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Autore: ermete    02/08/2012    12 recensioni
"Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.
In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson."

Note: AU!School, con John!tutor e Sherlock!matricola all'Università
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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***Ciao ragazze!!! Non è che vi chiedo scusa... di più!!! Lo so che vi ho sempre abituate ad aggiornamenti veloci, ma tra la OneShot Barafundle (grazie a chi l'ha apprezzata, a proposito <3), il google drive che non andava ed una generale stanchezza, ho iniziato a scrivere questo capitolo solo 3 giorni fa, quindi ecco giustificato il ritardo >.< spero di essermi fatta perdonare con 9002 parole di capitolozzo! Ci sarà un pochino di dramma qui, non uccidetemi perchè ci sarà anche tanto ammmore!!!  Questa volta per il betaggio mi ha aiutato Mrs Teller, quindi mandate i cuoricini anche a lei <3 PS: avendo il google drive sballato ho dovuto usare word... oh ma cos'è sta storia che c'è da correggere tutti gli "a capo"? M'è presa una depresciòn -.- se ce n'è rimasto qualcuno sbagliato provvederò a correggere XD BACIO!!!***

Un valido motivo

Le settimane successive furono puro idillio per entrambi. John e Sherlock passavano assieme tutto il tempo in cui il tutor non era impegnato con il tirocinio, il tutorato e i corsi, ma la cosa degna di nota era che la matricola, senza neanche accorgersene, trascorreva parte delle giornate all'aperto, accettando finalmente i numerosi inviti di John al quale sembrava sempre più difficile dire di no.

Sherlock provò la strabiliante sensazione di essere amato e l'ancora più intensa esperienza di riamare a sua volta. Il suo umore cambiò sensibilmente in positivo, così come aumentarono la qualità dei suoi rapporti sociali e l'efficienza del proprio cervello. Si stupì soprattutto di quell'aspetto: fino a prima che il suo rapporto con John culminasse in una relazione vera e propria, aveva sempre pensato che i sentimenti fossero uno svantaggio ed una distrazione.
Invece, da quell'intensissima giornata di febbraio, notò con piacere che il suo buon umore influiva non solo sui risultati accademici, ma anche sulle deduzioni che effettuava a discapito di persone, eventi e particolari situazioni. E, cosa ancora più importante, erano passati due mesi, e da quel giorno funesto e al tempo stesso provvidenziale, non sentì neanche lontanamente il bisogno di ricorrere alla cocaina per qualsivoglia motivo.
John si sentiva, semplicemente, una nuova persona. Una nuova persona felicemente realizzata, che riusciva a concretizzare i propri numerosi impegni con maggiore slancio, in prospettiva, una volta conclusi, di poter passare il proprio tempo con Sherlock. Si sentiva animato da una maggiore fiducia e da un'incredibile ispirazione, forte delle proprie piccole conquiste con il suo nuovo compagno: gioiva ogni volta che riusciva a trascinarlo fuori dal buio della loro stanza ed esultava quando riusciva a farlo interagire con altre persone. E poi, naturalmente, era felice perchè Sherlock lo faceva sentire tale: non si sarebbe mai aspettato di provare un sentimento così intenso per un ragazzo, per un amico, per qualcuno di così profondamente diverso da lui.
Entrambi amavano i loro baratti: mentre Sherlock lo istruiva su come osservare e dedurre, John contraccambiava insegnandogli come vivere da normale ventenne e come comportarsi in una relazione di coppia. Capitava che John lo rimproverasse per la sua eccessiva possessività e per l'incessante morbosità: certo, gli faceva piacere che gli dimostrasse il suo affetto e ormai non lo imbarazzava neanche più che lo dimostrasse al di fuori della loro stanza. Tuttavia Sherlock, geloso e possessivo all'inverosimile, finiva spesso col manifestare in pubblico delle reazioni fin troppo eccessive che John doveva ritrovarsi a sedare. La cosa positiva era che Sherlock si fidava di John, quindi, dopo il rimprovero, imparava quasi sempre la lezioni e trovava plausibile concludere quella parentesi con una sessione di coccole che entrambi trovavano corroborante e quanto mai rilassante.
Stavano crescendo, individualmente e come coppia: essere partiti con alla base una solida amicizia, aveva sicuramente contribuito a vivere quell'esperienza in modo spensierato e divertente. La loro complicità era già saldamente assodata e non passava giorno in cui uno non ringraziasse l'altro, chi tacitamente, chi in maniera più esplicita, per l'essersi trovati e per aver avuto la pazienza di attendere il momento giusto per dare il via a quella splendida relazione.
Erano felici e sembrava che niente e nessuno potesse rompere la magia del loro rapporto.
Almeno finchè, un giorno, non arrivò una cartolina.
 
Una mattina d’aprile, nella stanza numero 221, un assonnato Sherlock inseguiva un affrettato John sù e giù per l’alloggio universitario: dal bagno alla camera del tutor, dal divano alla scrivania, la matricola lo inseguiva, raccogliendo via via i pezzi che l’altro disseminava sul pavimento.
“John, calmati. La sai a memoria.” lo esortò Sherlock, raccogliendo l’ennesimo post-it sfuggito dal manuale che il tutor teneva in mano: era il giorno in cui John avrebbe dovuto sostenere l’ultimo esame prima di poter consegnare il libretto ed il titolo per la tesi, quindi la matricola si ritrovò ad avere a che fare con un compagno in preda ad una crisi di panico che non sembrava riuscire a sedare in alcun modo.
John rispose con un mugolio prolungato molto simile al lamento di un gatto in calore “Ho lo stomaco sottosopra.” tossì un po’ di tensione, continuando a girovagare per la stanza in cerca di chissà quale appiglio psicologico.
Sherlock continuava a seguirlo fedelmente, fermandosi solo quando vide John recuperare una particolare camicia con l’intento di indossarla: sorrise per quella superstizione che il suo compagno portava avanti fin dal primo esame sostenuto a medicina, durante il quale, dopo averla indossata, aveva ricevuto il suo primo, ottimo, voto accademico. Da quella volta, la indossava sempre, scatenando le prese in giro da parte di Sherlock “Il mio John non potrà che superare questo esame a ottimi voti, visto che ha con sè il suo portafortuna.” bisbigliò nel momento in cui gli si parò di fronte, iniziando ad allacciargli la camicia “Sei sicuro che non vuoi che venga con te?”
John mugolò nuovamente, scaricando in quel modo parte dello stress “Meglio di no.” inspirò a lungo, beandosi della vicinanza così prossima del suo giovane partner “Se venissi anche tu in aula, non riuscirei a concentrarmi al massimo. Sarei troppo distratto.” sussurrò a sua volta, alzando il viso fino a lambire le labbra di Sherlock con dei piccoli baci a stampo.
Sherlock sorrise sotto quei baci, lasciando scivolare le braccia oltre i fianchi della camicia di John, riallacciandogliele dietro la schiena per riuscire ad avvicinarlo a sè “Allora festeggiamo quando hai finito.” gli soffiò sulle labbra prima di riappropriarsene, imprigionandogliele in un bacio ben più approfondito rispetto ai precedenti.
John finalmente si rilassò, tanto che buttò il manuale per terra per poter dedicare entrambe le mani alle cure di Sherlock, al quale carezzò la nuca e lo spazio dietro le orecchie, posti la cui sensibilità era stata confermata più volte da versi molto simili alle fusa feline. Dopo qualche minuto si staccò da quel bacio, ma non da Sherlock, al quale finalmente potè rispondere “Sì, dopo la partita di calcio.”
“La partita di...?” Sherlock sbuffò, ricordando solo in quel momento ‘l’imperdibile appuntamento al quale John non sarebbe proprio potuto mancare’ “John, devi proprio? Non potresti passare tutto il pomeriggio con me? Tanto per cambiare?” piagnucolò, nascondendo il viso nell’incavo tra collo e spalla, divertendosi a soffiare sul viso dell’altro fino a fargli venire la pelle d’oca.
“Sì, Sherlock. Lo sai che ci tengo.” ridacchiò per il solletico causatogli dall’altro, sulla schiena del quale strofinò entrambe le mani “E devi venire anche tu. Quindi preparati psicologicamente.”
“Certo che vengo anche io.” borbottò Sherlock, staccandosi da John ed impettendosi con le braccia intrecciate intrecciate all’altezza del torace “Devo controllare che non ti tocchino. Anzi, cerca di non segnare, o verranno tutti ad abbracciarti per dirti quanto sei stato bravo... non possono dirtelo a parole?” sbuffò, imbronciandosi vistosamente.
John ridacchiò e si mise in punta di piedi per riuscire a baciare quel bellissimo broncio che accentuava maggiormente la particolare forma delle labbra di Sherlock “Ma se segnassi, potrei dedicarti un gol. Le fidanzate dei calciatori impazziscono per queste cose.”
“Le fidanzate, appunto. Io sono un fidanzato.” Sherlock accentuò la differenza, anche grammaticale, dei sessi in quella particolare frase, prima di sciogliere il proprio broncio “Ci sarà anche Sarah?”
John si chinò a raccogliere il proprio manuale al quale aggiunse un quadernone che finì con l’incastrare sotto il proprio braccio sinistro “Sì, lo sai che siamo rimasti amici. Non fare le solite scenate, ti prego.” gli si avvicinò e provò a trascinarlo giù afferrandolo con delicatezza per il bavero della maglietta “Lo sai che sono tuo.”
Sherlock ruotò gli occhi verso l’altro alla conferma di John, ma finì col farsi trascinare verso il viso del tutor al quale sorrise dolcemente “Va bene, cercherò di trattenermi.” gli posò la mano destra dietro la nuca, trattenendolo vicino a sè abbastanza per poterlo baciare nuovamente “In bocca al lupo, John.”
John lo baciò a stampo un’ultima volta prima di allontanarsi “Crepi!” poi si voltò, scavalcando il disordine sparso per la stanza per poter raggiungere la porta “A dopo, piccolo. Fai il bravo.” ammiccò, quindi chiuse la porta dietro di sè.
Sul volto di Sherlock permase un vivissimo sorriso anche dopo l’uscita di John dalla stanza: sospirò leggermente prima di muoversi dalla propria posizione a favore del bollitore elettrico che avviò e il cui borbottio riempì l’ambiente dopo poco più di un minuto dall’accensione.
 
