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Autore: tp naori    02/08/2012    0 recensioni
questa e un'po, la storia della mia vita. anche se vista, in un modo differente. anzi, tutto non è la mia vita. ma qualcosa centra. spero solo che questo corto, sia di vostro gradimento.
ovvio che, siete voi a spingermi a scrivere di più. tradotto:
più critiche, più andrò avanti con questo corto.
Baci, Tp Naori.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il campanello, suono. Lo fece per tre volte di fila. Mi sollevai dal divano, stanco per un’altra giornata di lavoro. Che mi aveva lasciato secco, sul divano. Andai a vedere dalla finestra, chi fosse.
Quello stupido, stavo dormendo. Possibile che non mi e concesso, neanche quello!?.
Soffocai un “caz” quando notai, che al mio campanello. C’era Roby.
Periferia Milano, vicino alla Barona di Milano. Dei magazzini, erano stato venduti, o meglio dire svenduti.
Al migliori offerenti. Col tempo, grazie anche al lavoro. Trasformai quel magazzino, in un bel Loft. Il soppalco, costituiva la mia camera. Mentre sotto c’era sala, cucina e bagno.
Lavoravo in fabbrica. ed ero l’unico della mia età, non che i miei diciotto anni si vedano bene.
La gente mi da trent’anni a vedermi, la prima volta. Ero l’unico, di quella età a lavorare li. Gli altri per di più erano marocchini, africani, pakistani.
Qualcuno era italiano, ma era abbastanza vecchio da non poter fare niente. Ero il futuro dell’azienda.
Che lavorava il ferro, per di più. Il mio orario, era entravo la mattina presto. Finivo il tardo pomeriggio, a volte anche alla sera. Se c’era un lavoro abbastanza grande, con una scadenza abbastanza vicina. Più o meno, svariavo dalle undici ore giornaliere. A volte  coprivo, qualcuno. Soprattutto quelli italiani, mi facevano pena. La schiena a pezzi, andavano avanti per forza di inerzia. Quindi arrivavo anche a coprire tredici ore. Si tornavo a casa stanco, ma almeno ne valeva la pena. Potevo trasformare, la mia casa in di più con quei soldi. Renderla migliore. Qualche miglioria, già c’e l’avevo in mente. Tipo un bel lampadario, pendente in mezzo alla sala. Il prezzo, era alla mia portata. Dovevo solo, aspettare che mi pagassero. Poi il gioco era fatto.
Il campanello suono, un’altra volta. Questa volta fu, più prolungato del solito. Ignorandolo, mi preparai una colazione molto lunga. Mentre mangiavo i biscotti, avevo come sottofondo il martellante rumore di quel campanello. Iniziai ad odiarlo letteralmente. Non potevo staccare, la corrente, il contatore era fuori. C’era il rischio che mi vedesse. Speravo solo, che avrebbe capito che non ero a casa. O che, forse non avevo voglia di parlare con lei. Che a proposito, non so come mi abbia fatto a trovare. Non c’e da sorprendersi Roby, e una ragazza sveglia. Ovviamente Roby, sta per Roberta. Onore di cronaca. Continuai cosi, rumore del campanello mentre io mi facevo una doccia. Ancora rumore, del campanello mentre io mi lavavo i denti. Più andavo avanti, più odiavo lei e me stesso. Non so il perche odiassi me stesso. Ma il perche odiavo lei era evidente. Mi stava rovinando l’unica mia mattina libera. Nella quale volevo andare in centro a Milano. Fermarmi alla Mondadori, e sperare di leggere un libro in santa pace. Magari comprarne un paio. Visto, che io amo i libri. Al piano di sopra, io lo chiamo cosi. Ma in realtà e un soppalco. Affianco a mio letto, c’e un intera libreria piena di libri. Alcuni già c’e gli avevo, prima di arrivare li ad abitare. Altri con i mesi, a venire hanno riempito gli scaffali. Non so perche leggevo, tanto. Forse perche il leggere, aumenta la mia voglia di scappare. Rinchiudermi in me stesso, da persona socialmente instabile. Non ho molti amici, alcuni. Quasi tutti mi salutano, ma non condividiamo niente. Sono io che non glielo permetto, più che altro. Perche loro, sono quel tipo di persone che si sentono in. E che quindi, il loro unico argomento deve essere la moda. Ecco perche, non sopporto i miei vicini. Amo molto di più, quelli che vengono a lavoro con me. Ecco, perche forse sono l’unico che vado a lavoro. Con il sorriso a ventiquattro denti. Gli altri, sono tutti mogi. Un’altra giornata di lavoro? Chi me lo fa fare. Sembrano dire le loro facce.
