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Autore: Sweet_Juliet    27/07/2012    5 recensioni
Salve salve!
questa è la mia prima one-shot di Hunger Games.
Presenta numerosi SPOILER per chi non ha letto Il Canto della Rivolta ed è un missing moment del suddetto libro :)
Spero che vi piaccia
Sweet_Juliet
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Gale Hawthorne, Presidente Snow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Tu sei Annie, vero? Annie Cresta?

 


 
La ragazza urlò.
Urlò come non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
Rinchiusa in quella stanza sotterranea, solo i torturatori r gli altri prigionieri potevano sentire le sue grida agonizzanti.
Avevano iniziato a torturarli non appena avevano messo piede nella struttura e smettevano solo quando la vittima di turno diventava troppo debole per sopportare altri soprusi.
Si divertivano ad arrecare dolore, questo era certo.
I prigionieri erano stremati: le ore di sonno non erano più di un paio per notte, l’acqua che veniva loro concessa era poca e il cibo ancora meno.
Erano rinchiusi all’interno di celle singole, ma disposte in cerchio, così che nessuno potesse evitare di conoscere le sevizie perpetrate sugli altri prigionieri.
Lei poteva, per certi versi, ritenersi più fortunata.
Era stata catturata e portata lì circa cinque ore dopo l’inizio del “divertimento”, però loro erano riusciti in fretta a farle recuperare il tempo perduto.
Le torture erano di ogni tipo: avevano iniziato con dei coltelli, piccoli graffi e ferite inflitte sulla pelle, poi si erano dilettati a provocare loro delle ustioni con carboni ardenti e ferri bollenti, erano arrivate frustate e cinghiate.
Ma c’era una tortura in particolare.
Una tortura per cui si scomodava il Presidente Snow in persona: consisteva nel porre in un orecchio della vittima un piccolo insetto delle dimensioni di uno scarabeo.
Questo, a comando, avrebbe prodotto dei suoni piuttosto particolari …
 


 
“FINNICK!* gridò lei “FINNICK!”.
L’uomo la ignorò, stringendole il braccio incatenato al tavolo con una mano e godendo del suo immenso dolore e della sua smania di fare qualcosa, qualsiasi cosa …
“Te lo ripeto” disse, sorridendo mellifluo e dandole l’impressione di sentire sul proprio volto un forte odore di sangue misto al profumo di rose.
“Ordinerò loro di lasciarlo andare solo dopo che tu mi avrai svelato i piani e i nomi dei ribelli” disse, continuando a stringerle forte il braccio.
La ragazza, alzando gli occhi verso di lui, cercò di dire, tra le copiose lacrime che le rigavano il volto: “Io … io … non lo so … La prego, non so nulla … La prego … no, no … FINNICK!” gridò “Per favore, la imploro, lo lasci andare … Lui … Lui … Lui non ha fatto nulla … no … No … NO! Per favore!” le sue urla riempirono l’aria.
I singhiozzi insistenti non le permettevano più di parlare.
Lui la guardò con fare quasi dolce e, prendendo ad accarezzarle il capo, disse: “Oh Annie, Annie, piccola dolce Annie” fece “Io ti credo, cara”.
Annie Cresta cercò di controllare il pianto, intravedendo un barlume di speranza.
Non per lei, sapeva di essere ormai condannata, non avrebbe sopportato a lungo nuovo torture, ma per Finnick.
Lui sì, lui ce l’avrebbe fatta, sarebbe sopravvissuto.
Riprese a parlare: “Ti credo, ma ciò non servirà a salvare il tuo amato Finnick Odair. Ora vado da lui. Continua a pensare, dolce Annie” disse facendole un’ultima carezza e lasciandola sola nella stanza.
Sola, ma ancora in compagnia di quelle urla strazianti, che sembravano aumentare con il passare dei minuti.
Continuò a piangere e a gridare, finché le sue stessa urla e quella provocate dall’insetto di fusero e raggiunsero un’intensità tale da farle perdere i sensi.
Allora, un paio di soldati si avvicinarono e slacciarono le cinghie che le assicuravano caviglie e polsi al tavolo, la sollevarono e la rigettarono in cella.
Si ripeteva sempre quella stessa scena, ogni giorno.
Chi subiva la maggiore delle torture era sicuramente Peeta, ma gli altri non venivano risparmiati.
Lo scarabeo, però, non venne usato più su nessuno.
Solo su Annie.
Gli altri prigionieri sapevano di essere stati gli unici a venire catturati, ma lei no, lei non si trovava nell’Arena quel terribile giorno.
E il fatto che a Finnick potesse essere fatto del male era ciò che le procurava più dolore al mondo.
 
