoto. In quel momento, mi immobilizzai e sentii il mio cuore fermarsi.

Si era… Buttato?

Sperai con tutto me stesso che fosse una delle sue mosse premeditate e che questo suo ragionamento prevedesse la sua sopravvivenza.

Mi avvicinai al bordo sperando di vederlo appeso a qualsiasi cosa.

Speranza vana.

Fu allora che le sue parole dette qualche giorno prima mi infilzarono come coltelli:
Darei la mia vita per vedere la sua morte.

No, no, no. Non era in quel modo che sarebbe dovuto andare! Avrei sopportato ore ed ore le sue chiacchiere, avrei sopportato altri mille esperimenti sul mio – o come diceva lui, nostro – Gladstone, avrei sopportato – e mi odiai, per questo – di vedere Mary cadere da altri 1000 treni pur di rivederlo tornare sul balcone, accanto a me, con me.

Mi sentii così male da non avere nemmeno la forza di far uscire le lacrime. Rimasi lì, fermo, a fissare l’acqua della cascata che cadeva rabbiosa nel tentativo di poterlo intravedere anche solo per un secondo.

Mi misi inginocchiato sul pavimento tenendo gli occhi fissi sul precipizio. Continuai a pregare, a sperare, ma niente. Nemmeno io, come dottore, potevo far nulla. La prima lacrima scese dal mio occhio sinistro ma, incapace di muovermi, la lasciai cadere. Strinsi gli occhi fino a sfogarmi con un pianto liberatorio. I miei singhiozzi erano coperti dal rumore dell’acqua che continuò ad accompagnare il fiume salato che mi attraversava le guance.

“Sherlock… Questa non te la perdonerò mai.”

Perché… Perché l’aveva fatto? Che fosse anche quello un gesto premeditato? Quando mi disse quella frase nel mio studio, non lo presi seriamente. Per quanto ne fosse pienamente capace – e, quella sera, ne ebbi la prova – pensai che fosse, non so, un modo per farmi capire quant’era forte la sua determinazione nello sconfiggere forse l’unico uomo capace a tenergli davvero testa. Non avrei mai pensato che avrebbe fatto… Quello. Che MI avrebbe fatto una cosa del genere! Quello era uno dei peggiori difetti di Sherlock: Pensava, ma non abbastanza! Decidendo di compiere quel gesto aveva sicuramente pensato che avrebbe sconfitto Moriarty mettendo un punto al nostro ultimo caso, ma… Aveva pensato a me? A come mi sarei sentito? A come mi avrebbe… Distrutto? No, non prendeva mai in considerazione le persone attorno a lui… Mai! Ricordai anche l’ultimo momento che eravamo stati insieme. Poco prima, ballammo per pochi minuti mentre l’altro cercava indizi per poter risolvere il caso e si guardava intorno con sguardo assorto. Rimembrai anche le mie ultime – a quanto pare, inutili – parole:

Stia attento.

Le lacrime mi oscurarono totalmente la vista e mi accasciai sul pavimento freddo ed umido continuando ad aggrapparmi a delle speranze che, pian piano, iniziavano ad affievolirsi.

Tante… Tantissime volte fui costretto ad assistere alla morte di miei amici, compagni, colleghi. La guerra tende a rendere insensibile chi vi partecipa. Vedere un uomo morto porta comunque delle sofferenze ma la battaglia ti aiuta a non esternare ed ad inglobare la sofferenza nascondendola in una parte profonda del nostro cuore. Sherlock, però, con quel gesto, distrusse totalmente il guscio che mi ero costruito facendo prendere il sopravvento al dolore che ormai mi aveva pervaso. Come può, un solo uomo, essere capace di tutte quelle cose? Aveva più controllo di me stesso di quanto ne avessi io. Perché mi faceva sentire così? Nei suoi confronti, mi sentivo addirittura più protettivo di quanto fossi con Mary. Spesso, tra i due, mi trovavo a scegliere il detective lasciando da sola colei che sarebbe dovuta essere la mia anima gemella. Pure quella volta scelsi di seguire un pazzo travestito da donna che mi avrebbe quasi sicuramente portato alla morte invece di andare da colei che avevo sposato e che, pochi minuti prima, era stata scaraventata giù da un treno dallo stesso pazzo. In quel momento, pensai che Mary fosse morta ma… Non versai nemmeno una lacrima. Mi arrabbiai parecchio col detective ma il mio cuore era ancora integro. Forse, conoscendolo, pensai che ci fosse una valida ragione per quell’atto avventato e che, probabilmente, fosse viva. Questo pensiero, però, mi attraversò anche in quel momento mentre ero sul pavimento a piangere la morte del mio collega eppure… Il mio cuore era a pezzi. Come potevo io versare lacrime per la presunta morte di un mio – forse – amico e non per mia moglie? In quel momento, la verità mi piombò addosso violentemente.

