Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |      
Autore: Sphaira    31/07/2012    5 recensioni
Il mio nome era Blake. Ero un Allenatore di Pokémon di alto livello: avevo tutte le sedici medaglie delle regioni di Kanto e di Johto, e mi stavo dirigendo sulla cima del monte Argento per sfidare l’allenatore di Pokémon leggendario, Red. Avevo sei Pokémon di livello 100 con me: Typhlosion, Feraligatr, Meganium, Pidgeot, Tyranitar e Lugia. Erano tutti agguerriti e ambiziosi come me, e prima di partire per questo viaggio – pensavamo che sarebbe stato uno dei più eccitanti che avremmo mai passato insieme – eravamo tutti molto esaltati, carichi, impazienti di incontrare quel ragazzo che era arrivato così lontano partendo come tanti altri Allenatori, come me. La mia speranza era quella di riuscire a dimostrare di essere arrivato al suo livello, e magari di essere capace di superarlo. Insomma, volevo diventare il più grande allenatore di tutti i tempi.
{One-shot ispirata alla Creepypasta "Easter Egg - Snow on Mt. Silver}
Genere: Drammatico, Horror, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Pikachu
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler! | Contesto: Videogioco
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il mio nome era Blake. Ero un Allenatore di Pokémon di alto livello: avevo tutte le sedici medaglie delle regioni di Kanto e di Johto, e mi stavo dirigendo sulla cima del monte Argento per sfidare l’allenatore di Pokémon leggendario, Red. Avevo sei Pokémon di livello 100 con me: Typhlosion, Feraligatr, Meganium, Pidgeot, Tyranitar e Lugia. Erano tutti agguerriti e ambiziosi come me, e prima di partire per questo viaggio – pensavamo che sarebbe stato uno dei più eccitanti che avremmo mai passato insieme – eravamo tutti molto esaltati, carichi, impazienti di incontrare quel ragazzo che era arrivato così lontano partendo come tanti altri Allenatori, come me. La mia speranza era quella di riuscire a dimostrare di essere arrivato al suo livello, e magari di essere capace di superarlo. Insomma, volevo diventare il più grande allenatore di tutti i tempi.
 
Eravamo più o meno a metà scalata. Faceva molto freddo, e una violenta tempesta di neve ostacolava il nostro procedere rallentandoci di parecchio. Ma solitamente, che ci fosse pioggia, tempeste di sabbia o simili, gli Allenatori non si facevano fermare; era strano che finora non avessimo incontrato ancora nessuno, né persone né Pokémon selvatici. E questa brutta sensazione di solitudine doveva aver agitato anche i miei Pokémon, che avevano perso il loro sguardo vigoroso e fiero. Erano silenziosi, e sembravano stanchi e infreddoliti. Mi guardai le mani e le braccia: anch’io soffrivo parecchio, tanto che la mia pelle era impallidita.
Serrando le labbra, mi voltai indietro, guardando giù, e così fecero i miei compagni. Forse sarebbe stato meglio se fossi sceso dalla montagna, ma un mormorio, che all’inizio credevo fosse nato dalla mia coscienza, tuonò nelle mie orecchie con tono freddo:
Non posso tornare indietro adesso.
Continuai a fissare giù, poi di nuovo i miei Pokémon. Mi imploravano con lo sguardo, erano stanchi. Mi fecero impressione, non li avevo mai visti così.
Ancora provai a procedere di qualche passo verso il basso, però i pensieri si formarono da soli, bloccandomi.
Non posso scendere.
Non posso scappare.
All’ultima frase mi insospettii, e un lungo brivido freddo mi scosse.
Mi presi la testa tra le mani. Che cosa significavano quelle frasi? Chi era a parlare dentro di me? Non riuscivo a rispondere a nessuna delle domande che mi passavano in mente.
Respirai l’aria rarefatta del monte ispirando a lungo, ferendomi le narici e i polmoni per il freddo, ma non me ne curai. Dovevo mantenere la calma; era solo la mia immaginazione. Ne ero convinto.