Il campanello suono, un’altra volta. Volevo finire l’ultimo libro di Fabio Volo. Ma niente, come potevo con quel rumore infernale. Andai alla porta. L’apri di colpo. Mi trovai faccia a faccia, con la donna che era diventata Roby. Me la ricordavo, con i lineamenti del viso tondi, indice di adolescenza appena iniziata. Ora era alta, portava una bella maglietta, ed un maglioncino sopra. Sotto una bella gonna, metteva in risalto, le sue infinte gambe.
“potevi, rispondermi prima” disse Roby, un po’ furiosa con me. C’era da aspettarselo, che avrebbe reagito in quel modo. Speravo, vivamente che lei fosse incazzata con me. Per il mio gesto, tanto da andarsene a seduta stante. Non che io la odiavo, più perche sapevo perche era li. Davanti alla porta di casa mia. Qualcuno della mia famiglia, l’avrà pregata in ginocchio di tornarmene a casa. O forse.
“quando mi avevi detto, che ti piaceva Milano. Non mi avevi detto, che ci venivi a vivere a Milano.” aggiunse Roby, visto che io non parlavo.
Si, in effetti. Gli avevo detto cosi, anche perche nel mio profondo. E dico profondo cuore. Non volevo abbandonarla. Era successo, quella volta quando la beccai in centro. O meglio lei mi becco, in centro. Io me ne stavo, comodamente seduto su una panchina. Era tarda sera, me lo ricordo. Anche perche non c’erano vecchi in giro. Di solito, sono loro che animano il centro della città dove abitavo prima. La sera tocca hai giovani, c’erano un sacco di Pub. Dove ci si poteva riunire. Io preferivo, starmene li su quella panchina. A farmi cullare dai miei racconti. Perche si scrivevo, mi piaceva farlo. Era uno sfogarsi continuo. Visto che scrivevo, giorno e notte. Mi sfogavo, per la necessità. Di dar sfogo, alle mie emozioni. Sono un tipo, che si tiene tutto dentro. Sopporta tutto, con coraggio e va avanti. Poi ho scoperto, che la scrittura fa miracoli. E fu allora, che pensai. Si forse. Posso uscire da questa merda. Più o meno e andata cosi.
“Luca, che ci fai qui?” mi domando una Roberta, in tiro per uscire. Quando dico, in tiro. Dico: tacchi alti, ed un vestitino, trucco e un po’ di profumo.
“nulla” rispose, con l’aria di uno che vuole nascondere qualcosa. Istintivamente, portai il mio taccuino, fuori dalla portata degli occhi di Roby. Lei noto, quello strano movimento del braccio. Ma non disse niente.
“come nulla, stai seduto qui. Solo.” fu quel solo, detto da Roby. A farmi preoccupare. So, che lei e una che e disposta a tutto per aiutare gli altri. Quel solo, mi aveva dato l’allarme. Ora Roby, avrebbe cercato di scavare negli ultimi anni, in cui non la vedevo. Per cercare il motivo, di quel “Solo”. 
Ed io, in principio non volevo deluderla.
“non e che mi piace molto l’alcool” risposi io, sinceramente e cosi. Poi che ci fosse un altro motivo. Questa e un’altra storia.
“potresti far finta, come fanno tutti.” disse Roby, con fare evidente. Lei era fantastica, da ogni punto la si guardava.
“potrei ma stasera no” risposi io.
“hai da fare, no?” domando Roby. Indicando il mio braccio.
“che scrivi?” aggiunse la stessa Roby. Io mi feci muto. Poi con coraggio dissi.
“tutto, quello che mi passa per la testa”.
“potrei leggere, quello che ti passa per la testa?” mi domando Roby, curiosa.