No, Sherlock non era un mio amico. Lui non ne aveva mai voluti ed il nostro rapporto era più che altro da ‘colleghi’. Mi ero sempre preoccupato per lui, per la sua salute e per la sua felicità. Spesso mi faceva arrabbiare, mi metteva in pericolo, sembrava voler uccidere il mio – il nostro – Gladstone o la povera Mary, ma… Riuscivo sempre a perdonarlo. Sceglievo lui, in qualsiasi situazione. Come dovrebbero fare due sposi, poi, decisi di andare a vivere con mia moglie ma… Davvero era quello che volevo? Io… Io non amavo quella donna. No, non l’avevo mai amata. Lei era solo una donna a cui piacevo e che mi sono imposto di farmi piacere. Volevo una vita normale lontana dalla frenetica esistenza di quell’uomo per cui adesso stavo piangendo. Di quell’uomo… Che io amavo.

Pregai, supplicai per una seconda possibilità. Volevo tornare indietro e rivivere la mia vita con lui per poter avere la possibilità di compiere le scelte giuste e di fare ciò che realmente volevo e non ciò che per la società era giusto fare.

Il flusso delle mie lacrime aumentò tanto che quasi non mi accorsi della folla che, alle mie spalle, stava iniziando a formarsi.

 

***

 

La stanza era piena di gente vestita di nero e tutti tacevano salvo qualcuno che parlottava qua e là. Nessuno stava piangendo, nemmeno una persona. Anch’io, avendo ormai consumato tutta la mia riserva nel pianto liberatorio sul balcone, me ne stavo seduto in un angolo incapace di accettare la realtà. Sherlock diceva sempre di non avere amici, eppure… L’aula ne era piena. Non sapevo quanto, però, il loro rammarico fosse sincero.

I corpi non erano stati trovati e, vista l’altezza e tutti gli altri fattori, era impossibile per qualcuno che si era buttato, sopravvivere. Sentii qualcuno sedersi accanto a me ma non ci badai. Non mi voltai per vedere di chi si trattasse, non ne avevo la forza né tantomeno la voglia. Sentii la sua mano posarsi sulla mia spalla e, quando parlò, la riconobbi come Simza.

“Era un grand’uomo, mi dispiace tanto.”

Abbassai lo sguardo per poi rivolgerlo a lei. Aveva gli occhi lucidi ma non stava piangendo. Quella povera donna dovette già subire la perdita del suo povero fratello e non la biasimai quando vidi il suo sguardo quasi privo d’espressione. Tra la folla che si era radunata dietro di me in balcone, lei non c’era. Immaginai che stesse ancora piangendo l’ingiusto defunto.

Annuii e tornai e guardare il pavimento. Per tutto il tempo, non riuscii a guardare la fotografia che tutti quanti stavano guardando. Anche in quel momento, una parte di me non riusciva ad accettare che se ne fosse andato. No, non lui.

“E’ sempre difficile quando la persona che si ama, se ne va. E’ normale.”

Sim mi sorrise mentre io la guardai con espressione interrogativa.

“Avanti, è fin troppo ovvio, non le pare?”

Mi diede un colpetto sulla spalla e mi sorrise nuovamente mentre io riabbassai lo sguardo ed una lacrima mi percorse la guancia.

“Va tutto bene, passerà. Lui ci sarà sempre finché lei lo ricorderà.”

Cercò inutilmente di consolarmi ma le rivolsi comunque un sorriso di ringraziamento.

