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Autore: _Audii_    31/07/2012    7 recensioni
-Noi non dovremmo, lo sai.- si lasciò sfuggire Elise, prendendo a torturarsi il labbro inferiore con aria insicura. Il ragazzo rise di poco; rise con quell’andamento che lo rendeva spaventosamente sexy quando voleva.
-Quel coglione non lo ami- quella frase spezzò il silenzio che li avvolgeva con forza, impeto. Quella frase riassunse magicamente tutto il senso del loro incontro, dei loro sguardi, del loro bacio.
La ragazza abbassò lo sguardo e sembrò perdersi in quelle parole tanto dolorose. Era vero? Lei non amava più Tom?
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Piccola parentesi introduttiva: a causa di problemi col mio computer non ho potuto inserire il Banner iniziale della mia OS, né le immagini che avevo preparato per ogni paragrafo. Ci tenevo comunque a postare questa storia, anche senza le immagini a cui avevo dedicato particolare cura, perché non riuscivo a resistere all’idea di attendere anche un solo giorno di più per ‘divulgare’ queste pagine! Ho dedicato a questa storia tutti i miei ritagli di tempo: persino durante il periodo della maturità, ho sentito l’irrefrenabile desiderio di continuarla, di scrivere qualche scena, di pensare qualche battuta.  Viene dal mio cuore questa storia, viene dai miei pensieri, dai miei sogni, come ogni volta che scrivo. La protagonista è Elise, una ragazza che ha molto di ciò che io vorrei avere, primo fra tutti il coraggio di seguire le sue emozioni, di cambiare, di affermare il suo diritto alla felicità.

Spero che troviate in queste pagine anche una minima parte dell’impegno, dedizione, passione che ci ho messo :)

Vi auguro una buona lettura, e vi consiglio di ascoltare  (se non la conoscete già) “Neve e Fango”, una canzone di Emis Killa (anche lui presente in questa storia), che ha ispirato la mia OS. E’ una delle canzoni che amo di più, la trovo molto dolce, sebbene lo stile possa risultare tutt’altro che tale! Ascoltate bene le parole, perché le ritroverete più volte in questa storia, soprattutto in corsivo.

Ora vi lascio alla lettura :)

Un abbraccio, _Audii_

 

 

“Neve e Fango”

OS written by _Audii_

© [Emis Killa]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“La bellezza è una forma di genio: è più alta, in realtà, del genio e non ha bisogno di spiegazione. È  una delle grandi cose del modo. Ha il suo diritto divino alla sovranità. Rende principi coloro che la possiedono. La bellezza è la meraviglia delle meraviglie.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il principio del bello, del sublime, del sensibilmente alto era stato quanto di sufficiente per porre un punto conclusivo a tutto ciò che era stato attentamente costruito fino a quel momento.  Era bastata una notte, una sola notte per mettere in discussione una storia che procedeva da un anno, su una solida e sentita base di romanticismo. Era bastato un bacio di Tom per abbracciare il cuore di Elise in una morsa calda e soffice che l’aveva disarmata, rendendola completamente incapace di proseguire sulla sua vecchia strada. Era bastato uno sguardo di Tom per convincerla che seguire soltanto il proprio cuore, lasciarsi andare alle emozioni più sentite e pure era giusto, indubitabilmente giusto. Mettere la parola ‘Fine’ ad una storia come quella vissuta con Emis era stato terribilmente difficile; leggere delusione, rabbia, sdegno, forse anche disprezzo, nei suoi occhi scuri era stato devastante; pensare di frantumare per sempre un sentimento come il loro era stato desolante. Eppure le emozioni che Tom era in grado di farle provare erano state più importanti di tutto; quell’insostenibile leggerezza che provava solo quando era con lui era sintomatica dell’alchimia, della complicità che esisteva tra di loro; la sensazione di poter esplicare nel modo più immediato ed autentico il proprio essere era stata più forte di qualsiasi altra cosa.

La bellezza di quel sentimento che era nato lentamente ma così inesorabilmente tra di loro era diventata l’anima motrice del loro rapporto: detentrice di quella bellezza, Elise era diventata la sua principessa, il centro di ogni suo pensiero, il fine di ogni suo gesto. Quella parola dal sapore così dolce non le era affatto nuova: sentirla pronunciare da Tom, all’inizio, le aveva fatto uno strano effetto. Confrontata al tono con cui Emis le si era sempre rivolto l’aveva scombussolata,  destabilizzata.  Ma poi il modo in cui Tom l’aveva trattata, il modo indicibilmente dolce con cui l’aveva posta al centro di quella meravigliosa cornice l’aveva convinta che, in realtà, un paragone non poteva essere istituito neppure lontanamente: Tom era tutta un’altra cosa. Tom non aveva niente di Emis; Tom era unico nel suo genere; Tom era la compiutezza dei sensi e del loro soddisfacimento.

E per quasi un anno la bellezza intellegibile del loro rapporto aveva esercitato uno strano quanto deciso diritto di sovranità su tutto il resto, colorando le loro esistenze di un solo dato: la voglia reciproca di aversi, la necessità di appartenersi. Poi, come spesso accade, il tempo ha fatto il suo corso, assolvendo il proprio unico compito: stendere un velo insostenibilmente sottile su ogni cosa, cancellare sentimenti troppo fragili per continuare ad esistere, indebolire quelli più forti, cambiare inspiegabilmente tutti gli aspetti del reale, distruggere l’ordine del sentire. E così, lentamente, le attenzioni di Tom erano diminuite, le chiamate o anche semplicemente i messaggi erano quasi completamente scomparsi, i gesti di autentica dolcezza s’erano volatilizzati,  i modi per farle capire quanto fosse importante erano ormai praticamente  sconosciuti.           Tutto ciò aveva lasciato spazio ad un vuoto paralizzante,  ad un senso di solitudine disarmante. Elise aveva messo in discussione la sua vita per ritrovarsi, a ventidue anni, praticamente inesistente per chiunque, trascurata e ormai dimenticata dall’unico ragazzo per cui avesse mai provato qualcosa di veramente sconvolgente. Tom aveva irrotto nella sua vita, se l’era presa con impeto, ed ora, lentamente, la stava relegando in un angolo.

Elise si guardò velocemente allo specchio appeso nella sua camera: la sua attenzione cadde sul vestito scuro che indossava, sulla cura quasi maniacale che aveva usato nel prepararsi quella sera, sui suoi occhi verde chiaro abilmente messi in risalto dal trucco ma che, tuttavia, apparivano spenti, vuoti. Trovò privo di senso tutto quello; trovò completamente inutile indossare un elegante abito da sera ed essere lì, a quell’evento tanto importante per Tom, nei rapporti in cui si trovavano in quel periodo. Il punto era che a Tom interessava parecchio l’apparenza: la certezza che la sua ragazza fosse lì, sotto gli occhi di tutti, e che fosse sua e solo sua gli bastava. Il fatto che la stesse trascurando da mesi, col pretesto del lavoro pressante, il fatto che non la considerasse più come faceva all’inizio probabilmente non contava nulla per lui. La sua sensibilità aveva un limite, oltre il quale non sarebbe mai riuscito a vedere. Elise si passò leggermente il lucido chiaro sulle labbra carnose, trovandosi assolutamente insensata. Sarebbe apparsa quella sera lì, avrebbe sorriso dinanzi alla premiazione degli ‘European Music Awards’ e ci sarebbe stata dietro le quinte per qualsiasi evenienza. Eppure era così desolante: in quel momento le venne voglia di strapparsi via quel vestito e restarsene in casa in pigiama. D’altronde che senso avrebbe avuto essere lì in una situazione tanto importante dopochè Tom s’era  dimenticato di lei da diversi giorni, non preoccupandosi neppure di inviarle un messaggio o di farle una chiamata? Sospirò pesantemente, richiudendo il lucidalabbra e  passandosi una mano tra i capelli perfettamente lisci.

Ormai era in gioco, ed avrebbe dovuto giocare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Essere innamorati è superare se stessi.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

 

Un rombo potente si perse nell’aria mentre Elise premette con un gesto deciso la leva che aprì il portone principale del suo palazzo. Dei fari luminosi tagliarono il buio di quella sera di fine agosto, irrompendo nella sua anima. Il cuore aumentò leggermente i suoi battiti nel riconoscere l’oltremodo vistosa R8 accostarsi lungo il ciglio della strada. Chiuse con un colpo deciso il portone alle sue spalle e si avvicinò alla vettura. Il rumore dei suoi tacchi vertiginosi si perse nell’aria di quella sera già così movimentata. Gli MTV European Music Awards erano da sempre considerati come uno degli eventi più importanti nel mondo della musica; ed il fatto che quell’anno si svolgessero proprio lì, ad Amburgo, rendeva l’atmosfera densa di aspettative e tensione. Elise aprì la portiera dell’auto e  in un attimo fu dentro. Il profumo deciso di Tom le raggiunse presto le narici, inebriandola di quella fragranza. Il profumo di Tom, il sapore delizioso della sua pelle erano alcune delle cose di cui Elise s’era perdutamente innamorata. Lo sguardo caldo della ragazza si posò sul tipo al volante. Quella sera Tom era più attraente che mai: bastava che indossasse una semplice giacca elegante su un paio di jeans consunti per risultare sexy come pochi. Il suo sguardo si puntò in quello della ragazza, scorrendo sul suo corpo per pochi istanti.

-Ciao- mormorò lei, con tono lontanamente seducente.

-Ehi- rispose Tom abbozzando un leggero sorriso. La ragazza si avvicinò al suo viso e sfiorò le sue labbra con un tocco dolce e morbido. Quando si allontanò da lui e vide le sue labbra imperniate del lucido rosato, sorrise: adorava quando Tom si leccava le labbra portando via quel leggero velo di lucentezza per poi riavvicinarsi a lei e riprenderselo di nuovo. Quella sera, però, le sue dita strofinarono con un gesto veloce contro le sue labbra e portarono via il lucido in un attimo. Elise lo fissò per un istante: avrebbe dovuto iniziare a far caso ad ogni più piccolo gesto? Avrebbe dovuto iniziare a paragonare il comportamento del suo ragazzo a quello di qualche mese prima? Era  davvero arrivata a quel punto? Si trovò irrimediabilmente patetica nell’avere pensieri del genere.

Con un gesto rapido della mano Tom inserì la marcia e ripartì. Per qualche secondo solo il suono del motore dell’Audi si perse nell’abitacolo, coprendo quel silenzio che, tra loro due, stava diventando sempre più insopportabile.

-Non mi hai detto neppure come sto…- mormorò Elise con tono basso  e dolce. Tom voltò per un attimo il viso dal suo lato, facendo scorrere il suo sguardo sul corpo invidiabile della ragazza e sorridendo distrattamente.

-Sei bella- proferì semplicemente, con tono incolore. –Come sempre- aggiunse poi, tornando a fissare la strada davanti a sé.

Elise sospirò pesantemente, fissando lo sguardo fuori dal finestrino alla sua destra. Forse stava diventando paranoica, troppo ossessiva nel far caso ad ogni singola parola. Ma come avrebbe potuto non farlo? Ormai lei e Tom si scambiavano così poche parole che era impossibile non far caso a ciascuna di esse. Per un attimo si sentì insulsa; si sentì un’insulsa innamorata. Le sembrò di incarnare perfettamente il prototipo di donna innamorata persa del proprio uomo e trascurata alla grande. Odiava quella situazione: trovava insopportabile che a ventidue anni dovesse accettare un rapporto del genere, in cui era trattata in modo più indegno di una donna sposata da trent’anni, con tutto il rispetto.

-Che hai?- la voce bassa di Tom ruppe improvvisamente il silenzio dell’auto. La sua mano destra si posò leggermente su quella di Elise, stretta in grembo che torturava i lembi del suo vestito. Un brivido le corse lungo le membra, e per un attimo desiderò abbandonarsi in un lungo, disperato pianto liberatorio. Ma non lo fece. Sospirò intensamente e si girò verso Tom, incrociando per un attimo i suoi occhi dorati.

-Niente- rispose, abbassando immediatamente lo sguardo. Uno sguardo freddo, triste, solitario. Tom era agitato per l’esibizione di quella sera: era normale che fosse sbadato, che non le desse tante attenzioni, si disse Elise. Tom aveva altro per la testa, quella sera, e lei avrebbe dovuto capirlo. Passato quel periodo tutto sarebbe tornato come prima.

Era quello che si ripeteva da mesi ormai. Chiuse per un attimo gli occhi e sentì il cuore batterle forte.

Forse era arrivato veramente il momento di smetterla di giustificarlo ad ogni costo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non è mai troppo alto il prezzo da pagare per una sensazione.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

Un gran frastuono  la avvolgeva, innumerevoli membri dello Staff correvano qua e là ininterrottamente, in preda alla concitazione. Elise non avrebbe mai creduto che dietro il backstage di un palco ci fosse tanta organizzazione, e soprattutto tanto lavoro. Con sguardo stupito e leggermente perso si guardò attorno, cercando con lo sguardo Tom e la sua Band. Lo trovò, dietro le scale del palco, alle prese con la cinta della sua chitarra, mentre si sistemava lo strumento, circondato da Bill, Gustav e Georg che stavano, probabilmente, definendo gli ultimi dettagli dell’esibizione con un David decisamente intraprendente. In quell’angolo in cui Tom l’aveva lasciata, dicendole che sarebbe tornato presto, Elise si sentì invisibile, inesistente per chiunque. Mentre pensava di essere spaventosamente fuori luogo lì dietro, si rese conto di essere completamente irreale per chiunque: nessuno si sarebbe mai accorto di lei in quel casino generale; nessuno l’avrebbe notata; nessuno si sarebbe mai accorto della sua insulsa presenza. Fece qualche passo a vuoto, stringendo tra le dita la sua pochette di Armani. Si chiese che ci facesse lì, per quale motivo Tom l’avesse portata con sé se poi s’era completamente dimenticato di lei, relegandola in un angolo. Si trovò spaventosamente presuntuosa e stupida nell’aver pensato che Tom avrebbe avuto bisogno di lei, del suo supporto, della sua semplice presenza. In quel momento si sentì così triste da dover lottare con sé stessa per reprimere le lacrime.

