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Autore: Beads and Flowers    25/07/2012    3 recensioni
Non andava in Chiesa. Alcuni dicevano che fosse atea, altri pagana, altri ancora che non sapesse cosa fosse la religione. Mallaidh sarebbe andata all’Inferno. Avrebbe camminato per sempre in un limbo di torture e dolore. Bambini, non vi avvicinate alla Folle Mallaidh. Vi tenterà con i suoi occhi verdi, vi strapperà via il cuore dal petto, vi condurrà all’Inferno.
Non vi avvicinate a Mallaidh.
E’ pericolosa.
E’ una strega.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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6- Seabhag
 

By his bedside kneeleth a maid
And she weepeth both night and day

 
 

 Iseut si coprì il volto con una mano, e cercò invano di trattenere le lacrime. Accanto al letto di suo padre, un prete recitava sottovoce una lunga preghiera. I molti servi del palazzo, a capo chino e con le mani giunte, ripetevano cantilenando le parole del prete. Alcuni reggevano in mano delle piccole candele, la cui luce ricordava la presenza dei fuochi fatui nei cimiteri abbandonati. Spiriti danzanti sulle tombe. E anche quella stanza, quel letto di fronte al quale tutti pregavano, era una tomba.
 Lord Hamon Seabhag era morto.
 I suoi occhi erano stati chiusi, il volto coperto da un drappo di candida seta. Eppure, nella mente di Iseut, il ricordo dello sguardo perso ed implorante di suo padre era ancora ben vivido. La sua morte era stata lenta e dolorosa, ed il suo più grande desiderio era stato ignorato. Tutto quello che Lord Hamon aveva desiderato era vedere suo figlio, sussurrargli qualche parola di addio, vedere nel suo volto un futuro promettente e rassicurante. Ma Newlin era da molti giorni partito nella foresta, da solo, ordinando alla sorella di non inviare nessuno alla sua ricerca. Iseut aveva tentato in tutti i modi di convincerlo a rimanere a palazzo, almeno in quelle settimane in cui la malattia di suo padre era peggiorata.
 Ma il fratello, come in preda ad una febbrile agitazione, aveva risposto bruscamente che vi erano cose più importanti al mondo della malattia di un vecchio infermo. Di fronte allo sdegno di Iseut a quell’affermazione, Newlin aveva scosso la testa con irritazione, e si era diretto verso le stalle in silenzio. Erano passati ormai quindici giorni dalla loro discussione, e Newlin non era più tornato. Nel frattempo, suo padre era morto, ed Iseut era più sola che mai.
 La ragazza si chiese quando suo fratello sarebbe tornato a palazzo. Newlin aveva ragione, lei non riusciva a comprenderlo. Che cosa vi poteva essere di più importante della morte del proprio padre? Che cosa stava accadendo a Newlin? Perché non era ancora tornato dalla foresta?
 Seppure Iseut fosse irata con lui, era anche molto preoccupata. La foresta, d’inverno, era un luogo pericoloso. I lupi scendevano dai monti alla ricerca di cibo, gli assalti dei briganti si facevano più frequenti, il freddo della neve poteva uccidere un uomo. Forse, sarebbe stato meglio inviare degli uomini alla ricerca di Newlin, ponendo così fine a quell’incomprensibile mistero. Il nuovo Signore di Seabhag doveva tornare a casa, e prendere in mano il potere sul suo feudo.
 Iseut uscì in silenzio dalla stanza del padre. Non riusciva più a trattenere le lacrime, e non voleva che qualcuno la vedesse piangere.
 
 Erano passati molti giorni dal matrimonio di Newlin e Mallaidh. Poiché il ragazzo era convinto che la moglie avesse bisogno di un po’ di tempo per separarsi dalla sua casa ed imparare al meglio certe usanze e costumi di Seabhag, i due erano rimasti per un po’ alla Grande Quercia. Avevano trascorso il loro tempo parlando sottovoce sul giaciglio di muschio nella lingua di Newlin, principalmente riguardo alla vita meravigliosa che avrebbero trascorso a palazzo, della felicità che avrebbero provato insieme e dei progetti che avrebbero realizzato col tempo. A dire il vero, in genere a parlare era Newlin. Il suo più grande desiderio, le diceva, era quello di rendere Mallaidh la sua signora, esplorare le origini della sua famiglia e sottrarla alla sua vita selvaggia. Voleva donare alla sua amata una vita serena e piena di amore, offrirle tutte le comodità che la sua epoca poteva offrire, porre fine all’astio tra la sua sposa ed il villaggio di Seabhag.
 Mallaidh, d’altro canto, sembrava ignorare completamente i discorsi di Newlin. Quando il suo sposo le parlava, con un tono dolce e carezzevole, lei non gli rivolgeva neanche lo sguardo. Sdraiata nel suo giaciglio di muschio, appollaiata tra i rami della Grande Quercia, carezzando il cavallo di Newlin o raccogliendo frutti di bosco nella foresta. Sempre, il suo sguardo era perso nel vuoto, i suoi occhi verdi socchiusi ed immersi in pensieri profondi. Sapeva che, avendo sposato Newlin, lei stessa non avrebbe mai potuto nuocere il suo sposo. Aveva giurato sui suoi antenati e sugli elementi che governavano il Cosmo, e la sua promessa le impediva di versare il sangue del figlio di Seabhag. Ma, se dalla loro unione fosse nato un maschio, l’influenza di Mallaidh avrebbe potuto indurre suo figlio a distruggere le vite del genitore e della sua famiglia, vendicando così l’antica strage di Maretak.