“Le dispiace?”

Alzai lo sguardo e vidi Mary che indicava il posto in cui stava seduta Sim. Perché doveva farla spostare se alla mia destra c’era posto?

La ragazza mi rivolse uno sguardo interrogativo per poi andarsi a sedere altrove facendo sedere mia moglie al suo posto.

“Mi dispiace tanto, caro.”

No, non era vero. Tra tutti, lei mi sembrò la meno dispiaciuta. Lo stesso Mycroft, fratello rivale di Sherlock, iniziò a farsi sfuggire qualche lacrima.

“Era una brava persona. Posso capire benissimo come ti senti.”

“… Capire? No, tu non potrai mai capirmi. Tu detestavi Sherlock, lo so benissimo.”

“John, io non…”

In quel momento, lasciai che tutta la rabbia e la tristezza che, con difficoltà, cercavo di trattenere dentro il mio guscio, uscisse allo scoperto.

“Oh, sì, invece. Non potrai mai capire quanto lui mi manchi. Non capirai mai il vuoto che mi ha lasciato e che nemmeno tu potrai mai coprire! Lui… Lui era e sarà sempre un uomo incredibile, ingegnoso ed intelligente. Sì, aveva parecchi difetti, questo è vero. Mi metteva sempre in pericolo per il puro sfizio di riuscire a risolvere un caso; metteva nei guai anche il povero Gladstone tanto che non mi capacito di come sia ancora vivo e vegeto; metteva tutto in disordine lasciando qua e là qualsiasi cosa, anche inutile; teneva in casa topi e insetti per i suoi esperimenti assurdi; ha letteralmente distrutto il mio studio mentre non c’ero e, quando sono tornato, mi ha anche colpito con delle freccette; tendeva sempre a suonare il violino anche quando dovevo riposare o avevo bisogno di silenzio. Sì, è un ottimo suonatore ma sapeva essere davvero irritante. Tuttavia… Io amo la sua musica e darei qualsiasi cosa per poterla sentire anche solo un’ultima volta. Farei… Qualsiasi cosa per riaverlo accanto. Sopporterei gli spari, il rumore e anche il dolore.”

Lo sguardo sorpreso di Mary si trasformò in un’espressione comprensiva quando un’altra lacrima percorse la mia guancia. Questa volta, la pulii col dorso della mano.

“Io… Ci sono tante cose che ancora devo e voglio dirgli. Ormai, però, è troppo tardi e la colpa è solo mia. Non sono stato sincero né con lui e né con me stesso. Mi sono sempre sentito in qualche modo.. Inferiore a lui ed alla sua logica fuori dal comune. Certo, spesso non era a conoscenza di cose che un bambino delle medie avrebbe potuto spiegare senza difficoltà. Insomma, chi non conosce il sistema solare? Era un uomo brillante, assolutamente brillante ma… Aveva parecchie lacune non trascurabili. Vuoti, però, che compensava col suo ingegno e la sua intelligenza. Vorrei… Che potesse riempire anche il mio… Di vuoto. Mi basterebbe anche solo… Vederlo un’ultima volta.”

Mary mi mise una mano sulla spalla proprio come, precedentemente, fece Sim e mi rivolse un sorriso comprensivo.

“In definitiva, tu non potrai mai… Mai… Mai capire come io… Mi sento. Mai…”

Un’altra lacrima mi sfuggì mentre la donna mi abbracciava senza proferire parola. Abbandonai il viso sulla sua spalla e chiusi gli occhi desiderando soltanto che tutto ciò che stava succedendo fosse solo un brutto sogno.


***

 

… Poche parole dovrebbero bastare per raccontare il poco che rimane. Ogni tentativo di ritrovare i corpi, fu assolutamente inutile. E lì, nel profondo e terribile amalgama d’acqua vorticosa e schiuma tempestosa, giaceranno fino alla fine dei tempi il criminale più pericoloso ed il principale campione della legge della loro generazione. Io lo ricorderò sempre come l’uomo migliore ed il più saggio che abbia mai conosciuto.

