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Autore: Ilya_R    01/08/2012    2 recensioni
Siamo a due anni dalla fine della guerra contro Loki e i Chitauri. Pepper è morta da poco in un terribile incidente, ma la vita degli Avengers continua senza sosta tra una missione e l'altra. Una notte una misteriosa ragazza viene trovata svenuta e ferita davanti all'ingresso della Stark Tower...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Fury, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Veloce nota: questa fanfic è venuta fuori da un sogno decisamente molto figo che ho fatto recentemente, quindi se troverete OOC, personaggi inesistenti e incoerenze, chiedo veramente perdono. Comunque sia la voglio dedicare al mio subconscio. Ti amo. Voglio sognare Robert Dawney Jr tutte le notti se possibile, grazie v__v Buona lettura, spero che piaccia!




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Catherine serrò i denti e affondò le mani nude nella neve, la pelle livida, il dolore così pungente da farla lacrimare. Impiegò solo qualche secondo per recuperare l'orecchino, ma questi bastarono perché perdesse totalmente il controllo del proprio corpo, ormai in preda agli squassanti tremori del freddo e della febbre. Tuttavia riuscì ad alzarsi strisciando la spalla sul lurido muro di cemento.
Nonostante la sua percezione del mondo divenisse ogni istante meno chiara e sempre più vorticante, rimaneva ancora un'esiguo rimasuglio di lucidità che la costrinse dittatorialmente ad accogliere l'idea di rimanere sui propri piedi. Il suolo e la perdita di conoscenza non erano un'opzione.
Ingoiò l'amaro con un gemito quando si rese conto di una vistosa macchia di sangue sul bianco candido, proprio lì, dove poco prima era inginocchiata in cerca dell'oggettino cadutole dalle dita. La ferita si era riaperta e lei non aveva nemmeno lontanamente l'energia necessaria per provare a forzare la rigenerazione della carne danneggiata.
Finalmente si staccò dal muro e mosse qualche passo, la fretta di levarsi dalla circolazione ancora come priorità assoluta nel suo cervello che ormai agiva totalmente distaccato dal resto del corpo.
Uscì dal vicolo e una sferzata di vento gelido misto ad una nebulosa coltre di pesanti fiocchi di neve la fece barcollare. Da quel momento non riuscì più a fare caso a nulla, nemmeno alla strada deserta in quella tremenda notte di tormenta. Si preoccupò solamente di spingere la propria massa contro il denso gelo nel quale le sembrava quasi di dover nuotare.
Andò avanti così, arrancando, per un tempo indefinibile, gli arti ormai mossi soltanto dalla forza della disperazione, le lacrime di dolore e paura quasi congelate sul viso nell'atto di rotolare ai lati dagli occhi. Fino a che non si rese conto di trovarsi proprio dove voleva essere.
Le sgargianti e sfacciate luci della Stark Tower la abbracciarono proponendole il conforto dell'oblio e la fecero scivolare dolcemente in un mondo vuoto, nullo e totalmente calmo.



Tony finì di sorseggiare il whisky ma non staccò le labbra dal vetro del bicchiere, distratto da un qualche pensiero che fece perdere le sue iridi scure tra le trame del muro in fronte a lui.
Da quando Pepper se ne era andata, si trovava come in un perenne stato di trance, mai veramente certo di essere lucido e sobrio. Non aveva mai pianto, neanche una lacrima, e nemmeno aveva avuto particolari sfoghi di rabbia contro dei o entità del caso per la morte della donna, aveva soltanto cominciato a bere più di quanto avrebbe dovuto. E dormiva poco, troppo poco, ma quasi non se ne rendeva conto. Il suo stesso lavoro pareva essersi bloccato per lasciar spazio a quella sorda e solitaria apatia, conseguenza diretta di un precedente periodo di profonda disperazione.
Nessuno degli Avengers era riuscito a farci nulla, anche perché alla fine dei conti lui il suo dovere di Iron Man continuava a farlo senza farsi pregare. Quando era necessario indossava i panni del supereroe e raggiungeva i compagni in missione, nessuno poteva riproverarlo, ma i suoi contatti con il mondo esterno, oltre a qualche insistente invito a farsi una bevuta da parte di Steve o di Bruce, finivano li.
«Signor Stark, la signorina Werber chiede di poter salire.» L'elegante voce di Jarvis tagliò il silenzio in modo fastidioso, e Tony reagì con una smorfia sofferente.
«Non ci sono.» La bocca andò da sola e lui non fece nulla per fermarla. Non aveva voglia di vedere nessuno in quell'ennesima serata di approfondimento della relazione tra lui e la bottiglia di liquore, men che meno un'imbranata segretaria in prova con la seccante mania per i profumi fruttati. Storse il naso solo al pensiero di venire investito da una di quelle spesse zaffate di lampone.
«Signore, la signorina Werber insiste.»
