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Autore: Akemi_Kaires    25/07/2012    13 recensioni
{Dragonshipping; Lance/Sandra}
- Come mai non mi chiedi se anche io sarò in mezzo alla folla che ti darà la caccia? Perché non mi domandi se anche io ti rincorrerò per il mondo intero pur di ucciderti? – domandò infine, lasciando che la rabbia fluisse e lasciasse posto ad un’insolita pace interiore.
- Lo sai che non mi piacciono le bugie – le rispose semplicemente, abbozzando un sorriso mesto.
- Hai paura che non ti dica la verità?
- Le domande danno un pretesto ai bugiardi. Se io te lo domandassi, tu risponderesti il contrario di quello che pensi – esclamò il Campione traditore, convinto come mai lo era stato prima di allora. – Non cercheresti mai di assassinarmi, nonostante tu affermeresti il contrario per orgoglio. Preferisco che tu ti fida silenziosamente di me, piuttosto che forzarti a darmi una risposta che già conosco.

Prompts: Passione - Cuore
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, Sandra
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Image and video hosting by TinyPic Prima che tutti voi scappiate, urlando Akemi è tornata con una Dragon

Prima che tutti voi scappiate, urlando Akemi è tornata con una Dragon! Si salvi chi può!, sappiate una cosa. Mi siete mancati tantissimo (e mi è mancata anche la beneamata Dragonshipping, ja). Nel periodo difficile che ho attraversato, ammetto di essermi isolata ed essere scomparsa nel nulla. Ma ora sono qui, pronta a scrivere nuove minchiate fic! Mi auguro che Gone, che presumo leggerete presto, sia di vostro gradimento. Questa shot mi sta particolarmente a cuore, un po’ come Guilty. Son tornata con questa Dragon, con rating… ehm… lasciamoperderecheèmeglio. Orsù, amate questi due amori nell’avatar qui accanto. È un ordine. Buona lettura!

P.S.: A chi ha il Jukebox Cielo (Mystery Dungeon Esploratori del Cielo), consiglio di ascoltare la canzone N° 72 – Sempre più lontano… mentre leggete questa shot.

 

 

 

 

Gone

 

 

 

Vale davvero la pena vendere la propria anima per ottenere spicciola e fugace felicità?

 

Le strade di Ebanopoli erano deserte. A causa del maltempo e dell’impetuoso temporale, nessuno aveva il coraggio di uscire dalla propria casa neanche per fare una passeggiata. Tutti preferivano abbandonarsi al dolce tepore del proprio camino, trascorrendo così la giornata all’insegna del dolce far niente.

Se non fosse stato per i suoi doveri e per il ruolo che ricopriva, sicuramente anche Sandra sarebbe rimasta volentieri in camera sua, protetta da quelle mura famigliari, per godere del meritato riposo.

Invece si ritrovava nel cuore della tempesta, incurante del freddo pungente, della furiosa pioggia e dei ruggenti tuoni.

Appena uscita dalla sua Palestra, avanzò spedita, destreggiandosi al meglio tra gli intricati vicoli del suo paese natale nel tentativo di raggiungere la sua abitazione. Cercò di procedere stando al riparo dei cornicioni gocciolanti, coprendo come meglio le era consentito il suo corpo con il mantello. Corse più veloce che poteva, combattendo contro quegli aghi d’acqua che viaggiavano in senso contrario al suo, a capo chino e con lo sguardo basso.

Si orientò affidandosi a sensi e ricordi, facendosi largo nella fitta oscurità che avvolgeva tra le sue pericolose spire l’intero borgo montano. Durante la stagione dei temporali, specie quando calava la notte, il paese assumeva un aspetto a dir poco spettrale e inquietante.

La piccola cittadina appariva desolata e spoglia, silenziosa come non mai. Solo lo scrosciare costante della pioggia e il rumore dei passi della giovane dissipavano quell’aura gelida che trasudava morte e abbandono. Nonostante fosse quasi ora di cena, non si udiva il tipico cozzare di piatti e tintinnio di bicchieri in brindisi.

Da quanto la guerra era giunta fino a Johto, le persone indugiavano perfino a respirare, per timore di essere scoperte e assalite dai nemici. La gente conviveva col puro terrore, e nessuno sembrava in grado di poter lenire i loro tormenti.

La Capopalestra poteva capirli perfettamente. Erano stati improvvisamente traditi dalla loro stessa guida, da quel sovrano che aveva garantito numerosi anni di pace e che ora li stava uccidendo come se fossero animali da macello.

