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Autore: Vortex    03/08/2012    2 recensioni
Ruki sembrò riflettere per qualche istante, portandosi persino le dita al mento, per poi ghignare. < Non è vero. Non possiamo guardare in modo uguale. >
< E perché mai? >
< Gli occhi! > esclamò con fare trionfante, come se nella rivelazione che stava per fare vi fossero contenute tutte le risposte alle incognite di questo mondo. < Gli occhi sono diversi. >
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kai, Ruki
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi all'interno dello scritto non sono di mia proprietà, al contrario questo materiale intellettuale (ma quanto mi piace questo termine? xDD) mi appartiene.



Se dovessi rinascere, incontriamoci di nuovo.




<< Stavo pensando … Il fatto che un giorno rinasceremo non implica che dovremo per forza essere giapponesi, giusto? >> la voce assorta di Kai attirò simultaneamente l’attenzione di Ruki.
<< Effettivamente avrebbe senso. >> concesse l’altro. Aveva cominciato a rimuginarci su anche lui. << Ma questo vorrebbe dire vedere le cose in modo diverso. >> aggiunse poi. Lui era sempre stato un po’ così, con quel modo di ragionare decisamente fuori dal coro che a Kai piaceva tanto e, senza poter vantare la benché minima preparazione da parte di alcuna scuola di pensiero, finiva perennemente con il filosofeggiare riguardo le questioni più banali, figurarsi con concetti astratti come quello.
<< Dici? Forse non c’è poi tanta differenza tra Oriente ed Occidente, il cielo che vediamo è lo stesso. >> rispose Kai, con un sorriso che si spacciava per malinconico.
Ruki sembrò riflettere per qualche istante, portandosi persino le dita al mento, per poi ghignare. << Non è vero. Non possiamo guardare in modo uguale. >>
<< E perché mai? >>
<< Gli occhi! >> esclamò con fare trionfante, come se nella rivelazione che stava per fare vi fossero contenute tutte le risposte alle incognite di questo mondo. << Gli occhi sono diversi. >>
 
 

A Kazushi piaceva fare tante cose, le maestre dicevano sempre che era un bimbo instancabile. Amava la musica, anche da prima di nascere. La sua mamma una volta gli aveva raccontato che quando era nella sua pancia, lei gli cantava sempre una canzone perché era l’unico modo per tranquillizzarlo quando era agitato. Spesso si metteva una manina paffuta sul petto perché voleva sentire il ritmo del proprio cuore, poi cercava di riprodurlo dandosi qualche colpetto sulla coscia, era divertente, pensava sempre.

Kazushi non lo sapeva proprio perché, anche se era giapponese, viveva in Italia. Alla fine non aveva la sicurezza che gli importasse poi tanto, visto che ogni volta che voleva chiederlo alla mamma se lo scordava sempre. Esisteva però un dilemma in grado di angosciarlo, desiderava, infatti, conoscere il motivo per il quale gli italiani lo scambiassero sempre per un cinese. Quando era più piccolo –sì perché adesso aveva la bellezza di cinque anni, ancora poco e sarebbe andato alle scuole elementari- aveva addirittura pensato di venire dalla Cina come la sua compagna di classe Wei.
Capitava anche che qualche altro bambino lo prendesse in giro per i suoi occhi dal taglio allungato, una volta lo avevano chiamato “muso giallo”, Kazushi aveva pianto in quell’occasione e, quando gli fu detto di essere un frignone, ci rimase tanto male da aumentare le lacrime. Per questo di amici non ne aveva molti. Le giornate le passava a disegnare, quando giocava con i suoi compagni capitava spesso che si facesse male, dato che era sempre stato più esile di loro.
 