Tornai a guardare i miei Pokémon. Erano ancora lì, e sembravano non essersi accorti di niente, se non preoccupati per la mia salute.
Provai a rassicurarli con un sorriso, ma sentii che dovette assomigliare più a una smorfia per il freddo che a quello che volevo. Mi avvicinai a Pidgeot. Anche lui era freddo, quando gli toccai il dorso. Lui abbassò il viso e chiuse gli occhi, in attesa che parlassi e per ripararsi dalla neve.
«Riusciresti a volare in queste condizioni?»
L’uccello aprì gli occhi tristi, guardandomi, ed emise un verso rauco mortificato. No, non ne era in grado, ma capivo dal suo sguardo che lo desiderava.
Aprii lo zaino, con un’ultima speranza: la fune di fuga. Ma quando la tesi per controllarla, scoprii con sgomento che era quasi spezzata in più punti come se fosse stata rosicchiata, quindi sarebbe stato pericoloso usarla. Com’era possibile? Le funi di fuga che si vendevano nei market erano sempre le migliori…
Non potrò tornare indietro, mai più.
A quel punto capii che davvero qualcosa stava andando storto. Non comprendevo cosa, ma ora sapevo per certo che l’unica mia possibilità di passare quella disavventura era raggiungere Red. Magari lui poteva spiegarci cosa stava succedendo sul monte. Magari poteva aiutarci a scendere. Dopotutto, prima che un Allenatore era anche un ragazzo.
Mi voltai verso la cima del monte, cercando di scorgere qualcosa tra la neve, ma senza grande successo. Tossii, poi mormorai ai miei Pokémon con voce rauca.
«Rientrate nelle vostre Pokéball, almeno lì sarete un po’ più al caldo…»
Sentii i loro versi, seppur timidi, uniti in una fiacca protesta. Stavolta fui io a guardarli con aria supplicante.
«Vi prego.»
Dopo diversi secondi, fu Lugia il primo ad ascoltarmi. Rispettava la mia scelta, e la sua saggezza di Pokémon leggendario gli fece capire che sarebbe stata la cosa migliore per tutti. Lui e i suoi simili sarebbero stati più al caldo, mentre io sarei stato più tranquillo.
Riuscivo a comprendere che era riluttante e che in verità voleva soffrire accanto al suo Allenatore, ma leggevo nei suoi occhi che lo stava facendo per tranquillizzarmi ed incoraggiarmi. Gli fui davvero grato per questo. E così, seguendo il suo esempio, tutti rientrarono nelle loro sfere, fatta eccezione per Meganium che rimase ancora un po’ fuori. Sembrava particolarmente triste.
«Cosa c’è?» gli chiesi avvicinandomi e accarezzandogli lievemente i petali intorno al collo. Non potevo dire se avevo perso io la sensibilità o i petali la sensazione vellutata che donavano al tatto. Il Pokémon si girò un attimo a guardare qualcosa che non riuscii a vedere, poi fece un verso roco che mi gelò anche il sangue; non sembrava lui, e sembrava particolarmente scosso. Strusciò per qualche secondo la sua testa sotto una mia mano, quindi si fece richiamare nella sfera anch’esso. Con l’angoscia che mi pesava sul cuore, ripresi a camminare verso l’alto, rallentando ad ogni passo per il timore e per il freddo, tenendomi le spalle. Solo il calore delle Pokéball mi animava ancora un po’, anche se era molto flebile. Lugia aveva avuto ragione: da lì mi rincuoravano ancora di più, standomi vicini, col corpo e con lo spirito.
Ho freddo…
In risposta a quella piccola ripresa di vigore la tempesta si fece più aggressiva, rendendomi ancor più complicati i movimenti. Strinsi la presa delle mani e lanciai un’occhiataccia alla neve sulla sinistra, come se quel qualcuno che mi perseguitava con quei pensieri, che sembrava sfidarmi e intralciarmi di proposito, che pareva manovrare la tempesta e la situazione con il suo solo parlare, fosse lì. Ma ovviamente non vidi altro che bianco.