 Sopportava quindi in silenzio le attenzioni pedanti di Newlin, il cui amore dichiarato appariva alla ragazza come una semplice scusa per vivere un’avventura al contatto con il diverso. Sapeva che il suo corpo nudo (per quanto fosse scheletrico ed immaturo), le sue usanze pagane e la sua lingua straniera lo attiravano e lo eccitavano, come un fiore sconosciuto nel vaso di una bambina. Non avrebbe mai donato il suo cuore ad un uomo simile.
 Quello che Mallaidh voleva veramente era traslocare il prima possibile nel palazzo di suo marito, per studiare così al meglio le usanze e le debolezze del suo nemico. Così, una notte, stretta tra le braccia protettive di Newlin, mormorò:
 “Mon donios, quando mi condurrai nella tua casa?”
 A quelle parole, un sorriso raggiante comparve sul volto di Newlin. Il ragazzo si chinò sulla fanciulla, baciandole con dolcezza i capelli castani. Mallaidh s’irrigidì, e lasciò che il giovane le carezzasse teneramente il corpo nudo, seppure il tocco del ragazzo la disgustasse profondamente.
 “Presto, mia Signora, molto presto. Saremo per sempre insieme, ve lo prometto. Voi imparerete ad amare la vostra casa, e sarete felice, ricca, bellissima. Con l’aiuto degli abiti e dei cosmetici più adatti a voi, mia sorella provvederà alla vostra immagine, vestendovi e nutrendovi in modo tale da cancellare ogni traccia della vita selvatica che avete condotto finora.”
 “… Non capisco. Cos’ha il mio aspetto che non va?”
 “Be’, vedete… avete sempre vissuto in maniera primitiva. Il vostro fisico è così magro, a causa della vostra povera alimentazione e del costante contatto con l’acqua piovana. Tuttavia, sono difetti dovuti semplicemente dovuti ad uno scorretto stile di vita, nulla che i trucchi di mia sorella non possano cancellare. Vi prometto, mia Signora, che grazie ad Iseut voi sarete la donna più bella d’Inghilterra, e tutti s’inchineranno a voi.”
 Mallaidh non capiva perché mai si desse tanta importanza al proprio aspetto fisico. Lei aveva sempre vissuto da sola, nascosta tra le ombre della foresta di Seabhag. Non aveva mai dovuto rendere conto a nessuno della propria immagine.
 Non si era mai specchiata nelle pochi fonti d’acqua a cui aveva accesso, e non conosceva il suo stesso riflesso. Non l’aveva mai trovata un’occupazione veramente necessaria, e non poteva giudicarla come indispensabile o ridicola. Semplicemente, il pensiero non le era mai passato per la testa. Non diede dunque troppo peso alle parole di suo marito, toccando un altro argomento piuttosto delicato.
 “Credi che tua sorella non avrà nulla da ridire sulla nostra unione?”
 Newlin esitò un poco, prima di rispondere:
 “Sono sicuro che, con il tempo, imparerà ad accettare la vostra presenza a palazzo.”
 “Con il tempo?”
 “Sì, esatto.”
 “… Immagino che tu abbia ragione. Il tempo cura tutte le ferite, anche le più profonde. Ed Iseut, con i suoi cosmetici, forse potrà coprire persino le cicatrici.”
 Partirono due giorni dopo, in tarda mattinata. Mallaidh, avvolta completamente dal lungo mantello di Newlin, portava con sé soltanto la sua cappa scura ed un po’ di cibo. Aveva rimosso il suo giaciglio di muschio dalla tana, per evitare che marcisse o attirasse gl’insetti. Ogni altra cosa all’interno della Quercia non doveva essere rimossa, poiché sacra e benedetta dagli antenati per proteggere i figli di Maretak.
 Newlin fu molto sorpreso dal comportamento di Mallaidh. La ragazza non piangeva, non era assorta in pensieri colmi di malinconia. Nel suo sguardo vi era la fierezza e la determinazione di un guerriero. Il figlio di Seabhag non poteva saperlo, ma la sua compagna era determinata a tornare alla Grande Quercia, un giorno, quando la sua vendetta sarebbe stata compiuta. In groppa a Terrowin, la ragazza selvaggia guardava dritto davanti a sé, e sorrideva al pensiero di quel momento tanto sognato.
 Dopo molte ore di viaggio, marito e moglie lasciarono alle loro spalle le ombre scure della foresta e, percorrendo un lungo sentiero di terra battuta, giunsero al Villaggio di Seabhag. Il villaggio sembrava completamente avvolto dal colore nero. Ogni abitante era vestito a lutto, ad ogni finestra era appeso un drappo scuro. Ovunque regnava un silenzio assoluto, quasi irreale. Il disagio dei due giovani sposi era palpabile, nessuno dei due capiva che cosa stesse succedendo.
 Mallaidh, avvolta interamente dal lungo mantello di Newlin, teneva il capo abbassato e nascosto dal cappuccio scuro. La sua istintiva paura per gli estranei la metteva ora a dura prova, e sussultava all’avvicinarsi di un qualsiasi passante. Newlin la rassicurava come poteva, sorridendole o sussurrandole parole di conforto. Ma in verità anche lui era turbato. Le persone che lo riconoscevano s’inchinavano profondamente al suo passaggio, ma il ragazzo si rese presto conto che tutti cercavano d’ignorare il suo sguardo, come se si vergognassero di qualcosa. Qualcosa la cui sola menzione era proibita.