“no” rispose io.
“solo perche fai, degli errori. Sbagli le virgole e tutto?. O perche c’e dell’altro.” mi disse Roby. A quel punto la guardai, come chiedergli come sapeva.
Il punto è, che scrivo su un sito. Le mie storie, ed anche a volte poesie. Probabilmente Roby, deve aver capito che c’ero io dietro, alcune di queste storie e poesie. Il come, ancora mi sfuggiva.
“da quand’è che lo sai?” li domandai invece io.
“buff, da una vita. Solo che non ti vedo da una vita. Quindi come facevo a parlartene” rispose Roby.
“parlare di cosa?” li domandai.
“di, quanto sei bravo. Tralasciando gli errori.” disse Roby.
“ci sto, lavorando” risposi io, come a scusarmi.
“sai, quanto me che hai bisogno di qualcuno. Per riuscirci.” disse Roby, facendomi notare che ancora una volta lei sapeva tutto. Si, ma sta volta ero stato io a darle quella informazione. non c’era arrivata da solo. Anzi, non c’era arrivato nessuno. Solo il mio psicologo.
“non ti ho detto, che sono Dislessico. Solo perche tu, lo possa usare contro me.” gli spiegai io.
“usare contro te?” mi domando Roby, non capendo ciò che intendevo.
“si, usare contro me. Quello che mi vuoi in realtà, chiedermi. E se tu puoi aiutarmi. Dimmi, non e cosi?” ci avevo azzeccato, Roby era cosi altruista. Tanto da far schifo agli egoisti.
“e cosi. Perche non vuoi?” chiese Roby, ancora non capendo.
“non so, vediamo. Hai un ragazzo” li feci notare io.
“e allora” rispose Roby, con lo stesso tono.
“magari ci nascondiamo da lui, mentre mi aiuti. Lui che penserà poi?” li domandai.
Odio, il suo ragazzo.
“ci parlo io, gli spiego tutto.” rispose Roby.
“cosi leggera, tra le righe. Che sto facendo finta, mi sto inventando tutto per passare del tempo con te.” risposi io risoluto.
“e allora, quindi?” mi domando Roby, forse l’avevo convinta a starmi alla larga.
L’amavo, e per me e più una sofferenza che altro. Primo a un ragazzo, mi bolle il sangue al solo pensiero. Secondo, gli occhi che ti mostrano pena. Non potranno mai mostrati amore. Di questo ne ero convinto. Non posso cambiare, passato, presente e futuro. Posso solo accettare il continuo delle cose. Accettare ogni giorno, e quello che mi presenta.
“nulla, tu non mi aiuti” risposi io.
“magari Federica.” propose Roby.
“si, magari. Lo senti le stronzate che dici.” rispose io.
“dio, vorrei solo sapere che ti ho fatto. Perche non vuoi più vedermi?.” mi domando Roby, sull’orlo delle lacrime. Perche lei era una cosi, che piange per gli altri e mai per se stessa. Lo so, che questo conferma il fatto che sia altruista. Lo sto, solo dicendo. Per render più l’idea.
“non hai fatto, nulla tranquilla. E poi io non ti evito. E che sono stato impegnato, in questi mesi.” confermai io. Quello che già Roby, sapeva. Probabilmente, avevo passato gli ultimi mesi, su quel taccuino.
“immagino, ti piace molto scrivere?” mi domando Roby, lasciando le lacrime a poco fa.
“e come, se avessi la sensazione che fossi, nato per questo.” risposi io, forse lasciandomi andare. Anche un po’ troppo direi.
“e la stessa, mia emozione. Di quando viaggio. Sono, stata a Firenze. Per dirla tutta. E una città, stupenda. Piena di arte, ti giri e puoi ammirare un opera. Ti giri dall’altra parte, ed ecco spuntare un’altra.” disse Roby.
“anche, quando ammiri un opera d’arte.” li feci notare io.
“già hai ragione” aggiunse Roby.
“mi piace molto Milano.” non so, perche lo dissi. Forse, perche a quel tempo. Pensavo seriamente, di trasferirmi li da solo.