Poi, fu un attimo. Quell’attimo in cui tutto cambia. Il suo cuore sembrò rallentare i battiti regolari fino a fermarsi, quasi; un vuoto disumano si aprì all’altezza del suo petto; un senso di incompiutezza la avvolse, rendendola incapace di pensare nulla in quel momento. I suoi occhi chiari si incontrarono con quelle iridi nerissime tanto familiari. Fu un attimo, un solo attimo in cui quell’incontro di sguardi valse più di qualsiasi altra cosa. Emis Killa avanzava lentamente nel backstage, tra fiumi di persone impegnate a correre di qua e di là. Elise trovò che la sua andatura sciolta e suadente non era cambiata minimamente; il suo stile preciso e studiato, ma allo stesso tempo così naturale, era rimasto esattamente lo stesso; quel fare avvolgente, che lei aveva trovato sempre irresistibile, era ancora rimasto sua personale prerogativa. Quegli istanti fatti solo dei loro sguardi incollati, della loro noncuranza per tutto il resto, del loro seguire semplicemente l’impeto del momento, durarono un tempo infinito. Dio, quel groviglio di sensazioni che stava salendo nel petto di Elise era oltremodo inspiegabile. S’era sempre chiesta cosa avrebbe provato nel rivedere il suo ex storico; s’era sempre chiesta come avrebbe reagito, se si sarebbero salutati, se ignorati, se insultati; s’era sempre chiesta come avrebbe trovato il suo sguardo, come sarebbero state le parole, le frasi tra di loro. Ed in quel momento ebbe la risposta a tutte le sue domande: dopo un anno di silenzi, di oscurità, dopo un anno in cui nessuno aveva avuto notizie dell’altra (almeno apparentemente) la sensazione dominante in quell’istante era uno strano senso di confusione. Confusione mista a smarrimento, con un pizzico consistente di disagio. Emis fece qualche passo verso di lei, e nel frastuono generale, si fermò a pochi centimetri di distanza della ragazza. Quel suo atteggiamento dannatamente sicuro rese Elise ancora più imbarazzata. Chinò leggermente la testa verso di lei, da quei pochi centimetri di superiorità e la osservò per qualche secondo. Per pochi attimi i loro sguardi si incollarono, trovandosi vicendevolmente irresistibili. In quel momento si salutarono con lo sguardo, con un semplice ma intenso sguardo; non una parola, non una frase, non una spiegazione; solo uno sguardo paurosamente eloquente che sembrò dare una risposta concreta a quell’anno di lontananza. Quella distanza ravvicinata fu insopportabile per entrambi, tanto da esaurirsi in un istante così come era stata magicamente creata. Emis si allontanò da Elise esattamente come le si era avvicinato con tanto ardire lì, davanti a tutti. Era stato in grado di imbarazzarla con un solo sguardo, senza fare uso di una sola parola. Lei abbassò leggermente lo sguardo cercando di controllare il turbinio di emozioni che le si era acceso dentro. Con cautela alzò di nuovo lo sguardo e lo puntò davanti a sé: un Tom decisamente agitato provava velocemente degli accordi alla sua chitarra, attorniato dagli altri della band, che mostravano segni tangibili della tipica adrenalina da pre-esibizione. La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro pesante, rendendosi conto che Tom non l’aveva minimamente vista, non s’era probabilmente neppure accorto del ‘saluto’ di Emis. D’altronde era da tanto, (troppo), ormai, che non si curava più di lei. Un tipo avrebbe potuto rimorchiarla davanti a lui, eppure non c’avrebbe fatto caso. Elise era scontata per lui: era diventata la sua ragazza punto e basta; non occorreva altro per tenersela stretta. Tom aveva dimostrato una concezione un po’ troppo materialistica dell’amore, delle ragazze; come se una tipa fosse un semplice ‘acquisto’ fatto una volta per sempre. Da quanto tempo Elise non si sentiva più addosso lo sguardo pesante e possessivo di Tom? Da quanto tempo lui non la guardava più come aveva fatto Killa quella sera? Da quanto tempo lei non era più al centro di ogni sua attenzione?

Tanto, proprio tanto. Troppo, decisamente troppo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“L’unico modo per liberarsi di una tentazione è di cedervi. Resisti e la tua anima si ammalerà della brama delle cose che ha proibito a se stessa, del desiderio per ciò che le sue leggi mostruose hanno reso mostruoso e fuorilegge.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano passati cinque lunghissimi giorni dalla sera in cui c’era stata la premiazione degli MTV Ema’s. I Tokio Hotel erano stati di gran lunga i più premiati, con ben quattro riconoscimenti per ‘Best Video’, ‘Best Band of the Year’, ‘Best Rock’ e ‘Best Live’. Dopo quella gloriosa serata Elise si era illusa di poter ricevere qualche attenzione in più da parte del chitarrista, dal momento che gli impegni sarebbero visibilmente diminuiti. Eppure, come spesso accadeva, le sue idee erano state immancabilmente frustrate: la Band era impegnata in studio per la registrazione delle tracce del nuovo Cd e non vedeva Tom praticamente da una settimana. Le chiamate che lui le aveva fatto si potevano tranquillamente contare sulle dita di una mano. Erano stati giorni così desolanti; giorni vissuti in solitudine, in isolamento; giorni vissuti nello sconforto. E da soli, si sa, fermentano i pensieri e le voglie più atroci. Stare da sola per cinque giorni senza vedere né sentire Tom le aveva dato modo di riflettere, di pensare, di guardarsi dentro e contemplare la sua vita, la sua situazione sentimentale, sé stessa. Un senso di devastante sconforto la assediava continuamente, senza darle mai pace; un senso di forte delusione la rattristava: il pensiero che Tom la stesse abbandonando così inesorabilmente le faceva male, troppo male. Eppure, in tutto quello, c’era un solo pensiero che sembrava darle vita, agitarle l’animo, muovere le sue idee. Quello sguardo. Quel saluto; quelle parole non dette; quelle attenzioni sottese. Lo sguardo che s’era scambiata quella sera con Emis non riusciva proprio a dimenticarselo. E si odiava per quello; si odiava all’idea di stare male di fronte ad un gesto magari inconsapevole, insulso, insensato. Si odiava all’idea di emozionarsi nel pensarci, sorridere debolmente nel ricordarlo. Si odiava all’idea di tenere in mano il telefono e scorrere con le dita sulla rubrica alla ricerca del suo contatto. Si odiava per il fatto che stesse pensando, da più giorni, di chiamarlo; e si detestava ancor più per il fatto che lo stesse pensando con tanta insistenza da desiderarlo più d’ogni altra cosa. Il suo sguardo si perse nel vuoto, e per qualche secondo valutò l’ipotesi di spegnere il telefono e gettarlo chissà dove per non essere più tentata da quell’idea. Ma qualora l’avesse fatto, avrebbe risolto i suoi problemi? Avrebbe forse fatto chiarezza nella sua mente? Avrebbe forse accantonato definitivamente quel pensiero che la tormentava da giorni? Probabilmente avrebbe solo contribuito ad acuirlo, ad alimentarlo e a farlo crescere a dismisura finchè non l’avesse completamente divorata. Un altro sospiro, stavolta più lungo e pesante del precedente, si perse per la stanza. Poi, il suo dito smaltato di rosso lucido,  premette l’icona recante la scritta “Emis Killa” ed avviò la chiamata. Cosa gli avrebbe detto? Non ne aveva la minima idea. In quel momento, a dire il vero, non aveva neppure la minima certezza che avrebbe risposto. In quel momento si sentiva solo terribilmente confusa, sola, abbandonata. In quel momento aveva soltanto voglia di sentire la sua voce, dopo un anno di silenzio. Stava sbagliando, probabilmente; anzi, sicuramente stava commettendo un grande cazzata. Ma, come diceva Wilde, “gli errori fatali della vita non dipendono dall’irragionevolezza umana.  Un momento irragionevole, anzi, può essere uno dei momenti più belli. Gli errori dipendono dalla logica umana”.

Il primo squillo le entrò nell’orecchio. Che senso avrebbe avuto agire di logica, di ragione, di ratio? Il secondo squillo seguì il primo. Che senso avrebbe avuto nascondere quel desiderio che era nato segretamente e che era cresciuto così tanto in così pochi giorni? Il terzo squillo risuonò sordo. Che c’era di male, in fondo, nel risentire il ragazzo con cui aveva condiviso praticamente tutto in oltre un anno di fidanzamento? Il quarto squillo sembrò annunciarle l’insensatezza del suo gesto. Poi, però, quella voce ruppe il silenzio della sua camera, della sua mente, della sua anima.

-Pronto?- Elise chiuse un attimo gli occhi, sentendo una scossa spandersi per il suo petto. Il cuore aveva cominciato ad accelerare inspiegabilmente i suoi battiti. Quella voce non era cambiata di una virgola: stesso tono deciso, sicuro; stessa sfumatura roca, attraente. Stesso andamento di cui s’era innamorata quattro anni prima.

Il silenzio che le stringeva la gola le impedì di pronunciare anche una sola parola. In quel momento si odiò per aver deciso di fare quella stupida, inutile telefonata.

-Pronto?- la sua voce risuonò ancora, leggermente più alta di prima. Le dita della ragazza si strinsero convulsamente attorno al palmare, trasformandolo momentaneamente in una valvola di sfogo.

-Sono Elise- la sua voce risuonò flebile, debole, incerta. Le dita della sua mano sinistra stavano torturando i lembi della canotta che indossava. Silenzio. Dall’altra parte solo un silenzio abissale. Aveva forse messo giù?

-Emis ci sei?- chiese lei con voce incerta, temendo di aver fatto una grande stupidaggine in quel momento.

-Si, ci sono- rispose lui, schiarendosi appena la voce. La ragazza puntò lo sguardo sulla finestra, attraverso cui entrava un buio aberrante. In quel preciso istante si sentì completamente persa, priva di punti di riferimento, priva di senso, mentre stava al telefono col suo ex al quale pensava ininterrottamente da giorni e al quale, peraltro, non sapeva affatto cosa dire.

-Come stai?- tentò lei, stringendo tra le dita la sua maglietta con fare  agitato. Si maledì per la banalità assoluta di quella domanda. Eppure da qualcosa doveva pur cominciare.

-Alla grande, tu?- la sua voce era coperta da uno spesso strato di indifferenza che le fece male, davvero male.

-Anch’io sto bene- mentì lei, trovandosi incredibilmente idiota. Una situazione del genere non poteva essere tanto desolante. Si stava praticamente confessando col suo ex che aveva tradito più e più volte con un altro.

-Cos’è, hai litigato col tuo ragazzo?- gli chiese Emis con una punta piuttosto evidente di sarcasmo nella voce. Elise sospirò impercettibilmente dinanzi a quella domanda dal sapore così amaro. Che pretendeva, del resto? Che il suo ex la consolasse o la trattasse coi guanti bianchi dopo quello che gli aveva fatto un anno prima?

-Non ti ho chiamato per parlarti di Tom- mormorò Elise, dopo una breve pausa di silenzio.

-E per cosa, allora?-

La ragazza chiuse appena gli occhi, sentendosi morire dentro. Quella domanda l’aveva inchiodata, inesorabilmente. Si trovava di fronte a sé stessa e ai propri sentimenti; era praticamente costretta ad ammetterlo, a sé stessa, a lui.

-Per sentirti- si lasciò sfuggire con voce flebile. Arrossì completamente nel pronunciare quelle semplici due parole. Si trovò disgustosa nel doverlo ammettere prima dinanzi a sé stessa, poi dinanzi al suo ex. –è  quasi un anno che non ci sentiamo- aggiunse poi, cercando di riprendersi.

-Non è stata certo una mia scelta, lo sai - rispose Emis, con tono altrettanto pungente.

Elise sospirò pesantemente, annuendo. –So che tu ce l’hai con me per quello che t’ho fatto, ed è inevitabile,  ma potremmo metterlo da parte per un attimo. Non credi?- propose lei, con fare insicuro.

-Che senso avrebbe, Elise?- chiese il ragazzo dall’altra parte della cornetta.

-Lo stesso senso che ha avuto quello sguardo la sera della premiazione.- rispose lei senza la minima esitazione. –Quello non era uno sguardo privo di senso, lo sai anche tu- continuò Elise, con tono sicuro.

-Non c’è mai stata una cosa che io ho fatto per te che non abbia avuto un senso. Ma non si può dire lo stesso di te.- rispose lui con una sicurezza imbarazzante. Il suo discorso non faceva una piega. –Quindi spiegamelo tu il senso di quello sguardo, visto che hai pure un ragazzo- aggiunse lui con devastante lucidità.

Elise boccheggiò per un attimo: non era cambiato di una virgola. Quel fare tremendamente convincente e deciso era ancora la base della sua personalità.

-Appunto, magari dattela da solo una risposta, no?- rispose lei, alzando leggermente il tono di voce.

Dall’altra parte della cornetta sentì il silenzio più avvolgente. Era così difficile ammetterlo.

-Quando ti ho rivisto mi sono sentita strana- ammise con voce bassa e sentita. –E non chiedermi il motivo, perché non ne ho la minima idea. - concluse, abbassando lo sguardo. Le sembrava quasi di percepire la presenza di Killa in quella stanza.

Sentì un lungo sospiro provenire dall’altra parte del telefono.

-Senti, ti va se ti passo a prender e ci facciamo un giro?- propose lui dopo qualche secondo di silenzio. –Sarò un coglione, ma ho ancora voglia di vederti.- aggiunse poi con tono più basso. Elise sentì un brivido lacerarle le membra. Dio, da quanto non si sentiva più così? Da quanto non sentiva più quella sensazione di gioia estatica invaderla?

In quel momento i rischi erano molti, le probabilità di fare una cazzata almeno il doppio; eppure seguire il proprio istinto era l’unica cosa che avesse un significato.

-Ti aspetto, allora.- fu un sussurro, poi chiuse la chiamata, ed insieme ad essa gli occhi. Se fosse stato un errore, almeno avrebbe sbagliato consapevolmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Quante storie si fanno sulla fedeltà. Persino in amore è solo una questione fisiologica. Non ha nulla a che vedere con la nostra volontà.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

 

Chiuse il portone alle sue spalle con un gesto deciso e si infilò distrattamente le chiavi in borsa. Degli enormi, luminosissimi, fari blu la investirono in pieno, mentre si voltava verso la strada. Un vuoto le si aprì all’altezza dello stomaco quando riconobbe quella Mini Cooper Sport, nera come la notte, fermarsi a qualche metro di distanza da lei. Quanto tempo era che non viveva più quella scena? Quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui  Killa era passato a prenderla, se l’era caricata in quella macchina e l’aveva portata via con sé? Il cuore le fece un tuffo quando l’auto si fermò lungo il ciglio della strada, e si sentì morire all’idea di salire lì dentro e ritrovarsi il suo ex a qualche centimetro di distanza. Avrebbe sentito di nuovo il suo profumo, avrebbe incrociato di nuovo quegli occhi neri come il petrolio, avrebbe di nuovo sentito quel senso di imbarazzo lacerante nel sentire il suo sguardo addosso. Le gambe le si mossero da sole, mentre, stringendo i lembi della sua canotta scura, si avvicinava lentamente all’auto. In certi  momenti è come se, fisiologicamente, fosse il nostro corpo a rispondere delle nostre azioni, fossero i nostri muscoli a lavorare involontariamente lasciando che quanto di razionale venga malamente ed immediatamente soppresso. Entrare in quell’auto e rivedere Killa significava solo una cosa: fare un’enorme cazzata. Le dita sapientemente smaltate di Elise si strinsero attorno all’apertura della portiera e commisero quell’enorme cazzata. Furono pochi secondi di improvvisa follia, dopo di che tutto sembrò inspiegabilmente tornare indietro di un anno. Quel profumo dolce e spaventosamente buono l’avvolse come un tempo, i suoi occhi fuggitivi incontrarono quelli nerissimi di Emis, leggendovi stupore, rancore,  piacere. Con un gesto deciso Elise chiuse la portiera e si voltò verso il ragazzo seduto al posto della guida: la mano sinistra, impreziosita da un visto orologio di D&G  malamente appoggiata sul volante, con quel fare attraente che gli era sempre appartenuto, la destra sul cambio. Il suo sguardo si incollò a quello chiaro di Elise, scivolando poi, lentamente, sul suo corpo esile ma ben proporzionato che lui conosceva alla perfezione. Quelle gambe lunghissime e magre, dalla pelle perennemente abbronzata, quella semplice maglietta che copriva così deliziosamente le sue curve inevitabilmente invitanti, quei capelli sciolti, naturali, che le incorniciavano il viso conferendole un’aria piacevolmente dolce: ogni cosa di lei accese la nostalgia nel ragazzo. Tornò  a puntare il suo sguardo in quello della ragazza che si trovò, in quel preciso istante, stretta tra due fuochi. Odiava sentire il cuore pulsarle nel petto sotto lo sguardo di quel ragazzo, odiava sentirsi a disagio nell’averlo lì, a pochi centimetri, che la fissava con quell’aria che aveva sempre immancabilmente preceduto ogni bacio, odiava sentire la mancanza di un suo abbraccio, odiava anche solo il fatto di trovarlo terribilmente attraente come un tempo. Le sue labbra si dischiusero appena, mentre  vide Killa distogliere per un attimo lo sguardo da lei, come per esorcizzare quella voglia di lei che s’era prepotentemente fatta strada in lui non appena aveva riconosciuto il suo profumo in quell’auto e l’aveva vista sedersi, bellissima come non la ricordava più, accanto a lui in quell’auto. Fu in quell’attimo che si rese conto di non averla mai dimenticata del tutto. Elise, avvolta nel silenzio più devastante, si morse delicatamente il labbro inferiore, pensando a cosa sarebbe stato meglio fare in quel momento. Come avrebbe dovuto salutarlo? Uno, due baci sulla guancia? Nessun bacio.