 Ad un certo punto, Newlin udì una voce commossa risuonare dalle gradinate della Chiesa. Era una voce femminile, e molto familiare al nobile ragazzo.
 “Mio Signore! Il mio Signore è ritornato al villaggio!Perché nessuno s’inchina davanti a lui, il nostro Signore, il nostro nuovo padrone? Figli di Seabhag, rimuovete quei drappi scuri dalle vostre finestre, ed appendete ghirlande di fiori. Cessate all’istante il vostro lutto, ed indossate gli abiti della festa. Il nostro Signore è tornato da noi, e saprà governarci esattamente come fece Lord Hamon: con bontà, e giustizia!”
 Si trattava di Emma Blacksmith, i cui lunghi capelli dorati erano avvolti da un velo nero come la notte. Indossava un abito scuro ed in mano teneva un mazzo di candidi fiori. Sorrideva, ed indicava Newlin e Mallaidh come se fossero degli eroi tornati dalla guerra. Tutti gli abitanti presenti nella piazza, dopo qualche istante di esitazione, decisero di dare ascolto alla loro compaesana e, sfoggiando dei sorrisi leggermente impacciati, prese ad applaudire il loro nuovo Signore, inchinandosi ed acclamando a gran voce il suo nome.
 Newlin non riusciva a capire. Perché mai i suoi sudditi lo avevano accolto prima in maniera così misera, ed in seguito così esagerata? Perché Emma si riferiva a Lord Hamon come se non potesse più governare? E perché quei colori così scuri addobbavano la città?
 Newlin aveva un terribile presentimento, ma non voleva prestargli troppa attenzione. Stava per chiedere delle spiegazioni, quando avvertì una presenza alle sue spalle. Si trattava di Mallaidh che, intimorita dalle grida del popolo, era scesa da cavallo e stava ora cercando di nascondersi come poteva dietro l’unica presenza che le era familiare. Avvertendo l’intenso timore della compagna, Newlin non urlò ne’ parlò con voce alterata dall’ira. Attese pazientemente che Emma si avvicinasse a loro, il volto della giovane innamorata illuminato da un sorriso radioso, per sussurrare con una leggera punta d’irritazione parole velenose:
 “Che cosa accade qui? Lascio le mie terre per qualche giorno, solo per trovare al mio ritorno dei sudditi che paiono aver dimenticato il rispetto verso i propri padroni! I pochi che s’inchinavano al mio passaggio, mi rivolgevano certe occhiate da poter essere riservate ad una tomba. Sono servite le parole di una piccola sguattera farneticante per ridestare la sanità nelle loro menti.”
 Emma sgranò gli occhi, ed indietreggiò istintivamente di qualche passo.
 “F- farneticante? Mio Signore, io non capisco…”
 “E perché parlate di mio padre come se già fosse nella tomba? Lurida plebea, rispondimi.”
 “M- mio Signore… voi non… non…”
 Le sue parole continuavano ad essere pronunciate con un tono di voce calmo e misurato, per non spaventare troppo Mallaidh. Ma il suo sguardo era carico d’ira e disperazione, non voleva credere alla terribile verità che era stata improvvisamente tessuta attorno a lui. I nodi setosi di un morbido drappo, posto attorno al collo per strangolare i sogni. Newlin avvertì le sue gambe tremare.
 “Vi prego, Emma.” sussurrò “Vi prego, cessate ora questo gioco. Vi prego, vi scongiuro.”
 Emma lo guardò, ed il dolore nei suoi occhi sgranati svanì all’istante, per lasciar posto all’incredulità.
 “Voi… voi non sapete, mio Signore? Non sapete, vero, che vostro padre… Lord Hamon…”
 “Vi prego… non pronunciate quelle parole.”
 “… Non lo farò. Sono desolata, mio Signore. Non sapevo che voi foste a conoscenza del suo trapasso. Le mie parole al vostro popolo sono state quelle dell’Ignoranza. L’Ignoranza priva di colpa alcuna, che è pure causa di tutte le angosce del mondo. Non parlerò. Il lutto è già presente nel vostro silenzio.”
 Gli applausi continuavano, mentre Newlin cercava di trattenere le lacrime. Il senso di colpa era acuto ed opprimente. Il ragazzo si maledì per non esser stato accanto al genitore nelle sue ultime giornate di vita. Non disse nulla per far allontanare Emma, e lei non si mosse. Lo guardò in silenzio, lo sguardo carico di pena e commiserazione. Mallaidh, dal canto suo, sembrava essersi un poco calmata, e si allontanò da Newlin per risalire in groppa al cavallo. Non essendo a conoscenza del dolore che animava l’animo di Newlin, gli toccò una spalla con la punta del piede nudo, mormorando:
 “Mon donios, eimu! Essi agikoua, mon donios! Andiamo via! Eimu!
 A quelle parole, Emma sussultò. Si girò di scatto verso la ragazza in groppa a Terrowin, ed indietreggiò istintivamente. Non riusciva a distinguere il volto coperto della ragazza, ma riconobbe immediatamente la sua voce. Aprì la bocca per cercare di parlare, ma la richiuse subito dopo, non trovando le parole per esprimere la sua sorpresa ed il suo terrore.
 Si precipitò da Newlin, afferrandogli un braccio e strattonandolo con forza.
 “Mio Signore! Mio Signore, è la strega! E’ la selvaggia! Fate qualcosa! Fate qualcosa, la strega ci maledirà tutti!”