Aveva deciso che finalmente in quella fredda mattina di Gennaio avrebbe creato la sua opera d’arte, degna di portare il suo nome insomma. La maestra aveva donato loro una nuova confezione di pennarelli e quando erano apparsi alla sua vista, i suoi occhioni scuri avevano cominciato a brillare di desiderio. Optò per un ritratto della scuola, nessuno lo aveva ancora mai fatto, nella sua classe, e sapeva che se fosse stato il primo allora avrebbe ricevuto gli elogi della maestra.
Con il rosso fece il tetto a spioventi –che nella realtà era perfettamente piatto e quindi nascosto alla vista dall’esterno-, il corpo dell’edificio arancione ed una targa enorme al centro con su scritto “scuola”, una di quelle poche parole che aveva imparato a scrivere.
Nel giardino lì accanto disegnò se stesso, aveva le dita delle mani sproporzionate rispetto alle braccia ma a lui piaceva così, era il suo capolavoro del resto. Pensò bene di aggiungere la dicitura “io” proprio sopra la sua testa, così che fosse inequivocabile il fatto che si trattava di lui. Subito dopo decise di aggiungere la mamma –con il pancione perché a breve sarebbe diventato fratello maggiore-, la nonna la quale stava a casa loro e lo portava sempre al parco, e il papà, anche se lavorava sempre e non lo vedeva quasi mai.
Ma qualcosa non andava. Cosa aveva scordato? Non riusciva proprio a capirlo. Eppure sentiva che non poteva andare bene così.
<< Ciao, che stai facendo? >> proprio mentre si concentrava per capire cosa gli stava sfuggendo, una voce lo fece girare, costringendolo a distogliere la propria attenzione dal disegno.
<< Questo. >> rispose sintetico, indicando il foglio. Non è che non fosse un tipo amichevole, al contrario, solo che era davvero concentrato e, a dire il vero, si sentiva un po’ innervosito per quell’interruzione.
<< Bello, allora faccio anche io un disegno come il tuo, mi piace. >> disse l’altro, con un sorriso smagliante. Si sedette lì accanto a lui e cominciò a darsi da fare per imitare Kazushi.
Quest’ultimo nemmeno replicò, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro. Dopo circa una mezz’oretta, durante la quale il giapponese si era premurato di fare una versione più precisa del primo disegno, il bambino vicino a lui annunciò di aver finito. Kazushi diede un’occhiata al foglio che gli venne porto ed esclamò sorpreso.
Era proprio bello.
<< Wow! >> commentò estasiato.
<< Grazie. >> disse allora l’altro; poi si concesse di porre la domanda che tanto gli premeva, senza troppi preamboli che ritardassero ancora di più la scoperta che voleva effettuare. << Io mi chiamo Riccardo, tu come ti chiami? >>
<< Kazushi. >>
<< Ka-come? Hai un nome davvero buffo. >> ridacchiò Riccardo portandosi le dita alle labbra.
<< Eh? Guarda che anche il tuo è strano, che razza di nome è Riccardo? Ce l’ha un leone che piange sempre dentro un cartone animato.* >> ribadì Kazushi, un po’ offeso per quel comportamento.
<< E allora? A me piace. >>
In tutta risposta Kazushi lo fulminò con lo sguardo. Doveva ammettere che una risposta del genere non se l’aspettava proprio, a dirla tutta non era abituato a parlare con i suoi compagni, soprattutto quando si trattava dei nomi dei personaggi dei cartoni animati. E comunque non poteva non essere diffidente nei suoi confronti, la prudenza non era mai troppa; nella sua mente una domanda continuava a metterlo sulla difensiva: Riccardo era un altro che aveva intenzione di prenderlo in giro per il suo aspetto?
<< Mh … Facciamo che tu ti chiami Kai, è più facile da dire. >> disse allora il bambino, guardandolo a mo’ di scusa.
Perplesso ci pensò su un po’ di tempo. Il sorriso che gli mostrò subito dopo l’altro sciolse inevitabilmente le sue barriere; aveva voglia di stare in compagnia e Riccardo sembrava essere disposto a dargliela senza troppi problemi. << Ok … però anche io voglio darti un soprannome, non è giusto se ce l’ho solo io. >> si lamentò cominciando a pensare a come avrebbe potuto ribattezzarlo. << Ci sono! Tu ti chiamerai Ruki, in giapponese è una parola, credo. Poi chiedo alla mamma cosa vuol dire. >> aggiunse tutto contento.
<< Va bene, allora io sono Ruki e tu sei Kai. >> concluse accondiscendente Riccardo.
Non appena ebbero trovato un accordo, furono interrotti dal suono della campanella che indicava di cominciare a prepararsi per uscire da scuola. Kai mise il disegno non ancora completato all’interno dell’armadietto che stava in fondo all’aula, con il pensiero che in seguito l’avrebbe finito. Ma quando il giorno dopo tornò a prenderlo c’era Ruki con lui che voleva giocare e non aveva l’aria di uno che avrebbe accettato un rifiuto come risposta. E così andò anche la seconda volta che cercò di finire il proprio lavoro. Ruki non ne voleva sapere di stare da solo, pretendeva sempre di fare qualcosa di diverso ogni giorno, tanto che alla fine Kai dimenticò addirittura di aver cominciato quel disegno.
 