Il fatto e che, i miei non hanno accettato il fatto che io sia dislessico. E quindi ciò che ne comporta. Io stesso, ho dovuto rinunciare a delle cose. Tipo all’arte, amore che condividiamo io e Roby. Perche andare, all’artistico, il liceo artistico. Avrebbe richiesto, un aiuto. Non potevo chiederlo a Roby. Non potevo, non permetterli di fare quello che ora fa. Senza di me. Non potevo prechiudergli, quel portone di esperienze. Già dall’inizio. Cosi scelsi una scuola a casa. Ci andai, e fini per studiare meccanica.
Ancora oggi, mi ripetono “Luca, fai a buttare la spazzatura.” qui, nulla di poco da sottolineare. Sottolineo solo il fatto, che me lo ripetano cinque o sei volte. Come se io non fossi capace di intendere e di volere. Mi da fastidio, tutto. La mia merda di vita, gli occhi delle persone. Che vedono in me. La disperazione di un ragazzo. Che non e riuscito a fare, ciò che li piaceva fare. Per una scelta o per l’altra.
Sono nato cosi, l’unico modo per andare avanti e accettarlo. Ho ancora l’amaro in bocca, però grazie allo scrivere o fatto dei passi avanti. Ero rimasto, ancora con l’amaro. O se preferiamo, alla tristezza del giorno in cui il mio psicologo mi disse “non puntare troppo in alto, nella tua vita” lo disse come ammonimento. Fu quello a tagliare le gambe, del ragazzo sveglio nel suo mondo. Ma non in quello degli altri. Ben presto, dovevo subirne le conseguenze. Mi isolai, con la speranza di non diventare pazzo. Col tempo, sviluppai un certo talento. Nell’assorbire tutto. Rimanendo solo, avevo un certo controllo su di me. Maggiore, di quando parlavo con gli atri. Che alla fine, finirono per evitarmi. Ecco, il perche io stia su di una panchina. A tarda sera, da solo. Non in un Pub con qualche bella ragazza. A parlare dei miei progetti futuri. Tanto so, che il mio futuro. Qualunque esso sia, non sia un grande futuro. O almeno speravo, che la scrittura costituisse un’occasione per riuscirci. Ma mi trovai, ancora davanti un’altra difficoltà. Essendo io un dislessico, per prima cosa: non mi ricordo quello che leggo. Quindi mi e impossibile leggere, libri. Non che io non riesca a leggere l’italiano. E solo che non me lo ricordo. E quindi inutile, leggere tanti libri. Si, gli esperti dicono. Ma io dico di no. Ho notato che con il tempo, riesco a ricordarmi certe righe di alcuni libri. Si li devo leggere tipo dieci volte. Ma almeno ricordo qualcosa. Non e male, se ci pensate. Poteva capitarmi di peggio. Gli esperti, consigliano anche qualcuno che aiuti questa persona. Tipo insegnate di sostegno. Io, feci di tutto per non averla. Ed i miei me lo concessero, anche perche secondo loro. Era meglio non comportarsi come se io fossi, dislessico. E più facile, pensare di essere stupido. Cosi da conservare una possibilità di miglioramento. Ma anche nelle persone, più testarde. Questo pensiero inizia a vacillare. Soprattutto quando, con tutto l’impegno del mondo. Non hai un netto miglioramento. Si studiando con schemi, e riassunti. era tutto più facile per me. Ma al massimo arrivavo alla sufficienza. Non abbastanza, per andare ad un  liceo. Senza aver l’etichetta, di persona stupida. Non volevo rendermi, ridicolo davanti a Roby.
La stessa, ragazza che guardava la mia nuova casa. Con tanto interesse.
“bhè, me lo sono dimenticato. Ha importanza?.” li chiesi io, facendo finta di niente.
“come se ha importanza. Certo che c’e l’ha. I tuoi genitori, non sanno nemmeno dove abiti. Ti pare, normale questo.” rispose Roby, arrabbiata. Come faceva, a stare dalla parte dei mie genitori. Ah mia madre, e i suoi manicaretti. Sono capaci di stregare tutti.
Mi mancano.
“non che io sia normale.” risposi io. Sconfitto.