Non sembrava esservi alcuna via di uscita da quella situazione disperata. Nessuno era in grado di prendere le redini del comando, non una persona era adatta ad accettare la responsabilità di condurre il popolo verso un mondo di serenità e tranquillità. In quel periodo, assumere il titolo di Campione sarebbe stato come annunciare il proprio suicidio, sia fisico sia morale.

Era troppo pericoloso e a dir poco scellerato esporsi troppo. Non solo si comprometteva la propria incolumità, ma anche quella dell’intera popolazione. Non valeva la pena sacrificare innocenti per un vano e futile tentativo di salvezza.

Nonostante cercasse di non darlo a vedere, quell’orrida situazione aveva provato alquanto la giovane Domadraghi. Si sentiva oppressa da quelle vicende tanto assurde quanto drammatiche, sconfitta da quegli improvvisi ed illogici eventi. E, cosa ancor più importante, non si era mai sentita così inutile e incapace di fare alcunché per preservare la sua amata patria.

Detestava dover osservare come spettatore secondario tutte quelle oscenità senza poter intervenire, odiava visceralmente non poter agire in alcun modo per rendere giustizia agli oppressi. Per la prima volta nel corso della sua vita, era inerme davanti al nemico.

Ancora stentava ad accettare la verità di quelle condizioni.

Scosse la testa, impaziente di rinchiudersi nella sua camera, di spogliarsi di quelle fradice vesti e di raggomitolarsi sotto le coltri morbide del suo letto. Forse, nel torpore dei sensi, sarebbe riuscita a sfuggire momentaneamente a quel tumulto di emozioni e sensazioni che da troppo tempo ormai la stavano soffocando senza alcuna pietà.

Ciò che la rendeva piuttosto inquieta, in quegli ultimi giorni, non era la disperazione della sua patria e la paura che albergava in ogni animo. Si trattava bensì di qualcosa molto più potente, un dolore acuto che si era annidato con violenza nel suo cuore, in grado di farla cadere e privarla di ogni forza.

La giovane incespicò nei suoi stessi passi, inciampando nel suo mantello e cadendo rovinosamente a terra. Imprecò sottovoce, cercando di pulirsi da quel fango che l’aveva macchiata e sporcata. Non appena posò le mani sul suo viso, nel tentativo di togliere quei luridi schizzi che lo avevano insozzato, si irrigidì immediatamente.

In mezzo alle gocce di pioggia e alla viscida terra, lacrime calde scorrevano rapide lungo le sue guance. Inconsciamente, aveva concesso al suo immenso tormento di manifestarsi, e che quelle piccole perle sgorgassero libere dai suoi occhi. Accadeva piuttosto spesso, specie quando si soffermava a pensare a quel traditore che stava mettendo in serio pericolo il mondo intero.

Perché quella feccia dell’umanità, che aveva osato voltare le spalle perfino ai suoi cari, non era niente meno che suo cugino. Lance aveva pugnalato ognuno di loro a tradimento, abbandonandoli per inseguire il suo perverso e malvagio sogno.

E l’aveva lasciata ancora una volta indietro, come era sempre successo durante gli allenamenti alla Tana del Drago. Si era scordato della sua presenza, come se non esistesse.

Non gliene aveva fatto alcuna parola, né le aveva domandato opinione o aiuto. L’aveva semplicemente dimenticata, trattandola alla stregua degli altri sconosciuti. Dopo tutti quegli anni trascorsi fianco a fianco, dopo tutti quegli avvenimenti che avevano rafforzato sempre più il loro legame, lui aveva trovato il coraggio di scomparire nel nulla, senza degnarla neppure di una qualsiasi spiegazione logica.

Si erano sempre comportati come fratello e sorella, confessandosi anche i più intimi segreti, fidandosi reciprocamente l’uno dell’altra. Come poteva quell’Allenatore borioso preferire una vera e propria pazzia a quei momenti magici che avevano impreziosito la loro vita?

Detestava ammetterlo, ma gli mancava. Rimpiangeva perfino quell’odiosa risata successiva ad una vittoria, quei pugnetti affettuosi che le assestava sulla spalla, e quel sorriso angelico sempre in grado di sciogliere la sua maschera di orgoglio e freddezza.

Sebbene lo detestasse per ciò che aveva osato fare, i ricordi la perseguitavano in continuazione, non concedendole un attimo di tregua. La opprimevano ed assalivano senza alcuna pietà, mozzandole il respiro e rimarcando quanto quell’antica felicità non si sarebbe mai più manifestata in futuro.

