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Autore: LizzieCarter    03/08/2012    1 recensioni
"Lui mi scrolla delicatamente di dosso muovendo le spalle, e io mi stacco, spaventata. Non riesco a decifrare alcuna espressione sul suo volto: le sopracciglia, di solito così espressive, e gli occhi brillanti, ora sono nascosti dai suoi capelli. Posso vedere solo le sue labbra tremare violentemente, le braccia stringere forte la barriera.
Una mano si aggrappa convulsamente alla sua felpa, rifiutandosi di lasciarlo andare, ma lui lentamente, con cautela, si infila sotto le sbarre di ferro..."

[Se ho fatto le cose decentemente, la storia dovrebbe essere capibile anche da chi non ha visto il film :)]
Guardando il film "Il Giorno del Destino" continuavo a chiedermi come potesse Annie essere così fredda ed insensibile nei confronti di Jimmy e, dato che lo sviluppo della storia ha decisamente deluso le mie aspettative, ho provato a infondere un po' di dolcezza nel cuore della ragazzina e a vedere come sarebbe cambiato lo svolgimento della trama.
Be', ditemi voi se è migliorato o peggiorato :)!
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Prima di lasciarvi alla lettura, volevo precisare un paio di cose: se scrivessi meglio, avrei catalogato questa storia come Drammatica, invece che Triste, come Gialla invece che Verde; spero comunque con tutto il cuore di esser riuscita a darvi delle emozioni :).

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# Se io sono un testimone, tu cosa sei? #
Guardo lo schermo e non capisco.
Poi la consapevolezza mi urta gli occhi, come le lacrime che da Quel Giorno minacciano di far capolino, ma ancora non mi hanno concesso la liberazione del pianto.
Non voglio rispondere.
# Annie? #
Guardo lo schermo con astio, come avrei voluto guardare negli occhi quell'assassino prima di vendicare mio padre.
Solo che quel codardo si è già ucciso da solo. Non prima di aver tolto a mio padre la vita... e la sua dignità, però.
# Annie?!?!?!?!?!?!?!?!? #
Mi scappa un singhiozzo e mi copro la bocca con la mano, mentre il nickname di Jimmy mi si appanna di fronte agli occhi.
Non voglio parlarne, davvero.
Anche se so che lui ne ha un bisogno disperato.
Mia madre mi ha detto che non ha ancora parlato, da Quel Giorno. L'ho visto, all'ospedale: lo sguardo fisso, batteva disperatamente le ciglia, come volesse cancellare le immagini di pochi minuti prima, senza nemmeno volgere la testa verso lo strizzacervelli che cercava di tirargli fuori qualche parola, senza nemmeno fingere di prestargli ascolto.
Grazie, Jimmy.
# Quell'uomo è cattivo, non parlargli, non fidarti di lui #
Gli ho scritto in chat, l'unico modo con cui lui sembra voler comunicare, adesso.
Nemmeno io ho ancora sentito una parola uscire dalla sua bocca.
 
Mi premo i palmi sugli occhi, cercando un modo per liberare quelle dannatissime lacrime, perchè si portino via anche i ricordi.
-Ti prego... ti prego...- le mani di mio padre tremano sotto il tavolo, mentre, lentamente, allentano la presa sulla mia. Io mi aggrappo a lui con tutta la mia forza, ignorando il rumore dei cubetti di ghiaccio che battono contro il cartone del bicchiere di Jimmy per quanto gli trema la mano. I capelli gli coprono gli occhi, ma so che ora sono vuoti, in attesa del prossimo colpo di pistola; aspettando che la canna della pistola si infili sotto il tavolo, diretta alla sua testa.
 