“la dislessia, non indica che tu sia non normale. Hai solo questo problema…”
“si certo, domani mi sveglierò e sarà tutto diverso. Dimmi, ancora credi a Babbo Natale, alla Fata dei  Dentini” sbottai io.
“la verità e che io, non posso fare ciò che fai tu. E questo quello che mi fa più male” risposi io.
A quel punto, Roby inizio a ridere.
“mi pigli, per il culo. Guardati intorno, hai una casa tutta tua, hai un talento nello scrivere. Sono io, che provo invidia per quello che hai. Non tu.” rispose Roby.
“immagino, che ora vuoi entrate?” le domandai. Tanto per esserne sicuro. Magari, se ne andava subito.
“perche non vuoi?” rispose Roby “mi nascondi qualcosa?” aggiunse.
“si, un cadavere nella cantina” risposi io, facendomi da parte per farla passare.
Quando Roby, entro. Ebbi la sensazione, di essere felice che fosse a casa mia. Lei invece, si limito a perlustrare la mia casa.
“come hai fatto?” mi domando curiosa da morire, l’invidia si vedeva. Ma era di quelle, sane.
“ho comprato, un magazzino. Poi, mano a mano che mi pagavano a lavoro. Iniziavo a comprare, cose. L’ho trasformato cosi, questo magazzino.” spiegai io.
“sembra la casa di un artista, che lavoro fai?” domando Roby, guardando alcuni quadri appesi alle pareti di vetro. Che costituivano il tetto.
“in fabbrica” risposi.
A quella risposta, Roby si giro sconvolta.
“in fabbrica” ripete, quasi a non crederci.
“che c’e, e un lavoro dignitoso. Non si dice mica, che tutti i lavori siano dignitosi.” dissi io, facendoglielo notare.
“si, per l’amor di dio si.” rispose Roby, facendosi un giro per la casa. Sali le scale, guardo tutto il soppalco da cima e fondo. Sembrava, una bambina appena entrata nel paese dei balocchi. Voleva vedere, tutto e subito. Iniziai a ridere.
“perche ridi?” chiese Roby, la sua testa, spunto dal soppalco. “ridi di me?” aggiunse poi.
Annui con la testa “sembri una bambina, entrata nel paese dei balocchi” li feci notare. Non mi rispose, continuo a girarsi la mia casa. Quando fini anche il soppalco, Roby trovo me sdraiato sul divano.
“amo questa casa” commento Roby.
“mi fa piacere” risposi io, sbadigliando un poco.
“dimmi, Luca. Dove scrivi? .Non ci sono tavoli qui, solo in cucina.” chiese Roby, con occhio attento.
Io mi alzai dal divano, la fissai. Non trovando, parole per motivare la mia scelta. Era inutile sognare a occhi aperti. La verità e che non sarei uscito, dalla merda della mia vita scrivendo.
“lavoro, tanto non ho tempo di scrivere” rispose io, con fare logico.
“lavori, tanto per non trovare tempo per scrivere?. O perche ora ti sei innamorato dei soldi?” chiese Roby, innervosita. “dimmi, Luca pensi che io sia stupida, ritardata. Ho notato, tutti i libri che hai in camera” aggiunse Roby.
“amo, solo leggere. Anche se per me e inutile. E allora?” risposi io.
“e lo scrivere?” fece ancora Roby.
“sai perche ho iniziato, a scrivere?” li chiesi io.
“perche ti sfogavi nel farlo.” rispose Roby.
“in parte hai ragione, ma per la maggior parte. Lo facevo per dimostrare, a te ed agli altri qualcosa. Che anche io posso stupirvi. Poi ho notato, che il mio sogno non solo avrebbe deluso me. Ma anche te.” spiegai io.
Roby, mi guardo con fare grato.
“non pensare me, per una buona volta. Guardati, abiti qui solo. E non hai l’aria di uno che sia felice con se stesso” rispose Roby sedendosi affianco a me.
“come hai fatto a sapere che abitavo qui?” li domandai. E sveglia, questo lo so.  Ma questo non spiegava il fatto, di come lei sapesse dove abitavo e tutto il resto. Io ero stato infondo attento. Non avevo lasciato ne prove, ne niente di niente. Nemmeno i miei genitori, sapevano quello che avevo in mente. Quindi Roby, come faceva.