Lui non sarebbe tornato, e questo in teoria doveva renderla felice. Tuttavia, non poteva fare a meno di essere preoccupata, di desiderare di averlo al suo fianco almeno un’ultima volta.

Scosse la testa, ringhiando sommessamente, appoggiando una mano ad un muretto di pietra per trovare un appiglio con il quale sollevarsi. Si rialzò, sospirando sollevata non appena scorse in lontananza la sua piccola ed umile casa.

Là dentro sarebbe stata al sicuro dagli spettri del passato, dai rimpianti e da quella colpa che portava in grembo troppo tempo.

 

Avvolta nel suo maglione di lana, Sandra osservò inespressiva il fuoco scoppiettare allegramente nel camino. Lo sguardo perso vagava su quelle lingue ardenti, studiando senza interesse i ghirigori che le fiamme creavano, mentre la mente viaggiava verso lidi lontani e sconosciuti.

Era seduta sul tappeto da dieci minuti ormai, immersa in quel tepore familiare in grado di dissipare tutti i suoi tormenti. Il tempo pareva essersi fermato da quando aveva fatto il suo ingresso in casa, ogni cosa sembrava essersi pietrificata improvvisamente.

Perfino il suo cuore taceva. Nonostante fosse ghermito da artigli oscuri e gelidi, aveva smesso di gridare per il dolore acuto. Ogni cosa era sotto il dominio dell’imponente silenzio, e nessuno osava infrangere la quiete che gravitava in quella stanza.

La Capopalestra sospirò, stringendosi ancor più nei suoi morbidi vestiti, non appena un brivido gelido percorse la sua schiena. Chinò leggermente il capo, trattenendo con rabbia quelle lacrime che premevano per sgorgare indomite dai suoi occhi.

Un tempo tutto era diverso. In quell’abitazione aleggiava sempre un’aria allegra e spensierata, e ogni cosa profumava di gioia e felicità. Nient’aura di morte intrisa in quelle mura, nessuna disperazione in quel mutismo forzato.

Alla giovane sembrava di poterlo ancora vedere, mentre vagava nella cucina fischiettando. Poteva ancora sentire l’odore di quelle buone pietanze appena uscite dal forno, assieme al vociare gioioso che popolava quelle serate.

Volse lo sguardo verso la tavola, ancora imbandita per due persone. Si insultò mentalmente per quel suo dannato sentimentalismo e per quella debolezza. Perché aveva posato i piatti anche per una persona che non esisteva più? Si aspettava forse che questa tornasse a casa per cena, che mangiasse assieme a lei e discorressero assieme della giornata faticosa appena trascorsa?

Facendosi leva sulle braccia, si rialzò pigramente, pronta a riporre quegli oggetti malinconici che occupavano senza motivo il tavolo. Aprì i vari ripostigli, riordinando posate e bicchieri con fare rassegnato.

Quando Lance viveva con lei, era tutto diverso. Dalla sua scomparsa, sembrava che ogni cosa fosse morta in quella piccola casa. Niente era rimasto come prima, e la sua fuga aveva portato con sé tutta quella contentezza in grado di rassicurarla e rasserenarla.

Rimpiangeva il vederlo trafficare ai fornelli, con le maniche dalla camicia arrotolate fino ai gomiti, un grembiule allacciato intorno alla vita e uno strofinaccio gettato su una spalla. Le mancava il suo sorriso radioso, lo stesso che sfoderava ogni volta che le bendava gli occhi prima di farle assaggiare un nuovo manicaretto.

Detestava non udire la sua voce carezzarla dolcemente, non poter inscenare piccoli battibecchi tra fratelli e non godere delle sue amorevoli attenzioni.

Non era più abituata alla solitudine. Per un attimo, pensò di non riuscire a sopravvivere senza la presenza di quel ragazzo. Si insultò mentalmente, ripensando a quel lapsus che l’aveva spinta ad apparecchiare il suo posto, nonostante lui non vi fosse più.

Era da tanto tempo che aveva smesso di commettere quei piccoli errori. Nonostante lo immaginasse ancora al suo fianco, si limitava a svolgere una vita da vera single senza porsi troppi problemi. Aveva perfino smesso di lavare e sistemare le coperte del letto del Campione, convincendosi che non vi avrebbe mai più dormito sopra.

Un rumore sordo catturò improvvisamente la sua attenzione, spezzando violentemente il filo dei suoi ricordi. Si irrigidì, mentre il suo sesto senso la allarmava di un pericolo in avvicinamento.