Esco di corsa, disperdendo i piccioni che stanno sempre davanti alla porta di casa. Mamma non si preoccupa: pensa che io sia una bambina forte, che sia riuscita a superare l'accaduto prima ancora che ne fosse capace lei, pensa che la mia rinnovata fede mi aiuti, mi sostenga, e non sa che, in realtà, è solo un filo di bava a cui cerco disperatamente di aggrapparmi mentre mi scivola sempre più dalle dita...
L'ultimo messaggio di Jimmy mi mette le ali ai piedi, che pestano sui pedali come se questi fossero il naso di quel maledetto assassino. La salita mi mozza il fiato, ma sono come una falena che punta fissa ad una fiammella, ad una luce affascinante che, se è fortunata, la lascerà andare senza incenerirla.
Vedo un puntino scuro avanzare sul ponte, due tornanti più su; l'immenso ponte sospeso tra un altissimo pilastro e il fianco della montagna. E' qui che il padre di Jimmy ci portava a far volare i piccoli elicotteri telecomandati che costruiva, appena qualche anno fa.
- Jimmy!- un urlo rauco mi esce dalla gola, mozzandomi il respiro già affannoso, quando raggiungo l'inizio del ponte. Freno in scivolata sulla ghiaia del parcheggio, poi torno a spingere sui pedali più forte di prima, filando sul cemento armato, gli occhi fissi sulla macchiolina rossa che si sta avvicinando al parapetto.
- No, no, nononono...- balbetto, strappandomi le lacrime dal volto col dorso della mano; piccole, subdole gocce di dolore che scelgono di comparire proprio nel momento in cui devo essere forte più che mai.
 