-Ciao- mormorò flebile, guardandolo con aria insicura. Trovò che dirgli semplicemente ‘Ciao’ fosse la cosa più saggia in quel momento.

Emis piegò le sue labbra in un lieve sorrisetto, accompagnato da un leggero piegamento della testa. Sorrise a quel saluto, completamente inutile. S’erano già detto parecchio con    quello sguardo infinito che li aveva tenuti incollati fino a quel momento.

-Ciao- rispose lui, con tono basso e roco, tornando a fissarla. Se c’era una cosa che faceva impazzire Elise era lo sguardo di Killa. Quegli occhi profondi quanto l’oceano e scuri più della notte erano capaci di farla sentire piccola piccola, sotto la loro attenzione. E fu così che si sentì Elise mentre l’attenzione del ragazzo si posava su di lei, facendole capire tutto quello che non le aveva ancora detto chiaramente. Emis si trovò un irrecuperabile coglione in quel momento: si trovò un coglione perché stava desiderando quella ragazza con tutto sé stesso nonostante il modo in cui fosse finita tra loro. Aveva sempre preso per il culo i ragazzi completamente sottomessi dal genere femminile, quelli miracolosamente capaci di perdonare il tradimento ed in quel momento lui si rese conto di non essere per nulla dissimile da loro. Distolse lo sguardo da Elise ed ingranò rapidamente la marcia, partendo. 

La Mini correva per le strade di Amburgo, ritmicamente illuminata dalla fioca luce dei lampioni equidistanziati lungo il ciglio della strada. Quella scena era così simile a milioni di altre scene identiche già vissute. Loro due soli in macchina che vagavano di notte per  le strade semi deserte di Amburgo.

-Ricordi quante serate trascorse in macchina così?- la voce dolce e pacata di Elise ruppe quel silenzio che li avvolgeva, trasmettendo però loro molto più di mille parole.

Killa sorrise impercettibilmente, richiamando alla mente quelle scene passate. Poi, improvvisamente, si rese conto di un’unica, enorme differenza: le dita delle loro mani non stavano più intrecciate, la mano di Emis non scorreva più sulle gambe nude di Elise, i baci dolci e morbidi che di tanto in tanto si scambiavano erano totalmente spariti. Spostò leggermente lo sguardo sulla figura della ragazza accanto a sé ed incrociò per un attimo il suo sguardo. Sembrò anche lei accorgersi di quella variante, e si prese a torturare le dita con fare imbarazzato.

-Non sei cambiata minimamente, Elise- commentò il ragazzo, con voce tranquilla, scalando sapientemente marcia. Lei si voltò appena verso di lui, trovandolo fin troppo affascinante mentre era assorto nella guida.

-Che vuoi dire?- chiese lei con voce bassa, alzando leggermente un sopracciglio con aria interrogativa.

-Ti torturi ancora le dita come facevi quando litigavamo e poi ti imbarazzavi nel chiedermi scusa- le fece notare lui, spostando velocemente lo sguardo su di lei, con un lieve sorrisetto sulle labbra.

Elise sorrise, sentendo un indicibile calore sciogliersi nel suo petto. Emis dava così tanta importanza a dei gesti così banali? Ricordava ancora con tanta semplicità quegli stupidi modi di fare a cui neppure lei stessa faceva caso?

-Ti mordi ancora le labbra quando non sai cosa fare?- le chiese lui, rallentando e spostando il proprio sguardo su di lei.

Elise si sentì tremendamente bene in quel momento. Si sentì bene come non si sentiva più da mesi, ormai. Alzò il suo sguardo luminoso sul ragazzo e lo osservò con una luce diversa.

-E tu?- gli chiese lei all’improvviso. –Scrivi ancora canzoni dolcissime alle ragazze?- quella domanda le sorse spontanea. Il modo irriverente, dolce, provocatorio con cui gliel’aveva inconsapevolmente rivolta, fece sorridere Emis.

-No- rispose deciso, lasciando scorrere le sue dita lunghe ed affusolate sullo sterzo. –Quello lo facevo solo per te- aggiunse con tono spaventosamente allusivo, voltando lo sguardo verso Elise e imprigionandole l’anima in un secondo. Il cuore della ragazza sembrò fermarsi all’improvviso. Si sentì lusingata, desiderata ed ammirata come una volta. Si morse istintivamente il labbro inferiore, sentendosi imbarazzata all’inverosimile, dinanzi a quella confessione che le aveva acceso così intensamente l’animo.

-So che ormai non ho più alcun diritto su di te, ma…- tentò di dire lei, con fare evidentemente insicuro. Sospirò appena, prendendo tutto il coraggio necessario per quella domanda. –Quante ragazze hai avuto dopo  me?- la sua domanda ruppe il silenzio di quella notte con tale forza da sorprendere entrambi. La Mini correva ormai nella periferia d’Amburgo, mentre case e negozi si facevano sempre più rari e lontani. Emis si voltò per un attimo verso Elise, incurante della strada, e la fissò. Lesse nel suo sguardo nostalgia, desiderio, un briciolo enorme di pentimento.

-Dopo che m’hai lasciato non ci pensavo ad un’altra al mio fianco- le confessò lui con semplicità, riprendendo a fissare la strada sotto i suoi occhi. Non era ancora il momento di dirle una cosa del genere mentre la guardava negli occhi. Non era il caso. –Poi ne è arrivata una, poi due, poi tre. E per un anno ne ho scopate duecento pensando a te.- aggiunse con voce sicura. Era però una sicurezza che celava un’infinita indecisione. Evitò accuratamente di guardare Elise negli occhi, dopo averle confessato d’essere stato un coglione per un anno, d’essersi scopato un’infinità di ragazze, sempre e solo con lei in mente, di non averla mai messa da parte anche dopo il trattamento che lei gli aveva riservato, tradendolo con Tom.

Elise si sentì quasi il cuore in gola: sentire quelle parole da uno come lui aveva un’importanza spaventosa. Sentì il bisogno di fermare quell’auto, guardarlo negli occhi e ritrovarsi come un tempo abbracciati solo loro due. Preferì semplicemente non rispondere.

La Mini rallentò vistosamente, fino a fermarsi lungo il bordo di un marciapiede dell’Amburgo periferica. Finalmente i loro sguardi si incrociarono e si toccarono per un’infinità di tempo.

-A volte ho pensato di riprovarci, ma poi la neve s’è fatta fango.- la sua voce decisa, roca, suadente si perse nell’aria, mentre i loro respiri sembravano quasi cercarsi.

Elise chiuse appena gli occhi, sospirando affranta. Sentì le dita sottili e calde di Emis sfiorare con cautela la pelle scoperta della sua spalla. Sentì un brivido correrle potentemente lungo la schiena.  I loro sguardi sembrarono darsi la scossa.

E chi l’ha detto, in fondo, che la neve fosse ormai già fango?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

“La banalità di pensiero e d’azione è deliziosa.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

Emis rallentò l’auto fino a fermarsi del tutto sotto il portone del palazzo in cui abitava Elise. Il buio li avvolgeva completamente in un’affinità di sensi, di desideri, di sguardi. La ragazza si slacciò lentamente la cintura, come se interrompere quella serata sarebbe significato interrompere quelle emozioni essenzialmente emozionanti che aveva provato qualche ora con lui. Dopo quella sera probabilmente non si sarebbero più rivisti, parlati, cercati. Quella sera s’era riaperta una parentesi della loro storia: s’erano ritrovati con una semplicità spaventosa; era bastata una chiamata e poche parole non dette per far sì che si ritrovassero, come tanto tempo prima. In quella Mini si erano guardati con un’intensità atroce, si erano desiderati, voluti. Avevano entrambi sentito un briciolo di nostalgia per il tempo trascorso, per la loro storia, per il passato. E avevano parlato, tanto, ininterrottamente: avevano parlato con lo sguardo più che con le labbra. Ed in quel preciso istante quella parentesi si stava chiudendo. Elise avrebbe voluto imprimere per sempre le emozioni provate quella sera, perché sapeva con disarmante sicurezza che non le avrebbe mai più provate, né con Emis né con nessun altro. Erano bastate poche parole per rivelarsi sentimenti nascosti, desideri repressi. Era bastato il sorriso malizioso di Emis per accendere un palpito di vita in Elise.

Si guardarono ancora, tutti e due completamente insicuri su cosa fare, cosa dire. Magari un bacio sulla guancia per salutarsi ci sarebbe stato; ma nessuno sembrava in grado di farlo per primo. Elise si morse il labbro inferiore inconsapevolmente: dinanzi a quel gesto così naturale ed inconsciamente sensuale, il ragazzo rise allusivo.  Lei fece lo stesso, abbassando leggermente la testa.

-Perché l’hai fatto, Elise?- la voce di Killa interruppe quell’atmosfera densa di attesa, aspettative che non si sarebbero mai realmente realizzate.

-Cosa? Il labbro?- chiese lei distrattamente indicandosi le labbra rese lucide ed invitanti da un sottile strato di lucidalabbra.

-Io e te al centro di quella cornice- mormorò Emis con tono basso, caldo, avvolgente. Il suo sguardo si distolse dalla ragazza e si perse chissà dove nel buio di quella notte che, molto probabilmente, nessuno dei due avrebbe più dimenticato.

-Perché hai rovinato tutto?- il suo tono si fece amaro, risentito, deluso.

Elise sentì una voragine aprirsi nel petto ed abbassò istintivamente lo sguardo. Lei aveva rovinato tutto. Era stata tutta colpa sua, in fondo. Sua e della sua voglia d’evasione da qualsiasi legame si potesse definire ‘fisso’. Fu in quel preciso momento che se ne rese conto compiutamente.

Avrebbe voluto rispondere,  dire qualcosa-qualsiasi cosa-, ma non lo fece. Incontrò di nuovo lo sguardo di Emis e lo trovò freddo, nostalgico, malinconico. Si morse la lingua: un’altra banalità non se la sarebbe concessa in un momento come quello. Sebbene la banalità, in certe sue forme, sarebbe potuta rivelarsi assolutamente deliziosa.

-Te ne sei pentita?- un’ultima domanda, secca, decisa, precisa risuonò nell’auto.

-Non lo so- si lasciò sfuggire lei. Fu un sussurro lieve, insicuro, spontaneo. E fu proprio in quel momento che trovò insulso reprimere quell’istinto che era sorto nell’esatto istante in cui era entrata in quella macchina e lo aveva rivisto dopo così tanto tempo. Se quella parentesi andava chiusa, andava chiusa come si deve.  Le dita curate di Elise si avvicinarono con lentezza disarmante a quelle di Emis, strette convulsamente attorno al cambio. Le sfiorò con una premura sconvolgente e con altrettanta delicatezza si insinuò tra di esse. Sentì la presa del ragazzo sciogliersi lentamente attorno al cambio e divenire  morbida. Lo sguardo di Elise cercò quello di Emis, trovandolo, accarezzandolo con nostalgia. Le loro dita si toccarono a vicenda, si accarezzarono, si strinsero. Quel profumo la stava mandando fuori di testa da ore, ormai. E poi fu un attimo: un attimo in cui tutto sembrò perdere consistenza, ogni cosa smaterializzarsi. Esistettero solo loro due, i loro respiri vicini, le loro labbra che si ritrovavano dopo così tanto tempo. Il principio incontrovertibile della banalità sembrò prendere forma e realizzarsi con indicibile delizia. Quelle labbra, banalmente, semplicemente, si incontrarono. Si sfiorarono con nostalgia, dolcezza, morbidezza, si toccarono dolci,  morbide, leggermente dischiuse. Una dolce, potente scossa attanagliò lo stomaco di Elise quando quel contatto la raggiunse pienamente. Assaporò le labbra del ragazzo con delicatezza ed audacia estreme,  come se fosse una cosa inspiegabilmente necessaria, mentre la sua mano sinistra saliva sul viso di lui, sfiorando quella pelle che le era tanto familiare. Sentì sotto il suo tocco leggero quel lieve accenno di barba a cui era così abituata e chiuse gli occhi, lasciando che quel sentore di delizia si impossessasse di lei come tanto tempo prima, lasciando che ogni singola sensazione tornasse vivida alla mente di entrambi.  Le mani morbide di Emis toccarono con delicatezza e sicurezza insieme la sua pelle nuda, risalendo fin sui fianchi della ragazza con voluttà. Con quella voluttà che possedeva ogni singolo gesto compiuto per Elise. Fu un bacio lungo, morbido, voluto. Fu un unico bacio. Un bacio interrotto prematuramente: Elise si allontanò appena dalle labbra del ragazzo e lasciò che il suo respiro caldo le lambisse ancora la pelle per qualche secondo. Lasciò cadere il proprio sguardo sulle labbra del ragazzo, velate di un sottile strato di lucidalabbra. Emis accarezzò con la lingua il proprio labbro inferiore, come faceva sempre, con una sensualità disarmante. Fu in quel momento che Elise sentì il vuoto aprirsi dentro di sé. Quel gesto la fece sentire strana, confusa, illusa forse. Il paragone con la reazione di Tom, la sera degli European, sorse spontaneo. Si allontanò di poco da Emis e lo guardò ancora. Fu un ultimo sguardo d’intesa, poi, così come vi era entrata, uscì da quella macchina, senza aggiungere altro. Gli era sfuggita dalle mani, ancora una volta. Uscì da quella macchina e corse via, lasciando che il desiderio si dileguasse con lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Unicamente quanto è nobile e nobilmente concepito può nutrire l’Amore.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

Poggiò la testa contro la parete dell’ascensore e chiuse per un attimo gli occhi. Un brivido le agitava ancora il petto, rendendola spaventosamente instabile. Il cuore non smetteva di pulsarle e in quell’istante il suo cervello non sembrava in grado di elaborare nessun pensiero che avesse un briciolo di senso. In realtà, quella serata, quel bacio, quella fuga improvvisa non avevano avuto il minimo senso. Lasciò per qualche secondo che quel sapore che aveva ancora sulle labbra la riportasse indietro di un anno. Arrossì leggermente al pensiero d’averlo baciato, e di essersene immensamente deliziata. Lasciò che la punta della sua lingua inumidisse appena il suo labbro inferiore, e poi, con un dito, se lo sfiorò appena. Si trovò disgustosa nel desiderare ancora quelle labbra, pur nella consapevolezza che non fosse significato assolutamente niente. L’ascensore si aprì all’improvviso, giunto al quarto piano, ed Elise sobbalzò appena. Si passò velocemente una mano tra i capelli ed uscì dal piccolo abitacolo. Quelli che seguirono furono tutti gesti automatici: infilò la mano in borsa, rintracciò le chiavi di casa, le infilò nella toppa ed aprì il portone davanti a sé. Poi entrò ed il suo cuore si fermò per un attimo. Il suo sguardo scivolò immediatamente sulle due figure sedute sul divano così tranquillamente da lasciare che un senso di strana inquietudine aleggiasse nell’aria. Friedrich sedeva sul morbido divano a gambe divaricate, mentre osservava interessato lo schermo piatto della tv davanti a lui; al suo canto stava un Tom visibilmente irrequieto, che fece immediatamente saettare lo sguardo sulla figura della ragazza non appena entrò in casa. Il cuore di Elise riprese a battere quasi convulsamente per la sorpresa. Dio, si sentiva così sporca lì, davanti a lui,  nel momento immediatamente successivo al bacio che s’era data con Emis.

Lo sguardo di Tom scorse su tutto il corpo di Elise, messo in risalto da quei pantaloncini così mini. –Dove sei stata?- né un saluto, né un bacio o magari semplicemente un abbraccio. Uno sguardo indagatore, una domanda dal tono deciso e duro la investirono con prepotenza. Per un attimo le mancò il respiro, e fece saettare il suo sguardo in difficoltà su Friedrich, che la fissava con semplicità, quasi con curiosità, con le braccia incrociate sul petto.

-Che ci fai qui?- rispose con un’altra domanda, mentre si liberava del peso della sua borsa che era diventato stranamente opprimente. Faticò nel guardare negli occhi Tom dopo quello che aveva fatto con Emis quella sera.