Sobbalzò, voltandosi di scatto, non appena udì dei passi oltre la porta che conduceva al bagno. Quanto era stata stupida! Era stata così presa dal suo passato da non accorgersi neppure di un intruso – un ladro forse -, intrufolato da chissà quanto tempo nell’abitazione. Se non fosse stato per le sue percezioni sensoriali sviluppate, forse si sarebbe lasciata sorprendere alle spalle.

Afferrò un coltello da cucina, pronta ad utilizzarlo come arma di difesa in caso di necessità, e si appostò al fianco dell’uscita. Cercò di fare affidamento al suo autocontrollo, raccogliendo le energie necessarie per avventarsi sul suo nemico.

Irruppe nella minuscola stanza con rabbia, guardandosi attorno guardinga non appena si trovò all’interno. Avanzò di qualche passo, diradando con una mano la coltre di vapore proveniente dalla doccia, aguzzando la vista per poter scorgere l’uomo misterioso nelle vicinanze.

Spalancò lo sportello della cabina con un gesto secco, scoprendola vuota. Strabuzzò gli occhi, stupita. Se quell’unico nascondiglio non era occupato, allora dove si era nascosto l’avversario?

A bocca spalancata, fece appena in tempo a capacitarsi del suo sciocco errore, prima di essere sbattuta violentemente contro la parete bagnata. Quell’ombra aveva fatto il suo stesso gioco, accucciandosi accanto alla porta in attesa del suo arrivo. L’aveva ingannata con la sua stessa tecnica, prendendosi gioco delle sue capacità strategiche.

Questo bastardo è un Domadraghi come me!, intuì la giovane, barcollando, ancora stordita dal violento impatto contro il muro.

Sandra gridò rabbiosa, non appena una mano strinse così tanto il suo polso da costringerla a mollare la presa sul manico dell’arma improvvisata. Sentì la lama tintinnare a terra, cozzando contro le piastrelle umide, e questo non fece altro che farla sentire ancor più inerme di quanto già non fosse.

La figura forte e slanciata la bloccò, ingabbiandola tra sue possenti braccia, senza concederle alcuna via di uscita. A mano a mano che il vapore fuoriusciva dal bagno, la Capopalestra riusciva a scorgere più definitamente i lineamenti del suo aggressore.

Restò senza parole, non appena constatò l’identità del suo nemico.

Il suo non era stato un lapsus. A pensarsi bene, non era stata lei ad imbandire la tavola. Quando era tornata a casa, questa era già stata apparecchiata per due persone. Il suo nemico era già lì, quando lei era tornata dalla Palestra.

- Non era questa l’accoglienza che mi aspettavo da parte tua, San – sussurrò deluso, accusandola con le sue iridi color miele. Sfoderò un ghigno beffardo, fissando con soddisfazione il volto iroso della sua vittima. – Non è così che una sorella accoglie il fratello appena tornato.

- Lance.

Pronunciò il suo nome con odio profondo, tradendo una certa emozione e trattenendosi a stento dallo sputargli in faccia. Ancora faticava a credere di trovarselo davanti, così diverso da come lo ricordava, in quella situazione a dir poco assurda.

Il suo cuore riprese ad urlare, disperato come non mai, mentre la ghigliottina accennava a calare minacciosamente su di lui. Il dolore prese a divampare come un incendio indomato, costringendola quasi a gemere.

Cercò di sgattaiolare via da quella gabbia umana, quando il Campione la afferrò rapidamente. La bloccò, scuotendo la testa con estremo disappunto. – Non ancora – mormorò spazientito, avvolgendole la vita con un braccio per trattenerla a sé. – Non abbiamo finito, tu ed io.

- Lasciami andare! – strillò la ragazza fino a farsi bruciare la gola, cercando di assestargli un calcio negli stinchi, mentre il terrore prendeva possesso del suo corpo. Gli occhi si inumidirono di lacrime di disperazione, e le tempie pulsavano convulsamente. – Devi smetterla di perseguitarmi!

- Perseguitarti?

Nel suo tono di voce non vi era alcuna ironia. Si era fatto improvvisamente serio, sbarrando gli occhi con estremo stupore. Restò senza parole per un lungo attimo, come alla ricerca di qualcosa adatto da dire. Sembrava scosso da quella strana e apparentemente innocente affermazione.

- Lasciami in pace! – gridò la giovane, mettendosi istintivamente sulla difensiva. Non aveva alcuna intenzione di confessare il motivo per cui si era lasciata sfuggire quelle parole.

Non a lui, almeno.