Non passarono neanche dieci minuti quando sentì bussare alla porta della stanza 221. Scosse il capo, parlando ancor prima di aver aperto “Cosa ti sei dimenticato?” chiese a colui che pensava fosse John, ma che si rivelò, una volta aperta la porta, un postino svogliato che gli consegnò quella che aveva tutta l’aria di essere una cartolina precetto. (1)
“John Watson?” domandò il giovane, senza neanche togliersi le cuffie dalle orecchie.
Sherlock impiegò un po’ di tempo per rispondere, poichè tutta l’attenzione di cui disponeva andò a concentrarsi sul foglio che il giovane gli stava porgendo "...sì?”
“Devi firmare.” sbuffò il postino, che gli porse una ricevuta sulla quale Sherlock falsificò in modo eccellente la firma del proprio amico, coinquilino, partner.
“Bon!” si congratulò ironicamente il ragazzo che, prima di andarsene, consegnò nelle mani di Sherlock la posta destinata a John, la cartolina precetto con cui gli veniva comunicato l’avviso di arruolamento nell’Esercito Inglese.
Sherlock chiuse la porta di sè e appoggiò la cartolina sulla propria scrivania con mani tremanti: quei due mesi erano trascorsi così in fretta ed in maniera così idilliaca, che il pensiero dell’arruolamento di John gli era fuggito dalla mente. Guardò quella cartolina di sottecchi, studiandola da lontano come si fa con qualcosa di estremamente pericoloso: si passò le mani davanti al viso ed iniziò a valutare le diverse opzioni da poter mettere in pratica, una più dannosa dell’altra. Sherlock si ritrovò nell’imbarazzante situazione di non riuscire a pensare nulla di utile: non avrebbe potuto nascondere semplicemente quella lettera, o l’Esercito avrebbe accusato John di renitenza alla leva(4), e l’idea di nascondere qualcosa a John non lo entusiasmava egualmente. Tuttavia il desiderio di tenerlo con sè, al sicuro, era più forte di qualsiasi altro campanello d’allarme.
Dopo una mezzora di incertezza e di sfocata lucidità, decise di affidarsi all’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo in quel momento: era riluttante all’idea di chiedergli un favore, ma per John avrebbe fatto l’impossibile. Prese in mano il cellulare e digitò in fretta un sms.
 
Vieni subito qui. Ho bisogno del tuo aiuto. SH
 
Per la Regina, tu che chiedi il mio aiuto. E’ così grave? MH

Sì. Ora smettila di gongolare e vieni qui. Subito. SH

Arrivo. Stai bene? MH

Fisicamente sì, se è quello che ti preoccupa. SH

Prima arriverai e prima potrò spiegarti la situazione. SH

Sono già in macchina. MH

Sherlock si sedette sul divano, appoggiò i gomiti sulle ginocchia ed infilò la testa tra i propri avambracci, iniziando ad esercitare una consistente pressione sulle proprie tempie, provando a scacciare via il mal di testa che gli era scoppiato. Lo distrasse solo il suono del cellulare che gli annunciava un nuovo sms.
 
Sono il decimo della lista! Impazzirò prima! JW

Sherlock non riuscì a non sorridere, nonostante la batosta che lo investì in pieno solo poche decine di minuti prima: tirò sù col naso e rispose al messaggio di John.

Si sgualcirà la camicia prima che sia il tuo turno. SH
 
Cavolo, è vero! Non devo appoggiarmi quando sto seduto! JW

Dovevo portarti con me, almeno sapevo come passare il tempo. JW

Sto conducendo un esperimento, ma se vuoi mollo tutto e ti raggiungo. SH

No, no. Fai pure. Non distruggere nulla, ok? JW

Tranquillo. Ci tengo alla nostra stanza. SH

Bene. Mi metto a ripassare le ultime cose. Ciao gatto, a dopo. JW

Mrew. SH

Sherlock scosse il capo dopo aver inviato la risposta: non avrebbe voluto che tutto ciò che aveva con John finisse. Aveva ormai ammesso a se stesso da tempo che era diventato dipendente da John, dal suo amore, dai momenti passati insieme, da tutto ciò che comprendeva lo stare assieme a lui. Incassò nuovamente la testa in mezzo alle propria braccia, nascondendo il volto, rivolgendolo verso il basso, cercando di calmare il respiro che andava sempre più intensificandosi e che riuscì a sfogare con poche, piccole lacrime che gli inumidirono gli occhi rendendoli, come avrebbe detto John, ancora più belli.
 
