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Autore: Eralery    26/07/2012    5 recensioni
Finnick/Annie | Angst, Romantico, Introspettivo | Song-Fic
Dopo i suoi Hunger Games, Annie aveva perso la ragione.
Dopo i suoi Hunger Games, Finnick, più di sempre, cercava di starle vicino.
Era diventata pazza, dicevano. Era viva ma se n’era andata, dicevano. Finnick non voleva dar retta a quelle parole così meschine, Finnick voleva credere che il suo amore e la sua forza di volontà l’avrebbero salvata, che avrebbero cacciato le ombre che le stavano impedendo di tornare a brillare.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Finnick Odair, Annie Cresta, Finnick/Annie.
Genere: Introspettivo, Angst, Sentimentale.
Warnings: Song-Fiction, Raccolta.
Summary: Era diventata pazza, dicevano. Era viva ma se n’era andata, dicevano. Finnick non voleva dar retta a quelle parole così meschine, Finnick voleva credere che il suo amore e la sua forza di volontà l’avrebbero salvata, che avrebbero cacciato le ombre che le stavano impedendo di tornare a brillare.
Note: Ringrazio Sà per i suoi incoraggiamenti e perché è una (mia) tonny ♥♥
 

 

Non come il pesciolino
 
A Finnick ed Annie,
perché quello non era il finale che meritavano

 
 

When all those shadows almost killed your light

 
Quando Finnick si era riscoperto innamorato di Annie, lei non lo riconosceva. Vedeva il suo viso, i suoi occhi verdemare, le sue labbra sottili, e rideva – rideva, rideva, e la sua risata era così infantile e bella che Finnick sentiva il suo cuore stringersi in una stretta dolorosa.
Dopo i suoi Hunger Games, Annie aveva perso la ragione.
Dopo i suoi Hunger Games, Finnick, più di sempre, cercava di starle vicino.
Era diventata pazza, dicevano. Era viva ma se n’era andata, dicevano. Finnick non voleva dar retta a quelle parole così meschine, Finnick voleva credere che il suo amore e la sua forza di volontà l’avrebbero salvata, che avrebbero cacciato le ombre che le stavano impedendo di tornare a brillare.
 

Hold onto this lullaby, even when the music’s gone

 
Nei giorni prima dei suoi Hunger Games, Finnick l’aveva spesso sentita cantare una ninna nanna, con quella sua voce dolce e delicata. La prima lui ne aveva sentito appena qualche verso e le aveva chiesto di ricominciare a cantare per lui; seduti sul divano a notte inoltrata, Annie aveva cominciato a muovere le labbra, dalle quali usciva, delicata come la brezza marina, una canzone che parlava di una sirenetta che veniva salvata da un umano.
Finnick aveva sorriso, mentre tutte le parole della canzone erano ormai come impresse nella sua mente pronta e scattante.
Quando poi gli Hunger Games erano finiti, e loro erano tornati nel Distretto 4, Finnick non si era allontanato da lei, anzi.
Cercava di passare con lei più tempo possibile, accompagnandola al mare, dove lei correva finché le gambe la reggevano, facendola poi cadere sulla sabbia soffice, e allora lui la raggiungeva e le accarezzava il viso e i capelli castani, mentre lei rideva con gli occhi verdi fissi nei suoi. Oppure la portava in giro per le vie del Distretto, ad osservare le vetrine dei negozi, tenendole la mano come si fa con una bambina.
Ma ogni sera – non ne aveva mai saltata una – andava da lei, che ormai non riusciva più a dormire, le si stendeva accanto e le cantava sottovoce la canzone che gli aveva fatto conoscere proprio lei. La sua voce non era come quella di Annie, ma lei non ricordava neanche di averla mai cantata, e Finnick anche solo così cercava di aiutarla a tornare in sé. E sperava sempre, Finnick, che la mattina dopo Annie si risvegliasse e ricordasse, perché lei, mentre dormiva, a volte mormorava alcuni pezzi della canzone, stringendo nei pugni la stoffa della maglietta di Finnick.
La mattina dopo però non ricordava nulla.
 