Quando mi voltai di nuovo avanti, però, qualcosa in quel panorama incolore e identico variò, e una scalinata mi si stagliò davanti. Sospirai tremante, e la nuvoletta di condensa che si venne a creare fu subito spazzata via.
Ebbi modo di salire solo due gradini prima che una delle Pokéball che avevo si muovesse, per poi raffreddarsi velocemente. Mi bloccai sul gradino che avevo raggiunto e spostai una mano per raggiungerla. Era ghiacciata, e con essa mi ghiacciai anch’io. La voce, impassibile, ancora una volta sussurrò sovrastando il fischio del vento, dritto nelle mie orecchie.
Meganium è morto.
Non volevo crederci. Buttai la mia borsa di lato al gradino, e mentre la neve continuava a ricoprirmi e a bagnare la sacca che affondava nello strato fresco scoprii con stupore che tutto quello che avevo in borsa non c’era più. C’era solamente un revitalizzante: per fortuna era quello che mi serviva. Ma appena lo presi in mano…
E’ troppo tardi.
Rimasi sconcertato a quella frase. Che accidenti stava succedendo?
Sentii che anche gli altri Pokémon si stavano agitando. Passai la mano anche sulle loro Pokéball, e avvertii che anche quelle stavano perdendo calore, chi più chi meno. Un brivido mi fece perdere l’equilibrio prepotentemente, aiutato dal mio stato di shock e dalla mia debolezza fisica.
«No.»
Il pensiero di Meganium mi spinse a rialzarmi e a cercare di accelerare. Dovevo salvarli. Meganium non poteva essere morto davvero. Quella voce era solamente il mio panico personificato, ma non dovevo cedere. Non dovevo cedere.
“Non devo cedere!” urlai a me stesso col pensiero, ma lo spirito maligno non mi diede tregua, e parlò ancora, con lo stesso tono di sempre.
Pidgeot è morto.
Ancora quel macabro annuncio. Istintivamente tornai con una mano alle Pokéball per toccare quella che conteneva il mio Pokémon appena nominato, e con orrore realizzai che quella più gelida insieme alla sfera di Meganium era proprio quella di Pidgeot.
Quindi la voce era reale, e aveva…ragione?
Non potevo più resistere. Dovevo controllare e vedere che era successo.
Non riuscivo a concepire come poteva essere accaduto. Ok, faceva molto freddo, ma in teoria loro sarebbero dovuti stare meglio di me. E nessuno di loro aveva combattuto. Non riuscivo a comprendere…finché non vidi con i miei occhi lo scempio.
La carcassa di Pidgeot giaceva inerme alla sinistra della scalinata, gelata dal freddo. Alcune parti del corpo mancavano, e il suo sangue macchiava la distesa candida dell’unico colore che avevo visto lì intorno. Notai in seguito che anche un occhio era mancante, ed ebbi l’impressione di non aver mai visto un nero più intenso di quello del vuoto. La sua espressione era terribilmente sofferente e il becco era rimasto aperto; doveva essere la stessa espressione che aveva fatto prima di morire.
«No,» ripetei ancora, senza voce.
Avrei tanto voluto avvicinarmi ad abbracciarlo, a stringerlo, liberare con un grido o non so come quel tripudio di emozioni negative che mi stava assalendo. In una frazione di secondo mi passò davanti tutto il nostro allenamento insieme; quando lo catturai come semplice Pidgey allo stato brado, quando non si fidava di me e mi beccava, poi quando si è evoluto in Pidgeotto e poi Pidgeot e aveva preso l’abitudine di posarsi sulla mia spalla. Non riuscivo a concretizzare il pensiero che non avrei mai più sentito il suo peso e il calore delle sue piume di fianco a me. Fu terribile.