Quando Mycroft arrivò di fronte alla stanza numero 221, non si preoccupò di bussare: le porte per lui erano sempre spalancate e, anzi, se ce n’era una che era sempre stata difficile da aprire era proprio quella di Sherlock. Ma in quella circostanza particolare, in quel caso in cui Sherlock gli aveva chiesto aiuto di sua spontanea volontà, si sentì libero di violare quell’ingresso senza ricorrere alle procedure dettate dalla buona educazione.
Richiuse la porta dietro di sè prim’ancora di individuare Sherlock nel silenzio della stanza: poi lo vide, rannicchiato su se stesso, taciturno e appena appena tremolante, col viso nascosto tra le braccia. Lasciò cadere l’elegante trench e l’immancabile ombrello e, incurante delle eventuali proteste che Sherlock avrebbe potuto lamentare, gli si sedette accanto e strinse le braccia attorno alle sue spalle, facendogli sentire la sua importante e significativa presenza.
Mycroft sentì Sherlock trasalire appena sotto la sua presa, ma, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, il minore degli Holmes non si sottrasse e, anzi, sciolse la stretta attorno al proprio viso, appoggiandolo al petto del fratello per nasconderlo parzialmente tra la stoffa del bell’abito classico.
Fu il turno di Mycroft, a quel punto, di sentirsi sorpreso e leggermente a disagio di fronte ai gesti di Sherlock che, per la prima volta in vita sua, gli parve totalmente diverso e illeggibile: una volta ripreso il controllo della situazione, fece vagare lo sguardo lungo la stanza, alla ricerca di qualche indizio. Per prima cosa fu rincuorato di non vedere alcuna siringa ai piedi del divano: visto lo stato in cui aveva trovato Sherlock, pensò che il suo umore fosse figlio di una particolare paranoia dovuta all’effetto della cocaina. Tirò un sospiro di sollievo mentre cercava qualche segno che gli lasciasse intuire a cosa fosse dovuto il malumore di Sherlock, ma non riscontrò nessun segno di lotta, di particolari litigi, nulla di così eclatante da poterlo aiutare a capire cosa stesse provando suo fratello e si sentì nuovamente a disagio nel provare una sensazione di impotenza e di inadeguatezza.
“Sherlock.” ruppe il silenzio, dunque, cercando in suo fratello la risposta a quel dilemma “Cos’è successo? Non ci sentiamo da gennaio, pensavo che non ci fossero problemi, per quello ho preferito non disturbarti e lasciarti i tuoi spazi.” Mycroft sospirò e mentre con la mancina accarezzava i capelli di Sherlock, con la destra provava ad alzargli il viso.
Sherlock si impose di ritrovare l’autocontrollo necessario per affrontare quella conversazione con Mycroft senza uscirne fuori troppo imbarazzato e annichilito: conosceva l’intelligenza di suo fratello e, sebbene fosse convinto che non avrebbe mai utilizzato quel suo momento di debolezza contro di lui, in futuro, per scherno o per gioco, desiderava comunque rimanere al suo livello dal punto di vista razionale. Prese un profondo respiro prima di alzare lo sguardo su Mycroft, dal quale si staccò, riguadagnando la propria seduta sul divano “Mi serve il tuo aiuto.” si schiarì la voce e non potè non notare l’occhiata che il fratello gli lanciò all’altezza delle braccia, all’interno dei gomiti “Non mi faccio più, Mycroft. Puoi stare tranquillo. Te l’ho detto, fisicamente sto bene.”
Mycroft si rilassò sul divano, incurante del fatto che Sherlock avesse notato la propria occhiata, se la risposta che ne conseguì era rosea come quella appena ricevuta “Allora cosa succede, Sherly?” si corresse poi, tossendo appena “Sherlock.”
Sherlock si alzò dal divano e recuperò la cartolina precetto dalla propria scrivania “Mi serve che fermi questa cosa.” tornò seduto affianco a Mycroft, al quale porse il pezzo di carta incriminato “Hai il potere per farlo?”
Mycroft prese in mano la cartolina d’arruolamento e gli bastarono pochi secondi per capire di cosa si trattasse “Ho capito.” sussurrò, rigirandola tra le mani, leggendo il nome di John nello spazio riservato al destinatario “Avevo letto nella sua cartella che aveva già frequentato l’accademia militare, ma non credevo l’avesse fatto con lo scopo di arruolarsi, un giorno.”
“Puoi fermarlo?” domandò Sherlock, nuovamente, smettendo di guardare la cartolina a favore del volto di Mycroft sul quale si soffermò.
Mycroft memorizzò la data di convocazione e gli altri dettagli scritti sulla cartolina prima di appoggiarla sul tavolino davanti al divano: si voltò, quindi, ricambiando lo sguardo di Sherlock che non aveva mai visto così vivo e si riscoprì in parte geloso di John Watson, l’unico che era stato in grado di entrare nel cuore di suo fratello senza alcuna forzatura.
“Mycroft. Hai il potere per farlo?” chiese ancora Sherlock, per poi confessare, in modo che Mycroft capisse fino in fondo il suo desiderio “Stiamo insieme da due mesi.”
“State insieme?” finalmente Mycroft ruppe il silenzio e lo fece con quella domanda retorica che lo fece sussultare “Perchè non mi hai detto nulla?” domandò, per poi aggiungere “E’ grazie a lui che hai smesso con la cocaina?” quindi incalzò “Dov’è lui adesso?”
“Mycroft, calmati, sembri una quindicenne a caccia di pettegolezzi.” Sherlock fermò in quel modo la serie di domande che sembrava non voler finire troppo presto “Sta dando un esame e sì, è grazie a lui se ho smesso. Non ti dico che litigata quando mi ha scoperto. E poi, la sera stessa... è successo.”
Una musica di sottofondo accompagnò le parole dell’Holmes Senior “Dio lo benedica, ti ha fatto smettere. Sapevo che sarebbe stato positivo per te.” commentò Mycroft prima di prendere in mano il proprio cellulare e rifiutare una chiamata.
“Sì, ma Mycroft, è questo il problema.” Sherlock battè il pugno destro sul tavolino, sopra la cartolina “Non posso perderlo ora. Puoi fare qualcosa?”
“Lui non sa ancora che è arrivata la cartolina, suppongo.” Mycroft sospirò prima di alzare la mano destra sulla spalla di Sherlock “Tu vorresti che io trovassi il modo di annullare la sua convocazione, è così?”
Sherlock annuì “Sì. Hai il potere per farlo?” domandò per l’ennesima volta prima di osservare la cartolina con una cattiveria tale che suggerì il suo intimo desiderio di fulminarla col solo ausilio dello sguardo.