 

THE END

 

Mi fece davvero male scrivere quelle parole. Non ero ancora pronto a mettere la parola ‘fine’, non così presto. Pensavo di poter raccontare ancora molte delle gesta del mio amato Holmes e non immaginavo che quelle poche lettere sarebbero arrivate così in fretta.

“John!”

Sentii Mary chiamarmi dall’altra stanza mentre ancora stavo scrivendo le ultime lettere del testo.

“John…”

“Mmh?”

“Dovresti fare le valige. Sono le due e mezzo, la carrozza sarà qui alle quattro.”
“Mmh.”

La donna si mise accanto a me lanciando distrattamente uno sguardo alla macchina da scrivere. Non aveva mai apprezzato particolarmente questa mia passione e probabilmente non sapeva nemmeno chi fosse il soggetto.

“Sarà una settimana bellissima a Brighton.”
“Sì, ci divertiremo. Non vedo l’ora.”

Durante il primo tentativo di partire per la nostra luna di miele, ero davvero entusiasta di poter passare sette giorni da solo con lei senza che – speravo – Sherlock ci potesse interrompere. In quel momento, però, una parte di me sperava in una sua improvvisa comparsa. Conoscendolo, si sarebbe potuto perfettamente nascondere nell’armadio durante la nostra prima notte.

“Sai, anch’io a modo mio… Sento la sua mancanza.”

Ebbi qualche dubbio in proposito ma non la contraddissi.

“Lui avrebbe voluto che andassimo.”

Non pensavo davvero nemmeno questo. Probabilmente, avrebbe detto quelle parole ma all’ultimo secondo ci avrebbe raggiunto con qualche pretesto per non farci partire. Oppure, come l’ultima volta, si sarebbe camuffato. Da sedile, magari.

“Lui sarebbe venuto con noi.”

Le sorrisi dato che aveva appena dato voce ai miei pensieri ed afferrai il pacco che mi aveva lasciato sulla scrivania.

Mary uscì dalla stanza.

“Quando arriverà la signora Hudson per Gladstone?”

“Uh… Fra poco. Alle tre.”

Guardai il pacco cercando di capire chi me lo avesse inviato e cosa potesse contenere. Non avendo nessuna idea, lo aprii.

Appena scoperto il contenuto, ebbi un tuffo al cuore ed una piccola speranza crebbe sempre di più in me fino a farmi sorridere.

“Mary… Chi ha consegnato questo pacchetto?”
Mi misi in piedi tenendo tra le mani l’oggetto che aveva destato la curiosità del detective mentre ci trovavamo in compagnia del fratello. Ricordavo ancora le esatte parole di Mycroft:
E’ la mia scorta personale e privata d’ossigeno e non la devi toccare.

Come diavolo era finito qui? Una sola risposta mi venne in mente e sperai ardentemente che fosse quella giusta.

“Il postino!”
“Quello solito o… Aveva un aspetto… Particolare?”

“Eh? Bè… Adesso che me lo fai notare, non era il solito.”

A quelle parole, sorrisi avendo ormai avuto una conferma. Abbracciai Mary che rimase immobile probabilmente sorpresa del mio contatto improvviso.
“Grazie!”

Tornai nel mio studio per riporre l’oggetto nella scatola e notai Gladstone sull’attenti che fissava la poltrona. Non ci prestai attenzione più di tanto, dopotutto era un cane.

Posai l’aggeggio nel pacco ed estrassi il foglio su cui avevo precedentemente scritto.

“… Un punto interrogativo?”

Accanto alla parola ‘fine’ c’era un punto interrogativo. Avevo pigiato per sbaglio il tasto?

Alzai le spalle e posai il foglio insieme agli altri deciso a correggerlo successivamente.

Mary entrò nella stanza con indosso il cappotto.

“John, ha chiamato la signora Hudson. Dice che ha difficoltà a raggiungerci quindi vado a lasciarle Gladstone, d’accordo?”

Annuii mentre mia moglie mi lasciò un bacio sulla guancia per poi uscire con il cane che continuava a fissare dalla stessa parte con insistenza.

Ripresi la scatola e la posai su un ripiano lasciandomi poi cadere sulla poltrona.