Ma ancora più terribile fu quando scoprii un simile massacro sul corpo morto di Meganium, e poi continuando a salire di Tyranitar, di Feraligatr, infine di Lugia. Anche se loro non avrebbero mai incolpato me dell’accaduto, ma le loro orbite vuote sembravano fissarmi e colpevolizzarmi del loro decesso. Non riuscivo a spiegarmi il perché di tutto ciò. Era disturbante.
Quando scorsi la fine della salita, il mio cuore batteva talmente forte da darmi la sensazione di essere sul punto di uscire dal petto. Temevo di perdere anche Typhlosion, l’ultimo Pokémon che mi era rimasto, che sentivo raffreddarsi a sua volta sempre di più nella sfera tenuta al sicuro sotto la giacca, attaccata su un fianco vicino al pantalone. E quel timore era l’unica cosa che riuscivo a pensare o provare; non una parola passava nella mia testa, non una parola veniva proferita dalla voce. Semplicemente, senza nemmeno sentirmi più le gambe, mi lasciavo trasportare dal loro salire automatico.
Ed ecco: ero in cima al monte. Non c’era nessuno, e la neve aveva improvvisamente smesso di cadere. Alla paura si successero il sentimento di sollievo, e poi di spaesamento. Dov’era Red? Non doveva essere lì?
Un soffio di vento mi rispose con un fischio, smuovendo un po’ di neve dal centro della piattaforma. C’era una Pokéball lì, abbandonata, in buone condizioni e bloccata nella neve, in modo che il vento non la potesse portare via.
Mi avvicinai, curioso e ansioso di vedere cosa conteneva, e appena l’alzai da terra e la portai all’altezza del petto per osservarla meglio, quella si aprì da sola. Spalancai gli occhi.
Era Celebi. Un Celebi vivo, ma sofferente e dilaniato quanto i miei Pokémon estinti, ma non esattamente come loro.
In fondo alla sua orbita vuota una scintilla rossa, simile ad un laser, mi puntava. La sua bocca era piegata in un sorriso malsano dal dolore, e supposi anche dalla follia. Quindi anche Celebi era stato colpito da quell’entità che si era accanita su me e la mia vecchia squadra?
Non feci in tempo nemmeno a richiamare il mio Typhlosion per lottare. In realtà esitai; sapevo che la sua ora sarebbe arrivata tra poco, com’era successo anche agli altri, e non volevo che fosse quel Celebi la sua ultima visione prima di morire. Volevo che sapesse che il suo Allenatore aveva fatto di tutto per proteggerlo. Come avrei voluto dimostrarlo anche agli altri... ma mi rendevo conto a malincuore che non sarebbe più stato possibile.
In ogni caso, Celebi colse al volo l’occasione per agire. Dopo aver sogghignato, lanciò un verso che sembrò sfondarmi i timpani, mirato, deciso. Doveva essere la mossa Ultimocanto. Questa volta riuscii ad urlare. E col mio urlo mi parve di sentire anche quello di Typhlosion, di Lugia, di Meganium e di tutti gli altri. Fatta eccezione per Celebi.
Tutto divenne di un bianco evanescente all’improvviso. Non riuscivo ad udire più nulla, né tantomeno a vedere qualcosa oltre quell’infinita distesa bianca. Alla fine, era come se fossi ancora in mezzo alla neve, solo che questo bianco riluceva, e che io ero probabilmente morto.
Invece no, non ancora.
Tutto quel bianco sparì in un batter d’occhio, ed io mi ritrovai a terra, steso su una roccia. E di roccia erano anche il soffitto, le pareti e tutto il resto. Pativo di nuovo il freddo; mi sentivo a un passo dal morire per assideramento, il che era piuttosto bizzarro visto che credevo di essere passato oltre poco prima… eppure no, non era così. Qualcosa mi teneva ancora in vita lì; dovevo morire soffrendo fino alla fine.
Tyyy!
Un verso. Calore. Socchiusi le palpebre quasi non distinguendo più niente attorno a me, incredibilmente grato per quel soffio caldo e dolce che mi arrivò per un attimo, anche se era così insignificante rispetto alla brezza gelida che si muoveva in quella specie di grotta…
Poi spalancai di nuovo gli occhi.