Mycroft era combattuto: da un lato, mettendo da parte quella sensazione di innocente gelosia che provava, era felice di vedere in maniera tangibile i sentimenti che Sherlock provava e che lo rendevano lucente e quanto mai umano, quindi, a sua volta, non avrebbe voluto che John Watson partisse lasciandolo nuovamente solo. D’altro canto, non solo capì che finchè lo avesse aiutato a risolvere ogni situazione di difficoltà, Sherlock non sarebbe mai cresciuto fino in fondo, preferendo continuare a scappare di fronte ai problemi piuttosto che affrontarli di persona. A Mycroft premeva che Sherlock crescesse anche dal punto di vista emotivo e, anzi, grazie alla presenza di John Watson si era finalmente presentata la possibilità concreta per riuscire a farlo, quindi decise di mettersi da parte, almeno per il momento “Io suppongo che tu tenga molto a lui.”
Sherlock annuì nuovamente, non riuscendo a capire dove il fratello volesse andare a parare “Sì, proprio per questo te lo sto chiedendo.” ripetè dunque, quasi scocciato.
Mycroft gli sorrise “Vorresti veramente mentirgli su qualcosa di così grande?” alzò la mano verso lo zigomo destro di Sherlock, improvvisando una piccola carezza su quei lineamenti così taglienti, eppur così particolari.
Sherlock rispose in maniera del tutto istintiva, diversamente dalla studiata razionalità che solitamente constraddistingueva ogni suo dialogo “Se servisse a non farlo partire...” si bloccò, tuttavia, accorgendosi dell’errore in cui era caduto. Conosceva John e sapeva bene che un comportamento del genere non gli sarebbe piaciuto e, inoltre, anche lo stesso Sherlock avrebbe preferito continuare quella relazione in completa trasparenza. Sospirò, dunque, osservando la mano di Mycroft che si avvicinava al proprio volto: rimase immobile, lasciandolo fare, quindi rispose alla sua domanda “Non lo so.”
Mycroft nascose con grande maestria le emozioni sprigionate da quel momento di intimità: gli piacque molto donare quella carezza a Sherlock e si sentì come se, in qualche modo, con quella concessione, anche suo fratello gliene avesse fatta una “Avete già parlato di questa cosa? Del suo arruolamento?”
“Non da quando stiamo insieme.” negò Sherlock, abbassando lo sguardo.
Mycroft spostò la propria mano fin sotto il mento di Sherlock, invitandolo a rialzare lo sguardo su di lui “Parlagliene. Magari ha cambiato idea, visto che ora avrebbe una ragione per restare.”
Sherlock rialzò il viso, ma non lo sguardo, nuovamente ancorato alla cartolina “E se avesse una ragione per partire?”
“E lasciarti qui? Dovrebbe essere una valida ragione.” il tono di voce di Mycroft era basso, sia per volume che per colore, desideroso di cullare l’animo inquieto di Sherlock.
Sherlock scosse il capo, fuggendo così dalla mano di Mycroft, il cui polso strinse con forza, a mo’ di appiglio “E se esistesse questa valida ragione?”
“Allora dovrai decidere se varrà la pena aspettarlo.” Mycroft non potè fermare quella frase, troppo pragmatico nel suo stile di vita per non pensarla in termini utilitaristici anche in quel caso: è bene e giusto ciò aumenta la felicità, il resto va lasciato da parte.
Sherlock si stupì di quell’affermazione, tanto quanto poi lui stupì Mycroft con la propria risposta sicura “Certo che ne varrà la pena.”
Mycroft sorrise soddisfatto, ma intuì che c’era qualcos’altro a tormentare Sherlock “Allora...”
Sherlock confermò la tesi di suo fratello interrompendolo subito “Ma se... Mycroft, diamine, andrà in guerra! Potrebbe non tornare!” sbottò, prima di ritrovare una certa dose di calma, quanto meno nel tono di voce “No, no, no.” ripetè quell’unica, pesantissima, sillaba più volte, prima di inoltrare la sua persistente richiesta “Devi fermarlo.”
“Sherlock. Tu fidati di me, parlane con lui.” ripetè Mycroft a sua volta, insistendo con quel suggerimento, desideroso che Sherlock riuscisse ad accettarlo e a metterlo in pratica “Farai sempre in tempo a chiedermi di fermarlo.” confermò, infine, offrendogli un opzione aggiuntiva che, in cuor suo, sperava non dovesse utilizzare.
Sherlock sembrò calmarsi sensibilmente “Davvero?”
“Sì, potrò fermarlo anche il giorno prima della partenza.” annuì Mycroft, per poi dare man forte alla propria tesi “Ma non credo sia la cosa giusta da fare.”
“Mycroft...” sbuffò Sherlock, smuovendo l’enorme massa di ricci neri con entrambe le mani, grattandoli a lungo “I sentimenti sono un casino.”
Mycroft rise di fronte a quell’espressione accigliata incorniciata dai ricci neri che, dopo la strigliata, erano ancora più ribelli “Sì, ma lasciati dire una cosa.” gli si avvicinò ed abbassò il tono di voce, come se gli stesse rivelando un segreto “Non ti ho mai visto così vivo, Sherlock. Sei magnifico, brilli di una luce tutta tua.” aggiunse, poi “Devo proprio ringraziare John Watson, per averti donato una nuova vita.”
Sherlock si imbarazzò per quelle parole, tanto che indietreggiò sul divano, tossendo leggermente. Apprezzò, tuttavia, quel che Mycroft aveva fatto: la sua corsa per raggiungerlo, la sua disponibilità e, infine, proprio le stesse parole che avevano finito con l’imbarazzarlo. Rialzò lo sguardo su di lui dopo qualche istante, sorridendo leggermente “Grazie per essere venuto subito.”
“Sei il mio unico fratellino.” si impettì Mycroft, lisciandosi teatralmente il panciotto sotto la giacca del vestito. Sorrise, poi, addolcendo la propria espressione “Proteggere te e la mamma sono i compiti più importanti della mia vita.”
Sherlock sorrise di rimando, per poi agitare le mani in aria “Ok. Oggi ci siamo abbandonati a fin troppi sentimentalismi.” si irrigidì a sua volta in una postura più austera “Che ne dici, torniamo ai nostri vecchi standard?”
“Mh, sì.” annuì Mycroft, indossando la sua metaforica maschera di supponenza e cinismo “Suppongo sia più divertente.”
Sherlock si alzò dal divano, raccogliendo da terra il trench e l’ombrello che poi offrì a Mycroft “Beh? Cosa ci fai ancora qui allora?”
Mentre si alzava, Mycroft buttò occhiate in tutta la stanza, fingendo una fittissima ricerca di dettagli “Mi diverto a spiarti, ovvio.” si avvicinò poi a Sherlock dalle cui mani recuperò ombrello e trench, per poi avvicinarsi alla porta della stanza “A presto, Sherlock.”
“A non così tanto presto, Mycroft.” salutò a sua volta il fratello al quale schioccò un piccolo sorriso, nascosto dalla sua maschera di supponenza, ma ben visibile agli occhi di Mycroft, che abbandonò la stanza soddisfatto come mai prima di quel momento dopo una conversazione con suo fratello.

