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Autore: whiteangeljack    31/07/2012    3 recensioni
"Siete gli ultimi rimasti. È questa l'ultima consapevolezza a cui ti aggrappi disperatamente per sopravvivere e passare alla fase successiva. Quella in cui lo minaccerai, lo ucciderai, farai qualcosa."
La verità su quel terribile giorno. I fatti sulla caduta di Gallifrey visti dal punto di vista del Maestro.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - Altro, Master - Altro
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Koschei è morto. Gallifrey è morto. Lunga vita al Dottore!


Vestiti fradici, capelli gocciolanti. Provi a muoverti ma un dolore indefinito all’altezza del petto ti costringe a terra. Gemi. Le mani affondano nell’erba rossa o forse è solo il sangue ad annebbiare la tua vista. Deve esserci stata un esplosione da qualche parte: ne percepisci ancora il riverbero assordante nelle orecchie.

Quando riesci a sollevarti ti guardi intorno e fiuti l’aria come un segugio. Poco più in là i resti di una nave Dalek e i rottami di un TARDIS completamente bruciato. Il caos dello scontro che sta avvenendo è assordante, ma ciò non ti impedisce ugualmente di riconoscere la plancia della nave.

Padre.

I tamburi sembrano intonare nella tua testa le note di un antico requiem. Il desiderio di fuggire, il terribile presentimento che si insinua sotto la tua pelle, ti spinge a correre.

***
La casa in cui sei nato è lontana dal centro, così lontana che persino i Dalek hanno faticato a trovarla quando, meno di una settimana fa, sono riusciti a invadere il pianeta. Il percorso da seguire si snoda con facilità nella tua mente ma nonostante ciò procedi a rilento, la gamba mal ridotta e le costole che continuano a scricchiolare sinistramente ad ogni movimento.

Stringi i denti: qualunque sia la verità il tuo unico scopo ora è raggiungerla.

Le scale che ti ritrovi a percorrere sono vuote e silenziose, illuminate dagli squarci che i bombardamenti e le sparatorie hanno aperto nelle pareti. Stringi i denti, artigliando con disperazione il corrimano. Il suono che arriva dal
piano inferiore, zeppo di macerie, non ti piace affatto.

“Exterminate!”

Imprechi a mezza voce, affondando le mani nelle tasche alla ricerca del tuo cacciavite laser.
Niente.
Il suono dei tamburi ti invade le orecchie. Non ti arrenderai. Non ora.

“Exterminate!”

Ti volti repentinamente. Troppo. Il ghigno sul tuo volto si deforma. Le gambe non reggono più il tuo peso. Rovini a terra sollevando un nugolo di macerie.

Non qui. Non ora.

“Exterminate!”

 Quando il Dalek compare nella tua visuale un brivido freddo ti attraversa la schiena. Hai affrontato parecchi di quei rottami in questi giorni per non temerne l’implacabile freddezza. L’alieno ti raggiunge, squadrandoti da capo a piedi. Sei disarmato e il tuo avversario sembra intuirlo. Lo scruti con ansia. In tanti anni di esperienza non ti saresti mai immaginato di avere una fine così ingloriosa e anonima. Sei solo alla tua seconda rigenerazione e nonostante tutto sei giovane, anche se il tuo corpo in quel momento sembra sostenere l’esatto contrario.
Punti gli occhi nell’obiettivo del Dalek. Che prenda la sua dannata mira e ti uccida pure. Se devi morire allora lo farai con onore, pensi.

“Exterminate!”

Un esplosione strozza la sua voce in un rollio. Un solo colpo, netto.

L’attimo dopo lui è lì.

Ha una pistola. Stretta nella mano destra. Il calcio serrato saldamente tra le dita ferite su cui scivolano gocce di sangue vermiglio. Odora di pioggia, di menzogne e di follia - quale follia? Quali menzogne? La domanda ti attraversa ma in quel momento semplicemente non ti importa. Nulla ha importanza.

“Theta, grazie al cielo sei qui.” Rantoli, il palmo stretto al petto sanguinante. “Aiutami.” Sibili trascinandosi a sedere.
Ma lui continua a scrutarti dall’alto senza rispondere.
C’è qualcosa di sbagliato nei suoi occhi, qualcosa di diverso che semplicemente non riesci ad identificare.