You’ll be alright

 
Annie non era scomparsa del tutto, si era semplicemente nascosta da qualche parte, dietro i suoi occhi verdi e la pelle chiara. Finnick l’aveva capito quando, un pomeriggio, sdraiati sulla sabbia, con l’acqua del mare che bagnava i loro piedi, gli aveva domandato:
“Finnick, io ho vinto, vero?”
Era stato solo un momento, perché, quando lui le aveva risposto di sì, lei era scoppiata a ridere come al solito – con quella risata un po’ nervosa, ma comunque bellissima.
Quel giorno, sotto il sole delle sei, Finnick aveva capito che aveva sempre avuto ragione, che quegli stupidi medici non avevano capito niente. Perché Annie c’era, e lui non l’avrebbe lasciata andar via di nuovo.
Lei sarebbe stata bene.
 

No one can hurt you now

 
A volte, Annie si svegliava urlando. La casa dei vincitori che le era stata data sembrava così grande, mentre il suo urlo echeggiava tra le pareti bianche e perfette, mentre le lacrime le scivolano lungo le gote, mentre le sue mani tremavano e lo cercavano.
Lui era sempre lì.
Sdraiato accanto a lei, in bilico sul bordo del letto, Finnick rimaneva lì con lei tutte le notti per tutta la notte. Le stringeva una mano nella sua, e quando si svegliava le cantava la solita ninna nanna per farla addormentare.
Quando però lei si svegliava in quella maniera, Finnick allora si tirava su a sedere e le prendeva il viso tra le mani, tenendolo fermo, in modo che lei lo guardasse negli occhi.
“Va tutto bene, Annie,” le diceva, asciugando con i polpastrelli dei pollici le lacrime che le avevano rigato il volto consumato. “Ora nessuno può farti del male,” continuava, e lei si accovacciava contro il suo letto, tremante come una foglia.
Finnick le posava una mano sulla schiena e l’altra sulla spalla, e, mentre lei si addormentava, sollevava il viso verso il soffitto e chiedeva:
“Perché lei?”
Però l’amava ugualmente.
 

I said, “I’ll never let you go”

 
L’aveva portata al molo, quel giorno. Le onde s’infrangevano sotto di loro, mentre Annie faceva ondeggiare la testa e disegnava figure invisibili sul dorso della mano di Finnick.
Annie stava tornando, un po’ alla volta, e Finnick si sentiva così bene.
L’avrebbe portata all’altare, le avrebbe dato il bacio del buongiorno e delle buonanotte e tanti altri, magari l’avrebbe anche resa madre. Sarebbero andati a vivere insieme definitivamente, o nella casa di Annie o nella sua, entrambe nel Villaggio dei Vincitori. L’avrebbe aiutata ad apparecchiare la tavola, le avrebbe portato dei fiori il giorno del suo compleanno.
Quando sarebbe tornata definitivamente in sé, lui avrebbe fatto di tutto per renderla felice e ci sarebbe riuscito.
“Ti piacciono le onde, Finnick?” gli aveva chiesto lei, attirando la sua attenzione. Si era girata verso di lui, la fronte leggermente aggrottata.
“Sì, perché?” le aveva sorriso.
“Lo sai che le onde raccontano tante storie, Finnick?”
“Ad esempio?”
“Oh, ce n’è una che mi piace,” gli aveva risposto, con voce sognante, spostando lo sguardo verso le onde. “Però è molto triste. C’è un pesciolino, e questo pesciolino ha un amico e loro due si vogliono molto bene; ma poi l’amico sparisce, lo abbandona, e lo lascia da solo.”
Finnick sottrasse la mano dalla presa di Annie per poi afferrarle le dita e stringerle delicatamente.
“Hai ragione, è molto triste,” le aveva dato ragione, e lei era tornata a guardarlo.
“Finnick, tu non farai come il pesciolino, vero?” gli aveva domandato ancora, incatenandolo con i suoi occhi verdi – ed era in quei momenti, quando gli faceva quelle domande secche, che Finnick rivedeva chiaramente la Annie che aveva conosciuto in treno.
“No, Annie, non ti lascerò.”
 