Typhlosion.
Lo chiamai, e mi girai verso destra. Avvertivo dei dolori lancinanti ad un occhio e ad una gamba, ma nonostante tutto non mi facevo sopraffare. Il mio Pokémon era lì, con la preoccupazione sul volto più evidente della sofferenza, ed emettendo versi per svegliarmi soffiava il suo alito tiepido verso di me per riscaldarmi un po’.
Fisicamente sembrava a posto, come se lo stare fuori dalla Pokéball e a vista lo avesse messo al sicuro da mutilazioni e ferite. Sicuramente anche lui pativa il freddo quanto me, si poteva vedere da come tremava o dalla pelliccia rovinata dal gelo; eppure non gli importava, e mi stava di fianco, aspettando che mi riprendessi.
A dispetto del bruciore terribile che la gamba mutilata mi procurava – la guardai solo per un attimo, il pantaloncino (…bianco?) immerso in una pozza di sangue, per poi distogliere lo sguardo per l’impressione – mi alzai a sedere e abbracciai il mio Pokémon. Una lacrima rosso sangue mi scese dall’orbita vuota, gocciolando sulla maglia, che presto si macchiò. Anche Typhlosion versò un’unica lacrima in quell’istante, ma non emise nessun suono, né tantomeno si mostrò rassegnato, sebbene sapessimo entrambi che quella condanna non si sarebbe conclusa se non con la nostra morte.
«Fa così freddo…» sussurrai al mio Pokémon, che mi passò una mano sotto le spalle per aiutarmi ad alzarmi. Così, entrambi in fin di vita, riprendemmo ad arrancare nella grotta, perseguendo un obiettivo ormai dimenticato, e diretti verso una meta ormai ignota. I cunicoli che percorrevamo si facevano sempre più bui, e ben presto vedemmo solo a un palmo dal naso, grazie alla luce lieve che Typhlosion ancora emetteva dalle fiamme morenti.
«Mamma…» cominciai a chiamare.
Stavo delirando, e sebbene avessi freddo, scottavo. Typhlosion non emise nessun verso, ed andò avanti lentamente. Lasciavamo una scia rossa dietro di noi. Era pietoso.
«Sento tanto freddo…»
La mia voce spezzata mi ferì la gola, ma non me ne curai, le lacrime che continuavano a scendere sia dall’occhio ancora sano che dall’orbita.
Deglutii a fatica, poi carezzai la pelliccia di Typhlosion, accennando un piccolissimo sorriso disperato. Volevo lasciarmi andare. Non ce la facevo più.
«Non posso andare avanti…»
Ma il Pokémon, ancor più disperato di me, combatteva per un’ultima speranza.
Una speranza che vedeva in lontananza, e che dopo qualche secondo vidi anch’io.
Una stanza dello stesso bianco acceso di non molto prima ci accolse, e al centro di essa Red ci fissava immobile, in silenzio. Non sembrava avere freddo, né altri problemi; ma la sua tristezza era talmente profonda da spaventare.
Non ebbi la forza di dire niente. Typhlosion mi fece sedere a terra con estrema attenzione, poi implorò aiuto con lo sguardo all’Allenatore che aveva di fronte…
Che a sua volta rimase in silenzio per diversi minuti, e lo ignorò fin quando con la mano non raggiunse una delle sue Pokéball.
Mimò con le labbra il nome di un Pokémon, che subito dopo si rivelò saltando fuori dalla sfera.
Venusaur, con l’aria stanca, si mise in posizione di combattimento e ci scrutò entrambi, senza trasmettere alcuna emozione.
Rimasi a dir poco spiazzato da quell’azione. Voleva davvero lottare? Con me ridotto in questo stato, e Typhlosion..!?
