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Autore: Evelinge    27/07/2012    0 recensioni
Elizabeth è una ragazza di 22 anni. Nella sua vita ha vissuto vari abbandoni, da persone importanti. Ciò l'ha portata ad essere ciò che è diventata: Una ragazza dai facili costumi. Nel momento in cui si rende conto di voler abbandonare tutto, incontra lui.
James è un ragazzo di 25 anni. Occhi magnetici, color ghiaccio, ghigno quasi malefico, ma terribilmente attraente.
Sarà lui a voler cambiare la vita di Elizabeth, nonostante sia un'impresa più pericolosa ed anche più... travagliata di ciò che pensa. -
Dal Capitolo 2:
“Quando una persona ha il potere di farti cambiare umore vuol dire che è veramente importante.” Aveva detto mia madre un giorno quando, per curiosità, le chiesi cosa fosse l'amore. Possibile che James fosse diventato in così poco tempo così importante?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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"Sei parte di me, ti amo e ti amerò sempre, ricordatelo." Il sussurro di quelle dolci parole cullavano il mio sonno profondo. Continuavo a sognare quella frase, quella voce e quel modo di coccolare il mio cuore ferito da giorni ormai. Il senso di colpa per ciò che era accaduto a Washington qualche mese prima continuava a tormentarmi, e trovava sempre un modo diverso per farlo: Aveva iniziato con stupide immagini che piano piano scorrevano nella mia mente, concedendomi una visuale del tutto onnisciente; Il 'fenomeno' ha seguito il suo corso poi, facendomi perdere in deja-vu che duravano troppo. Come se le azioni che compievo, i giorni che vivevo fossero solo una stupida ed evidente ripetizione di una vita passata. Una vita monotona, piena di stupide paure.

In quel momento, quel sogno/incubo che rimbombava nella mia cassa toracica ormai da giorni, mi sembrò semplicemente la pena da scontare per essere stata capace, una volta nella vita, di dare luce, valore e colore ai miei sentimenti e alle mie sensazioni. Avevo seguito il cuore, per una volta. Per una maledettissima volta il mio cervello aveva ceduto posto, nel massimo della cattiveria, a quel muscolo involontario ed affascinante che caratterizza ogni essere umano. “E' giusto che tu faccia ciò che senti, tesoro.” Mi aveva detto mia madre prima di chiudere gli occhi per sempre , affaticata dal troppo lottare. Lei aveva combattuto duramente: contro se stessa, contro suo marito o meglio mio padre (anche se lo conoscevo poco e niente), la sua famiglia, contro di me, ed anche contro mio fratello che, ormai, era cliente fisso dagli spacciatori di droga più 'in' della città. E, come se tutto ciò non bastasse, aveva combattuto contro una malattia che, proprio per dare un tocco di glamour alla giustizia, l'aveva vinta, lasciando me sola. Che futuro può aspettare una ragazza priva di ossigeno? Quali aspettative può nutrire una diciassettenne privata di una famiglia, di un sostegno? Nessuna, ecco la risposta. Una come me non poteva contare su niente, nemmeno sulle proprie forze dato che anche quelle erano continuamente messe in dubbio, come fossero dei mobili messi all'asta e venduti a colui che offriva di più. Ed era noto che la persona più ricca, in quei casi, dimostrava essere anche la più fortunata. Ricchezza e fortuna, nella ricca borghesia, coincidono. La fortuna è ricchezza e la ricchezza è fortuna. Soffrivo come non avevo mai sofferto prima di allora, perchè mi rendevo conto che non ero giusta, non lottavo. “Non sei come tua madre, sei solo una puttana.” Mi aveva detto mio padre prima di abbandonarmi per sempre, quel 17 maggio, nel quale decise insieme alla sua 'nuova compagna' di ricostruirsi una vita a Parigi, lasciando i suoi vecchi e inutili figli in balia delle onde come d'altronde eravamo sempre stati. Non aver nulla da perdere non è sempre un lato negativo dell'essere. Spesso non aver nulla da perdere ti garantisce una posizione definitiva.

Se fossi una borghese, figlia di un ricco ministro, avrei perso tutto ciò che possedevo. Ma essendo una misera ragazzina in cerca di un modo di vivere che non includesse una statale o una tangenziale, ero ufficialmente colei che non doveva aver timore di poter perdere nulla.