“ho fatto un paio di chiamate, ho cercato in internet. Poi ho letto, di questi magazzini svenduti. Ho pensato, questo e da Luca. Non sapevo, che la tua intenzione. Era cambiare, questo posto.” spiego Roby, estasiata di quello che avevo fatto.
“non mi sembra, quell’impresa che tu dici. Ho solo arredato una casa, la mia casa. Seguendo solo quello che mi piaceva.” risposi io.
“allora quello che ti piace, funziona” disse Roby, sorridente.
Lei mi conosceva bene. E questo mi spaventava, da morire. Roberta, poteva capirmi. E questo, mai nella mia vita mi era capitato. Inizia a credere, che tutto poteva cambiare. Ci ripensai, io sono cosi.
“comunque sul serio, Luca. Torna a scrivere, sei triste senza.” disse Roby, quasi pregandomi di tornare su i mie passi. Ma il mio passato, mi ha insegnato a non tornare su i miei passi. Se no, mi accorgo degli errori che potrei aver fatto. Nel valutare quella o quella situazione.
“mi passerà, come il fatto di amarti.” mi scappo.
Roby, non ne fu sorpresa, non tanto almeno. Era come se aveva capito, qualcosa.
“ecco perche, ti preoccupavi più per il mio ragazzo. E non per te.” esclamo Roby.
“non dovevi, saperlo” li spiegai io.
“perche no?. Quando avevi, intenzione di dirmelo?. Aspetta sono io, quella di:
Ti prego, Amore lenisci il mio dolore.” mi chiese Roby.
Non seppi che dire. Si, c’era lei dietro a tutte le robe che ho scritto. Era lei che muoveva, il mio essere. Spronava me stesso, ad andare avanti. Con la sola, idea di averla. Di poter amarla liberamente. Senza preoccuparmi di quel suo ragazzo, che conosco di vista. Direi che e un coglione. Ma per rispetto di Roberta, mi limito a dire che e carino come ragazzo. E spero, che quella sua aria da demente. Nasconda un animo sincero e intelligente. Lo speravo, veramente. Anche perche, Roberta doveva stare con me. Se fosse cosi. Ma forse lui e meglio, di me. In fondo a Roberta, affianco a se. Io no. Sono qui in questa, casa. Si lei e qui, ma non e sempre presenta nella mia vita. Lo vorrei, veramente. Sembra più un pensiero, gridato al vento. Una pretesa di amore.
“può essere, che hai ispirato la mia vita.” confermai, anche perche ora come ora non avevo voglia di mentire.
“la tua vita, si basa su di me” fece Roby, indicando se stessa.
Pazzia, questa e pazzia. Ma infondo l’amore, si può tradurre come pazzia. Che spinge, uomini e donne ad unirsi. A fare l’amore, per tutta la sera. Folle, desideri di possesso.
“non tutta, solo la parte artistica. Comunque devo, andare a lavoro ora. Se vuoi restare, le chiavi le lascio attaccate alla porta. Se, te ne vuoi andare. Le chiavi lasciamele nella cassetta della posta. La userò per qualcosa almeno” dissi, mentre andai in camera mia. Presi la tuta da lavoro, ed il paio di scarpe antinfortunistiche. Prima che io scesi, dalle scale Roby mi blocco a metà scala. Mi bacio sulla fronte.
“ti, aspetto. Abbiamo tante cose da dirci.” disse.
Usci, dalla porta con il cuore in gola. Non vedendo l’ora che il mio giorno di lavoro finisse subito.
Di cose, da parlare ce ne erano. Probabilmente Roberta ci aveva pensato su, anche molto. Ma sembrava decisa. La lasciai fare, infondo averla a casa. Era già una cosa stupenda, per il mio animo.
Lavorai. Deciso, mettendoci forza. Magari se finivo prima, potevo tornare prima a casa. Mi comportavo da stupido. E tutti, sembrava che lo notassero. Io stesso, mi reputavo patetico in quel momento. Ed il fatto della mia, vita artistica supera tutte le cazzate che ho detto, in tutta la mia vita. Mi preoccupava più, il fatto che avevamo tante cose su cui parlare. A mio avviso non c’era niente, poi se Roby diceva il contrario. Non dubitavo che aveva ragione. Forse si, magari di cose che non mi sono accorto.