- Non sono tornato per farti male – la rimproverò, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due minacciose fessure. C’era una nota di offesa nelle sue parole, nonostante fosse ben conscio di averla terrorizzata e di essere comparso come un assassino assetato di sangue. – Ma per salutarti.

- Salutarmi?! Tu sei pazzo! – ringhiò lei in tutta risposta, per nulla disposta ad ascoltare quelle che alle sue orecchie giungevano come mere menzogne ben congeniate. Digrignò i denti fino a farli stridere, cercando un’ultima volta di divincolarsi dalla presa ferrea.

Non poteva permettersi di ascoltarlo. Se lo avesse fatto, avrebbe ceduto ancora una volta al suo segreto e a quel peccato empio e orrido. Doveva trovare il pretesto per zittirlo e per scappare al più presto da quel posto maledetto.

Eppure, qualcosa la costringeva a desistere, a rimanere inchiodata dove si trovava. Le suggeriva di arrendersi e ascoltare ciò che quel ragazzo aveva da dirle.

La sventurata ascoltò.

- Sono sul punto di attuare il più grande piano della storia. Presto tutti i Pokèmon saranno liberi, e il mondo diventerà loro, com’è giusto che sia – affermò lui con sicurezza e serietà, atteggiandosi da vero Campione qual era. Era spietato e freddo come non mai, così deciso sul suo piano. Nulla lo avrebbe fermato. – Non appena darò il via all’operazione, tutti cercheranno di catturarmi. A quel punto, non avrò neppure il tempo di poterti salutare. Mi uccideranno senza neppure concedermi un ultimo desiderio. Ed io non potevo andarmene senza averti almeno ringraziato per tutto quello che hai fatto per me.

La Domadraghi restò in silenzio, combattuta tra il desiderio di abbracciarlo e quello di picchiarlo a sangue. Ciò che aveva appena detto non era l’ennesima frase fatta, alquanto irrispettosa nei confronti dell’umanità. Doveva ammettere che si trattava della verità.

Lui era giunto fin da lei per dirle quelle cose così gentili, nonostante corresse un enorme rischio presentandosi ad Ebanopoli in un periodo così bellicoso. Aveva affrontato questi pericoli solo per incontrarla e pronunciare ciò che non aveva confessato a tempo debito.

E lei, invece? Stava ancora omettendo la verità, e si sentiva profondamente in colpa. Ma se avesse reso noto il suo peccato, forse lui sarebbe scappato via, abbandonandola ancora una volta.

Non poteva permettersi di rovinare quella magnifica – seppur strana – serata. Mise a tacere la sua anima implorante pietà, lasciandosi andare e godendo di quella presa che la legava ancora a Lance.

- Come mai non mi chiedi se anche io sarò in mezzo alla folla che ti darà la caccia? Perché non mi domandi se anche io ti rincorrerò per il mondo intero pur di ucciderti? – domandò infine, lasciando che la rabbia fluisse e lasciasse posto ad un’insolita pace interiore.

- Lo sai che non mi piacciono le bugie – le rispose semplicemente, abbozzando un sorriso mesto.

- Hai paura che non ti dica la verità?

- Le domande danno un pretesto ai bugiardi. Se io te lo domandassi, tu risponderesti il contrario di quello che pensi – esclamò il Campione traditore, convinto come mai lo era stato prima di allora. – Non cercheresti mai di assassinarmi, nonostante tu affermeresti il contrario per orgoglio. Preferisco che tu ti fida silenziosamente di me, piuttosto che forzarti a darmi una risposta che già conosco.

Sandra chinò il capo. Per un attimo fu tentata dal confessargli il suo ultimo e più importante segreto, pur temendo la sua reazione. Era così vicino che sarebbe bastato solo un sussurro per renderlo consapevole del suo peccato.

Si apprestò a tornare nella cucina, pronta a scostare il braccio di suo cugino dalla vita, tuttavia non si mosse di un solo centimetro. Inghiottita dall’ombra protettiva del ragazzo, non trovò neppure la forza di fare un solo passo per allontanarsi.

Il cugino le cinse i fianchi, facendo aderire il torace alla sua schiena in modo che si toccassero. Lei lo lasciò fare, totalmente succube di uno strano piacere, di un’antica emozione che si era finalmente risvegliata dopo anni di sonno. Il cuore martellava all’impazzata, liberandosi così della trappola mortale dalla quale era afflitto.

Inspirò profondamente, con la tentazione di chiudere gli occhi e abbandonarsi a quelle carezze così dolci e tanto desiderate.