“Watson, accidenti, ma è cieco?!”
Spalancai gli occhi sentendo quella voce così familiare e mi misi in piedi accorgendomi che lì seduto c’era proprio Sherlock con uno dei suoi soliti assurdi camuffamenti che, come al solito, non avevo notato.

“… S-Sherlock?”

“Giusta osservazione.”

Il detective si tolse la maschera mostrando il suo viso ancora pieno di vitalità e senza alcuna ferita rilevante. Il cuore mi andò a mille mentre lui continuava a rimanere seduto come se fosse mio ospite per un tè.

Alzò lo sguardo e mi guardò con espressione interrogativa.

“La vedo sorpresa, Watson. Proprio non vuole imparare? Le ho già detto di non credere a ciò che la gente scrive sui giornali.”

“… Io… L’ho vista buttarsi. L’ho vista coi miei occhi.”

“Ciò che sembra non è sempre ciò che effettivamente è. Non l’è servito a niente lavorare con me? Lei è l’unico mistero che, credo, non risolverò mai. Parlando di misteri, a quanto ho sentito dire, in questi giorni sono stati compiuti vari omicidi e sono morte persone che, apparentemente, non hanno nulla in comune. Mi servirebbe la sua collaborazione, quindi non credo che sia un buon giorno per partire per Bri…”

Ascoltai tutto il suo discorso con un sorriso non capendo come potesse parlare così tranquillamente dopo avermi fatto credere di essere andato all’altro mondo. No, non era assolutamente un uomo comune.

Sapendo che, aspettando la fine del suo discorso, avrei finito per perdere la carrozza, lo interruppi e mi avventai sulla sue labbra senza pensare o ragionare sulle possibili conseguenze. Io non ero un tipo calcolatore che premeditava ogni singola mossa come l’uomo che, in quel momento, stavo baciando. Ero fermamente convinto che alcune cose andassero fatte e basta.

Sherlock attese qualche secondo prima di dar segno di reazione e – come al solito – mi sorprese. Non mi respinse come mi aspettavo ma ricambiò, invece, il mio bacio.

Per la prima volta, sentii il bisogno di rimanere con lui e di poterlo avere solo per me. In un certo senso, era già così ma non lo avevo mai capito. Avevo avuto una seconda possibilità e non avevo intenzione di sprecarla.

Quando mi allontanai dal suo viso, fu solo per riprendere fiato. Per tutto il tempo, l’avevo inconsapevolmente trattenuto.

Vidi che Sherlock aveva gli occhi chiusi e, dopo averlo lasciato, li riaprii facendomi uno dei suoi soliti sorrisi sghembi.

“Da questa sua azione… Posso dedurre che le sono mancato. O magari c’è qualche altro significato?”

Quando si trattava di sentimenti, era davvero un idiota. Non capiva mai nemmeno le cose più ovvie e sorrisi capendo che, al momento, il più intelligente tra i due ero io.
“Le è così difficile comprendere i sentimenti delle persone ed i suoi stessi? Alla fine, è facile. Dai pochi dati appena raccolti, potrei facilmente dedurre che lei prova la stessa cosa che sento io per lei.”
“Oh, e come l’ha capito?”

Fu davvero strano sentire Sherlock rivolgermi una domanda del genere. Gli sorrisi.

“Elementare, mio caro Sherlock.”

Ricambiò il mio sorriso mentre io afferrai nuovamente il suo viso ruvido per la barba non fatta ai lati e gli diedi un altro bacio che, quella volta, non esitò a ricambiare. Non fu corto come il primo: Fu più lungo e profondo. Strinsi il detective a me quando sentii le sue dita passare tra i miei capelli.

Quando ci ritrovammo sul letto al piano di sopra tra le lenzuola stropicciate, sperai con tutto il cuore che Mary si fermasse a bere un tè dalla Signora Hudson.

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E' la prima volta che scrivo una Fan Fiction su un film e spero di essere riuscita a rispettare abbastanza bene i loro caratteri ^^" E' innegabile che tra loro ci sia qualcosa e non ho potuto non farli mettere insieme. Spero di averla scritta abbastanza bene e che vi sia piaciuta ^^
PS Non sono sicura che il fratello si chiami René, perdonate un mio possibile errore. 

  
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