-Volevo farti una sorpresa, ma tu non c’eri.- le spiegò lui con tono deciso e visibilmente risentito. Quello era l’esatto preludio di una litigata, Elise l’aveva capito perfettamente. –È da oltre un’ora che t’aspetto. Dove sei stata?- le chiese ancora, con tono leggermente più alto. Tom iniziava a rivendicare diritti che non gli appartenevano affatto, soprattutto dopo il comportamento che aveva tenuto con Elise nelle ultime settimane in particolare.

-Sono stata a fare un giro, tutto qua. Mi dispiace che tu abbia dovuto aspettare. Potevi chiamarmi.- aggiunse poi, mentre si sfilava il cardigan che stava diventando soffocante. Stava nascondendo qualcosa di enorme, incontenibile, fin troppo opprimente.

-Ho provato a farlo, ma avevi il cellulare staccato.- le fece notare Tom alzando appena una mano. Elise sospirò pesantemente e pensò all’atrocità della situazione nel caso in cui Tom l’avesse chiamata mentre era con Emis. –Con chi sei stata?- il suo tono si fece invadente, rancoroso, carico di nervoso. Fu in quel momento che Friedrich capì che, molto probabilmente, di lì a qualche secondo sarebbe esplosa una litigata furiosa e si dileguò velocemente.

Elise fu colta appena alla sprovvista e sospirò con aria stanca.

-Con un’amica. Mi spieghi qual è il problema, Tom?- chiese lei, sbattendosi una mano lungo il fianco con fare esausto. Quella gelosia di Tom le stava dando prova era distruttiva, fastidiosa, malvagia.

-Ha la Mini questa tua amica?- quella frase risuonò nell’aria con tale potenza da schiacciare Elise come un macigno. L’aveva vista? Ma soprattutto, aveva visto Emis? Il suo sguardo si puntò in quello di un Tom spaventosamente incazzato che, alzatosi dal divano, le si avvicinava sempre di più.

-SI!- esclamò lei esasperata con voce alquanto alta. –HA LA MINI!- ripetè a voce sempre più alta, gesticolando.

Una risatina amara si perse nella stanza. Stavano veramente discutendo dell’aria.

-Elise, dimmi con chi cazzo sei stata- le parole di Tom la colpirono come un coltello dalla lama affilata.  Quel tono spaventosamente duro, pungente quasi la spaventò.

-Mi spieghi che cosa vuoi da me, Tom?- sbottò lei, lasciando che le sue braccia ricadessero pesantemente lungo i suoi fianchi appena pronunciati. –NON TI FAI SENTIRE DA UNA SETTIMANA, SONO MESI CHE MI TRATTI COME SE IO NON ESISTESSI, POI TI PRESENTI QUI E TI INCAZZI PERCHÉ NON CI SONO!- urlò Elise, abbandonando anche la minima parvenza di contegno. –TU NON HAI NESSUN DIRITTO SU DI ME!- aggiunse con tono sempre più alto, mentre gli occhi le si arrossarono spaventosamente. Con un gesto violento afferrò la sua borsa e si diresse a passo spedito verso la sua camera.  Un rumore sordo, infernale, seguì a quella sfuriata.

-DOVE STAI ANDANDO?- urlò Tom, seguendola a passo veloce. La porta gli venne chiusa in faccia con fare violento e irascibile. –APRI QUESTA CAZZO DI PORTA, DOBBIAMO PARLARE!- aggiunse, sferrando un colpo secco alla lastra di legno che tremò appena. Il primo singhiozzo soffocato si perse nell’aria. Elise chiuse gli occhi, coprendosi il viso con le mani. La disperazione, l’astio, la rabbia erano gli unici sentimenti percepibili in quel momento.  Un altro colpo raggiunse la porta dall’esterno, causando un altro singhiozzo da parte della ragazza. –VATTENE!- gridò lei, abbandonandosi in un pianto sconfortato ed infelice. Dopo le emozioni provate con Emis, dopo i loro sguardi, il loro bacio, si sentì malissimo nel vedere Tom, nel dover sostenere il suo interrogatorio, nel dover sopportare le sue urla e le sue reazioni violente. Tom mandò in aria una bestemmia, e fu in quel momento che Elise si avvicinò alla porta ed esclamò:

-NON PUO’ STARE TUTTO SOTTO IL TUO CONTROLLO, TOM! LE PERSONE SI RISPETTANO. MA TU QUESTO NON SAI COSA VUOL DIRE!- la voce le si incrinò paurosamente, mentre pronunciava quelle parole. –SONO MESI CHE MI IGNORI, CHE NON MI DAI PIU ATTENZIONI, CHE NON TI ACCORGI DI QUANTO IO STIA MALE. NON MI GUARDI NEMMENO PIU!- continuò disperata, e scossa dalle lacrime, sostanzialmente incurante del fatto che la camera di Friedrich fosse praticamente adiacente alla sua e che con altissima probabilità in quel momento stesse sentendo tutto. Non sembrò preoccuparsi del sentimento che celavano quelle parole, della commozione che l’accompagnava, del dolore impresso in esse. Wilde avrebbe trovato inutile dire ad una persona quanto questa non sente e non può capire. Ed era esattamente cosi: Tom non sentiva né percepiva quanto male stesse facendo col suo comportamento all’unica persona di cui gli fosse mai importato qualcosa. Tom non poteva neppure capirlo, a dire il vero.

-DIMMELO CHE NON MI VUOI PIU’, CHE TI SEI STANCATO DI ME, CHE PER TE SONO COME TUTTE LE ALTRE!- quelle parole si persero nell’aria con forza, con durezza. Lo sguardo di Elise si perse nel vuoto: quelle parole la distrussero nel momento esatto in cui se le lasciò sfuggire. Perché, forse, era proprio quella la sua paura più grande. Quel terrore che ci si sente dentro, ma che ci si sente male solo ad ammettere.

-Non dire stronzate!- la voce di Tom giunse dall’esterno leggermente più bassa, come se avesse riconosciuto un briciolo di verità in quelle parole, come se si fosse reso conto di quanto fosse stato coglione in quel periodo.

-VATTENE, NON TI VOGLIO PIU VEDERE!- un singhiozzo potente, poi un brivido lungo la schiena.

-NON CAPISCI UN CAZZO!- tuonò Tom dall’altra parte della porta, sferrando un pugno al legno che tremò ancora, più forte di prima.

Poi, il silenzio, la porta d’ingresso che sbatté provocando un rumore sordo, desolante,  ed il pianto di Elise che riempì completamente l’aria, saturandola fino a renderla completamente irrespirabile. Solo l’Odio sembrava aleggiare in quella serata di fine agosto, mentre quell’Amore devastante che l’aveva indotta a mettere in discussione tutta la sua vita sembrava ormai invisibile. Qualcuno avrebbe detto che in una stessa anima non possono albergare tutte e due quelle passioni: l’Odio e l’Amore. Qualsiasi cosa e di qualsiasi natura sarebbe stata in grado di alimentare il primo, solo quanto di nobilmente alto il secondo. E quella sera di nobile e di sentito non c’era nulla.

Nulla, a parte quel senso di vuoto che afferrò Elise con tanta forza e prepotenza da sembrare deciso a non lasciarla più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E veramente quell’atroce senso di vuoto la assediò per giorni. Le lacrime che versò furono incalcolabili, la disperazione che la attanagliò incontenibile, la rabbia e la nostalgia immense. Furono giorni di pianti, senza dubbio, ma anche di riflessioni. Tom non si era fatto minimamente vivo in quelle ore: era quella la cosa più devastante. Elise si guardò allo specchio e si passò una mano sul viso, delicatamente. In giorni di disperazione era arrivata ad un’unica conclusione: a Tom, di lei, non gliene fregava decisamente un cazzo. Ed era senz’altro consolante rendersi conto di un tale squallore dopo tutto quello che aveva fatto lei per Tom. Per un attimo si fissò con intensità: dove aveva sbagliato? Che cosa non aveva fatto per far sì che Tom continuasse a volerla come all’inizio? Che diavolo le mancava? Si trovò illusa nell’aver creduto che lei potesse essere diversa dalle altre. Si trovò presuntuosa nell’aver creduto che Tom potesse aver bisogno di lei in quei giorni e si trovò ancora più stupida nell’aver pensato che potesse ricevere una sua telefonata, o anche un solo messaggio. Le dita della sua mano scorsero leggermente sulla canotta bianca che indossava.  Era una donna, una giovane donna di poco più di vent’anni: non meritava tutto quello. Non meritava che un ragazzo la facesse star male in quel modo. Lei aveva il diritto di stare bene. Sospirò leggermente e chiuse gli occhi. Forse avrebbe sbagliato ancora, forse se ne sarebbe pentita, ma la voglia di rivedere Emis era tutto quello che la teneva in vita in quel momento. Se in quei giorni Tom era teoricamente morto, Emis l’aveva cercata. Si, si erano risentiti dopo quella sera, avevano parlato senza parlare, paradossalmente. Era stato lui a fare quel passo, a comporre il suo numero e a chiamarla, perché aveva detto che non gliene fregava un cazzo di niente, aveva solo voglia di rivederla. Il cuore della ragazza accelerò i suoi battiti a dismisura. Era biasimevole il suo comportamento? Era sbagliato emozionarsi di fronte a delle confessioni del genere? Era forse riprovevole sentirsi desiderata da qualcuno? La rabbia, il desiderio, e forse anche un pizzico di vendetta nei confronti di Tom l’avevano spinta ad accettare di nuovo di vederlo. Stavolta con più consapevolezza, più coscienza e convinzione. Sentì il cellulare vibrarle sul comò e lo afferrò con una velocità sconvolgente. Era uno squillo, di Killa. Stava arrivando. Elise si infilò in fretta il golfino scuro che aveva preparato sul letto e si appese la borsa di Gucci al braccio. Si guardò un’ultima volta. I capelli perfettamente lisci le ricadevano morbidi sulle spalle, fino a sfiorare la scollatura della sua maglietta. Un sottile strato di trucco le illuminava gli zigomi, gli occhi verdi da far paura, le labbra morbide. Un paio di leggins scuri le fasciavano a dismisura le gambe magre e slanciate. Eh si, un paio di leggins, proprio come piaceva ad Emis. A dire il vero lui adorava quei pantaloni così stretti ed attillati da risultare una seconda pelle, ma soprattutto li adorava addosso ad Elise. Quando stavano insieme la costringeva a metterseli in continuazione, perché  la trovava dannatamente bella con quei cosi addosso, diceva di trovarla simile a ‘Cat Woman’! Ed Elise, quella sera, aveva deciso di metterli, per lui. Uscì dalla sua stanza e si diresse con passo sicuro verso la porta d’ingresso. La sua attenzione fu catturata da Friedrich che stava navigando in Internet, seduto al tavolo del salotto, con dinanzi il suo pc portatile. Non appena vide sua sorella, si voltò verso di lei, alzandosi di poco dallo schienale della sedia.

-Dove vai?- le chiese cercando di non far apparire il suo tono eccessivamente invadente. A muovere la sua domanda era una ragione senz’altro profonda.

-Esco.- rispose lei, laconica, guardandolo per un attimo.

-Con chi?- aggiunse lui, quasi inconsapevolmente. Quelle prime due domande avevano tutta l’aria di un perfetto terzo grado.

Elise sospirò pesantemente, girando gli occhi verso l’alto con aria stanca.

-Ti ci metti anche tu adesso?- sbuffò lei, guardandolo con insofferenza.

-Non posso più nemmeno chiederti con chi esci?- esclamò Friedrich, piccato.

-Non con quel tono da interrogatorio, magari.- ribatté Elise, incrociando le braccia sotto il seno.

Il ragazzo si lasciò sfuggire un sorrisetto amaro. Non la sopportava proprio quando scaricava su di lui tutto il suo nervoso. Lui, in fondo, non c’entrava proprio niente coi suoi casini.

-Senti, non so che ti prende in questi giorni, ma voglio dirti solo una cosa.- cominciò lui con tono pacato, mentre la fissava sempre più intensamente. –I problemi si risolvono parlando, non uscendo di nascosto con Killa.- aggiunse con tono deciso.

La ragazza boccheggiò appena, spaventosamente colta di sorpresa.

-Che…che c’entra Emis ora?- esclamò alzando la voce. Mentire non le si addiceva per niente.

-Andiamo Elise. Non sono un idiota.- mormorò Friedrich, alzando leggermente le mani in aria con fare ovvio.

La ragazza rimase per un attimo senza parole, si sentì tradita, non capita, spiata.

-Tu puoi fare quello che vuoi della tua vita, ma prima di fare qualsiasi cosa ricordati che sei ancora la ragazza di Tom.- aggiunse con convinzione. Elise si lasciò andare ad una risatina amara.

-Adesso ti metti a fare il suo avvocato?- esclamò con pungente sarcasmo. –Non credevo che Tom avesse bisogno di un protettore.- aggiunse con irriverenza, alzando un sopracciglio verso l’alto. –Io faccio quello che mi pare, sia chiaro. Soprattutto ora che Tom mi sta dando prova che non gliene frega un cazzo di me.- disse Elise con tono deciso, rancoroso.

-Questo non è vero.- controbattè Friedrich, convinto. Lui sapeva, ma non poteva parlare.

La ragazza ridacchiò nervosamente, dinanzi a quell’affermazione assurda.

-Devo andare.- concluse semplicemente, uscendo dalla porta d’ingresso e sbattendosela dietro.

Friedrich sospirò pesantemente. Pensò che le donne certe cose non riuscissero proprio a capirle. Uno come Tom non sarebbe mai tornato sui suoi passi, probabilmente. Ma ciò non voleva dire che di Elise non gliene importasse nulla. Erano giorni che telefonava a Friedrich in continuazione e gli chiedeva di lei. Gli mancava; gli mancava tanto, ma non aveva le palle per chiamarla e dirglielo. Non lo aveva mai fatto per nessuna, a dire il vero. Ma lei questo non lo sapeva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

“Il peccato è l’unico elemento di reale colore rimasto nella vita moderna.”

[Oscar Wilde]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il motore della Mini si spense, e con esso anche i luminosissimi fari blu che fendevano quella notte scurissima. Il silenzio li avvolse in un caldo abbraccio, mentre i loro sguardi si incrociarono e sembrarono scottarsi a vicenda.

-Perché mi hai portata qui?- chiese con voce bassa e melodiosa Elise, fissando il ragazzo negli occhi. La macchina era ferma in un angolo, in quello stesso angolo in cui si era fermata centinaia di volte un anno prima. Oltre la spiaggia, il fiume scorreva lento e dolce. Il molo di Amburgo era sempre stato il loro posto.

-Ci venivamo sempre, te lo ricordi?- le chiese Emis, con voce bassa e leggermente roca. La sua attenzione si concentrò lasciva sulla ragazza che sedeva di fianco a lui. Averla così bella e così vicina lo stava mandando fuori di testa.

Lei annuì e sorrise con dolcezza. Lo trovò adorabile in quel momento, lo trovò fantastico: dava così tanta importanza a dei dettagli così apparentemente futili. Lo sguardo del ragazzo si posò sul corpo di Elise, che gli apparve più sensuale e proibito del solito. Come aveva fatto a lasciarsela sfuggire? Come aveva potuto lasciare che un altro arrivasse e se la prendesse con tale facilità? Lei era sempre stata solo sua e avrebbe dovuto continuare a esserlo. Le dita della sua mano destra si posarono con lentezza disarmante sulla coscia di Elise, stretta in quel paio di leggins che Emis aveva trovato sexy da morire addosso a lei sin dal momento in cui era salita in quell’auto.

Lo sguardo di lei si posò sulla mano del ragazzo per poi incrociare il suo sguardo. Si sentì un brivido nel petto. Le dita di lui scorsero lentamente sulla stoffa dell’indumento, trovandola irresistibile. Aveva voglia di toccarla, di averla di nuovo tra le sue mani come tanto tempo prima. La guardò con un’intensità travolgente e la divorò con la forza dello sguardo. Elise era sacra ai suoi occhi; ma le cose sacre sono le uniche degne di essere toccate, si sa.