Non farlo! Non devi assolutamente arrenderti a lui!, esclamò a gran voce la sua coscienza, imponendole di rimanere lucida e di trattenere quel segreto che accennava a mostrarsi al Campione. La Capopalestra era spaventata, ma non trovava la forza di respingere quell’uomo così premuroso nei suoi confronti.

Sentì Lance chinarsi su di lei e spostarle i capelli color cielo dal collo. Percepì il calore del suo respiro sulla pelle, quelle labbra morbide sfiorarla per scoccarle una serie di baci a stampo. Guidata dall’istinto, piegò il capo all’indietro, come per accogliere quell’affetto tanto bramato.

Le mani del giovane risalirono sotto il suo maglione, carezzandola dolcemente fino a provocarle brividi di puro piacere. Le dita gelide armeggiarono fino a sganciarle il reggiseno, mozzandole il respiro non appena i palmi si posarono sul suo seno prosperoso.

Senza accorgersene, avvolta da un insolito e invitante calore, la Domadraghi si sollevò lievemente sulla punta dei piedi. Le palpebre cedettero al dolce torpore, e dalle sue labbra sfuggirono sospiri soffocati. Con gli occhi chiusi, totalmente invasa dai brividi, si sporse verso di lui, andando in cerca della sua bocca.

Negli ultimi mesi aveva convissuto solamente con il suo ricordo.

Non appena sentì la lingua del Campione carezzare più volte la sua, Sandra dimenticò di quanto empio fosse il peccato al quale era andata incontro a braccia aperte.

 

Aprì gli occhi, richiamata da un dolce bacio sulla sua guancia. Facendo leva sulle sue braccia, si mise seduta, aspettandosi di trovare Lance al suo fianco. Invece, ad attenderla, vi era solo un inquietante silenzio.

Posò una mano sul suo viso, chinando leggermente il capo con amarezza. Eppure quella tenera sensazione era stata molto più che nitida.

Da ciò che vedeva, il compagno di quella desiderata notte si era già alzato. Sandra sospirò, sinceramente rincuorata. Non si sentiva ancora pronta per affrontarlo, per dargli spiegazioni riguardo ciò che era improvvisamente accaduto tra quelle lenzuola.

Che cosa gli avrebbe risposto, non appena le avrebbe posto la fatidica domanda? Avrebbe avuto il coraggio di guardarla negli occhi, oppure l’avrebbe scansata?

Il suo empio e orrido segreto si era finalmente mostrato alla luce, rivelandosi in tutta la sua peccaminosa bellezza agli occhi di suo cugino. Ne era conscia da tanto tempo, sin da quando lui era scomparso l’ultima volta senza degnarla di un misero saluto: nel suo cuore, un amore malsano aveva messo le sue radici.

L’aveva nascosto agli sguardi indiscreti, mascherandolo sotto una forma di odio errato e non voluto, ed ogni giorno cercava di soffocarlo sotto il peso di spossanti allenamenti. Si vergognava di ciò che nutriva nei confronti di quel ragazzo – suo cugino! -, e il pudore l’aveva sempre incitata a recidere il legame che correva tra loro.

Innumerevoli volte aveva indugiato di fronte all’idea di inscenare un forte litigio pur di allontanarlo da lei, eppure non aveva mai ricorso a quell’allettante possibilità. Finiva col cedere ai suoi stessi affetti, preferendo continuare a soffrire piuttosto che cancellarlo dalla sua vita.

Che cos’era successo, tutt’un tratto? Lui aveva forse intuito il suo segreto e aveva deciso di farglielo confessare con l’inganno, oppure anche lui provava le sue stesse emozioni?

Avvampò, mordendosi con vigore il labbro inferiore. Se la prima ipotesi fosse stata corretta, sicuramente l’avrebbe evitata e trattata con disprezzo, oppure minacciata di confessare ogni cosa al loro clan.

Non osava immaginare la reazione dei suoi famigliari, una volta saputo ciò che aveva osato fare poche ore prima. L’avrebbero deposta dal suo ruolo, diseredandola e non riconoscendola più come una vera Domadraghi.

Si mise le mani nei capelli, mentre le lacrime premevano rabbiose per sgorgare dai suoi occhi. Se questo fosse accaduto, tutte le fatiche fatte per combattere i pregiudizi altrui sarebbero state vanificate! Tutti gli sforzi fatti per contrastare l’idea che una donna non sarebbe stata degna di essere una Capopalestra sarebbero divenuti polvere in balia del vento!

L’amore è una dannata arma a doppio taglio.