 Newlin si scosse, e guardò le due ragazze. Dopo un poco, parte della sua tristezza svanì, ed il giovane indossò un sorriso affettuoso. Il pensiero di avere, per lo meno, ancora Mallaidh al suo fianco lo rallegrava non poco. Sebbene soffrisse immensamente per la morte di suo padre, non avrebbe mai potuto mostrare le sue lacrime di fronte a delle donne, per giunta più piccole di lui. Doveva sforzarsi di non piangere, e mostrare al suo popolo che anch’egli sarebbe stato un bravo Signore, forte e sicuro di sé.
 “Sì, si tratta proprio di Mallaidh, mia Signora. La mia spedizione nella foresta era finalizzata al suo ritrovamento. E ora, mia cara Emma Blacksmith, voi tutti potete gioire davvero ad una notizia carica di letizia. Io e Mallaidh ci siamo uniti nel sacro matrimonio, e siamo ora sposati. Lei è la vostra nuova padrona, la vostra Signora che regnerà su di voi e vi proteggerà.”
 Negli occhi di Emma, il mondo parve crollare in un istante.
 “La mia nuova… padrona? V- vostra… moglie?”
 “Esatto. Ed è tutto merito vostro. Se voi non mi aveste aiutato nell’indagare sul suo passato, probabilmente non sarei mai riuscito a meritarmi la sua fiducia. Dico sul serio, non ce l’avrei mai fatta senza di voi. E’ tutto merito vostro, Emma Blacksmith… vi ringrazio.”
 Newlin strinse tra le braccia la ragazzina, la quale guardava fisso davanti a sé, incredula, distrutta dalle parole del giovane.
 “Voi… voi vi siete innamorato di lei… di lei… e per causa mia?”
 “Certamente, mia cara, è tutto merito vostro. State tranquilla, il vostro servizio non verrà dimenticato. Meritate un premio, per il favore che ci avete reso. Darò alla vostra famiglia tre monete d’argento, e voi sarete assunta a palazzo. Anzi, ora che ci penso, visto che voi due non siete esattamente delle estranee, che ne direste di divenire la damigella della mia consorte? Vi piacerebbe. Indossereste abiti eleganti e mangereste bene. Sì, sono proprio sicuro che sia una buona idea. Mia moglie, in fondo, non conosce altra donna al mondo, se non voi.”
 Emma era così scioccata e distrutta da non poter emettere fiato. Distolse debolmente lo sguardo, posandolo poi con esitazione su Mallaidh. La ragazzina, la quale aveva riconosciuto a sua volta la dolce Emma, la guardava ora dall’alto in basso, da sotto il cappuccio, con un perfido sorriso di scherno sulle labbra.
 “Oh oh! Mon donios, mi ricordo di questa fanciulla. Ma credo che con la tua proposta, tu l’abbia messa a disagio. Sei stato davvero diabolico nel proporle di servire una folle strega come me.”
 Udendo il modo irrispettoso con cui Mallaidh si rivolgeva a Newlin, Emma non sapeva se urlare d’ira in direzione della strega oppure scoppiare a piangere. Ma, quando udì le parole che Mallaidh pronunciò in seguito, la ragazza non poté far altro che sussultare di paura.
 “Teksko ex ci. Velo essi togis… Hai ancora paura, figlia dei Traditori? Perché non fuggi via? Eh eh, non è adorabile? Oh, sì, Seabhag mab. Portiamo la bimba al palazzo con noi. Non vedo l’ora di divertirmi un po’ con lei.”
 “Come desiderate, mia Signora.”
 Il sorriso di Mallaidh era veramente diabolico. Degno di una strega.
 
 Poiché le era stato ordinato dal suo Signore, Emma non poteva certo rifiutare di servire Mallaidh a palazzo. Si recò dunque dalla famiglia per salutare i suoi cari e per radunare le poche cose che possedeva. Poi, in silenzio, barcollando lentamente dietro i due sposi, accompagnò Newlin e Mallaidh nel loro viaggio.
 Nel tardo pomeriggio, il nuovo Signore di Seabhag e le due ragazze giunsero al castello. Vennero immediatamente accolti da un gran numero di servitori, i quali si affollarono attorno a Newlin acclamandolo e ponendogli una gran quantità di domande. Il ragazzo, stanco ed abbattuto dal grave peso della notizia del padre, allontanò subito i servi ed ordinò di preparare una stanza per Mallaidh ed un giaciglio per Emma. Un momento dopo, però, ci ripensò e decise di accompagnare personalmente la sua sposa nel suo nuovo alloggio.
 Attraversarono le sale ed i corridoi di pietra, mentre Newlin mostrava alla sua compagna i giardini, le decorazioni, i mobili di legno pregiato, le stoffe colorate delle tende, gli abiti che indossavano le sguattere e le damigelle. Infine, giunsero nella stanza di Mallaidh, dove un letto era stato preparato. Il ragazzo le mostrò con entusiasmo il baldacchino, il fuoco nel camino, gli arazzi alle pareti. Mallaidh invece non pronunciò alcuna parola. Si sedette tranquillamente sul letto, guardandosi attorno con disinteresse.
 “E qui, invece, abbiamo la… Mia Signora? Non… Non vi piace?”
 La ragazza alzò semplicemente le spalle.
 “Bued orgetos, oinos diion.”
 Newlin sgranò gli occhi. Perché sua moglie diceva che, un giorno, tutto quel castello sarebbe stato distrutto? Si sedette accanto a lei, sfiorandole una mano.