Elise sussultò per un attimo nel sentire la sua mano scivolare sempre più su. Lo guardò negli occhi e provò, senza dire neppure una parola, quel brivido che aveva quasi dimenticato.

-Vieni qui- fu un sussurro. Un roco sussurro seguito da un movimento rapido di Emis che se la prese; se la prese come aveva sempre fatto. S’avvicinò a lei e le loro labbra si unirono con magia, naturalezza, desiderio. I loro respiri si fusero in un’unione estatica, mentre quel bacio si perdeva nell’aria, accompagnato solo dalla voglia di darsene altri ed altri ancora. Fu un bacio morbido, umido, sentito; un bacio senza motivo, forse, immediato, senza troppi preamboli. Eppure fu così eccitante per entrambi. Forse troppo. La mano destra di Elise si posò con decisione sul petto del ragazzo nell’esatto momento in cui sentì le sue mani avanzare con forse troppa sicurezza. Le loro labbra si separarono, e la magia sembrò dissolversi lasciando un dolce tremolio in entrambi.

-Che c’è?- le domandò Emis con voce roca e bassa. Quella domanda gli sorse spontanea. Gli sembrava che quel contatto fosse stravoluto da entrambi.

-Noi non dovremmo, lo sai.- si lasciò sfuggire Elise, prendendo a torturarsi il labbro inferiore con aria insicura. Il ragazzo rise di poco; rise con quell’andamento che lo rendeva spaventosamente sexy quando voleva.

-Quel coglione non lo ami- quella frase spezzò il silenzio che li avvolgeva con forza, impeto. Quella frase riassunse magicamente tutto il senso del loro incontro, dei loro sguardi, del loro bacio.

La ragazza abbassò lo sguardo e sembrò perdersi in quelle parole tanto dolorose. Era vero? Lei non amava più Tom?

-Se lui c’avesse tenuto davvero a te, non avrebbe lasciato che tu gli sfuggissi via dalle mani così- aggiunse con semplicità, sedendosi composto sul sedile e puntando lo sguardo davanti a sé, nel buio della notte.

Elise non rispose e si odiò tremendamente nel dargli ragione.

-Io non lo avrei mai fatto- concluse lui con tono più basso, come se quelle ultime parole avessero faticato a venir fuori. Elise voltò la testa verso di lui e lo osservò, cercando il suo sguardo perso nel vuoto.

-Dovresti odiarmi per quello che t’ho fatto- mormorò lei, con voce bassa e melanconica.

-Si- annuì lui, senza esitare neppure un secondo. –Eppure farei ancora le cazzate più assurde per riprenderti- confessò, fissando finalmente lo sguardo in quello ghiaccio della ragazza. Elise si sentì un vuoto all’altezza del petto. Lo sguardo di Emis si fermò su quello della ragazza per qualche secondo. Si trovò un coglione irrecuperabile nell’aver detto quella frase, nell’aver ammesso di averla ancora dentro, nell’aver dimostrato di rivolerla, e forte.  Il suo nome era noto, forse anche troppo; quante avrebbe potuto averne? Centinaia, senza problemi, giustificazioni, oneri. Le ragazze più fighe sarebbero andate a letto con lui più e più volte se solo sui l’avesse voluto. Eppure, dopo un anno, nella sua testa c’era sempre lei. Quante volte, in quei mesi, aveva pensato di cercarla, di vederla anche solo una volta? Quella sera gliel’aveva detto, in pratica. Le aveva confessato di rivolerla. Ed era vero: la rivoleva con tutto se stesso e avrebbe fatto di tutto pur di averla di nuovo al suo fianco. Lo sguardo di Elise brillò di una luce nuova, mentre le sue dita sfiorarono dolcemente quelle di Emis. Si avvicinò di qualche centimetro a lui, senza motivo forse, e respirò il suo profumo incantevole. Si ritrovò quegli occhi nerissimi ad una minima distanza e lasciò che la sua mano salisse sul petto di lui, sfiorandolo piano. Gli mancava.  

Gli mancava, doveva ammetterlo. In quel momento il suo pensiero raggiunse Tom; Tom e il suo comportamento di merda. Avrebbe fatto anche lui qualsiasi cosa per lei? Avrebbe fatto di tutto pur di non perderla? No. In realtà non aveva fatto niente nemmeno prima d’allora. Erano giorni che era sparito completamente, lasciandola sola, fregandosene altamente di lei e della loro storia. E poi, in quel momento, Killa lì vicino era l’unica cosa che avesse un senso.

Le labbra del ragazzo si accostarono a quelle di Elise con naturalezza, imprigionandole come poco prima. Chiuse gli occhi e si lasciò andare. Stava sbagliando, ovviamente. Sentire quelle labbra mordere le proprie con tale voluttà e desiderio era sbagliato; era sbagliato anche lasciare che le sue mani grandi la stringessero con tanta intensità. La sua lingua sfiorò quella di Emis, mentre quel bacio si trasformava in un qualcosa di spinto, deciso, obbligatorio. Elise sapeva che ciò che stava facendo non era giusto, ma sarebbe stato terribilmente sbagliato non farlo. Il peccato. Quel peccato era deliziosamente eccitante. Wilde avrebbe detto che il peccato è l’unico elemento di reale colore rimasto nella vita moderna. E lo era; lo era perfettamente.

E sapere di star commettendo un errore imperdonabile le infuse un indicibile e delizioso senso di piacere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

“Non c’è coppia perfetta, perché nessuno è perfetto da solo.”

[Emis Killa]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tom era entrato in quella casa e s’era portato dietro il profumo dell’aria fresca e leggera di fine estate, mentre i suoi occhi lucidi e luminosi sembravano racchiudere il senso più recondito e vero di ciò che stava provando in quel periodo.

Lo sguardo scuro e deciso di Friedrich si posò su di lui, scrutandolo per qualche secondo, mentre con i polpastrelli premeva nervosamente sulla punta delle sue ginocchia. Si chiese se, in un momento del genere, avesse fatto bene a farlo venire, a confessargli senza mezzi termini che quelli che erano apparsi inizialmente come dei semplici sospetti s’erano trasformati in certezza devastante, a dirgli le cose come effettivamente stavano. Tom sospirò con fare irrequieto.

-E quindi? Che dovrei fare?- fu uno scatto rapido e nevrotico. Balzò in piedi e lasciò che le proprie mani gli ricadessero lungo i fianchi, mentre il cuore gli pulsava velocemente, e le parole che Friedrich si era appena lasciato sfuggire gli risuonavano in testa causando un rumore assordante.

Il ragazzo scosse appena la testa.

-Che cazzo ne so! L’importante è che tu faccia qualcosa!- esclamò lui con fare sorpreso e voce leggermente alta, fissandolo intensamente. –Insomma, t’ho appena detto che la tua ragazza si rivede col suo ex storico, fa qualsiasi cosa pur di riprendertela, no?- aggiunse con fare ovvio, mentre lo osservava tracciare brevi ed irrequieti percorsi sul tappeto del salotto.

-Devo andare lì e spaccargli quella faccia da cazzo che si ritrova?- sbottò Tom, bloccandosi all’improvviso, riferendosi chiaramente ad Emis.

-Ecco, tutto tranne questo, magari- commentò Friedrich con una punta di ironia nella voce.

Tom sembrò ignorarlo, mentre il pensiero che la sua ragazza in quel momento fosse probabilmente tra le braccia di un altro, e che quell’ “altro” fosse proprio Emis Killa, lo stava distruggendo. Possibile che fosse arrivata a quel punto? Possibile che avesse bisogno di tradirlo?

-Porca M*****a- fu un sibilo, sottile, dimesso, rabbioso. Imprecare in quel preciso istante era l’unica cosa che sembrava in grado di fare. Forse era vero: negli ultimi mesi l’aveva trascurata un po’, ma a lei ci teneva ancora. Non aveva mai smesso di tenerci, a dire il vero.

E solo in quel momento, quando sembrava averla ormai persa, se ne rendeva pienamente conto. Pensarla con un altro, pensarla tra le braccia di qualcuno che non fosse lui lo mandava su tutte le furie.

-Siediti un secondo e cerca di calmarti, Tom- lo esortò Friedrich, indicandogli la poltrona accanto a sé. Tom esitò un attimo, poi acconsentì, lasciandosi cadere sulla morbida pelle chiara e lasciando che il proprio sguardo si perdesse nel vuoto.

-Ti conosco troppo bene per credere che non te ne freghi niente di mia sorella, Tom.- quelle semplici parole furono in grado di catturare magicamente l’attenzione del ragazzo coi cornrows come una calamita. –Mi ricordo fin troppo bene quando passavi intere serate qui  ad aspettarla per passare  anche solo qualche minuto con lei quando Killa la riaccompagnava a casa.  Per lei hai messo in discussione un rapporto con una di cui non ti fregava un cazzo, è vero, ma che parecchi t’avrebbero portato via volentieri- commentò Friedrich alludendo a Kathrine e al modo in cui Tom aveva deciso di scaricarla non appena aveva capito che tutto ciò che gli interessava fosse Elise. –Ed ora anche se eviti di ammetterlo e fai finta che tutto ti vada bene, stai morendo di rabbia all’idea che lei possa non essere più tua- concluse con semplicità, centrando perfettamente il punto.

-Lei è ancora mia- controbattè Tom, quasi inconsapevolmente, con fare deciso e irritato.

-Tu dici?- il tono di Friedrich suonava di sfida. Ed era esattamente quello il suo intento.

Lo sguardo nocciola di Tom si fissò in quello dell’amico per qualche istante, come per riordinarsi le idee.

-Elise non tornerà mai con quello dopo essere stata con me- dichiarò con sicurezza e convinzione esemplari.

-Intanto ora sta con lui. E non sappiamo a far cosa- concluse Friedrich con chiaro intento provocatorio.

-Lo stai facendo apposta?- il tono di Tom si fece irritato, e forse anche un po’ impaurito.

-Possibile che tu non abbia le palle per dirglielo?- il silenzio di quegli istanti ghiacciati fu interrotto da quella domanda dal sapore così genuino da destare stupore e meraviglia indicibili.

-Dirle cosa? Che si sta comportando come una grandissima stronza?- sbottò Tom.

-No, che la ami.-

Lo sguardo semplice e pulito di Friedrich sembrò lanciare un input insostenibile a quello di Tom, che vibrò a quelle parole. Deglutì appena, mentre sentì una morsa stringergli la gola.

-Che?- riuscì solo a dire, cercando di celare, soprattutto a se stesso, quel senso di disagio che era cresciuto all’improvviso e che  lo opprimeva sempre più insistentemente.

-Che la ami. Che ti manca, e che sei stato un coglione.- disse con semplicità estrema il ragazzo, continuando a fissarlo. –E anche che, magari, ti girano le palle a duemila all’idea che lei non sia più tua. Vedrai, apprezzerà- concluse, alzandosi dal divano ed entrando in cucina con la stessa limpidezza con cui aveva pronunciato quelle parole.

Tom fissò lo sguardo nel vuoto e si perse. Si perse nella sua imperfezione, in quel senso di rabbia misto a nostalgia che lo assediava, in quel desiderio di possesso che era tragicamente inconciliabile col suo essere. Non aveva mai detto cose del genere a nessuno, perché doveva farlo proprio con Elise?

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

“Tu sei solo uno sbaglio da non rifare.”

[Emis Killa]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E nonostante quel senso di rabbia continuasse ad assediarlo stringendogli il respiro, aveva deciso di restare. Aveva pensato di restare seduto su quel divano ed aspettare che Elise tornasse. Forse era proprio quella rabbia smisurata a fargli capire che valeva la pena cercare di recuperare la situazione. Il suo sguardo irrequieto si posò su quello di un Friedrich che guardava tranquillo la tv davanti a lui con delle patatine tra le mani. Lo sguardo del ragazzo, dal tono ingenuo, si posò sull’amico, scrutandolo per qualche secondo. Sorrise impercettibilmente, leggendo negli occhi di Tom una gelosia immensa, una rabbia disumana, una voglia insostenibile di riavere Elise. Perché Tom la rivoleva; la rivoleva con tutto se stesso.

Un rumore metallico si perse nell’aria, seguito dal cigolio del portone d’ingresso. Tom sobbalzò appena, incontrando lo sguardo di Friedrich, che si portava  tranquillo una patatina alle labbra mentre con una mano reggeva la busta enorme. L’orologio appeso alla parete segnava un quarto all’una. Un profumo leggero e dolce si perse nell’aria, mentre Elise fece il suo ingresso nella sala.

Lo sguardo dorato di Tom scivolò immediatamente sulla figura della ragazza, accarezzandola intensamente per qualche secondo. Gli occhi ghiaccio di Elise incrociarono quelli luminosi e caldi del ragazzo, fissandoli per un istante. Si sentì una morsa all’altezza dello stomaco mentre un senso di rabbia misto a dispiacere la percorse dall’interno. Fu un attimo: non riuscì a reggere quel contatto visivo reso ancora più pesante dal silenzio che li avvolgeva.  Mentre gli occhi cominciavano a bruciarle insistentemente e il sapore che Killa aveva lasciato sulle sue labbra si sentiva sempre più decisamente, si voltò senza dire una parola. Non sarebbe riuscita a dire niente in un momento del genere, né sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi sapendo di essere stata col suo ex fino ad un istante prima. Le dita di Tom si strinsero improvvisamente attorno al suo polso, mentre vedeva Friedrich dileguarsi impercettibilmente dietro di loro. Elise fu costretta a voltarsi e sentì una fitta allo stomaco quando si ritrovò Tom così vicino dopo così tanto tempo. Le dita di Tom mantenevano con decisione la presa, mentre Elise non smetteva di fissarlo, come catturata in quello sguardo ravvicinato, come se fosse mossa dalla voglia di leggervi dentro la verità, di capire il perché di quell’atteggiamento di merda che li aveva inesorabilmente allontanati.

-Ti va se parliamo?- la voce di Tom, bassa ed incerta come non lo era forse mai stata, ruppe quel silenzio diventato insostenibile. Elise si lasciò sfuggire un sospiro intenso, mentre il suo sguardo si distolse da Tom, concentrandosi su un punto indefinito della sala.

-Lasciamo perdere- fu un sussurro lieve ed insicuro, mentre con un gesto deciso ed irruento riuscì a liberarsi dalla presa del ragazzo. Con passo veloce si diresse verso la sua camera, mentre quel nodo che le stringeva la gola si faceva sempre più soffocante. Con una mano abbassò la maniglia per entrare,  e cercò di introdursi all’interno, ma la mano di Tom bloccò di nuovo ogni suo tentativo di resistergli. Bloccò con un gesto semplice e deciso la porta, osservando Elise dall’alto.

-Eddai, fammi entrare- sembrò implorarla. Quella sfumatura di tenerezza la disarmò completamente, rivelando quella fragilità che sembrava emergere solo quando era con Tom; e che, soprattutto, sembrava rivelare il potere assurdo che riusciva ancora ad avere su di lei. L’aveva pressoché ignorata per mesi, era vero: ma bastava un solo sguardo o un paio di parole dolci per farla morire dentro. Le forze sembrarono mancarle, e lasciò che il ragazzo si introducesse nella camera, chiudendo la porta alle sue spalle.

Elise incrociò le braccia sotto il suo seno, mentre sentiva lo sguardo di Tom scorrere con intensità ed indiscrezione estreme su di lei. Se ne meravigliò, trovando strano una tale attenzione da parte sua, dopo il trattamento che le aveva riservato negli ultimi tempi. Si sentì ammirata, si sentì di nuovo al centro di quello sguardo così attraente.

-Che cosa vuoi?- cominciò lei, cercando di interrompere quello sguardo, che, in una tale circostanza, risultava troppo imbarazzante.

-Parlare.- rispose sicuro lui, sedendosi appena sul letto al centro della stanza.