Il sole fece capolino tra le fessure delle persiane, mettendo in evidenza i suoi vestiti sparsi a terra. La pallida luce carezzò il corpo nudo della giovane, indifferente all’imbarazzo provato da quest’ultima.

- E’ successo davvero – ribadì tra sé, come per convincersi che ciò che era accaduto non fosse solo un sogno. – Lui c’era davvero.

Era stata attratta dal Campione sin da quando l’aveva aggredita in quel bagno. Forse era per questo che le faceva davvero paura: perfino quando si mostrava spietato e senza cuore riusciva a scuoterla e farle provare forti emozioni.

Quell’uomo era pericoloso. O magari era lei che stava cercando un pretesto per odiarlo a morte? Non sapeva darsi una risposta, per quanto la cercasse disperatamente.

Doveva assolutamente chiedere spiegazioni a Lance. Sicuramente lui sarebbe stato in grado di darle le risposte che cercava. Forse l’avrebbe consolata, dicendole che ricambiava i suoi sentimenti. Desiderava solo una conferma, la certezza di essersi concessa ad un uomo che ricambiava davvero il suo puro amore.

Voleva sapere se quello che era successo quella notte aveva significato o era stato un capro espiatorio per entrambi. Eppure lui si era comportato in modo così premuroso in quegli attimi di puro piacere. Non si era trattata di una passione travolgente e rabbiosa, ma tutto si era svolto con estrema dolcezza. L’aveva tenuta a sé in un perenne abbraccio, sussurrandole parole ricolme di affetto tra gemiti e sospiri, e aveva stampato baci teneri sulle sua bocca.

Sognava ancora la sua voce pronunciare quel delicato e semplice Ti amo, che le aveva riservato non appena aveva infranto la barriera fra i loro corpi, dopo aver posato le labbra sulla fronte.

Si avvolse in una coperta, avanzando a piedi nudi per le stanze di casa sua. Rabbia cieca prese possesso del suo animo, non appena percepì il crudele silenzio che regnava sovrano in quell’abitazione. Alla fine, l’uomo della sua vita l’aveva abbandonata definitivamente.

Nonostante tutto, non si arrese. Spalancò ogni porta, scrutando l’interno delle relative stanze, pur di trovarlo. L’avrebbe scovato, ovunque egli fosse. Doveva farlo!

La sua agitazione venne sopita non appena un odore familiare giunse alle sue narici. Inspirò profondamente l’aroma di una ricca colazione, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. Lo aveva giudicato troppo in fretta, effettivamente. C’era qualche possibilità che il sogno si coronasse, che i suoi desideri si tramutassero in realtà.

Irruppe nella cucina, curvando istintivamente le labbra in un gioioso sorriso. Purtroppo, a differenza delle sue aspettative, ad aspettarla c’era solamente una tavola imbandita e del cibo ancora fumante. Di Lance non c’era alcuna traccia.

Procedette ancora di qualche passo, avvicinandosi a quel piatto invitante cucinato con premura e affetto. Avrebbe tanto voluto afferrare un pezzo di quella magnifica torta alla panna, tuttavia il dolore la dilaniava così tanto da sopire perfino i morsi della fame.

Fu tentata dal rovesciare e mettere a soqquadro ogni cosa, facendo in modo che la rabbia prendesse il controllo totale del suo corpo, quando notò una busta piegata con cura accanto alla bottiglia d’acqua.

La afferrò con circospezione, sbattendo le palpebre più volte, per poi aprirla facendo attenzione a non spiegazzarla o strappare la carta. Spiegò il foglio al suo interno con estrema delicatezza, mentre le lacrime sgorgavano silenziosamente dai suoi occhi.

 

Ho indugiato più e più volte se svegliarti per dirti queste parole di persona. Ma alla fine ho rinunciato a farlo perché sapevo che, una volta ammirato il tuo bel viso, non avrei trovato il coraggio di annunciarti la mia partenza. Non sono bravo a scrivere lettere, tu lo sai, però non voglio abbandonarti senza salutarti un’ultima volta.

Non ho molto tempo, perciò faccio subito un elenco di ciò che rimpiangerò non appena varcherò la soglia di questa porta. Mi mancheranno le tue mani gelide che si posavano sulla mia faccia nel tentativo di scaldarsi, sfruttandomi come se fossi una stufetta elettrica. Mi mancheranno quelle volte in cui ti bendavo per farti assaggiare qualche nuovo esperimento culinario, e le proteste annesse e connesse. Mi mancherà la mia solita “sveglia”, ossia quello strillo acuto che mi faceva letteralmente cadere dal letto ogni volta che mi dimenticavo di alzarmi presto. E tutti quei sorrisi che mi davano il buongiorno e la buonanotte, così dolci da donarmi grande felicità.