 “Farei qualsiasi cosa per voi, mia Signora. Qualsiasi.”
 “Sei triste, non è vero? Hai paura che io ti deluda?”
 “No, non è questo. Forse oggi non avete compreso, con tutta la confusione della folla, una notizia terribile. Mio padre è morto, oggi. Ed io non ero lì accanto a lui.”
 “… E questo ti rende triste?”
 “Be’… certo che sì. Si trattava pur sempre di mio padre.”
 “Io non ho mai conosciuto mio padre. Ma ho visto mia madre morire davanti ai miei occhi. Non faceva altro che sputare sangue e lanciare gemiti di dolore. Il giorno dopo ho dovuto bruciare il suo cadavere, da sola.”
 “… Dev’essere stato terribile.”
 La ragazzina annuì.
 “Sì. Ricordo la sua pelle, quando bruciava. Puzzava, ed era diventata tutta nera. Alla fine, sono rimaste soltanto le ossa. Le ho frantumate e le ho mangiate. Ho mangiato le ossa di mia madre. Poi, ho versato le sue ceneri nel vaso di terracotta.”
 “… Sono ancora desolato per averlo frantumato.”
 “Fai bene ad essere dispiaciuto, Seabhag mab. Sono disposta a perdonarti, ma non scorderò mai ciò che hai fatto. Comunque, quello che sto cercando di dirti è che forse sei stato fortunato a non assistere alla morte del tuo genitore. Non è un ricordo facile da dimenticare. Rimane sempre lì, nei tuoi pensieri. E non va mai via.”
 La ragazza si morse le labbra.
 “Ti ringrazio per avermi mostrato la tua casa, Newlin. E’ molto bella. E mi dispiace per la morte di tuo padre.”
 “Non pensateci, mia Signora. Non dovete preoccuparvi del mio lutto. Occupatevi solamente della vostra felicità.”
 “Tu non sai cosa può rendermi felice, Seabhag mab. Non puoi saperlo.”
 La ragazza si voltò verso di lui, sorridendo.
 “Ma sei comunque una brava persona. Sai… in questi giorni, sei stato molto gentile con me. Più di quanto lo sia mai stato qualsiasi straniero. Sei riuscito a sorprendermi. Appartieni ad una popolazione crudele e sanguinaria, le cui azioni passate sono imperdonabili. Mia madre è morta pronunciando la parola ‘vendetta’, e questo io non lo posso dimenticare. Condivido l’odio che lega i Maretak ai Seabhag. Ma non odio te.”
 Avvicinò timidamente il viso al suo, sussurrando le parole in un soffio.
 “Tu… mi piaci.”
 Lo baciò velocemente, e subito si ritrasse. Si toccò le labbra, sorridendo con una punta di vergogna. Newlin, invece, le rivolse uno sguardo raggiante e vittorioso. Le sfiorò una guancia con una carezza, ma subito dopo si alzò in piedi, dirigendosi verso la porta.
 “Perdonatemi, devo recarmi da mia sorella Iseut. Emma Blacksmith ha avuto istruzioni precise sul disfare il suo bagaglio e recarsi da voi non appena avrà terminato. Potrete trascorrere un po’ di tempo insieme, fino all’ora di cena. Allora vi sarà mandata un’altra serva, per avvertirvi. Mi raccomando, preparatevi per incontrare mia sorella. Vi farò mandare alcuni dei suoi vecchi abiti, scegliete pure quello che vi piace di più. Se avete bisogno di qualsiasi cosa, chiedete pure ad Emma oppure ad una delle serve del palazzo. A presto, mia Signora.”
 Non appena Newlin uscì, chiudendosi la porta di legno alle spalle, Mallaidh si slacciò il mantello e lo distese sul pavimento. Due lacrime le scorrevano sul volto. Si coricò su quel giaciglio improvvisato, disdegnando il duro materasso a cui non era abituata. Si rannicchiò tra le pieghe del mantello, nuda e piangente, strofinandosi il corpo con le manine ossute.
 Ad un certo punto, si fermò. Rimase perfettamente immobile, gli occhi chiusi e le labbra serrate. Ad un certo punto, incominciò a ridere. Una piccola e sottile risata, che divenne sempre più forte e rumorosa. Sembrava la risata di una pazza, una bimba folle ed abbandonata tra i rifiuti di una città.
 Mallaidh incominciò a parlare con sua madre.
Mama… Mama Carey, non devi temere per il mio onore. Il Seabhag mab è un uomo affascinante e gentile, e credo di essermi innamorata di lui. Tuttavia, per quanto egli possa essere una brava persona, io non dimenticherò mai i miei doveri di figlia di Maretak. Mama Carey, io amo quell’uomo, ma la mia fede verso la vendetta è maggiore del mio amore. Soffocherò il mio affetto per Newlin, insegnerò nostro figlio ad odiare suo padre. Ed egli erediterà il potere su Seabhag, e la riporterà al suo antico splendore, e la nostra gente tornerà a vivere. Oh, madre, madre cara! Pur di esaudire il tuo desiderio, il nostro desiderio, sono disposta a rinunciare a qualsiasi cosa. Anche all’unico uomo che mi abbia mai amato.”
 
 “Mio Signore, bentornato. La Signora Iseut m’incarica di dirvi che siete da lei atteso nella cappella del castello. Se voleste seguirmi, sarei felice di accompagnarvi.”
 “Grazie, Eliza. So bene dove si trova la cappella.”