"Ehi ragazzina, quanto vuoi?" Era ormai da un mese che avevo deciso di abbandonare quel 'lavoro', ma se non fosse stato per i profitti ricevuti dal mio unico impiego probabilmente non starei solo a lavorarci, per strada. Guardai negli occhi quel ragazzo. Occhi di ghiaccio, inespressivi. La bocca curvata in un sorriso malizioso, e gli occhi ridotti a due piccole fessure, sotto le quali si poteva benissimo notare un preoccupante rossore. 'Bene, un altro drogato', pensai prima di stampare in faccia il mio solito sorriso finto e dirigermi verso lo sportello della macchina cercando di essere il più seducente possibile. “ Se vuoi fare qualcosa, o la fai bene o non la fai proprio, troia!” Ancora quelle dure parole. Sillabe pronunciate da un padre virile e crudele. Un padre che non mi aveva mai abbracciata, mai toccata. Un padre che non mi aveva mai sorriso e non mi aveva mai osservata con uno di quei sorrisi dolci che desideri tanto siano tutti per te. Il mio era un genitore duro, d'acciaio. Pensava al mio bene in un modo decisamente diverso rispetto agli altri. Per lui l'educazione, la collaborazione e la serietà erano doti fondamentali, insostituibili ed indispensabili. Io non ero mai stata niente di ciò che aveva desiderato, come non lo era stato mio fratello. Due ribelli, due leoni feroci, ecco cos'eravamo per lui. E, proprio come una preda, era fuggito. Era scappato via da noi, lasciando impresse sui nostri corpi come orme le sue dure parole.

"Non faccio sconti oggi, niente di niente occhi belli." Quel sopranome mi sovvenne così, un po' dal nulla. I suoi occhi non erano affatto come gli avevo definiti, erano decisamente il contrario. Ma il verbo mentire era ormai nei miei geni, caratterizzava il mio DNA. “500 una notte intera, 300 fino alle 3.00” Affermai, ormai ero appiccicata allo sportello e sorridevo come una fottuta puttana (esattamente ciò che ero). Era l'ultima notte, poi avrei cambiato vita.

"Tene do 600 e resti anche a colazione da me" Quel sorriso strafottente sul suo viso mi faceva capire che, se avessi insistito un po', avrebbe alzato la posta.

"700" Ancora quell'asta, quella vendita. Mi stavo vendendo, di nuovo. Ancora una volta avrei dovuto sopportare le immagini della mia prima ed unica volta con l'uomo della mia vita. L'uomo che mi aveva abbandonata, senza volerlo, ad un destino crudele. L'unico che era riuscito a farmi credere di poter essere davvero felice, nonostante tutto. Di potermi guadagnare, essendo me stessa, la giustizia che sempre mi era stata negata. Poi era morto, e nella tomba aveva portato con se' quella parte di me che mi permetteva ancora di esser chiamata 'donna'. Erano passati due anni dalla notte in cui gli appartenni davvero, la notte in cui fu sua la mia anima e il mio corpo. Solo due anni, eppure a me sembravano trascorsi anni luce.

"650" Cominciava a spazientirsi, ma non mi importava.

"Mi sembra di aver detto niente sconti, no? 700 o cercatene un altra." Sbuffò, evidentemente scocciato dalla situazione. Sapeva perfettamente che non c'era nessuno in mezzo a quella folla di ragazzine impegnate nel sedurre che potesse soddisfarlo come ero in grado di fare io. Ero una puttana, certo, ma con stile e, sopratutto, la migliore nel mio lavoro.

"700, sali in macchina." Mi incitò e io, con il sorriso che ormai sembrava esser diventato parte integrante del mio viso, mi diressi verso la Peugeot 208 posizionata davanti a me.

Quella notte passò come qualsiasi altra, dato che ormai la mia era diventata una vera e propria routine.

La mattina mi svegliai con l'odore di un nuovo letto ad invadermi le narici e con le mani di un nuovo uomo a stringermi la vita. Mi alzai, cercando di coprirmi con il misero lenzuolo che era stato posizionato sul mio corpo poco tempo prima, probabilmente non appena mi ero addormentata. Mi rivestii velocemente, prima di correre al piano di sotto per lasciarmi andare in un pianto liberatorio. Avevo deluso tutti. Avevo deluso mia madre, che aveva sempre confidato nella figlia che con tanto amore aveva cresciuto. Avevo deluso mio padre molto tempo prima, e quest ultimo aveva pensato bene di abbandonarmi. Avevo deluso mio fratello, che mi aveva informato del suo odiarmi e del suo non considerarmi parte della sua famiglia, come se davvero lui ne possedesse una.