Verso mezzogiorno, dopo aver ricevuto un sms da parte di John, Sherlock scese nel cortile adiacente il campo da calcio e, già a diverse decine di metri di distanza, potè riconoscere le urla di gioia del proprio compagno che, già in pantaloncini e maglietta, esultava il superamento dell’ultimo esame accademico.
Quando anche John si accorse della presenza di Sherlock nel cortile, gli corse incontro a braccia aperte, urlando felice “Chi ha appena dato l’ultimo esame? Chi è?” rise poi, liberando tutta la tensione “Sono libero!” festeggiò abbracciandolo velocemente per poi iniziare a trascinarlo in mezzo agli altri suoi amici.
“L’avevo detto che ce l’avresti fatta senza problemi!” Sherlock lo seguì: non era molto a suo agio in mezzo agli amici di John, ma non avrebbe fatto nulla per rovinare quel momento così speciale per lui “Sei il migliore, John.”
Quando John si riunì al gruppo, urlò nuovamente, accompagnato da altri due suoi amici che in quella stessa mattinata avevano superato a loro volta il loro ultimo esame: Sherlock sorrise di fronte alla gioia sprigionata dal suo partner, davanti a quella felicità così esplicitamente manifestata da fargli dimenticare per qualche istante la tristezza provata all’arrivo della convocazione per la leva militare. Fu distratto solo quando sentì qualcuno tossicchiare alle proprie spalle: si voltò e dopo aver sbuffato, si sforzò di salutare “Sarah. Ciao.”
“Sherlock.” ricambiò Sarah, schioccandogli un’occhiata particolare, ormai rassegnata e al tempo stesso divertita di fronte all’antipatia che la matricola provava nei suoi confronti “Come stai?”
“Bene.” s’affrettò a rispondere Sherlock, per poi cercare d’attirare l’attenzione del proprio compagno “Ehm. John?”
Quando sentì chiamare il proprio nome, John raggiunse rispettivamente la propria ex con la quale era felice di aver mantenuto un ottimo rapporto di amicizia, ed il proprio attuale compagno, l’essere umano più geloso e possessivo dell’Inghilterra e, forse, di tutto il pianeta “Ciao Sarah!” le sorrise prima di spostare la propria attenzione sulla matricola “Sì, Sherlock?”
Sherlock allacciò teatralmente le proprie braccia al petto, alzando gli occhi al cielo in un’espressione melodrammatica “Non mi hai neanche dato un bacio quando mi hai salutato.”
John si irrigidì sul posto, prevendendo un ciclone in arrivo: cerco tuttavia di dissimulare quella dimenticanza con finta leggerezza “Ah sì? Scusa, ero troppo preso dalla questione dell’esame.”
Sherlock gli sorrise, fingendo a sua volta un’amnistia che evidentemente non stava per essere messa in atto “Non importa, sei perdonato.” infatti il suo sorriso mutò, da pacifico a malizioso “Dammelo adesso.”
“Adesso?” domandò John, alternando lo sguardo tra Sarah, che si stava godendo la scenetta dal tipico accento pre-coniugale, e l’implacabile Sherlock “Adesso, adesso?”
“Il termine ‘adesso’ ha un solo significato.” ironizzò Sherlock, sciogliendo la presa delle braccia per puntellare le mani sui propri fianchi “O non vuoi baciarmi perchè c’è Sarah?”
John tossicchiò “Effettivamente non sarebbe molto carino farlo davanti a lei.”
“Perchè?” domandò Sherlock, spostando a sua volta lo sguardo su Sarah per qualche istante.
“Perchè è una mia ex.” provò a giustificarsi John, sebbene fosse consapevole che quella spiegazione non avrebbe accontentato Sherlock.
Sherlock arricciò le labbra in avanti, chiaramente oltraggiato da quella spiegazione “Appunto, ‘ex’, dovrebbe essersi messa l’animo in pace, ormai.”
John si sentiva sempre più in mezzo a due fuochi: da un lato Sarah che rideva di nascosto, dall’altro Sherlock in veste di inquisitore “Sì, ma... ci siamo lasciati... si può dire per causa tua, praticamente, quindi non sarebbe molto carino se...”
Sherlock lo interruppe prontamente, precisando la realtà dei fatti con una certa soddisfazione “Vi siete lasciati perchè tu volevi stare con me.”
John deglutì: era così perdutamente innamorato di Sherlock che non riusciva a contraddirlo di fronte a quelle frivolezze “Non fa una piega, ma...”
Sherlock, d’altro canto, si divertiva ad approfittarsene, a volte inconsciamente, molto più spesso in maniera del tutto deliberata “Ma cosa?”
“John, ti prego bacialo.” Sarah intervenne a salvare la situazione: si era divertita a sufficienza, così pensò bene di dare a John il via libera per assecondare il capriccio di Sherlock “Fa saltare i nervi a me, non capisco come possa sopportarlo tu.”
“Perchè è innamorato. Profondamente. Di me.” sottolineò Sherlock, non senza una punta di orgoglio a colorargli il tono di voce “Fatti delle domande e datti delle risposte.”
“E stai un po’ zitto.” John lo interruppe con un bacio che suscitò applausi e gridolini di gioia in tutto il resto della compagnia di amici che li circondava.
Sherlock tenne John stretto a sè anche quando il tutor si staccò dalle sue labbra “Ci voleva tanto?”
“Più tardi te la faccio pagare.” gli sussurrò John a fior di labbra, staccandosi da lui con una lentezza calcolata che lasciava una scia luminosa di malizia che fece rabbrividire Sherlock sotto il suo tocco: si allontanò, quindi, unendosi al resto della squadra di calcio che lo stava aspettando “Fai il tifo per me, e portami fortuna, Shamrock!”
Sherlock annuì ed agitò la mano per salutarlo “Divertiti, John.” lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava alla porzione di prato antistante i confini del campo da calcio: era un’università prestigiosa, ma quella non era una partita ufficiale, quindi dovevano accontentarsi del terreno all’aperto, senza gradinate e panchine. Fu raggiunto da Sarah che gli si sedette accanto, incurante del fatto che fosse d’accordo o meno “Non sentirti in dovere ti starmi appiccicata.”
“Piantala con questo atteggiamento, sù. Sei infantile.” lo stroncò Sarah, alzando le mani fin sui capelli, legandoli con una molletta “Non ti dico diventare amici del cuore, ma almeno riuscire a stare nello stesso quadrato d’erba sì.” sbuffò, per poi aggiungere “Non devi farlo per me, ma per John.”
Sherlock sbuffò, ma il suo silenzio fece capire a Sarah che acconsentiva a quella richiesta.
Quando arrivò al campetto anche il ragazzo che era stato scelto come arbitro della partita, lo scontro iniziò: amici e fidanzate dei calciatori iniziarono a far sentire la propria presenza tifando e applaudendo qualche particolare giocata e la bella giornata primaverile contribuì a rendere quell’atmosfera ancor più rilassante per quasi tutte le persone coinvolte in quell’evento. Quasi tutte: Sherlock, infatti, una volta abbandonatosi nei propri pensieri, riprese a rimuginare sulla cartolina arrivata in mattinata e su cosa sarebbe stato giusto fare.
Il rapporto, prima d’amicizia e poi d’amore con John, lo spinse a fare qualcosa di inaspettato: si voltò verso Sarah, cercando consiglio in colei che fu la sua maggior nemica “Sarah? Posso... chiederti un consiglio?”
Sarah avrebbe senza dubbio voluto rispondergli con sagace ironia, ma quando vide l’espressione seria sul volto di Sherlock, si adeguò alla situazione: era una ragazza molto adulta e responsabile, quindi, nonostante quel ragazzo gli avesse causato una certa dose di tristezza solo non pochi mesi prima, si rese disponibile “Dimmi. E’ successo qualcosa che ti preoccupa?”
Sherlock annuì appena, spostando lo sguardo che seguiva le continue corse di John sul campo da calcio “Lui ancora non lo sa, ma questa mattina è arrivata la cartolina di convocazione per entrare nell’Esercito.”
“Oh.” l’espressione stupita di Sarah, lasciò presto spazio ad una ben più consapevole e, almeno in parte, rassegnata “Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato.”
Sherlock sospirò, staccando con difficoltà lo sguardo da John a favore di Sarah, verso la quale, tuttavia, riportò la propria attenzione “Tu come riuscivi a sopportarlo?”
“Io? Beh... diciamo che ero sicura che non saremmo stati insieme per molto. Già da prima che arrivassi tu.” seguì John con lo sguardo a sua volta, caricando i propri occhi col peso di una malinconica accettazione “Quindi ero preparata all’idea che ci saremmo lasciati una volta che lui fosse partito.”