 “Non lo mettevo in discussione, mio Signore.”
 Newlin osservò per qualche istante l’austera serva. Eliza era la vecchia nutrice di Iseut e, per quanto il ragazzo riusciva a ricordare, sul suo volto non era mai comparso un sorriso. Era la vedova di uno stalliere deceduto pochi anni addietro, e tutti i suoi figli erano morti di malattia o di parto. La vita non era stata certo clemente con lei.
 “Allora, incamminiamoci.”
 Scesero velocemente le scale della residenza fortificata del castello ed attraversarono il cortile. Quando giunsero alla porta della cappella, Newlin fece cenno ad Eliza di aspettare fuori, ed entrò da solo nella piccola Chiesa. Iseut era inginocchiata davanti all’altare, il volto nascosto tra le mani ed i pensieri immersi in una profonda preghiera. Il nero dei suoi abiti risaltava sulla sua pelle chiara, e la sua espressione sofferente era un chiaro segno del lutto che aveva caratterizzato quegli ultimi giorni.
 “Sono tornato, sorella. Sono tornato da voi.”
 La voce di Newlin riecheggiò nella sala di pietra. Gli occhi delle immagini alle pareti della cappella fissavano i due giovani, in maniera così severa da mettere a disagio il nuovo arrivato. Il silenzio tra i due fratelli era grave ed assoluto, tanto che Newlin riuscì a percepire il sussurro delle candele nell’oscurità della Chiesa. Iseut non si alzò per accoglierlo, ne’ parlò subito al fratello maggiore.
 “Sorella… Io non potevo prevedere la morte di nostro padre.”
 “Lo avete abbandonato per questo.”
 “… Sono desolato.”
 “Desolato? Ditemi, fratello, non sapete far altro che scusarvi, tenere segreti e mentire? Avete abbandonato vostro padre per una strega selvaggia, senza confessare a nessuno le vostre intenzioni dettate dalla lussuria. Ma ora che ci avete rivelato i vostri peccaminosi segreti, posso assicurarvi che avrei preferito che li aveste mantenuti celati nella vostra coscienza.”
 “Vorrei che voi riusciste a comprendere l’amore che mi lega a Mallaidh.”
 “Capisco anche troppo bene. Voi avete abbandonato nostro padre per il piacere di una prostituta.”
 “Non so cosa vi abbia raccontato la vecchia Eliza, sorella cara, ma certamente deve aver arricchito il suo racconto con particolari ben lontani dalla realtà. Mallaidh non è una volgare meretrice, è la mia sposa. E, per tanto, siete tenuta a portarle rispetto. E la vostra Signora, adesso, rammentatelo.”
 Iseut si alzò in piedi di scatto, facendo cadere dalla panca su cui era inginocchiata una preziosa copia della Bibbia. La ragazza avanzò verso Newlin di qualche passo, la mani serrate in due pugni ed i suoi veli neri fluttuanti all’eco vuoto della Chiesa. I suoi occhi socchiusi in due fessure sembravano voler dannare il fratello ad anni di sofferenze infernali.
 “Che io possa bruciare viva prima di sottostare a quella strega! Credete forse, fratello, che quella donna segua il volere di Dio? Quale prete è stato così sciocco da unirvi in matrimonio, di fronte agli occhi di nostro Signore? Un pazzo, senz’altro! Un pazzo cieco e privo di morale, probabilmente indegno di compiere qualsiasi sacramento. Chi altro avrebbe potuto unire in matrimonio un figlio di Dio con una strega?”
 Newlin si morse le labbra. Non doveva lasciarsi sfuggire alla sorella che il suo non era stato un matrimonio cristiano, ma pagano. Sarebbe stata la fine di Mallaidh.
 “Sorella, posso assicurarvi che la mia sposa vuole sfuggire dal suo stato di selvatichezza e povertà. Non oserà farci del male, poiché il suo più grande desiderio è stipulare la pace tra se stessa e Seabhag. Ed è vostro dovere, in quanto cristiana, aiutare i più bisognosi che chiedono aiuto. La carità è tra i primi insegnamenti di Gesù, o non riuscite a rammentarlo?”
 “Io aiuto chi posso aiutare, fratello. La folle strega che ospitate nella nostra casa è complice di Satana, ed il suo cuore è incapace di perdonare. Sono convinta, inoltre, che le sue parole di pace e bontà non sono altro che bugie. Come può una strega, figlia di streghe, parlare onestamente di amore e fratellanza?Vi ha illuso, fratello. Le sue parole non sono altro che menzogne.”
 Lo schiaffo di Newlin interruppe lo sfogo di Iseut. Mentre la ragazza cadeva a terra, stupita, si rese conto che suo fratello non l’aveva mai colpita, fino ad allora. Il dolore era fastidioso, e feriva il suo orgoglio. Quando il suo corpo toccò il duro pavimento della Chiesa, il dolore fu sordo e terribile. Iseut scoppiò a ridere.
 “Ah! Allora… allora avevo ragione! Lei… lei vi ha stregato, fratello. Siete davvero perso nei suoi occhi vuoti e folli, come quelli di un folletto. Oh, allora… allora lasciate che ve lo dica, fratello! Sarete senz’altro un signore feudale giusto e nobile… oh, sì, senz’altro! Insomma, ammirate il vostro primo atto da padrone di Seabhag: avete colpito una donna indifesa, in una Chiesa! E questo perché? Eh?! Perché?!”