Passati tre mesi senza mai separarsi un attimo l’uno dall’altro, fino al momento di dover tornare a casa, venne la mattina in cui Ruki non si presentò a scuola. Aveva un po’ di febbre –ah i mali di cambio stagione!- ed i genitori lo avevano fatto restare a letto. Quando Kai vide che la sedia accanto a quella su cui si sedeva era vuota, cominciò a preoccuparsi e pensò addirittura che qualcuno avesse rapito il suo amico. La maestra dovette spiegargli che Ruki non era sparito, e che sarebbe tornato a breve, ma Kai ad un tratto smise pure di ascoltarla, non faceva che pensare a come avrebbe fatto a trascorrere una giornata intera da solo.
 

<< Maestra, maestra! Guarda, questo è il mio nuovo disegno, sono bravo, vero? >>
La donna stava sistemando sullo scaffale più alto alcuni giocattoli che gli altri bambini avevano lasciato sul pavimento, era pericoloso perché qualche altro alunno avrebbe potuto inciamparci correndo, come tutti, lì dentro, facevano sempre. Si sentì tirare l’orlo della veste con una certa foga, l’emozione del suo piccolo interlocutore trapelava dalla voce. Si girò, inginocchiandosi per raggiungere lo stesso livello d’altezza del bimbo.
<< Mh, vediamo un po’ quanto sei bravo, Kazushi. >> così dicendo avvolse con un braccio il corpicino di Kai, prendendo con la mano il foglio che le veniva porto. Nel vederlo spalancò gli occhi fingendo meraviglia ed emettendo un’esclamazione sorpresa.
<< Ma è bellissimo, questa è la nostra scuola! Che bravo … Vediamo un po’, qui ci sei tu e questa è la tua famiglia? Riconosco tua mamma. Però perché qui accanto ci hai fatto un segno blu e questo … fantasma? >>
Kai sospirò un po’ seccato perché la donna non era riuscita a capire quello che lui aveva intenzione di fare, ma sorrise subito dopo; mettere il broncio non era nel suo stile e poi era felice per via delle lodi ricevute; anche se non era come Riccardo, pure lui sapeva farli i disegni, dopotutto.
<< Questo segno è il vento, >> spiegò indicando il soggetto ed accompagnando le proprie parole emettendo un soffio di dimostrazione << Ci ho messo sia il vento che il fantasma, perché la mia mamma mi ha detto che la parola Ruki vuol dire corrente e fantasma, allora ho pensato al mio amico Ruki ed ho deciso che anche lui è nella mia famiglia. >>
La donna scoppiò a ridere, e anche se la gentilezza che la caratterizzava addolciva la sua risata, Kai non riusciva proprio a capire cosa ci fosse di tanto divertente.
<< Ma tesoro, Ruki sarebbe Riccardo, non è così? >>
Il bambino annuì sospettoso.
<< Tu gli vuoi bene, ed è giusto, ma non fa parte della tua famiglia, Kazushi, hai capito? >>
Kai la guardò sconcertato per qualche secondo, per poi riscuotersi rapidamente e sorridere come al solito.
<< Ma maestra, non vale così! >> esclamò. << Anche se i nostri occhi sono diversi, io resterò con lui, per sempre. >>
 


* Sì, mi sono riferita al cartone di Robin Hood, quello dove Luigi è un leone che piange sempre e si mette il dito in bocca xDD



Note di Vortex: Salve gente, è passato tanto tempo, eh?
Allora, cominciamo con il dire che non so assolutamente da dove sia uscita una cosa del genere, se non che ascoltando l'ultima frase di Miseinen sono impazzita e ho dato vita a questa assurdità U_U
In pratica non chiedetemi come, Ruki e Kai si dovrebbero reincarnare in dei bambini italiani, che poi si rincontrano. E' fluff da morire, roba che non so davvero come possa essere mia, evidentemente il caldo mi fa delirare xDD
Riguardo il nome di Ruki, non prendete la traduzione per vera e assoluta dato che il nome di Ruki si scrive in katakana, il che vuol dire che lui per primo non indendeva dare un significato al nome U_U
Non è esattamente il comeback che normalmente ci si aspetta, ma temo che ci si dovrà accontentare xD
Ultimamente sono più impegnata del solito, perciò sarò poco presente, ci tenevo a dirvelo...
Ad ogni modo, casomai voleste farmi sapere che ne pensate, lasciate pure una recensione, prima o poi si torna ^_^

  
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