“Che aspetti?” Ruggisci esasperato, soffocando i lamenti in un fiotto di sangue sotto il suo assistere impassibile.

Poi la vedi.

C’è un cadavere abbandonato sulle scale, un corpo esanime che giace ai suoi piedi.

Theta.

Vorresti pronunciare nuovamente il suo nome ma a quel punto qualsiasi gesto da parte tua ti appare futile ed ingiustificato.

È una donna quella che riposa ormai morta ai piedi del tuo migliore amico; i riccioli biondi si aprono a raggiera sulle sue familiari spalle esili.

“N-non può essere.” Balbetti risollevandoti appena, arrancando ai suoi piedi come un servo, strisciando come un verme fino a poter sfiorare il suo volto pallido, freddo, senza vita.

“Non può essere.” Ti ripeti incredulo, la pozza di sangue ai tuoi piedi che si allarga, le lacrime che scorrono bruciando i graffi e scavandoti le guance.

C’è il foro di un proiettile a deturparle la nuca. È ormai solo una bambola di pezza quella che stringi disperato fra le braccia.

“Mamma.” Singhiozzi allora riconoscendo quel volto, pretendendo che quegli occhi si aprono e che qualcosa accada – perché deve accadere qualcosa e Theta ha sempre una soluzione.

“Theta fa qualcosa!!!” Gridi disperato cercando di scalfire la sua maschera di lucida indifferenza ma lui è ancora lì, immobile. Non piange. Non si stupisce. Non si muove. Semplicemente continua ad osservarti, anche lui parte di quel mondo di porcellana e di bambole in cui siete finiti.

“Mi dispiace” Mormora d’un tratto lui, lasciandoti di sasso.

Le membra intorpidite sembrano tramutarsi in ghiaccio.

“Cosa?” Sgrani gli occhi stupito, la voce ridotta ad un sussurro. Incredulità.

“Cosa?” Ripeti ancora pregando che quello sguardo si riempia di dolore, di tristezza, di qualsiasi altro sentimento che non sia quel vuoto che ora ti scava il petto, perché semplicemente non può essere come credi. Il sangue nero continua a scorrere dalle tue ferite aperte inzuppando i vestiti di tua madre come candido peccato.

“Io… avrei voluto che le cose fossero andate diversamente"

Boccheggi. Tutto quello che sai è che la certezza ti divora fino a mozzarti il fiato e il tuo cervello è davvero troppo furbo per non mettere insieme i tasselli. Potresti analizzare il fatto con distacco e giungere alla conclusione senza traumi. Ma sei già incappato nella certezza, nella verità che agognavi come un veleno e questa soluzione non è più contemplabile.

 Sostieni il suo sguardo.

Vorresti esser forte, più forte di quel che sei ora.  Vorresti afferrare l’uomo che hai davanti, perché quello che hai di fronte non può essere Theta – non vuoi crederlo- e prenderlo a pugni fino a consumarti le mani. E invece cadi in ginocchio, reduce dell’evidenza. “Era mia madre Theta.” Singhiozzi sentendoti una bambola di carne in mezzo a mille altre bambole di pezza.

“Perché?” Ruggisci levando lo sguardo su di lui e sollevandoti, barcollante. Ha ancora la pistola in mano –registri distrattamente- . Puzza ancora di morte.

“ Dimmelo.”

Lui ti guarda e tace. E non puoi più farne a meno perché sei stufo dei suoi silenzi, delle sue scuse, della sua stessa nauseabonda presenza. Stringi rabbiosamente la presa attorno alle sue braccia senza neanche accorgerti di averle afferrate.

“ Dimmelo.” ringhi ancora, spingendolo furiosamente al muro. E lui ti lascia fare, sommerso dal senso di colpa.

“Sono impazziti. Tutti quanti. L’universo intero… Io dovevo farlo. Dovevo salvarli. Non avevo scelta. Non ho mai avuto scelta.”

“Tu sei pazzo.”

Indietreggi. Rimani in ascolto.

“Tu sei completamente pazzo.”

Nella tua mente, te ne accorgi solo ora, regna un innaturale, insolito silenzio.

“Avrebbero distrutto l’intero universo.”

“Tu li hai uccisi.”