 “…”
 “Perché la vostra sorellina minore ha saputo guardare nei vostri occhi, e dirvi con franchezza quello che voi vi ostinate ad ignorare. Siete stato ingannato, fratello. Siete stato ingannato, ed il vostro amore per quella donna è un’illusione. Spero solo che voi possiate destarvi, e capire quanto siete stato sciocco. Per quanto mi riguarda, io non ho intenzione di posare il mio sguardo su questa strega. Da oggi in poi consumerò i miei pasti nelle mie stanze, e da quest’ultime non uscirò mai. Tra un mese mi recherò al convento di St. Lauren*, dove prenderò i voti. Ho deciso di offrire la mia vita al Signore, poiché a Seabhag non mi resta altro in cui credere. Spero di non incontrarvi mai più, mio Signore. Addio.”
 “Hai solo quindici anni, appena un anno in più di Mallaidh. Come puoi prendere una decisone simile in così giovane età?”
 “La scelta è vostra. Potete maritarmi subito, a chi ritenete più adeguato. Non mi opporrò alla vostra decisione, se avete già scelto per me un marito. Non ho il diritto di andare contro il vostro volere. Tuttavia, io vi imploro di assecondare il mio desiderio. Rimanendo qui, non potrei che farvi soffrire. E lo stesso destino avrebbe il mio sposo. Nel convento non farei del male a nessuno, consentirei anzi alla mia famiglia di avere l’appoggio della Chiesa. Logicamente, credo che sia la risposta migliore.”
 “… Forse avete ragione.”
 “Con permesso, mio Signore.”
 
 Qualcuno bussò alla porta di Mallaidh. La ragazza selvaggia alzò di scatto lo sguardo, fissando il portone come se fosse stato un nemico pericoloso.
 “… Chi è? An uelor weid nepos. Non voglio vedere nessuno, va via!”
 “… Mia Signora, sono… sono Emma Blacksmith.”
 “Emma? Oh, la figlia dei Traditori… prego, entra.”
 La ragazzina entrò tremando nella stanza, tra le braccia una gran quantità di ricchi abiti femminili. Alla vista di Mallaidh, nuda sul mantello disteso sul pavimento, indietreggiò istintivamente di qualche passo. Eccola. Era lei, l’incarnazione del suo peggiore incubo: un demone ladro e tiranno, che le aveva sottratto il suo Signore, il suo primo amore. Una strega selvaggia, il cui posto era una pira accesa, non le ricche stanze di un palazzo. E lei, una fanciulla onesta e perbene, avrebbe dovuto servire un simile demonio?
 ‘Se sottostarò a questa strega, sarò la serva di Satana. Ma se non lo farò, andrei contro gli ordini del mio Signore. Io… io amo il mio Signore Newlin. Lo amo davvero. Voglio esaudire ogni suo desiderio. Per fare questo, devo obbedire alla strega. Ma… ma non voglio… La strega è cattiva, ha portato via da me il mio Signore Newlin. Il mio Signore non mi guarda più. Guarda solo la strega, e lei l’ha portato via da me. Via da me.
 “Serva, vedo che porti con te i doni del mio Signore.”
 “… Sì, mia Signora.”
 “Sembrano pesanti ed ingombranti. Indossate tutti abiti di questo genere, qui?”
 “… Solo chi è ricco e bello, mia Signora.”
 “Oh, certo! Non si può essere belli senza trucchi, abiti e stoffe preziose, non è vero? Bene, allora, figlia dei Traditori, mostrami la bellezza che il mio Signore desidera da me. Vieni avanti, e poggia pure gli abiti sullo scomodo giaciglio di stoffa e lenzuola. E’ così duro e fastidioso che preferisco dormire sul pavimento. Ma non credo che il Seabhag mab sia dello stesso parere. Prego, vieni avanti.”
 Emma non avanzò.
 “Hai paura di me, figlia dei Traditori?”
 “…”
 “Perché non scappi via?”
 “… Io…”
 “Scappa, se hai paura. Dirò al mio Signore di cacciarti per le sue terre, come un coniglio da divorare crudo alla luce della Luna. Scappa, scappa! Non hai paura di me?”
 “I- io non ho… non paura…”
 Mallaidh sorrise.
 “E allora avvicinati, e poggia quegli abiti sul giaciglio di stoffa. Sbrigati, non ho tutto il giorno a disposizione dei tuoi sogni ad occhi aperti. Vedrai il mio Signore questa sera, a cena. Non c’è bisogno che tu fantastichi su di lui.”
 Emma arrossì vistosamente, ed attraversando a piccoli passi e a capo chino la stanza di Mallaidh, poggiò sul letto a baldacchino i cinque abiti tra cui Mallaidh poteva scegliere. Il primo, di un verde intenso e scuro, era intessuto in oro ed argento, in modo da ricordare la luce delle stelle attraverso i rami di una foresta. Il secondo vestito era viola, con rosse foglie di pruno ricamate sugli orli.  Un altro abito bianco era decorato da complicati arabeschi neri e grigi, mentre il quarto aveva dei soli dorati ricamati su una stoffa blu notte.
 L’ultimo abito era senz’altro il più bello. Era un semplicissimo vestito grigio, le cui sfumature variavano dal candore di una perla preziosa, all’etera luce della Luna, al pallido splendore dell’argento. Il taglio era semplice ed elegante. I merletti che decoravano gli orli sembravano cuciti dalle delicate fate invernali. Era degno della più bella principessa dei Ghiacci, della più sapiente tra le Stelle.