In sostanza l'unica compagnia che ancora mi restava erano le mie stesse lacrime. Lacrime amare, che lasciavano trasparire tutta la mia sofferenza, il mio dolore. Distrutta come non lo ero mai stata mi lasciai cadere tenendo la schiena appoggiata alla porta d'ingresso di quella casa che non mi apparteneva, come d'altronde nessun posto. Le mani furono velocemente ad accarezzare il mio viso, per evitare che questo fosse completamente invaso da quelle goccioline d'acqua salata che già lo segnavano. Pochi minuti dopo mi sentii stringere la vita. Mani forti e sicure mi tenevano stretta a se; Stupita come non lo ero mai stata mi voltai, perdendomi negli occhi di ghiaccio che quella notte mi avevano scrutata a fondo, e avevano potuto conoscere tutto di me.

"Buongiorno" Dissi io scansandomi da quella presa e ridendo, come per evitare che l'uomo si rendesse conto del dolore che mi tormentava.

"Non fingere con me, piccola" Lo guardai, effettivamente sorpresa. Non poteva essersi accorto di nulla, era impossibile.

"Che dici?" Gli domandai io, rimanendo sul vago. Il fatto di esser stata scoperta, di aver lasciato che qualcuno entrasse in quel piccolo vuoto che mi aveva da tempo inghiottita mi dava rabbia.

"Dico che ti ho vista piangere, non ti va di raccontarmi?" -Mi ha vista- quel pensiero continuava a rimbombarmi nella mente come se fosse un martello che picchia forte in quest ultima.

"Senti, tela faccio breve. Questo è il mio ultimo giorno di 'lavoro', i soldi mi servono, quindi poche chiacchiere, cosa vuoi che faccia?" Mi avvicinai a lui, minacciosa. Mi dava un fastidio pazzesco il fatto che il lavoro fosse mischiato alle vicende personali, ma d'altronde me l'ero cercata. Non dovevo piangere quella mattina, e lui non avrebbe saputo nulla.

"Ti pagherò solo se mi racconti cosa ti prende" Abbassai lo sguardo, trafitta dall'emozione che mi donava l'aver trovato qualcuno che, nonostante tutto, provasse a capirmi.

"Sappi che lo faccio solo per i soldi..." Cominciai io, già sicura che sarei finita nel perdermi in quei ricordi che distruggevano piano l'essenza gioiosa della mia anima. Lui sorrise, quasi come se fossi prevedibile. Evidentemente lo ero, ma ciò che l'uomo non sapeva era che ero io quella che aveva il coltello dalla parte del manico. Ero io a voler raccontare, a voler sfogarmi, a volere che qualcuno sapesse del mio accaduto. “Beh, da dove vuoi che cominci?” Gli chiesi, cercando di dare voce ai suoi pensieri.

"Dall'inizio" Rispose lui, intento a filtrarsi nei miei occhi nei quali l'unica cosa che avrebbe potuto vedere era il riflesso dei suoi.

"Quindi da quando sono nata?" Ridemmo entrambi. Era da tanto che il suono della mia voce non era caratterizzato dall'avere quell'emozionante suono che scaturisce la velocità e l'intensità di una risata. “Beh, vedi io provengo da una famiglia di poveri artigiani. Mia madre una sarta, mio padre un falegname. Io nacqui quando mia madre aveva ancora 18 anni, si chiamava Samantha. Mio padre ne aveva 23, si chiamava Manuel. In una situazione di totale disagio economico ed anche culturale venni fuori io, la piccola Elizabeth.” Perchè gli stavo raccontando tutto ciò? Perchè non ero semplicemente scappata fuori da quella casa, lasciando all'uomo la possibilità di divertirsi in un altro modo? Non avevo risposte da darmi, eppure continuai con il mio racconto.

"Continua, Elizabeth." Mi persuase lui, continuando a fissarmi. Sembrava incuriosito o, addirittura, affascinato dalla mia storia.