Jimmy non mi vede arrivare; solo quando lascio cadere la bici a terra e corro verso di lui lo vedo sobbalzare e perdere per un istante la presa sulla sbarra di metallo a cui è avvinghiato, appena prima che lo raggiunga e gli stringa forte le braccia attorno al petto, bloccandolo contro le sbarre fredde e inspirando forte l'odore della sua felpa.
- Non farlo, non lasciarmi... Ti prego- la voce mi esce flebile, soffocata dalla felpa rossa su cui premo il volto. Lui non parla, continua a fissare il vuoto sotto di lui, rabbrividendo per le sferzate delle correnti fredde che ci raggiungono quassù.
La sua schiena trema, e i suoi occhi scuri, bui, si tingono di lacrime; le mani sudano contro il ferro, mentre lui singhiozza in silenzio.
Quanto egoista sono stata?
Io, meschina, bugiarda... Professavo il perdono verso l'uomo che ha ucciso mio padre solo perchè cercavo perdono per me, per il modo in cui ho abbandonato la mano di papà agonizzante, in quel caffè in paese, per rovesciargli sui pantaloni la Coca Cola di Jimmy, per coprire la macchia bagnata di spavento che gli si allargava tra le gambe prima che la vedessero i soccorsi; perdono per il modo in cui ho strappato di mano il bicchiere a Jimmy, Quel Giorno, invece che abbracciarlo forte e dirgli di non aver paura; perdono per il modo in cui gli ho intimato di non dire niente. A nessuno.
Ed è quello che fa adesso: non parla.
Mi è stato fedele fino all'ultimo, come io non sono stata in grado di fare con mio padre, ma questo lo sta uccidendo da dentro, lentamente.
-Parlami- scongiuro, le lacrime che mi corrono rapide lungo le guance e poi giù, nel vuoto, prima di piombare in mezzo ai boschi sottostanti.
Mi alzo in punta di piedi, ed incastro a fatica il mento sulla sua spalla, seguendo il suo sguardo attraverso l'orizzonte e godendo la sensazione del vento freddo sulle palpebre brucianti.
- Dillo-.
La sua voce mi colpisce come uno sparo: secca, rauca per il tanto tempo passato senza parlare, e un po' gracchiante a causa della pubertà e delle lacrime.
Sobbalzo.
- Cosa?- pigolo. Ancora non ho il coraggio di ammetterlo ad alta voce. Di dire che papà non è un eroe, come ho fatto credere a tutti; di ammettere che mi sono vergognata di lui.
- Sarà il nostro segreto... solo, ho bisogno di sapere che non sono pazzo, che è successo davvero-. La sua voce trema, lui trattiene il respiro, mentre volta la testa per guardarmi negli occhi.
Il suo sguardo è terrorizzato, gli occhi spenti di ogni segno di vita, di ogni traccia di speranza, colmi solo di lacrime e disperazione; la bocca ha una piega amara che non gli avevo mai visto, prima di Quel Giorno, le labbra così serrate che devono fargli male, ed il viso è verdastro, come se fosse in preda alla nausea e all'emicrania allo stesso tempo.
Lo stringo bruscamente a me, spaventata da quel vuoto, da quella scelta, e sento il suo cuore pulsare sotto i miei palmi, spalancati sul suo petto, rapido e volubile: vivo.
- Sì... sì, è tutto verò. E'... era terrorizzato, tremava, piangeva, si era fatto la pipì addosso...- mi si spezza la voce, e mi ci vuole un momento a ritrovarla; -Ora ti prego, ti prego, perdonami- lo scongiuro. Esito. - Non ti buttare- mi trovo ad implorarlo, senza fiato, sentendo i crampi alle braccia e rimpiangendo amaramente di non averle grosse come quelle di mio padre. Sto pregando.
Lui mi scrolla delicatamente di dosso muovendo le spalle, e io mi stacco, spaventata. Non riesco a decifrare alcuna espressione sul suo volto: le sopracciglia, di solito così espressive, e gli occhi brillanti, ora sono nascosti dai suoi capelli. Posso vedere solo le sue labbra tremare violentemente, le braccia stringere forte la barriera.
Una mano si aggrappa convulsamente alla sua felpa, rifiutandosi di lasciarlo andare, ma lui lentamente, con cautela, si infila sotto le sbarre di ferro e torna sulla piattaforma, accanto a me. Al sicuro.
Ora il tremore si è diffuso a tutto il corpo e lui, pallido da morire, respirando affannosamente come se avesse tenuto il fiato per tutto il tempo, cerca sostegno nel parapetto.
Il silenzio, lo abbraccio forte, lo stringo come se, a quel modo, potessi spazzare via tutta la sofferenza che gli ho causato o che, comunque, non l'ho aiutato a sopportare.
- Grazie- bisbiglio nel suo cappuccio, il naso solleticato dai capelli troppo lunghi.
- Eri così distante!- dice in un soffio, con voce tremante, muovendomi i capelli sulla nuca col suo respiro, ancora rigido come una statua di pietra. - Hai davvero avuto un'illuminazione, o qualcosa del genere?- mi interrompe, mentre gli sussurro quanto mi dispiace. Mi blocco, e lo guardo negli occhi rossi e gonfi; - Io... non lo so. Ho visto la croce della chiesa, fuori dalla finestra, brillare proprio mentre sentivo lo sparo e... non lo so, è come se avessi avuto bisogno di aggrapparmi a qualcosa, di credere che sarei stata con papà nella preghiera, per rimediare di non esserci stata quando è morto...-
- Avevi me!- geme lui, e le sue sopracciglia calano così avvilite sugli occhi da sfuggire alla guardia della lunga e pesante frangia scura.
Faccio uno sforzo per impedire alle mie labbra di tremare. E' vero, forse fare la fanatica mi serviva solo per non pensare a mio padre, a ciò che era successo, al terrore di quegli istanti sotto il tavolo, ma ora ho capito che Jimmy e io dobbiamo lasciarci tutto alle spalle insieme, ricominciare daccapo e, sì, magari parlare con quello strizzacervelli...
- Ora lo so-, assicuro, guardandolo fisso negli occhi e prendendogli il viso tra le mani - ... e mi dispiace di non esserci stata per te-.
- Ci sei ora- replica lui, e non l'ho mai visto così serio, mentre, insicuro, mi sfiora la mano.
Gli getto le braccia al collo e lo stringo forte a me ancora una volta, non riuscendo a credere che il pericolo sia passato, che ce la faremo, che staremo bene, tutti e due, e gli scocco un bacio sulla guancia.
Poi un altro.
E uno sulla lacrima che ancora gli riga la mandibola.
Infine, gli sfioro le labbra, senza risolvermi a sciogliere le braccia da attorno al suo collo.
- Ci sarò sempre- gli prometto, scostandogli i capelli dagli occhi.
E, finalmente, mentre l'ultimo bagliore del sole al tramonto ci fa da testimone, vedo un sorriso nascere sul suo volto.





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Ri-salve a tutti quanti! Ci tengo a dire che, nel titolo del capitolo, ho scritto "wittness" perchè è quello che scrive Jimmy nel film, ma sono consapevole del fatto che "testimone" si scriva "witness" con una T sola :)
Ora, a parte questo, sarei davvero grata se mi lasciaste un pensiero qualsiasi su questa storia, perchè ci ho proprio messo il cuore.
Se anche non vi è piaciuta, se poteste scrivermi qualche consiglio su come migliorare, ve ne sarei davvero grata!
Oh, inoltre, volevo lasciarvi il link della scena che mi ha ispirato per questa one-shot :) ---> http://www.youtube.com/watch?v=Fc9w10qmMVQ&feature=related ... insomma, la vedete quanto è fredda Annie, all'inizio D:?
                                                                                                                                                                  Liz
   
 
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