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Autore: Twitch    31/07/2012    0 recensioni
E' un affare che devo scrivere per la scuola, parla della mia città, di Genova. L'idea era che non dovesse c'entrare molto con me e con la mia vita, ma ogni tanto qualcosa ci scapperà. Due ragazzi, due città, e forse anche qualcos'altro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Odio questa città” sussurrò Marta soffiando fuori del fumo dalle labbra e scrollando con sprezzo qualche millimetro di cenere della sua sigaretta nella fontana di Piazza De Ferrari.
Sedici anni consumati, ammonticchiati l’uno sull’altro all’apparenza senza un criterio ben preciso, le gravavano già sulle spalle, pesanti ma estremamente vuoti.
Marta, come la cenere di quella sigaretta, si sentiva persa, alla deriva. In balia di una sorte che non poteva controllare. Si sentiva spegnersi pian piano, si sentiva come se stesse affondando lentamente.
Ma i pensieri di Marta, come quel fumo plumbeo e leggero, svanivano lontani, volteggiavano in cielo e si perdevano tra le nuvole.
Passava molto tempo lì, seduta sul bordo di quella vasca. Fissava il suo riflesso nell’acqua per poi infrangerlo con la mano; osservava la gente camminare così lentamente e continuava a premere il tasto ‘replay’ all’infinito sul suo lettore mp3, riascoltando centinaia di volte quell’unica canzone che la faceva stare bene.
Era lì quando non aveva voglia di bivaccare in quella ‘casa’ che non era ‘casa sua’ che puzzava ancora di vernice, era lì nei pomeriggi di solitudine. Era lì quasi sempre, e quel luogo era diventato come un ‘pizzicotto metaforico’ per rendersi conto di non potersi svegliare dall’incubo.
E quindi trascorreva sue ore nell’unico luogo che aveva avuto il tempo di scoprire prima di essersi fatta divorare da un’apatia rabbiosa e per nulla rassegnata.
Oh, come le mancava quella sua città nebbiosa e plumbea, dalle luci gialle e le vetrine scintillanti. Quella città che sembrava facesse rima con tutte le sue esigenze, quella città internazionale e sempre sotto ai riflettori. Milano.
E che aveva avuto in cambio? Un porto di mare scortese e anche un po’ burbero.. ah sì.. e quella maledettissima fontana.
 
“Odio quella scuola! L’ho odiata già da quando ho letto quel nome sul foglio dell’iscrizione!” gridò Marta in faccia a sua madre, mentre qualche lacrima le rigava il volto.
“Non fare la bambina! Diavolo, Marta, non lo capisci che la scuola è il tuo futuro?! E non ti deve importare in quale città te lo costruisci!” disse sua madre mentre cercava nervosamente le chiavi della macchina.
“Il mio futuro non è qui!” rispondeva lei, seguendola per tutta la ‘casa’ ancora mezza imballata.
“Marta, è il primo giorno di scuola, ti prego cerca di non iniziare tutto con il piede sbagliato! Anche per me è difficile, cosa credi?! Mi hanno trasferita qui, e devi accettarlo, come l’ho accettato io!” la madre, infervorata, fece una pausa, inspirò profondamente e quindi disse “Ora pulisciti la faccia, che ti si è sbavato tutto il mascara, e sali in macchina. Ti ci accompagno io a scuola oggi”.
Marta salì in macchina e ridiscese ai piedi di quella salita che aveva simpaticamente rinominato ‘Stairway to hell’.
“Devo controllare che tu entri o posso andare?”
“Ciao Ma, buon lavoro” rispose lei, mettendosi lo zaino su una spalla.
A capo chino si avviò verso la porta del ‘Liceo Scientifico migliore della città’ (a detta di sua madre) come una bestia si avvicinerebbe al macello.
Ogni cosa le sembrava estranea, nemica. Soltanto l’aurea grigiastra di smog dell’edificio e dintorni le ricordavano vagamente la sua Milano.
Quindi, con un sospiro, entrò.
All’interno, miriadi di facce per lei prive di identità, si ammassavano spingendosi su per le scale, per raggiungere in tempo la propria classe.
La vicepreside osservava dall’alto dei suoi tacchi quel flusso di zaini e scarpe da ginnastica, sollecitando gli ultimi ritardatari.
Marta le si avvicinò un po’ diffidente, per chiederle dove (diavolo) fosse la 3C.
E, ricevuta la sua risposta affrettata, salì le scale fino al primo piano.

Si sa, i primi giorni non sono mai semplici per nessuno.
Tra i banchi ancora puliti si sentivano soltanto chiacchiere nostalgiche di tutte le giornate trascorse al mare a Cogoleto ed Arenzano, delle gite ai parchi di Nervi e ai parchi acquatici poco lontani; di quegli ultimi giorni in cui si poteva ancora respirare un’aria tiepida e assolata di libertà.
Figuriamoci quindi quanto potesse essere dura per Marta, che in quella terza superiore genovese si sentiva totalmente fuoriposto. Tutte quelle immagini, tutti quei luoghi per lei erano completamente vuoti di ogni colore, significato o ricordo.
Quindi si infossò ancora di più nell’unico buco vuoto che aveva trovato, e per le successive cinque ore non mosse più un muscolo, solo il cuore continuava ancora a battere per chissà quale forza di misteriosa inerzia.
Al suono della campanella si fiondò fuori per evitare quel dannato flusso, si sedette sulle scale della chiesa lì vicino, e si accese una sigaretta.
 
“Hai da accendere?” Marta alzò gli occhi, che si piantarono dritti in quelli castani del suo primo vero interlocutore genovese.
“Ottimo modo per attaccare bottone. Comunque no, la siga l’ho accesa con due bastoncini” fece lei, con un atteggiamento spavaldo ma un po’ sulla difensiva.
“Sei simpatica”
Marta gli porse l’accendino, e lui si sedette accanto a lei.
“Non ti ho mai vista qui”
“Perché io qua non c’entro nulla.” Fece una pausa e poi riprese con voce un po’ più sicura “Sono di Milano, il mio liceo è l’Einstein. E penso che il vostro caro E. Fermi studiasse quello che scriveva e pubblicava A. Einstein.” rispose con un tono ironico, ma decisamente rilassato.
Si potrebbe persino dire che avesse accennato un sorriso.
“Oh, non sapevo di essere in cospetto di Miss Superiorità. Tolgo le tende” disse lui, alzandosi.
“No!”
Marta, appena pronunciato quel monosillabo ebbe l’irrefrenabile istinto di tapparsi la bocca, di ringoiarselo e non lasciarlo più scappare. Ma ormai ‘il latte era stato versato’.
“Insomma.. fa’ quello che ti pare..” disse poi, senza però riuscire a migliorare di molto la situazione.
“D’accordo” disse lui inspirando profondamente “da quanto ho capito questa città proprio non ti va a genio.. no?”
“Esatto..” disse lei buttando fuori il fumo.
“E invece ti piacciono le scommesse?”
“Spiega”
“Perché scommetto che riesco a farti cambiare idea sulla ‘Superba’.” disse mostrando il migliore dei suoi sorrisi.
“Andata, ma tanto non ci riesci.” Disse lei sicura, ma sorridente.
“Ora vado a mettere qualcosa sotto i denti, ti lascio il mio numero.” Così prese una penna, e scrisse quelle nove cifre sulla mano di Marta.
“Ciao!”
“Ciao!”
  
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