"Beh, due anni dopo nacque mio fratello, Laurent. Sono cresciuta con il sostegno e l'amore di mia madre che dopo la mia nascita e quella di Laurent aveva deciso di smettere di lavorare, dedicandosi a noi ed alla casa. Ma i problemi economici si fecero sempre più pesanti, e avevamo a malapena di che mangiare. Mio padre, sottomesso a tutta quella pressione, non faceva altro che bere, imprecare contro me e la mia famiglia, e lavorare, senza guadagnare mai abbastanza. Io e Samantha eravamo disperate, anche perchè Laurent non accennava a voler aiutare la famiglia. Continuammo in questo modo fino ai miei 16 anni, quando mia madre morì, lasciandomi sola con in mano una situazione veramente tragica. Più volte tentai di chiedere aiuto, di rivolgermi ad assistenti sociali o cose così... ma mio padre melo aveva sempre impedito, non voleva che la nostra fosse catalogata come 'famiglia strana e pericolosa'. Per cui, ancora troppo ingenua per comprendere, gli diedi ragione e stetti alle regole del capofamiglia. Un giorno però papà portò a casa con se una nuova donna, tra l'altro in dolce attesa. Non ho mai saputo se il figlio fosse suo davvero ma ciò che vidi quel giorno non fu per me indifferente. Fu come un fattore scatenante. Fu ciò che mi portò a cambiare vita, a farmi credere di poter ricostruire tutto. Tutto mi sembrava così semplice, pensavo bastasse la volontà. Ma mi resi conto in fretta che non era tutto rose e fiori, niente era come pensavo. Litigai furiosamente con mio padre, e con mio fratello da quel giorno non fui mai più in buoni rapporti. Ancora oggi lo sento raramente, so per certo che non ha scelto la strada più giusta. Papà ci ha abbandonati, correndo a vivere a Parigi con la sua nuova famiglia. Spero che siano felici, ora. L'unica cosa che mi aveva realmente sollevata da tutto era stato l'incontro con un ragazzo meraviglioso, deceduto due anni fa. Dopo la sua morte ho iniziato ad essere ciò che sono ora, ma qualche mese fa mi sono resa conto che è uno scempio, e che io devo lottare in un modo diverso. Sei stato il mio ultimo cliente." La sua espressione lasciava intravedere un briciolo di frustrazione, di compassione ed anche di affetto. Ma lui non poteva provare affetto per me, nessuno poteva.

"E qual'è questo episodio che ti ha fatto cambiare velocemente idea?" Mi domandò, mostrando un interesse che non pensavo si potesse provare.

"Questa è un altra storia, chissà se avrò modo di raccontartela." Sorridemmo entrambi, soddisfatti di ciò che avevamo vissuto e che stavamo vivendo.

ANGOLO AUTRICE:
Okkey, non siate troppo cattivi con me. 
E' la prima volta che mi cimento in questo genere di scrittura, e ci tengo al fatto che possa sembrare almeno un po' decente e non sfociare nel volgare (spero tanto di non aver dato questa impressione).
Non ho nulla di particolare da dire, quindi passiamo insieme all'analisi del Capitolo.

ANALISI CAPITOLO:
Okkey, è solamente il primo Capitolo quindi immagino che molte cose non siano chiare.
ATTO I: Si parte dal 'resoconto' dell'attuale vita della protagonista, nel quale è compreso anche un recente 'incidente' accaduto a Washington per il quale la ragazza, Elizabeth, si sente molto in colpa. Questo episodio sarà lo stesso che l'ha condotta al voler abbandonare la sua recente vita? Lo farà? Troverà la forza di abbandonare la realtà che la circonda? 
ATTO II: L'incontro con il misterioso ragazzo dagli occhi color ghiaccio.. Lei gli odia -o pensa di odiarli?- e lo considera solo un semplice cliente. Dopo un po' di trattative -chiamiamole così- passano una notte di fuoco, che non ho descritto perchè non considero importante, almeno per il momento. Se per Elizabeth quella notte non è stata importante, non lo è nemmeno per me. xD
ATTO III: Elizabeth si risveglia, e si sfoga piangendo. Ciò porta il suo 'cliente' a chiederle cosa è successo, e la ricatta dicendole che non l'avrebbe pagata se non avesse raccontato tutto.
Lei si sfoga, ma lo fa inizialmente solo per i soldi -o almeno crede-.
Racconta la sua storia (che mi sembra abbastanza chiara).
Madre morta, padre codardo, fratello quasi inesistente, e fidanzato morto... solo su di lui non è chiaro cosa sia accaduto, ma tranquille.
Ora vi lascio un piccolo SPOILER del prossimo Capitolo e poi posso anche togliere il disturbo xD



"James." Rispose afferrandomi saldamente la mano e sfruttando questo contatto per poter tirarmi sul suo petto. Fu un abbraccio strano, forse semplicemente perchè non ero abituata a quel tipo di approccio. Ma mi piacque. Mi piacque sentir battere il suo cuore, mi piacque sentire il suo regolare respiro diventare tutt'uno con il mio.

"Jam, amore mio!" Fu un attimo.


Bene vi lascio.
Recensite, ci tengo tanto.
Vi ho già detto di non essere tanto cattivi, no? xD

Baci.
-Evelinge.







  
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