Usci da lavoro, in fretta. Era sera. I miei turni, non sono famosi per essere leggeri. Ma guadagnavo, era quello che mi interessava. La notte, non mi ponevo nemmeno la domanda di scrivere. La mia mente, era felice di vedere il letto o il divano. Era il mio cuore, o se vogliamo il mio vizio della scrittura che reclamava di scrivere. Mettevo tutto a tacere con molta fatica. Era come se quel vuoto, lo colmavo con il tanto lavoro. Fino allo svenire. Poi dormivo, e quel buco dentro si allargava sempre di più. Entrai a casa, cercai con lo sguardo Roby. Non la trovai, cosi decisi di andare al piano di sopra. O soppalco. La trovai, sdraiata sul mio letto. Le coperte tutte stropicciate, tanto che in alcune parti era scoperta. La mia libreria sembrava, essere messa a soqquadro. Probabilmente Roberta, non credeva che io avevo smesso di scrivere. Non c’era niente, in quella casa che mi collegava a quel mondo. Solo libri, tanti libri. Alcuni erano per terra. Uno era sul comodino, una piega su di una pagina. Mi fece, capire che quel libro era stato letto da Roby. Sorrisi, senza far rumore. Bacia Roberta, sulla guancia quella che sporgeva dal guanciale del letto. La copri per bene, mi cambiai. Mi feci una doccia, veloce. Senza che Roby si fosse svegliata. Preparai un risotto, ne avevo letteralmente voglia. Un bel risotto, allo zafferano. Mi mancava, da troppo tempo. Preparai la tavola, e mangiai. Misi da parte, un po’ di riso per Roberta lo lasciai nella pentola con il coperchio. Cosi che non si fosse, troppo raffreddato. Mi stavo, comportando come un marito. Ed era strano, non era da me. Io sono sempre, stato indipendente. Io contavo, solo su di me. Il fatto di scappare da dove, ero cresciuto era la prova. E poi il scappare, e legale se si ha diciotto anni. Si certo, il piano lo organizzai a quindici anni. Preparando tutto, cercandomi una piccola casa. Prendere il diploma del lavoro più ricercato ora, quello di meccanico. Potevi lavorare dovunque, anche senza quel cazzo di pezzo di foglio. Non serviva a nulla, dimostrava il fatto che avevo superato un esame. E basta. I soldi, li misi un po’ da parte. Gli altri, li trovai lavorando. Dal meccanico d’auto che c’era nella città dove abitavo. Imparai a saldare. E fu fondamentale, per il lavoro che faccio ora. Rendendomi indispensabile. Non che tutti, qui mi voglio bene. Solo perche lo sia.
“ho dormito, molto?” mi sorprese Roby, era li sulle scale quando me lo disse. La coperta addosso, i capelli tutti arruffati, gli occhi semi chiusi. Quelli che ti escono, quando dormi benissimo e anche tanto.
“la tua faccia, direbbe di si” scherzai io.
“ah vedo, che sei di buon umore. Continua a scherzare se ti va.” rispose Roby.
“un po’ di riso?” li chiesi.
“sai cucinare pure?” rispose Roby, sorpresa.
“bhe si, se non volevo morire di fame.” risposi sarcastico.
“si dai, e da un bel po’ che non mangio. Un bel risotto, spero che sia allo zafferano.” disse Roby, prendendo posto al tavolo. Li portai, il piatto quasi pieno. So bene che le donne, hanno paranoie del tipo. Quanto mangio?, quanto sono grassa. O cose del genere.
Mentre Roberta, mangiava il riso. Io iniziai a pulire pentole e tutto. Con gli occhi di Roby, più aperti ora. Puntati su di me. Visto che cucina, ed il tavolo dove si mangiavano erano nella stessa stanza.
“sei diverso, dagli altri” disse Roby.
“in che senso?” le chiesi io, non capendo dove stesse andando a parare con quel discorso. 
   
 
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