«Passala all'altoparlante.» Tony crollò la testa prima di rispondere con voce roca. Almeno in questo modo avrebbe potuto evitare di vederla di persona. Passarono solo due brevissimi secondi e poi la voce della ragazza invase l'aria scucendo al milionario uno sbuffo esasperato.
«Signor Stark! Signore, sarei venuta su, non c'era bisogno di...»
«Che vuole?» Sbottò bloccando il fiume di parole sul nascere. L'altra fece una pausa, breve ma comunque troppo lunga per i gusti del moro che fece quasi per prendere fiato e rincarare.
«Ecco... c'è una ragazza all'ingresso...»
«Ce ne sono sempre di ragazze al mio ingresso. Mi dica qualcosa di nuovo.»
«È svenuta signore, sta male e...»
Tony piantò un grugnito di pura irritazione. «Oh, gesù! Le servo io per chiamare un'ambulanza, Jane?!»
«Il punto è che lei...» La voce della donna risultò visibilmente incrinata, come se fosse sull'orlo di scoppiare a piangere e lui non poté che alzare gli occhi al cielo, un vago senso di colpa che si faceva strada nel petto.
«Mi dica solo il punto, signorina. Che.cosa.centro.io?» Scandì le parole come si fa con un bambino piccolo che fatica a seguire il senso di discorsi complessi e quindi rimase in silenzio, sperando con tutto sé stesso che l'altra si muovesse a chiudere la comunicazione.
«Mi aveva detto di avvertirla io stessa se fosse arrivata una certa Catherine Jacey... e... è qui signor Stark. È la ragazza.»
Gli andò di traverso il sorso di Whisky che si stava concedendo. Tossì con forza tentando di riprendere fiato mentre l'informazione appena ricevuta entrava in circolo tra i suoi neuroni. Si aspettava tutto, meno che quello.
«Come fa a sapere che è lei se è svenuta?» Un giusto dubbio, un ultimo sprazzo di logica prima che la convinzione prendesse del tutto il controllo della mente.
«I... il documento... l'aveva addosso...»
«Non si muova dall'atrio. Niente ambulanze. Chiami Fury. Ora!»

La ragazza sembrava corrispondere perfettamente alle fotografie del dossier che ora scorrevano davanti agli occhi di Tony sullo schermo olografico. Capelli ricci scuri, lineamenti europei, fisico longilineo e non troppo alta, ventisette anni. Le immagini erano poche, parecchio sgranate come se il soggetto rappresentato fosse un fantasma impossibile da immortalare con precisione. In compenso però le informazioni scritte erano molto dettagliate. Sembrava essere apparsa da un giorno all'altro: la prima voce del dossier risaliva a undici anni prima, i suoi diciassette, e recitava testualmente "Trovata svenuta e gravemente ferita sul ciglio della statale ---- in Texas dalla forza di polizia locale. Nessun documento, nessuna impronta digitale e apparente totale perdita della memoria. Impossibile ricollegarla a qualsiasi volto noto nei database. L'unico dato certo è la pronuncia dell'inglese: dimostra un forte accento francese." E da quel punto in avanti era un susseguirsi di fatti spiacevoli, per lo più di violenza da parte della ragazza stessa. Una fedina penale degna di un mafioso, tra aggressioni, rapine e altre simpatiche cosette.
«Un peperino la fanciulla.» Commentò ad alta voce con un mezzo ghigno interessato dipinto in viso. La cosa più interessante però arrivava dopo. Perché nel dossier esisteva una voce "Poteri identificati nel soggetto". E anche qui la lista era bella pasciuta.
A guardarla con occhio scientifico pareva che la ragazza fosse in grado di interagire direttamente con quasi ogni forma di energia, cosa che non implicava solamente la capacità di generare raggi distruttivi accumulandola in un punto, era anche in grado di usarla come una sorta di radar con una sfera d'azione completa o di fare altri trucchetti interessanti legati alle proprietà fisiche del suo elemento di controllo. Arrampicarsi sui muri usando l'elettricità statica, ad esempio, ne era un'applicazione decisamente originale.
Non era difficile intuire il motivo per cui lo S.H.I.E.L.D. le stesse alle calcagna da così tanto tempo. Il vecchio mono-occhio doveva essersi fatto parecchi piani su un elemento del genere e Tony si trovò pure ad ipotizzare che avesse intenzione di farla entrare negli Avengers. Di certo non avrebbe avuto problemi ad ambientarsi, tra tutti i membri della squadra, il suo non era il background peggiore che avesse visto.
Con un gesto rapido dato da tre dita sul monitor, il milionario fece sparire i file aperti dentro una cartella che era apparsa apposta nell'angolo inferiore destro del rettangolo luminoso.
«Jarvis.»
«Si, signor Stark?»
«È ancora priva di conoscenza?»
«Si, signore, ma le sue funzioni vitali si sono stabilizzate ad un velocità considerevole secondo il dottore.»
Rigenerazione accelerata. Anche quello era segnato tra le capacità a disposizione della ragazza.