Siete gli ultimi rimasti. È questa l'ultima consapevolezza a cui ti aggrappi disperatamente per sopravvivere e passare alla fase successiva. Quella in cui lo minaccerai, lo ucciderai, farai qualcosa.

“ Da quanto lo sai? “ domandi in un sibilo con voce roca, controllata, forzata.

E lui per una volta ha una risposta valida da offrirti.

“Da sempre.”

Ed infondo forse era così che doveva andare. Le corse fianco a fianco sulla collina, le gare in Accademia, le continue rivalità al di là della vostra inossidabile amicizia. L’acqua e l’olio. È questo che siete stati sin dall’inizio. Un fuggire ed un inseguirsi continuo in cui ti sei sempre illuso di poter conquistare un posto al suo fianco. Ma non c’è spazio per affiancare il Dottore nella sua triste fuga. Perché dovrà fuggire d’ora in poi non solo dal fantasma che porta cucito ai piedi, ma anche dal tuo odio da cui non potrà mai più separarsi.

Mesi, anni, vite intere sprecate per giungere a questo punto. Per scavare e sondare il suo essere fino a snocciolarne il lato più oscuro.

“Avremmo potuto affrontarlo insieme- rantoli mollando la presa. Realizzando solo dopo: – Dio, che frase banale.”

Lui si schiarisce la voce, ti osserva. Non sa bene cosa aspettarsi da te. Arretra.

“è questo quello che sai fare meglio, Dottore?” Atono. Impeccabile. Letale. Tutto il suo corpo in questo momento sembra gridare “prendimi”. E tu non sei abbastanza paziente né sufficientemente sordo per ignorarlo.

“Sei un codardo.” Gli mastichi rabbioso in un orecchio. Il contatto fisico brucia come fuoco. Nella tua mente lui è l’unica chiave per sfuggire al silenzio. I vostri cuori un ritmo di quattro tempi. Discrepanze che battono all’unisono.

Tum. Tum. Tum. Tum.

“Ascolta questo suono Dottore. Imprimitelo bene nella mente perché la prossima volta sarà l’ultima.”
Lo lasci andare con uno strattone.

Silenzio.

È questo tutto ciò che agogni in questo momento. Silenzio per piangere i tuoi morti. Silenzio per piangere i tuoi errori e la tua cecità. Tutto ti passa davanti ed è questo dolore che ti fa sopravvivere. Perché è la consapevolezza che questo dramma sia diventato un dolore troppo grande per le tue spalle a darti la forza di andare avanti.  Ancora una volta.

“Fuggi Dottore.” Gli intimi squadrandolo attraverso la pioggia che gli inzuppa i vestiti, mentre lui ti osserva un attimo prima di svanire tra le macerie.

“Fuggi Dottore!” Gli gridi contro con tutta l’anima e l’aria e la forza che hai in corpo. “Fuggi.”

Cadi a terra.

Sangue e carne. È questo quel che sei. È questo quel che è rimasto.

Koschei e Theta. I migliori amici. I migliori Signori del Tempo sono morti in una guerra senza vincitori.

La guerra del Tempo: la più gloriosa di tutte le guerre. La madre di tutte le follie che vi ha visti nascere insieme quel giorno.

Il Dottore e il Maestro. Gli opposti che il Destino ha voluto legare.

Cadi in ginocchio.

Piangi.

Koschei è morto. Gallifrey è morto. Lunga vita al Dottore!







Angolo dell’autrice
Bene. Innanzitutto un saluto a tutti! Sono nuova da queste parti - a dire il vero questa fic rappresenta il mio esordio nel fandom- anche se si tratta di un vecchio lavoro che ci tenevo particolarmente a pubblicare. Ho aggiunto l’avviso OOC perché mi rendo conto che i personaggi potrebbero apparire un po’ distorti, anche se penso che in questo caso sia la situazione a richiederlo. Si va un po’ alla ricerca delle origini della rivalità Master\Doctor. Sono consapevole della presenza di discrepanze, come ad esempio il fatto che inizialmente il Master non sa della morte di Gallifrey, ma prendetela un po’ come una licenza poetica. Il resto è a vostro giudizio.  Naturalmente io non ci guadagno nulla a scrivere queste cose e i personaggi descritti non mi appartengono.
Un saluto a tutti
Whiteangel
  
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