 


 
Svegliandosi qualche ora dopo, notò che le grida di Finnick erano terminate e un sorriso si formò sul suo volto martoriato, ma subito scomparve, cancellato dalla terribile prospettiva che si vide davanti.
Forse avevano smesso di torturarlo.
Forse lo avevano portato via.
Forse era m …
Si portò le mani al viso e le trovò bagnate di lacrime.
Si rannicchiò su sé stessa, tenendo le braccia intrecciate intorno alle ginocchia e appoggiandosi al muro di pietra della cella e affondando il volto nella stoffa della camicia da notte bianca che indossava ormai da unl giorno della cattura, strappata e macchiata di sangue.
Non avevano pensato a dar loro degli abiti puliti o a una qualsiasi cosa che sarebbe stata certamente concessa a un normale carcerato.
Ma loro non lo erano.
Erano ostaggi.
No, non erano nemmeno questo.
Erano strumenti, oggetti da sfruttare finché fossero stati utili, poi li avrebbero potuti gettare via.
Erano meno che animali.
Il pasto veniva loro servito una volta al giorno, la sera, ed era misero: una razione del genere non sarebbe bastata a saziare nemmeno un bambino, ma era tale da mantenerli in vita.
Erano deboli, sì, ma non era permesso loro di lasciarsi morire.
Ogni sera, delle guardie entravano nelle celle e costringevano i prigionieri a cibarsi e riempivano la piccola brocca d’acqua portata lì il primo giorno.
All’inizio avevano provato a ribellarsi, tutti.
Non erano incatenati, quindi potevano tentare.
Ma non era così semplice.
Le guardie non giungevano mai sole e, se attaccate, non mancavano di elargire abbondanti scariche elettriche con dei marchingegni che tenevano legati ai polsi.
Le celle, poi, avevano una sola parete di pietra, le altre semplicemente non c’erano.
La tentazione di fuggire era alle stelle.
Johanna era stata la prima a provarci.
E anche l’ultima.
Quando gli uomini avevano lasciato la sala, la notte dopo la cattura,  silenziosamente era corsa fino al punto in cui ci sarebbero dovute essere le sbarre e … lo aveva attraversato!
Per un momento, il suo volto aveva assunto un’espressione trionfante, ma, qualche secondo dopo, si era trasformata in una smorfia di dolore, che l’aveva costretta ad indietreggiare, accasciandosi al suolo.
Da allora, nessuno aveva più ritentato.
Le guardie avevano delle particolari chiavi, da infilare nelle toppe poste a mezz’aria e sostenute dai campi elettrici.
Girandole, l’elettricità veniva estinta, ciò permetteva loro di entrare nelle celle, senza farsi del male, ma i prigionieri erano troppo deboli per anche solo pensare di provare a tramortirle e fuggire.
Per poi andare dove?
Là fuori c’era Capitol City.
Li avrebbero ripresi in un attimo.
Oltre ad essere disposte in modo circolare  e a costringere i prigionieri ad osservare le torture che avvenivano al centro della sala e a vedere in ogni momento anche gli altri tributi, grazie alla presenza di campi di energia invisibili, le celle erano insonorizzate.
Nessun suono si sentiva da fuori di esse, solo il contrario poteva avvenire: le urla strazianti delle vittime raggiungevano le orecchie dei tributi, che, però, non potevano parlare tra di loro, di cella in cella.
Era per questo motivo che Annie non sapeva nulla di Finnick.
Gli altri avevano provato più volte a tranquillizzarla, ma lei non poteva udirli e viceversa.
 
 

Erano ormai mesi che continuava quella routine.
Peeta era stato interrogato più e più volte e anche battuto fino a rimanere immerso in un bagno di sangue.
Annie si trovava di nuovo sul tavolo delle torture e la sessione di quella sera era stata così violenta da riuscire quasi ad ucciderla
 