Non ebbi tempo di rendermi conto che il grande Pokémon d’erba ci si era gettato addosso per usare la mossa Scontro, ma Typhlosion sì, e si schierò di fronte a me facendomi da scudo. Provai a richiamarlo, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono, e lui mi ignorò. Ero sicuro che sapesse che non volevo farlo combattere, ma per proteggermi era disposto anche a quello, quindi fece finta di nulla.
Typhlosion gemette alla botta, ma resistette, mentre invece Venusaur crollò a terra inerme. Anch’esso era morto. Sia io che il mio Pokémon rimanemmo sbigottiti alla scena. Perché Red stava mandando i suoi Pokémon in campo a lottare in quelle condizioni?
Ma non avevamo ancora visto niente, perché il Blastoise che arrivò dopo non aveva un braccio. Si ripeté la scena di Venusaur: uno scontro, un danno a Typhlosion, la morte per il Pokémon avversario. Red continuò a non parlare; mandò in campo anche Charizard, Snorlax ed Espeon, e a mano a mano che procedeva i corpi dei Pokémon erano sempre più malridotti. Espeon in particolare, arrivò già morente a colpire Typhlosion, che cominciava a sanguinare e a perdere lucidità; ma anche se il suo debole corpo stava cedendo, continuava a stare in posizione eretta di fronte a me, e fermò Espeon adagiandolo al suolo dopo una lieve testata. Se avesse avuto la forza, avrebbe pianto.
Eravamo al capolinea. Rimaneva un solo Pokémon per Red, che aveva il cappello calato sugli occhi e il viso chino, in modo che non si vedesse nulla.
Mi resi conto che aveva mandato i suoi Pokémon a combattere seguendo un ordine preciso, per risparmiarsene uno per ultimo. Il suo Pikachu.
Oramai mi aspettavo l’orrore come se fosse una cosa normale. Mi stavo quasi abituando a quell’incubo di supplizi insensati e così crudelmente lunghi, e con mia grande sorpresa, scoprii che non mi importava. Tanto, alla fine stavo comunque per morire, no?
Ma tra tutte le cose che potevo aspettarmi, quella che mi si parò davanti agli occhi fu inimmaginabilmente terrificante. Quel Pikachu era il diavolo fatto Pokémon. Forse quello era il mio ingresso all’Inferno, ero già passato.
Ma no, non poteva essere possibile… altrimenti, perché anche Red era..?
La coda sembrava mangiata via, strappata in modo netto e impreciso. Metà del corpicino del Pikachu mancava, e il suo sguardo era raccapricciante. Mi stava fissando; si era spostato da davanti a Typhlosion per fissare me. Sorrideva in modo malsano, un sorriso enorme, e mostrava denti aguzzi come spilli, già rossi di sangue. Entrambe le orbite erano vuote, enormi, pozzi di tenebra profondissimi. Come in Celebi, anche in esse dei puntini rossi fiammeggiavano spietati e folli. E mentre la piccola creatura ondeggiava passando il peso da una zampa all’altra, come se non riuscisse a mantenere l’equilibrio, alzava e abbassava l’unico orecchio lungo più del normale che aveva.
“Pika-pii…”
La sua voce era sciupata, eppure ricordava lontanamente quella dolce e acuta degli altri Pikachu. Erano dei Pokémon molto carini; mi dispiaceva doverli ricordare con quell’ultimo, terrificante ghigno.
Ecco, si era mosso. Si muoveva verso di me sempre sulle due zampe, accelerando come poteva, e continuando a farfugliare il suo verso simile alla risata di una iena, si preparava a sferrare la sua mossa.
Una mossa che non era Scontro, bensì una ben peggiore.
Era Malcomune; quindi, siccome lui stava per morire, il destinatario della sua azione l’avrebbe dovuto seguire all’Inferno.
Chiusi gli occhi, annientato. Non riuscivo a spiegarmi il perché di tutta quella follia. Era davvero insensato; non si era mai sentito di una maledizione sul Monte Argento, né di nessun Allenatore che si era perso al suo interno insieme ai suoi Pokémon. Nessun corpo morto e mutilato era mai stato trovato da nessuna parte, e mai c’era stata una tempesta di neve così forte. Eppure non poteva essere tutta una mia immaginazione, una fantasia perversa e mostruosa che poi non avrei mai sognato nemmeno per sbaglio. Ma la presenza di Red? Significava forse che… lui era morto con me?