Sherlock scosse vigorosamente il capo, dando vita ai ricci neri che manifestavano tutta l’elettricità del proprio stato d’animo “Beh, non è il nostro caso. Noi non ci lasceremo!” decretò con sicurezza, parlando, come spesso succedeva, anche a nome di John. Il pensiero della partenza del proprio partner continuava a tormentarlo e desiderava confrontarsi con chi c’era passato prima di lui, se non altro che cogliere qualche suggerimento “Non hai mai pensato all’idea di non farlo partire?”
Sarah rise, di circostanza “Come se io avessi avuto il potere di farlo.”
“Ammettendo che tu avessi avuto quel potere...” la incalzò Sherlock, assottigliando lo sguardo su Sarah “L’avresti fatto?”
“No Sherlock...” Sarah scosse il capo più volte “Non farlo.” ripetè lo stesso concetto, arrivando anche a stringere la spalla destra di Sherlock con la propria mano, dando man forte a quel pensiero “E’ importante per lui.”
Sherlock si agitò un poco sotto la stretta di Sarah, spostando la spalla per sottrarsi alla sua presa “Sì, ma io non voglio perderlo.”
Sarah ignorò le proteste di Sherlock, versò il quale alzò nuovamente la mano, come se con quella presa, potesse anche fermargli le intenzioni “Rischieresti di perderlo, invece. Proprio facendogli una cosa del genere alle spalle.”
“Perchè?” sospirò Sherlock, con un’innocenza nella voce che era l’emblema dell’enormità di quella domanda “No, ho capito che si arrabbierebbe se gli facessi una cosa del genere di nascosto, ma perchè ci tiene così tanto?” i suoi occhi era fissi in direzione di John e si muovevano freneticamente alla ricerca di una soluzione “Magari ora che ha me... insomma... non vorrà più farlo.”
“Sherlock...” sospirò Sarah a sua volta, intenerita dal sentimento sincero che Sherlock stava dimostrando di provare e altrettanto frustrata dal non potergli offrire una soluzione “C’è una ragione dietro la sua partenza.”
Sherlock si voltò di scatto verso Sarah, con una smorfia di stupore disegnata sul volto “Quale?”
“Non devo essere io a dirtela.” Sarah sembrava più che convinta a riguardo: il tono di voce e l’espressione seria del viso lo confermavano “E’ giunto il momento che ne parliate.”
Sherlock rimase in silenzio per qualche istante, chiudendo gli occhi quando una corrente d’aria ribelle gli colpì il viso, scompigliandogli i capelli: non riuscì tuttavia a far volare lontano il suo pensiero fisso “Io non voglio che parta...”
Sarah dovette leggere qualcosa di particolare nel volto della matricola poichè si allarmò, arrivando a strattonarlo per la spalla senza usare la stessa premura usata precedentemente “Sherlock, no. Guardami.” premette sulla spalla di Sherlock finchè questi non alzò lo sguardo verso di lei “Non nascondergli niente e ancor più importante, non fargli nulla alle spalle. Mai.”
Sherlock si sentì strattonare da Sarah finchè non riuscì a persuaderla in maniera convincente del fatto che non avrebbe nascosto nulla a John e che gli avrebbe parlato circa l’argomento già ampiamente discusso sia con lei che con Mycroft.
Si chiuse poi in un lungo silenzio, dal quale venne risvegliato dall’esultanza per il gol di Mike Stamford: vide John e i suoi compagni di squadra inseguirlo fino a che non riuscirono a buttarlo per terra per festeggiarlo a dovere e rise per tutto quell’inutile spreco di energie, che tuttavia sembrava essere molto divertente. Dopo che tutti i calciatori ripresero posizione, Sherlock vide John salutarlo velocemente prima di riportare la propria attenzione al gioco e ricominciare a correre: la matricola sorrise spontaneamente a quel cenno, ricordandosi, ogni qual volta pensasse a lui, quanto valesse la pena sottostare ai sentimenti pur di provarli assieme al suo compagno.
Quando poi sentì Sarah ridere per una caduta particolarmente acrobatica dello stesso Mike, Sherlock riportò lo sguardo su di lei “Perchè mi hai aiutato?”
“Perchè voglio bene a John.” rispose Sarah spontaneamente, senza neanche doverci pensare più di tanto “Lo conosco da quasi cinque anni e da quando state insieme... beh, non l’ho mai visto così felice.”
Sherlock sospirò, quindi introdusse un nuovo discorso che evidentemente lo imbarazzava, perchè iniziò a gesticolare molto come per darsi la carica “A volte sono stato... con te, dico.”
Sarah inarcò un sopracciglio e si sporse un poco verso di lui “Sì?”
Sherlock alzò gli occhi al cielo e tra le varie parole che gli si presentarono di fronte, ne scelse una che si sentì spesso pronunciare da persone a cui aveva dedotto particolari della propria vita i cui smascheramenti, evidentemente, non erano stati richiesti “Stronzo?”
“E’ il tuo modo per chiedere scusa?” ridacchiò Sarah, che apprezzò, in verità, quell’enorme passo avanti da parte di Sherlock “Basta dire ‘scusa’, sai?”
“Sarah, non esagerare.” sbuffò Sherlock mentre continuava a guardare la partita senza in realtà nutrire grande interesse, eccezion fatta per la presenza di John in campo.
Sarah si zittì a sua volta per diversi minuti prima di rompere il silenzio “Se ti farà piacere, ti aiuterò quando lui sarà via.”
Sherlock sembrò nuovamente perplesso “Di nuovo... perchè lo dovresti fare?”
“Per lo stesso motivo di prima, perchè voglio bene a John e so che lui sarebbe più tranquillo se io ti tenessi d’occhio.” estrasse dalla borsa una bottiglietta d’acqua naturale il cui tappo iniziò a svitare “E senza di lui potresti aver bisogno di aiuto.”
Sherlock si risentì appena “Non mi drogo più.” tagliò corto, nascondendo istintivamente le braccia intrecciandole all’altezza del petto.
“Non parlo solo di quello.” Sarah bevve qualche sorso d’acqua, per nulla intimorita dalla reazione di Sherlock: d’altro canto, era stata abituata a subire anche una maggior freddezza ed ostilità da parte sua “Parlavo in generale. Perchè per quanto tu possa insistere col dire che non hai bisogno di nessuno a parte John, non puoi resistere da solo senza di lui.”
Sherlock non rispose a quelle parole, interiorizzandole tutte, riscrivendole sulla lavagna del proprio Palazzo Mentale, registrando l’intonazione e riascoltandola più volte per provare ad intuire quali sentimenti muovessero le intenzioni di Sarah. Sembrava sincera, lo era sempre stata, d’altronde, sia nelle sue offerte d’aiuto, che nei rimproveri nei suoi confronti.
Sarah interruppe l’ennesimo silenzio di Sherlock, come se avesse intuito i dubbi della matricola riguardanti le sue precedenti parole “Ora puoi anche negare il bisogno di un aiuto, ma sappi che se verrai a cercarmi, io ci sarò.”
Sherlock si soffermò sugli occhi scuri e sinceri di Sarah, sciogliendo finalmente la propria espressione in un piccolo sorriso “Suppongo di doverti dire...” si grattò la nuca, poichè non era abituato a dire quella particolare parola che aveva imparato a dire senza alcuna esitazione solo a John “Grazie.”
You’re welcome!” rispose Sarah, allargando finalmente il sorriso, attribuendogli un calore tipico della sua gentilezza.
Rimasero in silenzio fino alla fine della partita, che durò un altro quarto d’ora prima che lo studente di Scienze Motorie adibito al ruolo arbitro concesse teatralmente il triplice fischio che decretò la fine della partita e la squadra di John come la vincente dello scontro. Gli amici e le fidanzate dei calciatori applaudirono i componenti di entrambe le squadre che, dopo un molto sbrigativo terzo tempo(2), si divisero, ciascuno diretto verso il proprio compagno o verso il proprio gruppetto.
Nella fattispecie, John raggiunse Sherlock compiendo a carponi gli ultimi cinque metri di prato “Amore. Stanco. Acqua.” biascicò prima di sdraiarsi addosso al proprio compagno, appoggiando la parte superiore della schiena sull’addome di Sherlock che aprì le gambe per permettere quell’operazione.
“Ehm... sì.” Sherlock annuì quasi balbettando, andando completamente in un’estatica confusione nel sentirsi affibbiare quell’epiteto: era totalmente imbambolato, tanto che rubò la bottiglietta d’acqua dalle mani di Sarah senza neanche chiedere il permesso e senza, oltretutto, guardarla in faccia “Tieni.”
“Eh-ehm.” fu la lieve protesta di Sarah “Amore?” li canzonò poi, per poi sbuffare platealmente “Non mi ci hai mai chiamato così, John.”
John rischiò di affogare in un sorso d’acqua per l’ennesima gaffe compiuta davanti alla sua ex ragazza “Scusa, Sarah. Mi è uscito spontaneo...” tossicchiò per poi riuscire finalmente a bere “A proposito... ho visto che avete parlato un sacco, il mondo sta forse finire?” alzò lo sguardo, rivolgendo la domanda prevalentemente a Sherlock piuttosto che all’aspirante medico.