 Emma guardava incantata quei vestiti, rapita dal valore delle stoffe preziose e le elaborate fantasie che le decoravano. Passava timidamente una mano sugli abiti, immaginando di poterli indossare ed apparire di fronte al suo Signore come una principessa d’incantevole bellezza. Sicuramente Newlin l’avrebbe notata, ed avrebbe respinto quella strega malvagia dalla sua vita… per rimanere con Emma.
 “Ti piacciono questi abiti, non è vero?”
 “Oh… sì, Signora.”
 “Quali sono i due che preferisci?”
 “C- come avete detto?”
 “I due che preferisci. Scegline due.”
 Sorpresa, Emma passò velocemente lo sguardo da Mallaidh ai vestiti, dai vestiti a Mallaidh.  Non era affatto certa di aver capito bene, perché mai la sua Signora le aveva chiesto un’opinione sull’abito che avrebbe dovuto indossare? Timidamente, indicò prima l’abito viola, e subito dopo quello argentato.
 “Preferisci quello grigio?”
 “Sì, signora.”
 “… Mi piace” affermò Mallaidh, sollevando l’abito dal letto. Sembrava pronta ad indossarlo, quando si girò di scatto verso Emma, sorridendo.
 “Se ti piace, lo puoi indossare tu.”
 Emma sgranò gli occhi, incredula.
 “Come… come avete detto?”
 “Hai detto che ti piace, non è così? Non ti piacerebbe indossarlo?”
 “Io… io non potrei mai… Sono solo una serva…”
 “Ma certo che puoi! Saresti carinissima con questo vestito, e tu sapresti portarlo senz’altro molto meglio di me. Coraggio provalo!”
 “Davvero… davvero posso indossarlo, Signora?”
 “Sì, Emma. Consideralo un regalo da parte mia. Un regalo speciale, da un’amica speciale.”
 Emma non riusciva a crederci. Il sorriso di Mallaidh, le sue parole… sembravano sincere. Forse si era sbagliata sul suo conto. Forse la sua Signora non era una persona così cattiva come aveva creduto. Una persona malvagia non le avrebbe mai fatto un regalo così bello come quel vestito. La figlia dei Traditori sorrise, leggermente a disagio, cosciente dei terribili pettegolezzi che aveva iniziato sul conto di quella ragazza. In fondo, non ne aveva avuto il diritto.
 “Vieni, cara, vieni accanto al fuoco. Siamo ancora nella stagione invernale, e so bene quanto i corpi dei figli di Seabhag non siano abituati al freddo di questa stagione. Oh… ma temo che il fuoco sia molto debole. Forse… forse dovremo alimentarlo con qualcosa.”
 Emma annuì.
 “D’accordo, mia Signora, chiamerò subito qualcuno per farci portare della legna.”
 “La legna non è necessaria” mormorò la ragazza, fissando le fiamme di fronte a sé. Il suo sorriso era cambiato, tutta la mielosa dolcezza e la sospettosa gentilezza erano improvvisamente sparite nel nulla. Erano tornate la malizia e la folle vendetta.
 Mallaidh strinse a sé il vestito, scoppiando a ridere.
 Gettò l’abito tra le fiamme del camino.
 Bruciò velocemente. Il grigio del tessuto si confuse in pochi minuti con quello delle ceneri. Il fuoco divampò in fiamme imponenti, illuminando il volto ridente di Mallaidh. Le risa selvagge della ragazza riecheggiavano per la stanza, mentre lei gridava con quanto fiato aveva in gola:
 “Forza, figlia dei Traditori! Gabi!Gabi! Vieni avanti, e indossa il tuo bell’abito argentato! Non devi far altro che prenderlo, figlia dei Traditori! Forza! Prendilo!”
 Emma non riusciva a parlare, a respirare. Fissava il vestito bruciare, e nella sua mente apparve la terribile immagine delle anime dannate all’Inferno. Lei stava servendo il Diavolo. Se non avesse fatto qualcosa, la Folle Mallaidh avrebbe gettato anche lei nelle fiamme infernali. L’avrebbe distrutta, e Newlin con lei.
 Doveva fermare quella folle strega.
 Doveva salvare se stessa, e Newlin.



 
Note dell’Autrice:
 
*Saint Lauren (Santa Laura) è la protettrice degli orfani.
 
Angolo dell’Autrice:
 
Potrei dire che ero in vacanza.
Potrei dire che ero impegnata con gli spettacoli in cui dovevo comparire.
Potrei dire che i miei genitori mi hanno tolto il PC per qualche giorno.
Ma tutte queste scuse non basterebbero a giustificare questo bestiale ritardo, quindi siete ufficialmente autorizzati a linciarmi. La realtà resta sempre e comunque la stessa: ho fatto un ritardo di circa un mese, e vi ho ripagato con un capitolo orribile, e di notevoli dimensioni (almeno per quanto riguarda questa storia). Quindi... nulla. Questo è il capitolo. Sì, Mallaidh è innamorata di Newlin, ma preferisce di gran lunga la vendetta in nome dei suoi antenati, e di sua madre. Iseut andrà nel convento di Saint Lauren, e Newlin rimarrà sempre fedele alla sua sposa. Emma, invece, è decisa a tutto pur di togliere di mezzo Mallaidh (sì, lo so, Newlin è stato davvero cattivo a sceglierla come dama di compagnia di Mallaidh). Come farà? Che cosa succederà?
Lo scopriremo insieme nell'ultimo capitolo... il prossimo.

   
 
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