Riaprii gli occhi; stranamente, non avevo sentito niente, ma alla fine avrei dovuto aspettarmi quello che era capitato nei momenti di riflessione: Typhlosion si era frapposto tra me e il mostro – perché non si poteva chiamare Pikachu, quello era davvero un mostro – ed era morto insieme a lui. Giacevano a terra, Pikachu ancora con quegli occhi spalancati verso il nulla e quel sorriso, come se fosse stato una statua, e Typhlosion senza un occhio, ferito in più punti, ad occhi chiusi e con la bocca serrata. Ma nonostante la morte terribile, alla fine percepivo un minimo di conforto nel suo essere. Era scomparso per salvare il suo Allenatore, era stato il suo ultimo atto e aveva espresso la sua ultima, disperata volontà per un futuro che non riuscivo a vedere e che non avrei mai visto.
Volevo scaricare in qualche modo tutta quella carica di sentimenti che provavo, ma la gola non mi permetteva di esprimermi, il corpo non era più in grado di muoversi liberamente se non di strisciare, e il mio spirito ormai non desiderava altro che tutto quel tormento avesse fine.
Riuscii solamente a guardare Red, di fronte a me, ancora immobile e impassibile, finché una gocciolina non cadde dal suo viso e si infranse con un “plic” sul terreno candido, liscio e gelido.
Si avvicinò a me, una camminata che trasmetteva tutta la sua tristezza interiore, come se volesse seguire il destino che è toccato a tutti i suoi Pokémon: un’unica azione, qualunque essa fosse, e poi il nulla. Avrei preferito anch’io quel trapasso al posto di quello che mi toccò.
Quando Red alzò lo sguardo, anche lui aveva gli stessi occhi psicopatici del suo Pikachu, e lo stesso sorriso maligno che rideva di me. Ci rimasi di sasso: quel sorriso mi rivelò tutta la verità.
La voce era lui. Lui e il suo Pikachu stavano guidando e uccidendo me e la mia squadra fin dal momento in cui avevo messo piede nel territorio dei loro spiriti inquieti. Dovevano essere morti già tempo prima, e le voci che sentivo dovevano essere gli stessi pensieri che lui aveva avuto durante la sua scalinata. E poi, chi lo sa? Forse i corpi degli altri suoi Pokémon avevano trovato la loro tomba là dove ora erano i miei, mangiati da chissà quale anima, che fino ad allora era stata rimpiazzata dal suo Pikachu.
Era una storia veramente triste.
E quando sentii la sua voce, il mio cuore batté potente qualche ultima volta prima di rallentare bruscamente la sua corsa.
«Questa è la fine.»
Il bianco evanescente si espanse, mi passò attraverso mentre la mia coscienza si spegneva, ed io chiusi gli occhi…
 
E infine, ci fu solo un buio, profondo…nero.
 

 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Kyaha, seconda fic degna di essere uppata C: One-shot derivata da un giorno di ispirazione, mi sto uccidendo l’infanzia con queste creepypasta, ma sono così—Sono di quelle cose che ti fanno chiedere il perché a vuoto, le cose che mi piacciono. Ok, si, mi traumatizzano pure al primo impatto, ma dai… meritano. Solo che veramente, gli autori non hanno niente da fare? Almeno sviluppassero prima la hack della storia! [Vuole giocare] çwç’
…bando alle ciance. Spero che piaccia, ora do una rilettura veloc-veloc… quanta roba çAç’ Ci metterò la nottata(?)
No, siamo seri. Comunque cinque minuti ed è su.
Non fatevi problemi a segnalare errori o a fare critiche negative; l’importante è che siano costruttive per il miglioramento delle storie!
A presto!
Enjoy~

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Sphaira