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Autore: Ila_Chia_Echelon    01/08/2012    1 recensioni
Raccolta di racconti horror creati da due menti perverse (si consiglia di non utilizzarli allo scopo descritto nel titolo) con parecchi cuori strappati, sangue e per fortuna (o sfortuna) significati non del tutto ovvi e superficiali...a voi l'interpretazione!
Auguriamo a tutti una buonanotte...
Genere: Fantasy, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Piccola noticciola: Qualche tempo fa, leggendo un raccondo di E.A.Poe, mi è capitato di chiedermi se l'assunzione di droghe da parte di questo grande genio influisse in modo consistente sui suoi scritti. Mi spiego meglio: gli allucinogeni creavano mondi totalmente nuovi oppure fungevano solamente da passepartout per le idee più profondamente nascoste nella sua mente? Sono piuttosto propensa per la seconda ipotesi (e non ho affatto voglia di fare ricerche ^^) anche grazie a questo racconto, che è appunto stato scritto sotto l'effetto di un potente allucinogeno: l'apatia post rabbia che annuncia una prossima e alquanto vicina tristezza. Quindi questo racconto è davvero molto intriospettivo, oltre che nonsense.
L'unica cosa che ho fatto io e non il mio cervello in crisi è stato quello di modificare la droga in questione; ho scelto l'LSD perchè è forse l'allucinogeno più conosciuto.
Adesso concludo e la smetto di stufare.
Grazie a chiunque leggerà!
Ilaria.



LSD
Le astrazioni dipinte sui muri cambiano, varia la loro forma, il colore, la misura. Resto incantata dal loro mutarsi, osservarne le evoluzioni è un complicato esercizio di tenacia e concentrazione, ma vinco il mal di testa a favore dell'arte.

Quando la stanza prende a vorticare acquistando sempre più velocità, però, diventa troppo complesso per me restare incatenata sui miei piedi a guardare, perciò mi siedo abbracciandomi le ginocchia.

Sorriso scoprendo di cominciare a girare io stessa, fondendomi con il pavimento della stanza e diventando parte di essa, finchè non mi vomita con un suono gutturale, grottesco, sparandomi verso l'alto.

Mentre mi creò un varco nell'aria vibrante, l'oscurità cala le sue fauci su di me e su ciò che mi circonda. Mi spaventa. Non avevo mai dato una spiegazione alla mia irrazionale paura del buio, ma ora la mia mente pare aprirsi, le membra che costituiscono il mio corpo staccarsi le une dalle altre, rinasco in un'entità virtualmente reale.

Comprendo che il buio è denso, ripiegato su sé stesso, riesco a tastarne la consistenza con le mani e le mie dita si ingarbugliano tra trame di fili scuri e ruvidi. Sono storie sconosciute, mai raccontate, che in qualche modo sento appartenermi.

Ai miei lati vedo fluttuare decine di versioni di me stessa, ma nel momento stesso in cui me ne accorgo implodono, ripiegandosi e aprendo la bocca quanto basta per lasciar fuoriuscire scintille infuocate.

Appena queste toccano terra si trasformano, resto a osservarne l'evoluzione come ho fatto poco prima con le decorazione sulle pareti.

Sbigottita, mi rendo conto che stanno prendendo l'aspetto di zanzare grandi cento volte più del normale e inizio a scappare, ma i miei movimenti sono rigidi, non ho più il controllo completo del mio corpo e quando capto dei clangori metallici provenire da quelle che avevo scambiato per le mie gambe credo che il mio cervello sia stato asportato a favore di una qualche forma di robot.

Non riesco nemmeno più a piangere.

Forse non ho più sangue.

Non smetto di cercare di correre.

Giungo infine ad una porta, mentre i ronzii si fanno sempre più forti ed insistenti, e la spalanco.

Ciò che vedo mi sorprende.

La stanza in cui mi trovo ora ospita un podio vuoto che pare attendere un importante oratore e di fronte ad esso, a meno di 5 metri di distanza, noto che il pavimento si piega in una discesa che crea un'apertura a ferro di cavallo e su cui sono sistemate delle sedie imbottite.

Su di esse siedono persone vestite di veli, volti familiari, mi sorridono.

Che siano maledetti, li odio tutti quanti e mi crogiolo nella mia perfetta misantropia.

Ricomincio a correre, ma il controllo delle mie gambe viene meno del tutto quando sto per superare

il punto in cui l'apertura si piega e precipito.

Atterro con uno schianto e non avverto dolori.

Mi rialzo e mi passò una mano nei capelli. Le mie dita incontrano qualcosa di viscido.

Davanti a me compare uno specchio e con orrore constato che un quarto del mio cranio e ciò che contiene è ridotto ad una poltiglia grigio-rossastra.

Mi passa nella mente per un istante che dovrei essere morta, ma cancello quel pensiero immediatamente.

È evidente che qui non vigono le stesse leggi del posto in cui provengo. Come è chiaro che non so da dove vengo.
Perché non volare allora? Punto un pugno in alto, il braccio destro alzato e i miei piedi si staccano da terra. Che bella sensazione, di leggerezza, libertà.
Ma non dura.
Mi ritrovo in uno spazio angusto, soffocante, ma non è questo ciò che conta. Dalle piccole pareti emergono spuntoni di ferro non altrettanto piccoli. Sono vicinissimi, ho la sensazione che potrebbero infilzarmi se soltanto avessi il coraggio di respirare. Lotto con me stessi, con i miei polmoni che hanno ormai preso fuoco, il desiderio di immettere aria dentro di me è fortissimo, devastante, ma io resisto anche quando sento la vita scivolare via.
Poi, soltanto nebbia.
Mi risveglio con un forte mal di testa e un bicchiere in mano. 
 



 

   
 
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