E, non ci crederai mai, mi mancheranno perfino i tuoi insulti, e il tuo borbottare che minacciava di sconfiggermi e umiliarmi in una prossima battaglia.

Insomma, mi manchi già. Sono troppo romantico? Non so che cosa farci. Forse adesso suonerebbe bene una tua imprecazione, assieme ad una tirata di orecchi.

Non vedo l’ora di rivederti, un giorno. Magari potresti portarmi da mangiare, quando mi chiuderanno dietro le sbarre. Che dici? Stavolta cucinerai tu, così potrò vedere se riesci a battermi anche in questo.

Grazie di essere sempre stata al mio fianco e per aver creduto in me.

Ti amo, Sandra. E questa volta non ho paura di dirtelo.

 

Sandra posò quella prova d’amore sul suo cuore, singhiozzando. Le lacrime scorrevano copiose lungo il suo viso, precipitando a terra.

Ancora stentava a credere che i suoi sogni si fossero tramutati in realtà. Ironia della sorte, ora che il suo più grande desiderio era stato realizzato, era costretta ad allontanarsi ancora una volta dalla sua unica ragione di vita.

Nonostante l’enorme tristezza generata da quell’ennesimo addio, la Capopalestra era felice. Non aveva combattuto invano fino ad allora, e non sarebbe stato inutile continuare a curare quella piantina germogliata nel suo cuore.

Abbozzò un mesto sorriso, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Si sarebbero rincontrati, prima o poi, e una volta trovati non si sarebbero mai più lasciati.

Era così desiderosa di poterlo riabbracciare che, se lo avessero ucciso, si sarebbe suicidata pur di raggiungerlo. Magari lo avrebbe anche cercato, lo avrebbe rincorso per tutto il mondo, a differenza di ciò che gli aveva giurato.

Rilesse ancora una volta quelle parole vergate con insicurezza, esitazione e amore. Si lasciò carezzare dolcemente dai ricordi, accogliendo a braccia aperte quel tumulto di emozioni che l’avrebbero travolta una volta rievocata l’immagine di Lance. E rise, di fronte alla semplicità con cui lui aveva scritto quelle frasi tanto scherzose quanto affettuose.

Era davvero valsa la pena vendere la propria anima, consumarsi e convivere per tanti anni con il dolore, per godere di quegli intensi, spiccioli e brevi attimi di pura felicità.

 

 

 

Dragonshipping. Il mio vero, unico e tanto amato OTP. Ok, non voglio fare la melodrammatica. Ho impiegato l’anima per scrivere questa storia, perché desideravo davvero comporre qualcosa di veramente bello su questa coppia. Penso di averlo già fatto con Guilty, ma mi auguro che questa sia migliore. O almeno, lo spero. Forse ai vostri occhi potrà apparire nonsense, ma ricordatevi che è un mangaverse. Indi per cui, Lance è un vero e proprio psicopatico (ho cercato di mostrarlo nei suoi vari cambi di atteggiamento: aggressivo e determinato, poi premuroso e amorevole, infine dolce e scherzoso). Sandra, invece, è sempre la solita ragazza orgogliosa, ma che nasconde un lato passionale e alquanto fragile. Mi auguro sinceramente di aver rispettato i loro IC, dato che è da un pezzo che non scrivo su questi due amori. Mi auguro davvero che sia di vostro gradimento, e spero di ricevere tanti bei commenti. Ho impiegato cuore e anima per questa shot… perché l’ho fatto per persone care.

Volevo concludere con i Ringraziamenti. Anzitutto vorrei ringraziare le care persone che hanno recensito Nightmare, dandomi di nuovo il benvenuto in questo fantastico fandom (in particolare Halle, la mia Sorellina, Blair, e Aya). Poi volevo ringraziare di cuore anche chi mi ha aiutata, in questo periodo, a realizzare un progetto a me particolarmente caro. Ragazzi del Writer’s Palace, sto parlando di voi! Infine, ultimi ma non per importanza, volevo dare un forte abbraccio e ringraziare quattro persone: la mia adorata Marita, quello sciocco del mio Fratellino, la mia adorabile Cognatuzza e la dolce Maya (anche se non leggerà questa shot, fa lo stesso). E grazie di cuore a voi lettori, a chi recensirà e a chi, seppur silenziosamente, ha amato per un breve istante la Dragonshipping.

Grazie di cuore a tutti voi!

  
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