-Di cosa? Pensavo che ci fossimo detti tutto l’ultima volta.- controbattè Elise, alzando appena le spalle con aria distaccata e risentita.

-Invece no.- aggiunse Tom, non smettendo di fissarla neppure per un attimo. Un silenzio avvolgente cadde nella stanza, isolandoli nel loro impermeabile risentimento. Come si sarebbero potuti completare se nessuno dei due riusciva ad autogestirsi, neppure singolarmente?

-Ti rivedi con Killa?- quella domanda spezzò l’aria come un fulmine. Elise si sentì morire dentro nel sentire quel nome, quella frase; nel vedere gli occhi di Tom, che, in quel momento, celavano un’ira indicibile, sotto le sembianze di una voce apparentemente controllata.

-Cosa?- chiese lei, con fare leggermente impacciato, mentre deglutiva a fatica.

Tom sospirò appena: sarebbe stato inutile negare l’evidenza.

-Ti rivedi con Killa?- ripetè con voce leggermente più alta, continuando a fissarla.

-Che c’entra adesso Emis?- Elise si alterò appena, stringendosi le braccia sotto il seno ed alzando appena le spalle verso l’alto.

-C’entra, perché fino a prova contraria sei ancora la mia ragazza e se ti vedi col tuo ex mi girano le palle, se permetti.- Tom si lasciò sfuggire quella confessione tanto sentita da lasciare un segno indelebile nell’aria.

-Non sapevo di potermi ancora considerare la tua ragazza.- il tono di Elise si colorò di stupore ed irriverenza.

Tom sospirò appena,  nel sentire quelle parole.

-Adesso lo sai. Perciò mi devi delle spiegazioni. Sei uscita con Killa?- ripetè con impazienza e durezza.

Elise rise appena, con fare nervoso.

-Da quando pretendi di avere ancora diritti su di me, Tom?- chiese lei con aria irritata.

-Non hai le palle per dirmi che l’hai rivisto?- chiese lui, continuando ad insistere.

Elise rimase in silenzio per qualche secondo, sentendosi nella confusione più totale.

-L’ho rivisto.- confessò con tono sicuro. Il suo orgoglio sapeva ancora prendere il sopravvento, come un tempo. Lo sguardo di Tom sembrò congelarsi. Aveva sperato fino all’ultimo che Friedrich si sbagliasse. –Sono uscita con Emis. E non solo stasera.- continuò lei, con semplicità apparente, fissando Tom quasi con aria di sfida.

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo, mentre un senso di devastante rabbia lo divorava dentro. Non aveva mai provato niente del genere per nessuna. Fino a prima di conoscere Elise aveva sempre optato per il principio dell’ “occhio per occhio”. Ma con Elise era fuori discussione. Avrebbe voluto urlare contro di tutto,  ma non ci riusciva. Che diavolo gli prendeva? Non era capace di mandarla a fanculo e di trovarsene un’altra che avesse occhi per lui e lui solo?

-Che avete fatto?- quella domanda gelida si perse nella stanza. Il suo sguardo puntato altrove, incapace di guardare Elise negli occhi. Non riusciva a concepire l’idea che lei, davvero, fosse stata con Emis.

-Perché dovrei dirtelo, Tom?- il tono di Elise si fece irriverente. –Non devo dirti più niente, io.- aggiunse, con convinzione.

-Siete andati a letto?- le parole di Tom sembrarono rimbombare in quella stanza che si dilatava inspiegabilmente ogni secondo che passava. Era come se ogni singola parola pronunciata non facesse altro che allontanarli, rendendoli incompatibili, distanti, inconciliabili.

-Emis non sarebbe mai uscito di nuovo con me solo per una scopata.- tenne a precisare Elise, rivolgendo un pensiero leggero e dolce al ragazzo. Il modo in cui l’aveva trattata quella sera, i minimi particolari che si era ricordato come se fossero la cosa più naturale del mondo, le cose che le aveva detto non erano certo uno squallido tentativo di portarla a letto.

-Devo ricordarti il modo in cui è finita la vostra storia? Lo hai tradito per mesi con me.- la voce di Tom si fece dura, mentre il suo sguardo si posò per un attimo in quello di Elise, fulminandolo quasi. Nonostante tutto non riusciva a smettere di guardarla negli occhi.

-Questo cosa c’entra?- la ragazza gesticolò appena, alzando la voce inconsapevolmente.

-Hai preferito me a lui. E ora al primo casino tra noi torni da lui?- Tom centrò perfettamente il punto, mentre si alzava e si dirigeva verso la finestra scazzato, dandole le spalle.

Elise trattenne per un attimo il fiato, poi un moto di rabbia si impossessò di lei.

-IO FACCIO QUELLO CHE MI PARE!- la sua voce s’alzò a dismisura, mentre le tremò appena per la rabbia. –Soprattutto dopo che m’hai dato la prova che posso ritenermi single.- aggiunse con tono più pacato.

-Ma che cazzo stai dicendo, Elise?- la voce di Tom si colorò di inconciliabilità. Come poteva pensare che tutto fosse finito?

-Se ti fosse importato di me, avresti fatto qualcosa per riavermi. Invece te ne sei fregato. Ed io sono stanca di stare con uno che mi tratta come se fossimo una coppia sposata da una vita che non parla più, che non ha più tempo, che non si guarda nemmeno più.- concluse lei con amarezza ed una punta di evidente malinconia. Era proprio quello il senso più recondito delle loro parole.

-E pensi che uscire col tuo ex possa risolvere la situazione?- la voce di Tom aveva ormai smesso di celare quel fastidio che lo stava divorando da parecchio. Lasciò che la sua gelosia diventasse manifesta.

-Non mi importa più niente della ‘situazione’, come la chiami tu. Ho ventidue anni,  mi importa solo di stare bene con qualcuno che mi faccia sentire importante. – affermò con sicurezza, senza paura delle conseguenze. –E puoi dire quello che vuoi, ma Emis c’è sempre riuscito.- concluse, con gli occhi leggermente lucidi.

Tom sentì una scossa percorrergli le viscere, mentre un senso di incontrollabile smania di spaccare qualcosa si stava impossessando di lui sempre più prepotentemente.

-Stai dicendo che io non ne sono stato capace?- il suo tono si velò di incredulità.

-Ora non lo sei più.- si lasciò sfuggire Elise con amarezza. –E’ per questo che quando Emis m’ha baciato non l’ho respinto.- aggiunse con tono basso e falsamente sicuro. Quelle parole furono in grado di spezzare il cuore di Tom in mille pezzi. I suoi occhi chiari si puntarono in quelli di Elise e li fissarono per qualche secondo. Sentì un freddo inspiegabile avvolgerlo e renderlo inerme. Con quelle parole di ghiaccio come l’inverno l’aveva persa. Il cuore prese a pulsare irrefrenabile.

-Vi siete baciati?- la sua voce sembrava faticare ad uscire.

Elise annuì appena, sentendosi un nodo salire alla gola e stringerla sempre più forte. Gliel’aveva detto. Gliel’aveva detto e si stava sentendo una merda.

-COME CAZZO HAI POTUTO, PORCO ***?- sbottò Tom sferrando improvvisamente un pugno alla parete.

Elise sussultò appena dinanzi a quella scena, mentre gli occhi le si riempirono di calde lacrime fino a costringerla ad un singhiozzo. Guardò Tom che serrava le mascelle e teneva lo sguardo fisso verso il basso, mentre le nocche della mano diventavano violacee per il colpo.

-CHE COS’AVREI DOVUTO FARE?- urlò lei all’improvviso, lasciandosi ricadere le mani lungo i fianchi, con voce rotta dal pianto. –Continuare a piangere per uno che non ha neppure le palle di farmi una telefonata per sapere come sto dopo tutto quello che è successo?- domandò lei, retorica, fissando il petto del ragazzo che si dilatava e contraeva con spaventosa irregolarità.

-E CHE CAZZO FAI? TI BACI CON UN ALTRO?- urlò Tom con durezza indicibile. -IO, CHE SONO SEMPRE STATO LO STRONZO, NON T’HO MAI FATTO UNA COSA DEL GENERE! MAI.- urlò ancora, con amarezza. Non le aveva dato troppe attenzioni, è vero, ma lei era sempre rimasta l’unica ragazza di cui gli importasse qualcosa.

-A che è servito, se mi hai trattato come un’estranea per mesi?- controbattè Elise, con voce incrinata dal pianto. –Io l’ho fatto quando ho avuto la prova concreta che a te non frega un cazzo di me.-

-Chi te l’ha detto che non mi frega niente di te?- la voce di Tom sembrò incrinarsi leggermente, mentre le nocche prendevano a sanguinargli. Lui non aveva mai smesso di pensarla in quei giorni. Non aveva mai smesso. Ma lei non lo sapeva.

Elise ridacchiò nervosamente, mentre le lacrime le rigavano le guance, distogliendo lo sguardo dal ragazzo.

-Ti frega così tanto che non hai più nemmeno uno sguardo per me, una carezza, un gesto dolce, qualsiasi cazzata che mi faccia capire che sono importante per te, almeno un po’.- la voce di Elise si fece bassa, quasi impercettibile. Improvvisamente ed incontrollatamente il viso le si bagnò completamente. Tom sentì una scossa dentro nel sentire quelle parole.  Il dolore della sua mano quasi sparì nel sentire quelle parole.

Fece qualche passo verso di lei, fermandosi a qualche metro di distanza. La vide passarsi un dito con delicatezza sotto l’occhio destro nel tentativo di asciugare un’altra lacrima che tentava di uscire rapida.

-Non ti avvicinare.- fu un sibilo, deciso, duro.

-Vorresti mandare tutto a puttane così?-Tom sembrò riversare tutto il senso di quell’incontro su di lei.

-L’hai già fatto tu, Tom.- mormorò, evitando di guardarlo.

-TU TI BACI UN ALTRO E SONO IO CHE HO MANDATO TUTTO ALL’ARIA?- Tom alzò la voce con durezza e rancore.

-E’ STATA COLPA TUA, TOM!- urlò Elise scoppiando in un pianto disperato. –TUTTA COLPA TUA!- aggiunse, portandosi le mani sul viso rigato di lacrime.

-NON L’AVREI MAI FATTO SE TU NON FOSSI CAMBIATO, E NON AVESSI PRESO AD IGNORARMI!- aggiunse, guardandolo con gli occhi appannati per le lacrime.

Tom s’avvolse in un silenzio aberrante.

-Ero davvero innamorata di te. Non avrei mai pensato a nessun altro. - mormorò quasi sottovoce. - Sei tu che hai rovinato tutto.- concluse in un sussurro, prima di voltarsi per uscire da quella stanza, in cui l’aria era diventata irrespirabile.

Le braccia di Tom si strinsero attorno alla sua vita, da dietro, bloccandola con forza.

-Aspetta…- il ragazzo le sussurrò piano, mentre la stringeva a sé da dietro e sentiva quel corpo magro e sinuoso di nuovo tra le sue braccia.  Non sentiva quell’emozione travolgente stringerlo da secoli. Elise chiuse per un attimo gli occhi ed inspirò quel profumo dolce che le era mancato così tanto. Si sentì morire dentro, tra le sue braccia.

-Se tu fossi stata un’altra me ne sarei già andato dopo aver saputo quello che hai fatto.- mormorò stringendola con possessività, quasi per non volerla lasciar andare. –Ma non voglio che con te finisca così.- aggiunse quasi in un sussurro, poggiando le labbra sulla spalla nuda della ragazza. Elise si sentì persa. Sola e priva di senso. Chiuse gli occhi e una lacrime scese ancora sulla sua guancia, bruciandole. Con un movimento deciso si liberò da quella presa ed uscì da quella camera senza dire una parola.

Un sospiro profondo si perse nella stanza, avvolto dalla consapevolezza di un irreparabile vuoto che ormai li divideva, rendendoli incompatibili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

“Nella testa c’ho le immagini di quanto stavi ancora qui.”

[Emis Killa]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il rumore di uno scroscio d’acqua si infilò nelle orecchie di Elise, mentre lasciava che un bicchiere scivolasse tra le sue mani sotto il getto del rubinetto. Il corpo esile ma sinuoso allo stesso tempo stretto in un paio di leggins neri e in una semplice canotta bianca che lasciava intravedere le spalline del suo reggiseno dello stesso colore. Ai piedi un paio di Superga bianche,  i lunghi capelli mossi tirati all’indietro con un cerchietto sottile, mentre, come un automa, sciacquava i piatti del pranzo. Lo sguardo perso seguiva quei gesti così meccanici da non attirare più la sua attenzione. Delle note di una melodia conosciuta si persero nell’aria, catturando improvvisamente la sua attenzione. Voltò lo sguardo verso la piccola Tv a schermo piatto, appesa alla parete della cucina,, mentre le prime note di ‘Forever Young’ degli Youth Group si diffondevano nella stanza. Chiuse per un attimo gli occhi,  mentre l’acqua continuava a scorrere sulle sue mani e il suo sguardo era catturato dal video di quella canzone che aveva segnato tante delle sue notti con Tom. Quella era la loro canzone. Un velo di malinconia l’avvolse, mentre il suono metallico del campanello la distolse da quei pensieri che la stavano soffocando, quasi.

-Vado io, Elise!- la voce sicura di Friedrich  la raggiunse con chiarezza. La ragazza sospirò appena, riprendendo a sciacquare i piatti, mentre quelle note sembravano rapirla e portarla via, là dove erano sempre esistiti solo lei e Tom.

-Grazie, arrivederci.- la voce di Friedrich precedette di poco il rumore sordo della porta che si chiudeva.

-Chi era?- chiese lei, cercando di non pensare a quella melodia che la stava lentamente disarmando. Com’è che diceva Joyce, d’altronde? Basta un profumo, un paesaggio, un suono per riportare qualcosa alla mente e destare sensazioni del tutto simili a quelle iniziali, di tanto tempo prima.

-Wow, sorellina…- il tono stupito del ragazzo la costrinse a voltarsi. Friedrich teneva  tra le mani un mazzo a dir poco ingombrante di rose. Erano rose rosse. Tante, bellissime, rose rosse. Gli occhi di Elise si illuminarono immediatamente,  mentre uno strano senso di ansia le attanagliò la bocca dello stomaco.

-A quanto pare c’è qualcuno che deve davvero tenerci a te!- commentò il ragazzo mentre le osservava stupito.  Chiunque le avesse comprate sarebbe dovuto essere di certo pazzo: non osava immaginare quanto gli fossero costate ben cinquanta rose rosse.

-Sono per me?- chiese incredula Elise, togliendosi distrattamente i guanti e gettandoli nel lavello.

-Ti pare che possano essere per me?- domandò lui, retorico, alzando un sopracciglio in alto.

Elise si sentì strana. Quella stranezza piacevolmente deliziosa che è comune al solo genere femminile. Quella stranezza che ti prende inevitabilmente quando ti rendi conto che esiste qualcuno sulla faccia della terra che farebbe le cazzate più assurde per averti.

Si avvicinò al fratello ed afferrò la bustina bianca che era legata al mazzo con un fiocchetto in rafia. Il cuore prese a batterle velocemente, mentre apriva quella busta e ne estraeva il fogliettino con le dita tremanti. Sentiva uno strano senso di emozione stringerle il cuore.

Friedrich la osservava con aria furba,  mentre leggeva sul volto della sorella l’emozione mista all’eccitazione più pura. Sapeva che un gesto del genere, tanto dolce quanto eclatante, poteva essere solo opera sua. Che si chiami Sentimento, o semplicemente Sesto senso femminile, ciò che contava è che sentiva dentro chi le aveva fatto un gesto del genere.

 

 

 

So che sei ancora arrabbiata con me, e stavolta hai ragione.

Sono stato davvero un coglione.

Eri mia e ho lasciato che mi sfuggissi via come la più fragile delle creature.

Ma ho intenzione di rimediare, perché tu sei ancora mia e non voglio che finisca così tra noi.

Questi fiori sono per dirti che mi manchi, Elise, e che non ho mai smesso di volerti.

Stasera voglio dimostrartelo.

Passerò a prenderti alle nove.