Come morning light

 
La prima volta che Annie posò le labbra sulle sue, stava arrivando l’alba. La luce del sole era ancora fresca e bassa, oscurata dai capelli castani di Annie, il cui viso si era appena allontanato da quello di Finnick.
“Che succede, Annie?” le aveva chiesto lui, stupefatto ma ancora insonnolito.
Lei gli aveva sorriso, con gli occhi che brillavano della loro vecchia giocosità. “Niente. Sta arrivando l’alba, però. Vieni a vederla con me?” aveva domandato con voce meno infantile delle prime volte.
Finnick, che ancora non era del tutto sveglio, aveva sorriso a sua volta ed aveva annuito. Si era alzato a sedere, mentre Annie, fasciata dalla larga camicia da notte bianca, era in ginocchio accanto a lui sul materasso.
Quando si era messo in piedi, aveva teso la mano ad Annie, che l’aveva afferrata e lo aveva seguito poi fuori dalla porta, diretti al piccolo balcone della casa, da cui avrebbero potuto osservare il sole nascente.
“Finnick?” lo aveva chiamato prima di arrivare al terrazzino, facendolo girare verso di lei – aveva ancora gli occhi un po’ gonfi.
“Uhm?”
“No, niente,” e le loro labbra si erano sfiorate ancora, prima che lei si aggrappasse a lui, che Finnick la stringesse a sé. L’alba non sembrava più essere la cosa più importante.
 

The war outside our door keeps raging on

 
Stavano guardando la televisione, seduti sul divano, a casa di Annie – che era accovacciata accanto a lui –, quando all’improvviso il programma era stato interrotto per una notizia: il Distretto 8 era in rivolta.
Venne mandato in onda il video della ressa inferocita che reclamava libertà, e poi dei Pacificatori che, spietati, sparavano a caso sulla folla.
Finnick aveva sentito Annie, accanto a sé, trattenere rumorosamente il fiato prima di stringersi le mani contro le orecchie e tenere gli occhi fissi sulla parete sopra il televisore. Aveva gli occhi spalancati e spaventati, mentre si premeva sempre con più forza le mani sulla testa, non riuscendo però a coprire le urla che le esplodevano nella sua mente.
Basta!” aveva urlato con voce acuta, con il corpo che tremava forte.
La televisione non trasmetteva più nulla – Finnick l’aveva spenta subito –, ma nella sua testa le persone continuavano a gridare. E lei nascondeva il viso tra le ginocchia che si era stretta al petto, mentre con le mani cercava di non far entrare le persone nella sua mente.
“Annie…” – la voce di Finnick le arrivava piano, sovrastata dalle urla e coperta dalle sue mani. “Annie, ehi”. Lui accostò le dita alle sue, spostandole dalle orecchie. Lei scosse violentemente la testa e fece per riportarle dov’erano, ma Finnick, con tutta la gentilezza che aveva, le strinse forte e poi la attirò a sé.
“Ehi, Annie… Stai tranquilla.”
Ma la guerra continuava comunque.
 

I remember you said, “don’t leave me here alone”

 
Mags si era offerta come tributo al posto di Annie, ma nessuno aveva fatto lo stesso per lui, che ora si vedeva costretto a tornare nell’arena.
Non voleva. Tornare nell’arena voleva dire lasciare Annie sola – e Annie non poteva rimanere sola, non nelle sua condizioni. Annie era piccola, fragile, ancora non del tutto rinsavita, per niente autosufficiente: Finnick non poteva lasciarla da sola.
Quando arrivò il momento dei saluti con gli amici e i familiari, naturalmente lei entrò. Come un piccolo uragano dai capelli scuri e gli occhi sgranati e consapevoli. L’aveva capito, che lui stava tornando lì, e che forse non sarebbe più tornato. L’aveva capito, che avrebbe potuto fare la fine di Gilbert.
Gli si era fermata davanti, con il vestito spiegazzato e i capelli fluenti.
“Non lasciarmi qui da sola,” fu l’unica cosa che gli disse.
Non lo farei mai, avrebbe voluto dirle, avrebbe voluto urlare Finnick. Non lo farei mai, Annie. Mai. Non potrei, dove sei tu ci sono io. Sei tutto, per me, Annie.
Poté solo prenderle le mani, vedendo che le guardie lanciavano uno sguardo all’orologio. Strinse le sue piccole mani tra le proprie, e poi posò le labbra sulle sue in un piccolo bacio.
“Ti amo, Annie, okay?” – lei aveva annuito appena, la bocca ancora a pochi centimetri da quella di Finnick. “Ti amo, ricordatelo. Sempre.”
Aveva appena pronunciato l’ultima parola, quando le guardie gli avevano fatto cenno di uscire. Lui aveva annuito impercettibilmente, e, dopo aver posato ancora una volta le labbra su quelle di Annie, le disse: “Sempre, Annie,” ed uscì.
Non sentì Annie urlare il suo nome.
Non sentì il suo: “Anch’io.”
 