«Se arriva Fury, avvertimi.» Pausa. «E poi fagli avere delle pantofole. I suoi anfibi lasciano quegli orribili segni sul pavimento tutte le volte.»
«Si, signore.» Solo uno dei tantissimi piccoli particolari che lo irritavano della presenza del capo dello S.H.I.E.L.D. in casa sua. E oggi aveva scelto quello per convincere Jarvis a reggergli il gioco. Non che l'intelligenza artificiale andasse convinta in qualche modo, ma era impossibile pensare che lo smisurato ego di Anthony Stark si perdesse una sola occasione per fare del sarcasmo gratuito.
Lasciò il laboratorio dal quale si era messo a leggere il dossier per incamminarsi verso la stanza in cui la sua ospite era stata portata, una di quelle degli appartamenti pensati per accogliere gli altri supereroi in caso di necessità.
Solo il Capitano comunque aveva deciso di usare il suo come fissa dimora, gli altri andavano e venivano continuamente mentre Thor, giustamente, non occupava mai il suo, quindi ce n'era sempre più di uno libero. Quello scelto per lei era quello dell'agente Romanoff che, anche se si fosse improvvisamente presentata, avrebbe sicuramente preferito condividere la camera con l'agente Barton quindi non ci sarebbe stato alcun problema di posto.
Dopo aver percorso una mezza dozzina di piani in discesa, mollò l'ascensore e continuò a piedi. Gli appartamenti erano come cinque spicchi della sezione della Stark Tower e quello di Natasha era il secondo in senso orario. La porta era aperta e un piccolo gruppetto di persone sostava sull'ingresso, tra loro la segretaria Werber.
Tony sospirò vistosamente spingendo l'aria fuori dal naso e preparandosi ad essere investito dall'insistente odore della petulante donna. Sentì le pesche a metri di distanza.
«Signor Stark!» Esclamò l'altra vedendola arrivare. Era giovane, decisamente carina, quasi l'unico motivo per cui Tony l'aveva scelta tra le tante, perché per il resto possedeva un'irritante vocina acuta e aveva la straordinaria capacità di inciampare in qualunque cosa fosse appena lontanamente nel suo raggio di movimento. Poi ovviamente c'era il fatto che era stata l'unica a resistere oltre la prima settimana di assunzione...
«Cosa dice il medico?» Tagliò corto lui, saltando a piè pari i convenevoli e impedendo che fosse l'altra a cominciare.
«Si sta riprendendo molto in fretta, signore.» La signorina Weber lo guardò con soggezione. «Aveva una ferita al fianco molto profonda ma sta migliorando a vista d'occhio. Il dottore dice che se continua così, lui può anche andarsene.»
«Io dico di mandare a casa tutti. Signori!» Tony alzò la voce per attirare l'attenzione della gente attorno a lui. «Lo spettacolo è finito. Arrivederci!» Indicò il corridoio che conduceva all'ascensore per far capire che non scherzava e lasciò che le infermiere e il dottore sfilassero al suo fianco senza quasi degnarli di uno sguardo. Non gli interessavano. Voleva soltanto trovarsi da solo con Catherine Jacey e vedere di carpire il più possibile da una faccenda che gli risultava, se non oscura, decisamente nebulosa.
Si fece strada nell'appartamento seguito dalla segretaria fino alla camera da letto la cui porta era socchiusa. Le infermiere le avevano cambiato i vestiti. I suoi, bagnati fradici e grondanti di sangue, giacevano in un catino accanto alla porta assieme ad un buon numero di bende e stracci, mentre ora indossava una tuta grigia di felpa. Il miliardario non perse tempo a chiedersi come mai, dopo essere stata ritrovata immersa nella neve, la ragazza non fosse stata coperta a dovere sebbene i tremori fossero ancora evidenti.
«Stia qui.» Fermò la Werber all'ingresso e proseguì con passo sicuro nel solo intento di osservare il viso della ragazza più da vicino. «Jarvis, com'è la sua situazione?»
Non sentì la risposta. Anche se è più corretto dire che la risposta gli piombò dritta sul petto stendendolo al suolo e bloccando ogni suo possibile movimento. Le braccia inchiodate al pavimento così come le gambe immobilizzate dal peso di un corpo magro ma incredibilmente forte.
Il sordo dolore che l'impatto con le mattonelle gli aveva provocato in più punti, passò in secondo piano quando incrociò due occhi di un'indefinibile colore misto tra grigio e blu, dalle pupille frementi di una furia e una paura pure, selvagge, ferine. Poi una cascata di ricci neri e ribelli gli piombò sul viso costringendolo a strizzare istintivamente le palpebre e spezzando così quella sorta di incantesimo che l'aveva tenuto con lo sguardo incatenato a lei per due, lunghissimi istanti.
«Piacere, Tony Stark.» Bofonchiò una volta ripreso il contatto visivo e sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza.
   
 
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