Un bacio, Tom.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elise lasciò scorrere lo sguardo su quelle poche righe impresse sulla carta con una calligrafia dolce e sicura, esattamente come il carattere di chi l’aveva scritta. Il cuore le perse un battito nel momento in cui lesse il suo nome. Tom. Quella era opera sua.

Quelle parole le entrarono dentro, giungendole come un lungo e caldo abbraccio, mentre un senso di indicibile emozione le prese il petto. Lo sapeva, lo sentiva.

 Alzò lo sguardo in quello di Friedrich, che, con le rose in mano, la fissava sorridente.

-E’ lui?- chiese, con aria complice.

Elise annuì leggermente,  mentre stringeva quel biglietto tra le mani come se  non volesse più lasciarselo scappare.

-E’ Tom…- mormorò con aria sognante mentre lasciava che il suo sguardo cadesse ancora su quelle parole. Gli mancava. Lei gli mancava sul serio. Friedrich sorrise soddisfatto, mentre mollava il mazzo tra le esili braccia della sorella e  leggeva nei suoi occhi un sentimento che non avrebbe potuto cancellare tanto facilmente. Elise sorrise, mentre affondava il naso in quelle rose per percepirne il profumo.

Mentre le note della loro canzone la avvolgevano, pensò che qualsiasi gesto, purché fatto da Tom, sarebbe stato in grado di mandarla fuori di testa; esattamente come il profumo di quelle rose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il suono ovattato di un clacson la fece sobbalzare appena. Elise si passò velocemente un sottile strato di lucido trasparente sulle labbra, e lo richiuse, poggiandolo sul piano del suo comò chiaro. Guardò la sua immagine riflessa nell’enorme specchio alla parete e sorrise appena. Quella sera si vide diversa: erano bastate poche ore, un mazzo di rose rosse e un bigliettino dolcissimo per renderla diversa. È’ prerogativa del genere femminile cambiare idea da un giorno all’altro, si sa. Ma Elise non aveva semplicemente cambiato idea, era qualcos’altro ad essere magicamente cambiato. O forse era semplicemente tornato.  Il brivido che aveva percepito nel leggere quelle poche parole, che ora giacevano sul suo cuscino, dopo essere state lette e rilette infinitamente, non era stato minimamente paragonabile a null’altro che avesse mai provato.

-Ehi, è arrivato!- sentì urlare Friedrich dal salotto. Il cuore prese a batterle all’impazzata,  mentre si osservava un’ultima volta e si rendeva conto che non era agitata in quel modo da una vita, probabilmente. Aveva intuito che quella sarebbe stata una serata speciale, perciò aveva scelto un vestito adatto all’occasione e si era lisciata i capelli con cura particolare. Afferrò la sua Chanel ed uscì dalla stanza, sospirando intensamente.

-E’ già di sotto?- chiese distrattamente al fratello, mentre frugava nella sua borsa, cercando il cellulare.

-Wow!- si lasciò sfuggire il ragazzo, osservandola da capo a piedi. Quell’espressione tanto ammirata non stava propriamente bene in faccia a suo fratello, al sangue del suo sangue.

-Ho qualcosa che non va?- chiese lei, osservandosi e sistemandosi la stoffa sottile lungo i fianchi. Quel vestito la rendeva completamente irresistibile, la rendeva donna, dolce, maliziosa, bella.

-Sei bellissima, sorellina.- commentò lui, con quella dolcezza tipicamente fraterna, avvicinandosi a lei e abbracciandola leggermente. –Non amo particolarmente ammetterlo, ma lo farai impazzire stasera.- mormorò lui, con una sottile gelosia nella voce. Elise sorrise, leggermente imbarazzata per le parole del fratello, ma soprattutto all’idea che quella sera sarebbe stata un punto di snodo ineliminabile nel rapporto tra lei e Tom. Aveva dentro una voglia di risentirlo, come un tempo, che avrebbe fatto di tutto affinchè accadesse.

-Vola ora, ti aspetta di sotto da almeno dieci minuti!- le fece notare Friedrich, ridacchiando leggermente. Elise non se lo fece ripetere due volte, che già era sul pianerottolo a chiamare l’ascensore. Sospirò emozionata, mentre premeva il dito smaltato di oro sul pulsantino recante il numero zero. Si guardò nello specchio e si diede un’ultima sistemata ai capelli: non era mai stata così agitata all’idea di non piacergli, avrebbe voluto che quella serata fosse memorabile, che tutto si sistemasse, che quel senso di nostalgia che aveva nascosto per settimane trovasse finalmente appagamento. Nessun altro pensiero la toccava in quel momento. Quando varcò  la soglia del portone del suo palazzo, sentì il cuore perderle un battito. Tom stava in piedi, accanto alla sua R8, avvolto da una giacca scura che lo rendeva spaventosamente elegante, che ricadeva su un paio di jeans leggermente strappati in più punti. Elise si fermò un attimo, e trattenne il respiro: era da una vita che non si sentiva in quel modo; il cuore le batteva che quasi se lo sentiva in gola. Non ricordava più da quanto tempo Tom non passava a prenderla, vestito così elegante, con un mazzo di fiori tra le mani; probabilmente non l’aveva mai fatto in un anno. Appena la vide, si staccò dalla carrozzeria e fece qualche passo verso di lei. Elise si sentì morire quando se lo ritrovò a pochi centimetri dal viso, che la osservava con un’intensità paurosa, mentre il suo profumo dolce e sensuale le accarezzava le narici. Lo osservò da vicino e notò che, forse, aveva dimenticato quanto fosse bello e quanto potesse risultare tremendamente sexy semplicemente con una giacca elegante addosso. In quel momento quello sguardo che sembrava volerle chiedere scusa di tutto ciò che era accaduto tra di loro, e ripristinare una magia che apparteneva solo a loro due.

-Ciao- mormorò Tom, non staccando i suoi occhi da quelli verdi della ragazza neppure per un attimo.

-Ciao- sorrise impacciata Elise, torturando con le dita della mano destra la sua Chanel. Non era mai stata tanto insicura e piacevolmente turbata neppure al suo primo appuntamento con Tom. Eppure, quella sera l’aria era strana, magica.

-Sei…davvero bella, stasera.- mormorò lui, osservandola avvolta in quel vestito scuro che sapeva sottolineare alla perfezione ogni suo punto focale. Elise arrossì appena, sentendosi morire sotto quello sguardo, che, esattamente come il primo giorno, sapeva imbarazzarla tanto da farla star male.

-Grazie. Anche tu, stai bene così.- rispose lei, con un filo di voce, mentre osservava il sottile strato di tessuto chiaro che gli copriva il petto allenato, sotto la giacca scura. Non lo aveva mai trovato tanto sexy come quella sera.

Il suo sguardo scivolò sui fiori che Tom teneva tra le mani. Un giacinto color porpora spiccava tra infinite orchidee bianche, luminose, pure, mentre un fiocco voluminoso, color rosa chiaro, teneva i fiori legati tra loro. Si inebriò di quel profumo delizioso, mentre Tom sembrava rendersi conto di avere ancora quella composizione tra le mani. Il punto era che non riusciva proprio a staccare gli occhi da Elise.

-Questi sono per te- le disse, sorridendole dolcemente e porgendole i fiori. Lei sorrise, scuotendo appena il capo.

-Grazie, sei gentile, ma bastavano le rose!- rispose lei, dolcemente, afferrando il mazzo e annusandolo.

-No, non bastavano. L’orchidea è la passione, mentre il giacinto color porpora significa ‘perdonami’.- le spiegò Tom, indicandole i fiori che componevano il mazzo. –Servivano questi, stasera.- aggiunse, in un sussurro, quasi. Elise si perse nei suoi occhi, mentre pensava a quelle parole. Aveva una voglia tremenda di perdonarlo, e non riusciva a spiegarsene il motivo. Dopo tutto quello che era accaduto tra di loro negli ultimi mesi, l’idea che potessero tornare insieme, uniti da quel fuoco che caratterizzava ogni loro sguardo all’inizio, sembrava davvero lontana anni luce. Eppure, quella sera, quella magica sera, si ritrovavano lì, insieme, ad un soffio l’uno dall’altra, che si divoravano con lo sguardo, come se tutti i casini fossero improvvisamente scomparsi, come se i baci con Emis non fossero mai esistiti, come se tra loro non fosse mai accaduto nulla. Elise lo guardò, sorridendogli dolcemente. Che importava? L’unica cosa che in quel momento contava davvero era il fatto che fossero insieme di nuovo, e che quella serata sarebbe stata loro e solo loro.

-Sei davvero dolce, Tom…- gli sussurrò lei, mentre si avvicinava al viso del ragazzo e sfiorava le sue labbra con delicatezza disarmante. Sentì il respiro di lui solleticarle la pelle, avvolgendola in un profumo che conosceva alla perfezione. Si alzò appena sulle punte e toccò quelle labbra morbide con le proprie, lasciando su di esse un bacio morbido e dolce, tanto da farlo rabbrividire. Fu un secondo, un semplice istante in cui le loro labbra si toccarono, dopo settimane di lontananza. Quando le labbra della ragazza si allontanarono da quelle di Tom, lui la osservò e la trovò immensamente bella quella sera; bella ed attraente.  Si chiese come aveva potuto rischiare di perderla, in quei mesi; si chiese come avesse potuto abbandonarla, trascurarla, non porla al centro di ogni suo gesto. Gli era mancata, da morire. Meritava di essere trattata come una principessa, sul serio; e, se solo lei glielo avesse concesso, l’avrebbe trattata come una perla, l’avrebbe resa felice, non le avrebbe mai fatto sentire la minima incertezza, le avrebbe dimostrato che lei, per lui, era speciale, come non lo era mai stata nessun’altra. Negli ultimi giorni gli era sembrato impossibile persino respirare, senza di lei. L’idea d’averla persa, e d’averla lasciata nelle mani di quello era quanto di peggiore Tom avesse mai provato in vita sua. Lesse nei suoi occhi una dolcezza ed una nostalgia immense: in quel momento avrebbe voluto abbracciarla, stringerla, e baciarla all’infinto, ma preferì non partire in quinta, e lasciare che quella serata si concludesse come naturalmente doveva concludersi; senza forzature.

-Vieni, stasera ti porto in un posto speciale.- la informò Tom, con aria misteriosa, aprendo lo sportello del passeggero ed esortandola a salire. Elise sorrise, compiaciuta ed estremamente sorpresa per quella galanteria che Tom non aveva mai avuto nei suoi confronti. L’aveva trascurata a morte negli ultimi mesi, era vero; ma quella sera stava recuperando alla grande. Elise lo guardò un’ultima volta, prima di entrare nell’auto ed osservarlo fare il giro e salire al posto della guida. Si chiese come potesse il destino giocare scherzi del genere agli esseri umani. Un giorno si litiga, ci si urla contro, si piange, ci si allontana terribilmente, e ci si pente di tutto, di gesti, parole, sguardi, baci; poi, un altro giorno, ci si guarda e basta quello sguardo per annullare tutto e per ripristinare quella magia che è propria solo dell’amore, e che a null’altro appartiene. Ed è quel giorno che cadono tutte le certezze, la logica, qualsiasi spiegazione; perché è esattamente quel giorno che ci si accorge che inspiegabilmente il rancore è svanito ed ha lasciato il posto a qualcosa di immenso, assurdo, che merita soltanto di essere confessato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

“Ubi maior, minor cesset.”

(Dove sono cose grandiose, le piccolezze scompaiono.)

[I Latini:D]

 

 

 

 

 

 

 

-E’ strano.- commentò Elise, mentre camminava lentamente accanto a Tom, lungo il molo di Amburgo. Quella serata, così semplice, autentica, le stava restituendo la vita con pochi sguardi e pochissime parole.

-Cosa?- chiese Tom, mentre continuavano a passeggiare, soli loro due, nel buio di quella notte dal sapore così nostalgico, che li stava unendo come, forse, non era mai accaduto.

-Io e te. Qui. – esordì la ragazza, fermandosi ed osservando l’acqua che scorreva lenta e calma entro gli argini dell’Elba.

Tom rimase in silenzio per qualche istante, poi decise che, se non sapeva farci con le parole, avrebbe fatto a modo suo. Aveva sempre funzionato, d’altronde. Si avvicinò alla ragazza, che dolcemente fissava la notte scura. Con delicatezza, prudenza, la abbracciò da dietro, avvolgendo la sua vita con le mani, e tirandola leggermente a sé. Elise tremò appena a quel contatto: da quando non sentiva più le mani di Tom sul suo corpo? Voltò di poco la testa all’indietro, quel che bastava per incrociare lo sguardo di Tom, ravvicinato, che sembrò darle la scossa.

-Stasera avrei voluto dirti un sacco di cose, ma improvvisamente non so da dove cominciare.- ridacchiò lui, sentendo la ragazza sorridere dolcemente. Era vero, Tom non ci sapeva fare particolarmente con i discorsi o le scuse. E si sentì tremendamente idiota all’idea di non riuscire a dirle quello che pensava, ciò di cui s’era reso conto in quelle ultime settimane.

-Così ti abbraccio, che magari capisci quanto mi sei mancata.- aggiunse, quasi in un sussurro, avvolgendo la vita della ragazza con le braccia, con una delicatezza spaventosa, facendo aderire i loro corpi. Elise si sentì una scossa dentro e chiuse gli occhi, istintivamente. Dio, sapeva farla sentire ancora così speciale…con un gesto così banale. Non era ancora scomparsa la magia tra di loro, sentiva ancora le farfalle nello stomaco.

-Non c’è bisogno che parliamo per forza.- disse lei, con voce bassa e calma. –A volte le parole non servono.- aggiunse, mentre poggiava lentamente le sue mani su quelle di Tom, che, calde, erano strette sotto il suo seno. Si sentì desiderata: quelle mani sapevano ancora parlare, così eloquentemente.

-Già, hai ragione.- convenne Tom, avvicinando il naso ai suoi capelli, inebriandosi di quell’odore tanto dolce, che ricordava alla perfezione. Quell’odore di pesca che la rendeva irresistibile.–Però una cosa voglio dirtela.-

Elise si voltò appena verso di lui,  lasciando che le mani di Tom le stringessero i fianchi, e che i loro sguardi si incrociassero.

-Ho avuto paura di perderti, seriamente. Non credevo che mi sarebbe importato tanto. Invece ho capito che con te ci sono dentro, completamente.- ammise, fissandola. Quello sguardo sembrava urlarle quanto avesse voglia di lei, quanto volesse riaverla di nuovo con sé, ogni giorno della sua vita.

Elise si stupì di quelle parole, che non aveva mai sentito da Tom, che la lasciarono senza respiro, quasi.  Si trovò ad amare quello sguardo, quelle parole, quelle labbra, quelle mani che sembravano volerla spogliare con dolcezza e discrezione. Gli mancava anche quello. Sorrise teneramente, mentre lasciava che le dita di Tom si incrociassero con le sue, stringendole.

-So che negli ultimi mesi non te l’ho propriamente dimostrato, ma ti giuro che d’ora in avanti farò sul serio, con te.- aggiunse, tirandola a sé di qualche centimetro. Poteva sentire il suo respiro caldo lambirle il viso, poteva quasi percepire i battiti del suo cuore.

-Credevo che non mi sarei mai più sentita così.- gli sussurrò Elise, sognante. –In queste settimane mi sono detta che avrei dato il mio cuore solo a chi m’avesse fatto stare in paradiso senza dover fare per forza qualcosa di speciale, solo a chi m’avesse fatto arrossire con un solo sguardo, rabbrividire con un solo abbraccio.- continuò lei, sentendo lo sguardo di Tom quasi perforarle la pelle. –E sono qui con te. E nonostante tutto mi sento tua come non mi sono mai sentita di nessun altro.- gli confessò lei, con un filo di voce, mentre sentiva il cuore pulsarle all’impazzata.