Just close your eyes
 

Se fosse uscito dall’arena, Finnick sarebbe voluto tornare da Annie e stringerla tra le braccia. Ma non aveva potuto. Era stato prelevato da un hovercraft del Distretto 13, e lei non c’era.
Le lacrime avevano iniziato a scendergli dagli occhi prima che lui potesse imporsi di fermarle; non gli importava che Katniss le vedesse, che vedessero tutti cos’era rimasto del famoso Finnick Odair.
Che vedessero chi era davvero il famoso Finnick Odair – un ragazzo innamorato pazzo di una ragazza pazza. E in pericolo.
Lì, sdraiato, gli parve quasi di sentire la voce di Annie, dolce e bassa come la ricordava.
“Chiudi gli occhi. Andrà tutto bene.”
 

You and I’ll be safe and sound

 
“Finnick! Finnick!”
Quando sentì quella voce, Finnick capì di non essere mai stato più sollevato di allora. Annie era lì, la vedeva, la stringeva tra le braccia, premuto tra il suo corpo e la parete dietro di lui. Ma non importava, non importava niente che non fossero loro due, la risata di Annie e quel che provavano.
 
Le baciò le palpebre, la fronte, la punta del piccolo naso all’insù, e infine le labbra – che erano morbide come sempre, ma innegabilmente rovinate: piccoli tagli, pellicine, una minuscola cicatrice.
“Annie,” mormorò, affondando il viso nei suoi capelli, seduti sul letto della stanza d’ospedale che era stata data alla ragazza. “Annie,” ripeté, come se non avesse ancora del tutto realizzato di averla di nuovo affianco.
“Staremo bene, vero, Finnick?” gli domandò, ansiosa, ridacchiando – cosa ti hanno fatto, Annie?
Tuttavia le sorrise. Annie aveva ragione, loro sarebbero stati insieme, e Finnick l’avrebbe aiutata ed amata ancora.
“Sì, Annie. Staremo bene.”
 

 

Fine
 
*

 
Uhm, okay. Non credo ci sia molto da dire, alla fine di questa fan fiction. L’ho scritta in… un’oretta – precisamente tra l’una e venti e le due e un quarto di notte –, eppure mi sembra anche sensata. O magari sono impazzita, può essere.
Comunque. La storia è una songfiction sulla canzone “Safe and Sound”, di Taylor Swift, che ho scoperto per caso e ho trovato perfetta per Finnick ed Annie. Non lo è? Per me sì, da morire.
Sempre parlando di Finnick ed Annie, sappiate che loro sono il mio OTP. Quindi sì, mi ritroverete qui ancora, e sì, principalmente su di loro. Insomma, sono l’ammmoreH – e non ho sopportato come quella bagaskjkdfjkd abbia ucciso Finnick e fatto partorire Annie. (Dannata Collins)
Ma comunque, parliamo della raccolta! Per Annie non è impazzita, secondo me si è semplicemente “nascosta” da qualche parte, in attesa di qualcosa – che per me è Finnick – che la faccia sentire al sicuro. Nel secondo pezzo lei non ricorda la canzone ma la mormora nel sogno: ecco, è come un riflesso: lei non ricorda quella canzone, ma la vera Annie, che è ancora lì, la sa. Ecco, insomma, spero di essere stata chiara.
Poi, Gilbert – nominato quando lei entra nella stanza prima che lui vada a Capitol City per gli Hunger Games – è il nome che ho dato al compagno di Annie che venne decapitato nei 70esimi Hunger Games.
Be’, che altro dire? Questa è la mia visione di Finnick ed Annie, e sinceramente non credo di essere andata OOC ^_^
Io scappo, ora, shiiiiao! :3

   
 
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