Sherlock rimase in silenzio ancora qualche altro istante, riascoltando nella propria mente la parolina magica che aveva scatenato in lui un dolce imbarazzo unito ad una maggiore aspettativa: abbassò le mani sul volto di John, tamponando con la manica della giacca il sudore che gli imperlava la fronte e le guance. Sorrise, infine, prima di chinarsi e osservare il viso di John sottosopra prima di dargli un bacio in quella strana posizione, finendo col toccargli il mento con la punta del naso e col farsi solleticare il collo dai capelli corti e spettinati dell’altro. Quando ritornò dritto, vide con piacere che John gli stava sorridendo “Ho chiesto dei consigli a Sarah. E lei è stata così gentile da aiutarmi.”
Sarah sorrise ad entrambi, quindi si alzò velocemente in piedi, sbattendo le mani sui pantaloni per scacciare un po’ di sporcizia “Vi lascio un po’ di privacy, piccioncini.” con grande stupore da parte di John, la ragazza fece l’occhiolino a Sherlock prima di congedarsi dai due dopo un rapido saluto, incamminandosi in direzione di Mike e degli altri amici presenti nel cortile.
“Ti ha fatto l’occhiolino.” notò John, stupefatto “Ti ha fatto l’occhiolino.” ripetè, ancor più sgomento “Dimmi la verità, vuole vendicarsi di me provandoci con te? Ci ha provato con te?” domandò sulla scia della sorpresa che gli si era presentata di fronte: non solo la sua ex e il suo attuale compagno avevano parlato tranquillamente per più di un’ora, ma sembravano anche essere entrati in buoni rapporti dopo mesi di competizione e continui litigi.
Sherlock rise per la sorpresa di John e quando intuì che l’altro avrebbe inoltrato ulteriori domande, si chinò, tappandogli la bocca con un altro bacio di fronte al quale il tutor si arrese, rilassandosi e, se fosse stato possibile, sciogliendo ogni più piccola essenza di sè. La matricola rise di fronte alla tranquillità del proprio compagno, quindi decise di non rovinare quel momento esponendo il problema della cartolina, ma John, come al solito, lo stupì.
“Sherlock, cosa c’è che non va?” domandò, con un leggero sorriso “Non fare quella faccia, vuoi che io non sappia quando qualcosa ti turba?” si spostò da quella posizione, sdraiandosi nella porzione di prato che prima occupava Sarah, invitandolo a sdraiarsi a sua volta.
Sherlock sospirò di fronte all’intuizione di John, stupendosi ogni volta per la sua facilità nel riuscire a leggerlo quando persino per sua madre e, spesso, per suo fratello era sempre stato un enigma “Sì. Qualcosa mi turba.” ammise prima di sdraiarsi affianco all’altro, in posizione supina, le mani intrecciate all’altezza dello stomaco “Mentre eri via a dare l’esame è arrivata la cartolina di convocazione per la leva.”
John si mise su un fianco e quando Sherlock si sdraiò supino vicino a lui, si fiondò sul suo viso, intento a coccolarlo amabilmente, almeno finchè l’altro non rivelò il motivo del suo cruccio: si bloccò a sua volta, deglutendo ed indietreggiando appena col viso, per poter osservare la sua reazione. Per la prima volta dopo molto tempo, John si ritrovò nella dolorosa situazione di non riuscire a trovare le parole adatte per confortare il proprio ragazzo, il proprio cucciolo smarrito, perchè era quello che suggerivano gli occhi di Sherlock. Smarrimento, confusione ed una lancinante malinconia. “Piccolo...”
“Non partire.” chiese Sherlock, spostando lo sguardo altrove poichè la volontà di riuscire a sostenere lo sguardo di John non era abbastanza in quel momento.
“Sherlock... guardami.” implorò John a sua volta, abbassando nuovamente il volto verso quello dell’altro alla ricerca del conforto che a volte solo le coccole della persona amata possono dare “Sono così felice con te che quasi me l’ero dimenticato.”
“Appunto, John.” Sherlock tornò a guardarlo, ma solo per dare man forte alle proprie parole “Sei felice qui con me.” tirò sù col naso e spostò nuovamente lo sguardo altrove, poichè sentì gli occhi pizzicargli “Non partire.”
“Devo.” sospirò John, portando la mano sulla guancia di Sherlock per farlo voltare verso di sè “Sherlock, ti prego, guardami. Ho bisogno che mi guardi.”
“Perchè devi?” Sherlock assecondò quel movimento voltandosi, ma più per eseguire il proprio interrogatorio piuttosto che per assecondarlo “C’è un motivo? Un valido motivo?” sottolineò l’aggettivo di quell’ultimo sostantivo, non capacitandosi dell’esistenza di quella eventualità.
John annuì “Validissimo.”
La tranquillità di John non fece altro che far innervosire Sherlock “Più valido che stare con me?” ringhiò quasi, spingendolo sulla schiena per potergli salire sopra a cavalcioni: con le mani gli afferrò i polsi, portandoglieli fin sopra la testa.
John lasciò sfogare Sherlock, facendosi sovrastare dal suo piccolo uragano infuriato di tristezza “Proprio perchè sto con te.” spiegò poi, provando a districare il polso sinistro da quella presa, senza però forzare quel movimento, lasciando alla volontà di Sherlock la scelta di quell’opzione “E perchè vorrò stare con te in futuro.”
Sherlock, d’altro canto, scelse di rinvigorire la stretta attorno ai polsi dell’altro “Non capisco, John. Ti giuro che non capisco.” sussurrò poi, in contrasto con la tempesta che urlava ed infuriava dentro di lui in quel momento “E’ una cosa che avevi già deciso prima di stare con me. Mi stai forse mentendo?”
“Non ti mentirei mai, Sherlock.” John rimase estremamente calmo, compensando l’umore di Sherlock, forte delle sue motivazioni “Sù, ora calmati che te lo spiego.” bisbigliò a sua volta, provando nuovamente a liberare i propri polsi, sempre con delicatezza, inoltrando un’implicita richiesta alla matricola.
Sherlock osservò John a fondò, scavando dentro la trasparenza dei suoi occhi in cui vide la sincerità delle sue parole: liberò la presa, accasciandosi sopra al compagno, il volto posato sul suo petto all’altezza del cuore “Non voglio che parti John... non voglio...”
Non appena John ebbe le mani libere, lo strinse a sé, allacciandogli le braccia attorno alla schiena “Forza, piccolo...” mormorò appena, posandogli un bacio sulla fronte prima di iniziare la propria spiegazione “Devi sapere che nel momento in cui mi arruolo come medico militare, salto tutta la trafila del tirocinio che mi rimarrebbe da fare ed inoltre guadagnerei delle gran sterline per il servizio di leva.” alzò di poco la voce, spiegando con esattezza il proprio piano come se lo vedesse disegnato con un tratteggio di china nera sulle nuvole bianche che macchiavano il cielo “Se invece rimanessi qui, non solo il tirocinio sarebbe più lungo e non retribuito, ma non avrei neanche un posto dove andare, perchè non avrei neanche il tempo per fare un secondo lavoro.”
Sherlock ascoltò tutto attentamente, ma la spiegazione di John non sembrò soddisfarlo “Quindi? Fai tutto questo per i soldi?”
“Sherlock.” lo richiamò John, stringendolo a sé in una presa salda ma ricca di dolcezza “Faccio tutto questo per noi.”
A quel punto Sherlock alzò la testa in direzione di John: si scervellò diversi istanti, ma sembrava non capire le parole del compagno “Per noi?”
“Sì. Il piano prima che ci conoscessimo era arruolarmi e basta. Fare il soldato finchè il fisico me lo avesse permesso.” John spostò lo sguardo dalle nuvole fin sul volto di Sherlock, al quale sorrise “Da quando sto con te, invece, il piano è diventato questo: dopo due anni mi congedo così ho sia l’iscrizione all’Albo dei Medici che abbastanza soldi per anticipare qualche mese l’affitto di un appartamento per noi in modo da avere un gruzzolo da parte in caso non riuscissi a trovare subito un lavoro.”(3)
Sherlock spalancò la bocca nell’espressione più stupita che avesse mai assunto in vita sua “E...” boccheggiò con la bocca impastata, perché le parole di John lo avevano colpito dritto al cuore “E se chiedessimo i soldi a Mycroft?”
John si impettì un poco sotto il corpo di Sherlock, irrigidendo la propria postura in una manifestazione di virilità “Sono un uomo, Sherlock. Non accetterei mai i soldi di tuo fratello.”