Tom sorrise, di un sorriso così bello da risultare imbarazzante, mentre sentiva l’irrefrenabile voglia di sentirla ancora sua, sulla sua pelle, sul suo corpo, sulle sue labbra. Loro due e le loro anime non potevano stare lontane. Quello che si scambiarono nel buio di quella notte fu uno di quei baci incontrollabili, voluti, cercati, sentiti fino in fondo. Fu uno di quei baci che sembrano non voler finire mai, uno di quelli che ci si scambia stretti, coi corpi attaccati, con la voglia tangibile. Elise fece salire le sue mani sul petto di Tom,  accarezzandolo dolcemente, sentendo sotto le sue dita quegli addominali finemente scolpiti, mentre sentiva le mani di lui stringerla con un’intensità che le era mancata da morire. Per minuti interminabili esistettero solo loro due, le loro mani intrecciate, le loro labbra che si mordevano con dolcezza, voglia, nostalgia; le loro lingue che si toccavano con delicatezza, i loro nasi che si sfioravano, le loro mani che si cercavano. Nulla era cambiato tra di loro, in quel senso.

-Sono stato un’idiota a lasciarti andare via.- mormorò Tom tra un bacio e l’altro, mentre sentiva il corpo della ragazza aderire al suo, eccitandolo all’inverosimile. In quel momento l’unica cosa che contava era riavere quei baci morbidi e dolci, riavere lei tra le braccia; era di nuovo sua, lo sentiva. Le loro labbra si staccarono, con difficoltà, e Tom sorrise nel vederle gli occhi lucidi e le labbra leggermente gonfie ed arrossate. Gli erano mancati da morire quei baci, quel corpo, quello sguardo imbarazzante. Si osservarono per qualche secondo, poi entrambi decisero che non ne avevano avuto abbastanza e le loro labbra si incontrarono ancora, e ancora e ancora. Quella notte esistettero solo loro due, le loro labbra incollate, i loro respiri fusi, i loro corpi adiacenti: tutto il resto fu nullo.

Quando le loro labbra si disgiunsero, e i loro respiri si furono amabilmente accarezzati, Tom le sorrise con una dolcezza che non aveva mai riservato a nessuna, le scostò i capelli dalle spalle e  la fece voltare di spalle, accarezzandole delicatamente la pelle nuda. Elise si guardò attorno stranita: Tom la abbracciò da dietro, e la ragazza si trovò dinanzi la distesa d’acqua che correva piano in quella notte.

Le dita di Tom le sfiorarono il mento, esortandola ad alzare il capo verso l’alto.

-Questi sono per te.- le sussurrò in un orecchio, indicandole con un dito il cielo blu, illuminato da un’infinità di stelle luminose. Quel blu notte fu frantumato da un colpo deciso, che fece sobbalzare Elise, all’improvviso. Seguirono fuochi d’artificio dei colori più vivaci che illuminarono il cielo, disegnando figure dai contorni diversi e bellissimi. La ragazza si portò una mano sulla bocca, per lo stupore, mentre nelle sue iridi verdi si riflettevano quei fuochi dai colori abbaglianti.

Mentre i botti si perdevano nell’aria, e l’intera Amburgo stava probabilmente assistendo a quello spettacolo pirotecnico, Elise si voltò verso Tom, e incontrò quello sguardo che parlò da solo. Gli occhi le si inumidirono all’istante, mentre si gettò sulle labbra di Tom, che, stringendole il viso tra le mani, la baciò sotto quello spettacolo che era solo loro.

-Non posso credere che tu abbia fatto questo per me.- mormorò Elise, stupita, mentre osservava il cielo illuminato sopra di loro.

Tom sorrise, orgoglioso, stringendo la ragazza a sé con possesso, e poggiando il mento sulla sua spalla esile. Per lei avrebbe fatto quello ed altro, se fosse stato necessario.

-Il finale merita particolarmente.- le sussurrò Tom in un orecchio, con voce roca, alzando lo sguardo verso il cielo. Un immenso cuore rosso si disegnò nel buio di quella notte, seguì un silenzio tombale. Un altro suono sordo precedette poche lettere che si persero nel buio di quella notte, rosse come il fuoco.

 

 

 

 

TI AMO

 

 

 

 

 

 

Il respiro le si fermò nel petto, mentre lesse quelle due paroline scritte nel cielo di Amburgo. Lentamente si dissolsero nel buio, lasciando spazio alle stelle, che tornarono a brillare più accese di prima. Elise sentì una scossa percorrerle le membra, mentre lo stomaco le si contorceva in una morsa fatale. Si sentì terribilmente piccola, dinanzi a quel gesto, a quelle parole, a quel sentimento.

-E’ vero.- le sussurrò Tom in un orecchio, con voce terribilmente dolce, mentre continuava a stringerla da dietro. –Ti amo, Elise.- le ripetè, con una lentezza ed una sensualità che ebbero su di lei l’effetto di un eccitante.

Si voltò tra le sue braccia e bastarono pochi secondi per suggellare quella dichiarazione tanto eclatante e allo stesso tempo terribilmente intima.  Si sentì persa tra quelle braccia, in quegli occhi, su quelle labbra che  si unirono come due calamite,  mentre le mani di Elise strinsero il viso di Tom, con dolcezza, e una lacrima di gioia si insinuò nel loro bacio.

-Ti amo anch’io, Tom.- gli sussurrò lei, tra un bacio e l’altro, mentre il suo corpo tremava inspiegabilmente e quell’emozione sconosciuta confermava ciò che da tempo sentiva con certezza: l’amore non ha bisogno di troppe parole, bastano quelle non dette, bastano baci scambiati.

Fu quello il momento più bello della sua breve esistenza, fu quello il momento che si porta sempre nel cuore, e di cui ci si ricorda, con stessa emozione, con stessa commozione, anche anni dopo.

‘Ti amo, Tom. Da sempre.” Solo quelle parole si persero nel cuore di Elise, imprimendosi per sempre lì dove ogni emozione nasce, dove ogni giorno rimane nascosto, dove ogni incomprensione svanisce, tra i meandri di un sentimento chiamato Amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

“Grande è la fedeltà della donna, soprattutto quando non è richiesta.”

[Soren Abye Kierkegaard]

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mondo è piccolo, i fatti accadono, le persone sono meschine: verità innegabili, universalmente riconosciute. Le dita di Tom si strinsero attorno a quelle di Elise, i loro sguardi si incrociarono per un attimo, per poi tornare a fissare la Tv a schermo piatto che giaceva su un tavolinetto in vetro a pochi metri da loro. Erano bastate un paio di settimane per imprimere al loro Amore una dimensione di mondanità e universalizzazione che propriamente non gli apparteneva. Era da parecchio, ormai, che le riviste di Gossip, i quotidiani, Bild e la Tv trasmettevano le immagini di quella serata indimenticabile in cui Tom aveva rivelato pubblicamente ad Elise il suo amore. Quel sentimento così privato, quei baci così nostalgici, quegli abbracci tanto sentiti non erano più soltanto loro, ma erano stati prevedibilmente condivisi dall’intera Amburgo. Quel gesto sarebbe passato alla storia: certo, Tom non s’aspettava, com’è logico, che la sua dimostrazione pirotecnica passasse inosservata, ma credeva che alla questione non avrebbero dato così tanta importanza.

-Dio, è un miracolo che non ci abbiano beccati mentre facevamo l’amore!- notò, ironica, Elise, mentre osservava le immagini trite e ritrite dei loro baci sul molo, sotto i fuochi d’artificio. Sorrise all’idea che tutti, probabilmente, a quell’ora stavano invidiando la sua favola, e che qualsiasi ragazza avrebbe desiderato un ragazzo come Tom.

-Soltanto perché ci siamo chiusi in casa!- le fece notare Tom, mentre al telegiornale continuavano a commentare quanto fosse stato dolce ed eclatante il gesto del chitarrista dei Tokio Hotel. Non serviva che lo ripetesse tutto Amburgo per far capire ad Elise quanto fosse adorabile il suo ragazzo.

-Ti ricordo che tu volevi fare sesso lì, al molo, Tom! Se fosse stato per te, ora tutta la Germania ci avrebbe visti nudi!- commentò lei, piuttosto allarmata all’idea.

-Beh, si sarebbero goduti lo spettacolo…- commentò lui, con aria maliziosa, mentre la tirava a sé sul divano e imprigionava quelle labbra rosee tra le proprie. Adorava Elise, ed adorava il modo in cui lo trattava: premurosa, dolce, sexy quanto bastava. Non se la sarebbe fatta scappare per nulla al mondo, dopo averla riavuta. Quando le loro labbra si staccarono, furono entrambi colpiti dalla voce dell’annunciatrice, che li fece voltare all’unisono.

-Gesto eclatante che non è certamente sfuggito al rapper Emis Killa,  che ha recentemente spopolato col suo nuovo lavoro, che ha già venduto milioni di copie in tutta Europa.- quelle parole suscitarono una smorfia di disappunto in Tom, che da sempre si interrogava sull’integrità mentale di quelle milioni di persone che avevano il coraggio di comprare quella ‘spazzatura’ e di ascoltarla. –Il cantautore ha estratto proprio ieri dal suo nuovo disco il singolo, che è già schizzato in vetta alle classifiche tedesche.  Pare che i fan più attenti abbiano rintracciato nel testo della canzone riferimenti alla sua ex ragazza, la bella mora per cui il chitarrista dei Tokio Hotel ha perso la testa! Dobbiamo aspettarci un confronto tra i due a suon di rime? Oppure è soltanto una coincidenza il fatto che la dichiarazione di Tom Kaulitz sia perfettamente coincisa con l’uscita del singolo? Il pezzo si intitola ‘Neve e Fango’ e ve lo facciamo sentire.-

Elise voltò la testa verso Tom e si scambiarono uno sguardo d’intesa.

-Che idiozia!- commentò subito Elise, mentre le prime note di quella canzone si perdevano nell’aria. Lo stile inconfondibile, il sound rap, le movenze di Emis le risultarono subito familiari. Le prime parole si persero nell’aria, catturando la sua attenzione.

 

 

 

Ricordo il nostro primo appuntamento

Ero felice: tu con lo smalto rosso

Io con le mani sporche di vernice

Il primo ‘Ti amo’ detto su quel letto cigolante

Tutto perfetto e noi al centro di quella cornice

Per un po’ c’è solo il volersi bene

È il classico periodo in cui va tutto a gonfie vele

Le tue smorfie sceme mi facevano sorridere

Poi quelle smorfie si son fatte serie

E tu ti sei fatta impossibile

Mille progetti, andare a convivere

Chissà dove, e riuscivamo pure a crederci

Chissà come

E adesso che i progetti stanno in un cassetto

Dove c’è quel che non ho fatto

E quel che non ti  ho detto

E quello che ho scelto non è che questo

Disintossicarmi da te e stare solo con me stesso

E a volte ho pensato di riprovarci

Ma poi la neve ormai si è fatta fango

Ed è troppo tardi.

 

 

 

 

-E’ vero. Parla di te.- notò Tom, fissando con attenzione le immagini del video, che accompagnavano quella canzone.

Elise inarcò appena le sopracciglia e pensò a quelle parole. Era vero, Emis si riferiva a lei. Lei era stato l’unico suo amore, l’unica ragazza con cui avesse avuto una storia seria. E quelle rime sapevano di risentimento, di distacco, di dispiacere. In fondo, aveva preferito Tom a lui per la seconda volta.

 

 

Ora non ci penso più (non ci penso più)

Ora piangi solo tu (soltanto tu)

Ora non mi sento giù

Ci sono solo per me

Non ci sono, né per te né per gli altri

 

 

Ora non ci penso più (non ci penso più)

Ora piangi solo tu (soltanto tu)

Ora non mi sento giù

Ci sono solo per me

Non ci sono, né per te né per gli altri

 

 

 

Quelle sere in cui era uscita con lui le erano servite per fare chiarezza dentro di sé, per capire che chi le faceva battere sul serio il cuore era Tom, non Emis. D’altronde aveva rotto una storia lunghissima per stare con Tom, e quell’attrazione, quell’amore non poteva svanire soltanto per qualche litigio e per una trascuratezza a cui aveva ampiamente rimediato in quelle  ultime  due settimane.

 

 

E adesso non ti sento più

Vuoi questo, l’hai detto tu

Quel coglione non lo ami

Mi chiami e io metto giù

Non ti accetto su Facebook e My Space

E se ti senti giù non ci son più io

A dirti ‘Che hai? Ehi’

Non pensavo di arrivare a tanto

O forse non pensavo affatto

Non ci pensavo ad un'altra al mio fianco

Poi ne è arrivata una, poi due, poi tre

E per un anno ne ho scopate duecento pensando a te

Non sei ciò che fa per me

Me ne son fatto una ragione

Ormai non ha alcun peso dedicarti una canzone

Fa parte della mia passione ammettere che

Tu eri la passione che faceva battere il mio essere

E certe lettere me le ricordo ancora

Con quella scrittura da bambina

E una cultura da signora

Ora non c’ho più rancore

E nonostante tutto credo ancora nell’Amore

Nonostante ho un cerotto sul cuore.

 

 

-Quel coglione t’ha scritto una canzone.- notò Tom, fissando le ultime immagini del video, con un atteggiamento visibilmente velato di gelosia. Elise si voltò verso il suo ragazzo e posò una mano sul suo petto, con tenerezza. Quel discorso non l’avevano ancora affrontato da quando avevano fatto pace la sera del ‘Ti amo’ e occorreva mettere le cose in chiaro.

-Io ed Emis siamo stati insieme tanto tempo, ci siamo amati, lui ha fatto gesti dolcissimi per me, è vero.- cominciò lei, avvicinandosi a Tom e parlando con calma, sotto il suo sguardo attento. –Ma poi sei arrivato tu. E quando ho capito che sapevi farmi sentire leggera, sapevi farmi stare bene, con poco, come lui non aveva mai saputo fare, ho scelto te.- gli sussurrò Elise, scorrendo dolcemente con la mano sul suo petto scolpito, coperto soltanto da una sottile t-shirt. –Le cose belle finiscono. Ma le cose spettacolari no.- mormorò lei, sorridendogli, tenera. Tom sorrise, stringendola a sé. Dopo momenti alterni, Elise aveva finalmente capito che era Tom la sua Neve, quella favola morbida, soffice, in grado di cullarla, di custodirla sempre. Quelle emozioni travolgenti che provava solo quando era con Tom non potevano che attrarla a lui come ad una calamita. Il passato era Fango, ma non lo rinnegava; non aveva più rancore, non intendeva cancellare ciò che era stato. Voleva solo voltare pagina e mettere un cerotto sulle sue ferite, sulle sue sofferenze. Tom sfiorò la sua pancia scoperta con un dito, facendola sussultare. La trovò adorabile, e capì che poteva, che doveva, fidarsi di lei; che era LUI quello che lei voleva, l’unico in grado di attrarla, tenendosela stretta. Se le sue capacità in fatto di donne le conosceva da sempre, aveva però scoperto che anche lui poteva essere terribilmente attratto da una ragazza, tanto da confessarle che l’amava, che la voleva solo sua, che era incredibilmente geloso all’idea di pensarla con un altro. S’era innamorato.

-Sei davvero tenera quando ammetti di non potermi resistere.- notò Tom, con una punta di impertinenza nella voce, causando una risatina da parte di Elise, che lo colpì dolcemente sul petto. –Ora però che ne dici di andare in camera da letto e di passare alla versione sexy?- propose con tono tremendamente malizioso, osservandola da vicino. Elise ridacchiò, scuotendo il capo. Se Tom aveva saputo darle prova di immensa dolcezza, su quel settore non sarebbe mai cambiato! Lei sorrise maliziosa, lasciando che il ragazzo le imprimesse un bacio umido sul collo. Poi, all’unisono, si alzarono, con le dita intrecciate e l’irrefrenabile istinto di baciarsi, e si avvicinarono alle scale, diretti al piano di sopra.

Avevano creduto nell’Amore anche quando Amaro sembrava essere la Vita e Fango il Mondo. Ci avevano creduto e lo avevano trovato: l’Amore, quello con la A maiuscola.

 

 

 

 

 

 

 

FINE.

  
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