 
L’avevano riportata nella sua cella.
E lei era rimasta lì, sdraiata, con il volto a terra e senza forze.
Ma quella notte … qualcosa accadde.
Al di fuori della stanza che conteneva le celle, la guardie furono uccise e una squadra di uomini vestiti di scuro entrò, infilando le chiavi rubate nelle toppe sostenute dai campi elettrici e liberando i prigionieri il più velocemente possibile.
Tutto avvenne nel più assoluto silenzio e Annie si svegliò solo quando si sentì sollevare, ritrovandosi tra le braccia di un individuo che, con un cenno del capo,  le fece segno di stare calma.
Lei lo guardò e i suoi occhi grandi e marroni le trasmisero fiducia.
Affondò il viso nell’ampio petto dell’uomo e si lasciò portare.
Sapeva benissimo di non essere in grado di reggersi da sola.
Li avrebbero catturati in un attimo, se avesse insistito per camminare.
Non potevano permettersi di essere rallentati.
Purtroppo, anche con tutte le precauzioni prese, giunsero nuove guardie a tentare di bloccare la loro fuga disperata.
I salvatori, però, non erano venuti soli.
Un altro drappello si era sistemato negli ambienti intorno,  nascosto nell’ombra e pronto a dare una mano.
Assistito alla scena, i soldati erano usciti dal loro rifugio e avevano preso alle spalle i nemici, stretti in una morsa.
In pochi minuti, le guardie di Capitol furono sconfitte e i fuggitivi iniziarono una folle corsa, che li condusse fino al tetto dell’enorme palazzo, dove c’era un hovercraft ad attenderli.
Una volta in salvo e in volo sopra la città, gli ex-prigionieri furono subito forniti di coperte e viveri e uno dei ribelli fece loro una sommaria visita medica, per accertarsi se sarebbero riusciti a sopravvivere fino all’arrivo al Distretto 13.
“Distretto 13” pensò Annie “Allora è vero, non è stato distrutto”.
Poi prese a guardarsi intorno, conscia di essersi dimenticata una cosa, una persona assolutamente fondamentale …
Iniziò a piangere, nascondendo il volto con le mani.
Johanna stava parlando con un uomo alto che sembrava il comandante della missione di salvataggio, Peeta aveva lo sguardo completamente perso nel vuoto, Enobaria non c’era, non erano riusciti a prenderla.
Ma non era solo lei a mancare.
Un ragazzo alto e di corporatura robusta, lo stesso che l’aveva portata in salvo, che non poteva avere più di vent’anni, le si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei, guardandola in viso.
“Tu sei Annie, vero? Annie Cresta?” le chiese.
Lei annuì, senza alzare il volto o smettere di piangere.
Provò a fargli una domanda, ma la voce le rimase in gola.
Non poteva porla.
Non poteva ricevere quella terribile risposta.
Lui sembrò capire e, inspiegabilmente, le sorrise.
“Lui sta bene” le disse. “Ti aspetta nel Distretto 13. Finnick” aggiunse.
La ragazza sgranò gli occhi per un momento, incredula, poi si abbandonò ad un pianto liberatorio contro il petto di Gale.
Allora lui non era rimasto là.
Non c’era mai stato.
Tutto quello che le avevano detto, che le avevano fatto credere, le urla …
Una menzogna architettata per farla soffrire.
Annie in quel momento sentì di odiare il Presidente Snow come non aveva mai fatto.
Avrebbe voluto averlo lì, sotto le sue mani, per fargli provare il medesimo dolore che le aveva procurato.
Allo stesso tempo, però, era felice.
Finnick era in salvo.
Questo contava.
E lei lo stava raggiungendo.
Stretta tra le forti braccia del ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome, ma che era stato colui che le aveva dato una ragione per continuare a vivere, Annie si addormentò con la consapevolezza di essere al sicuro per la prima volta dopo mesi di prigionia.
 
 
 


Si svegliò in un letto e impiegò un po’ di tempo per ricordare dove si trovasse.
Intorno a lei tutto era bianco.
Ed era circondata da uomini e donne completamente vestiti di bianco, che avevano in mano degli strani strumenti metallici e indossavano delle mascherine.
Doveva essere in un ospedale.
Ma quella gente non sembrava di Capitol City.
Erano tutti troppo … sobri.
In un attimo, le tornò tutto alla memoria: la fuga, l’hovercraft, il ragazzo che ora stava sdraiato in un letto accanto al suo.
Quello era il Distretto 13.
Ne era certa.
Subito, però, un ricordo molto più importante di tutti gli altri, si fece strada nella sua mente.
Lasciando i medici esterrefatti, si staccò dalle bracci i tubi che le avevano appena applicato e fece per alzarsi, ma si fermò.
La camicia da notte che aveva indossato fino a poco prima era scomparsa.
Era completamente nuda sotto le lenzuola.
Sfilò una di queste e, avvolgendosela intorno al corpo, scivolò giù dal letto e, a piedi nudi, iniziò a camminare verso l’uscita della sala.
Molti cercarono di fermarla e due guardie stavano per sollevarla di peso e riportarla a letto, quando le porte vennero spalancate.
La prima ad entrare fu una giovane ragazza con i capelli raccolti in una treccia e, subito dietro di lei, …
“Finnick!”
Qualcosa a metà tra uno strillo e un grido di gioia.
Una giovane donna, splendida anche se un po' i disordine - scuri capelli arruffati e occhi verde mare - corre verso di noi senza nient'altro addosso che un lenzuolo.
“Finnick!”
E di colpo è come se al mondo non ci fosse nessuno tranne che loro due, che si aprono un varco nello spazio per raggiungersi.
Si scontrano, si abbracciano, perdono l'equilibrio, vanno a sbattere contro un muro, e lì rimangono.
Stretti in unico essere. 
Indivisibili.

 
 


 

Angolo Autrice:
Bene, bene … cosa ne pensate?
Io ho adorato tutta la trilogia, ma Mockingjay mi è rimasto nel cuore, in particolare ho amato questa coppia:Annie e Finnick.

Sono splendidi insieme.
È la mia prima fic su di loro, ma … non l’ultima!
Un bacione a tutti
Sweet_Juliet

 
   
 
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