La bocca di Sherlock continuava ad essere aperta per lo stupore “Ma...” la motivazione presentata da John era a dir poco stupenda: quel ragazzo, quell’uomo aveva deciso di affrontare la guerra per regalare un futuro alla loro relazione. L’importanza di quella confessione smosse ulteriormente l’enorme sentimento che provava nei confronti di John, di fatti, la preoccupazione per la sua incolumità non era assolutamente sparita “E se tu... insomma andresti in guerra, sarà pericoloso, non c’è un altro modo?”
“Ehi, non sottovalutarmi. Ero il migliore del mio corso.” John si irrigidì nuovamente, per poi sgonfiare il petto ed assumere nuovamente la morbidezza dei propri modi di fare: voce e gestualità, entrambe addolcite per avvolgere i sensi del suo vulnerabile compagno “E poi lo faccio per noi, Sherlock. Esiste una motivazione più grande di questa?”
“Fai tutto questo per me. Per noi.” ripetè Sherlock, come se non credesse che un onore così grande spettasse a lui.
“Ora hai capito perchè è importante che io vada?” chiese John, per poi aggiungere “Tu cerca di laurearti in quei due anni, va bene? Col tuo cervello non dovrebbe essere un problema.”
“Sì ma staremo lontani per due anni.” fu la nuova protesta di Sherlock “Come farò senza di te?”
“Sei sopravvissuto senza di me per diciannove anni, Sherlock.” sospirò John a sua volta: era evidente che, nonostante fosse completamente sicuro e convinto del proprio piano, la prospettiva di stare lontano da Sherlock per ben due anni feriva molto anche lui “E poi ci sentiremo ogni tanto.”
“Hai detto bene, sono sopravvissuto.” Sherlock si mosse sopra il corpo di John, avvicinandosi maggiormente al suo viso, sul quale posò delicatamente le labbra, proprio sotto l’occhio sinistro “Solo con te ho iniziato a vivere.”
“Dio, Sherlock.” John gli prese il volto tra le mani, riuscendo così a posare a sua un leggero bacio sulle labbra del compagno “Riuscirò ad andare avanti solo sapendo che tu sarai qui.” sorrise per poi inarcare un sopracciglio con aria fintamente interrogativa “Perchè tu... mi aspetterai, vero?”
Sherlock si guardò attorno muovendo solo gli occhi “Dove vuoi che vada?”
John rise: i modi di dire comuni erano sempre un mistero per Sherlock e lui amava farsi delle risate a riguardo “No, dico. Mi aspetterai?”
Sherlock, infatti, sembrava sempre più confuso “Intendi all’aereoporto militare?”
John scosse il capo e decise di dargli un indizio: lo colse di sorpresa quando iniziò a baciarlo con una passione che fino a quel momento aveva riservato all’intimità della loro stanza. Lasciò vagare anche la mano sinistra che, dal viso, si spostò fin sul sedere di Sherlock che strizzò in una presa salda e quanto mai esplicita, azzardo che, fino a quel momento, a differenza dei lunghi e profondi baci scambiati in camera, non era ancora stato provato “Mi aspetterai o ti guarderai attorno? Due anni sono tanti.”
Sherlock trasalì per quella piacevole stretta che lo colse totalmente di sorpresa: sorrise quando finalmente capì dove il suo compagno volesse andare a parare “Idiota di un John Watson.” gli morse il labbro inferiore, giocandovi finchè non dovette parlare nuovamente “Ti ho aspettato per diciannove anni. Due più, due meno...”
“Bravo, piccolo.” gli sussurrò, carezzando il suo udito con la voce arrochita da una leggera eccitazione “E comunque abbiamo ancora qualche mese per spassarcela.”
Sherlock mugolò compiaciuto per la malizia che colse nella voce di John: sorrise poi, fermandosi per guardarlo negli occhi “Dillo di nuovo.”
“Cosa?” chiese John.
“Perchè parti.” suggerì Sherlock.
“Per il nostro futuro.” John fece una breve pausa dopo quella frase, persosi nell’espressione più dolce che Sherlock gli avesse mai regalato fino a quel momento “Per installare un clapper nel nostro appartamento.” sorrise di riflesso all’ilarità che aveva scatenato nell’altro in quel momento. Si prese, poi, un'altra piccola pausa, quindi concluse l’elenco delle proprie motivazioni “Per noi.”
Sherlock abbassò lo sguardo, spostandolo altrove, imbarazzato. Sentì John che lo avvolgeva in una presa salda e al tempo stesso dolce, ricordando in quel momento quanto l’altro sapesse giocare continuamente con quelle contraddizioni: saldo ma dolce, severo ma giusto, divertente eppur responsabile, ancorato al presente eppur proiettato verso il futuro. Tutto di John gli sembrava la combinazione perfetta che aveva dato vita al miglior essere umano che avesse mai potuto incontrare: fu quella convinzione che lo spinse ad avvicinarsi nuovamente al suo viso per sussurrargli un impicciato ma convintissimo “Ti amo.”
John bloccò i movimenti delle proprie mani che percorrevano la lunghezza delle schiena di Sherlock in continue e premurose carezze: non capì le parole della matricola, o forse le udì fin troppo bene e lo stupore parlò per lui “Eh?”
“Ho detto che ti amo.” confermò Sherlock, ripetendolo con una maggiore sicurezza, sebbene un dubbio rimase ad offuscargli la mente “Si dice... in questi casi? Vero?”
“Vorrei che me lo dicessi tutti i giorni della nostra vita.” fu la sincera e commossa risposta di John, che sentì il cuore sobbalzare per poi improvvisare un ritmo irregolare, movimentato, simile ad una marcia militaresca condotta in pompa magna.
Sherlock si rilassò enormemente dopo la risposta di John, dopo essersi assicurato di non aver detto quelle particolari parole nel momento sbagliato e nel posto sbagliato “Giuro che un giorno saprò ricambiare tutto quello che stai facendo e che farai per noi.”
John sorrise di fronte alla riconoscenza e all’amore di Sherlock, entrambi espressi dalla lucentezza dei suoi occhi che davano vita ad uno sguardo sovrannaturale, di una bellezza impossibile “Prometti di stare con me?”
Sherlock annuì subito: era così facile rispondere a quella domanda “Ovviamente.”
“Ecco, hai trovato il modo per ricambiare.” lo rassicurò John, posando entrambe le mani sul volto di Sherlock, carezzandogli la pelle diafana con la stessa delicatezza che riserverebbe ad un cristallo prezioso “Stai con me per sempre.”
“E’ una promessa.” giurò Sherlock, senza particolari segni o scongiuri, bensì suggellando quel patto con la leggera pressione delle proprie labbra su quelle di John.
“Ah!” sbottò John, poiché s’accorse di essersi dimenticato di una cosa molto importante “Anche io.”
Sherlock scosse il capo, non riuscendo ad intuire a cosa si stesse riferendo “Cosa?”
John si avvicinò all’orecchio destro di Sherlock, sussurrandogli il segreto di cui già tutto il mondo era a conoscenza “Ti amo.”
Non ci furono più parole dopo quelle tre sillabe, non in quel prato, non tutt’attorno a John e Sherlock, chiusi in una bolla d’aria, lontani dal resto del mondo, della natura, del cielo e della terra che li guardavano e che non avevano la minima intenzione di disturbare la bellezza tangibile di quel sentimento che andava fortificandosi. Tutto e tutti, incantati dal senso di pace che quelle due giovani anime emanavano, erano testimoni di quella dichiarazione d’amore e nessuno, neanche per tutto l’oro del mondo, avrebbe osato rinnegarla. 

___

(1)cartolina precetto: ho chiesto a papà "come ti hanno detto che eri stato convocato per il militare?" "erano arrivati i carabinieri(forse, non ricordo)a consegnare la cartolina precetto", ho fatto ricerche e sta cartolina precetto serve proprio per questo tipo di comunicazioni, quindi l'ho usata anche io ^^
(2)il terzo tempo nello sport è quando finisce una partita e tutti si scambiano le maglie, fanno fair play e cose del genere... nel rugby è d'obbligo e secondo me è una cosa bellissima! molto sportiva :)
(3)questa è una cosa che ho ipotizzato io, sinceramente, non so neanche lontanamente se sia vera °_° la cosa che si può concludere il tirocinio in quel modo dico... ho supposto che un ospedale militare valesse comunque, ma ripeto, non ne sono sicura. Scusate se uso una cosa del genere senza informarmi, ma mi serviva un escamotage del genere eheheh <3
(4)"renitenza alla leva" è quando non ci si presenta alla chiamata ufficiale ed è una violazione legale al regolamento, quindi punibile... ora, ai giorni nostri la leva non è più obbligatoria, ma visto che questo mio John ha fatto domanda e attendeva la chiamata, suppongo che un rifiuto non giustificato comporti una denuncia
   
 
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